LA SANTITA’ DI MAMMA MARGHERITA, LA MADRE DI DON BOSCO

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

Margherita Occhiena non è protagonista di eventi straordinari, quanto piuttosto ebbe una vita umile e nascosta vissuta al fianco dello straordinario figlio
di Fabio Arduino

Non è cosa semplice tracciare un breve profilo biografico di questa semplice donna, genitrice di un grande santo quale Giovanni Bosco. La santità di Margherita Occhiena non è infatti frutto di eventi straordinari, quanto piuttosto di una vita umile e nascosta vissuta in armonia con l’insegnamento evangelico.
Nacque il 1° aprile 1788 a Capriglio, sulle colline astigiane, ed il giorno stesso venne battezzata nella chiesa parrocchiale del paese. Qui rimase sino al matrimonio con Francesco Bosco, amico di famiglia, già vedovo e padre di un figlio. Il matrimonio fu celebrato a Capriglio il 6 giugno 1812. La coppia si stabilì ai Becchi, frazione di Castelnuovo d’Asti (odierna Castelnuovo Don Bosco), sul colle ove oggi sorge la grande basilica, nella casa del mezzadro Francesco. Iniziò così per Margherita una nuova vita. Il marito aveva un sogno: diventare un piccolo proprietario, con le proprie terre e la propria casa. Per questo acquistò alcuni campi, una striscia di vigna, e una casupola che trasforma in stalla per i due buoi e la mucca che già possedeva. Il 17 aprile 1813, nacque Giuseppe, il primo figlio di Margherita e Francesco. Il 16 agosto 1815 nacque poi il secondo figlio, Giovanni, che diventerà il celeberrimo Don Bosco.
Ancora due anni di rustica serenità, poi morì il padre, come Don Bosco narrò nelle sue Memorie: “Non avevo ancora due anni, quando Dio misericordioso ci colpì con una grave sventura. Mio papà era nel pieno delle forze, nel fiore degli anni, ed era impegnato a darci una buona educazione cristiana. Un giorno, tornando dal lavoro madido di sudore, scese senza pensarci nella cantina sotterranea e fredda. Fu assalito da una febbre violenta, sintomo di una grave polmonite. In pochi giorni la malattia lo stroncò. Nelle ultime ore ricevette i santi Sacramenti e raccomandò a mia madre di avere fiducia in Dio. Cessò di vivere a 34 anni. Era il 12 maggio 1817”.

GIOVANE VEDOVA
Alla prematura morte del marito, la ventinovenne Margherita si trovò ad affrontare da sola la conduzione della famiglia in un momento di grande carestia, ad assistere la suocera ed il figliastro Antonio, nonchè ad educari i due figli nati dal matrimonio: Giuseppe e Giovanni. Donna forte, dalle idee chiare, determinata nelle scelte, con un regime di vita sobrio, nell’educazione cristiana è severa, dolce e ragionevole. I tre ragazzi avevano un temperamento assai diverso, ma Mamma Margherita non livellò e non mortificò mai nessuno. Costretta a fare scelte talvolta drammatiche, quale l’allontanamento da casa del figlio minore per non rompere la pace e per farlo studiare, era solita assecondare con fede, saggezza e coraggio le propensioni dei figli, aiutandoli a crescere nella generosità e nell’intraprendenza.
All’età di nove anni, il piccolo Giovannino ebbe un sogno che lo guidò verso il suo futuro di educatore di una immensa schiera di giovani. Con il passare degli anni si consolidò in lui il desiderio di diventare sacerdote, ma mancavano in famiglia le possibilità economiche per un tale passo e l’unica via percorribile sarebbe stata diventare francescano. Questa idea fu anche comunicata dal parroco a Mamma Margherita, che allora chiese al figlio: “Il parroco è stato da me per confidarmi che tu vuoi farti religioso. È vero?”. Giovanni rispose: “Sì, madre mia. Credo che voi non avrete nulla in contrario”. Allora la madre lo ammonì sapientemente: “Io voglio solamente che tu esamini attentamente il passo che vuoi fare e poi segui la tua vocazione senza guardar ad alcuno. La prima cosa è la salvezza della tua anima. Il parroco voleva che io ti dissuadessi da questa decisione in vista del bisogno che potrei avere in avvenire del tuo aiuto. Ma io dico: in queste cose non c’entro, perché Dio è prima di tutto. Non prenderti fastidio per me. Io da te voglio niente; niente aspetto da te. Ritieni bene: sono nata in povertà, sono vissuta in povertà, voglio morire in povertà. Anzi te lo protesto. Se ti decidessi per lo stato di prete secolare, e per sventura diventassi ricco, io non verrò neppure a farti una sola visita, anzi non porrò mai piede in casa tua. Ricordalo bene”.

LA SANTA IGNORANZA
Toccò proprio a Margherita accompagnare con particolare amore il figlio sino al sacerdozio e poi, lasciando la cara casetta dei Becchi, lo seguì nella sua missione tra i giovani poveri e abbandonati di Torino. In una sera piovosa del maggio del 1847, Mamma Margherita e Don Bosco accolsero a Valdocco il primo ragazzo, dando così inizio alla loro opera. Illetterata, parlava solamente in lingua piemontese, ma piena di quella sapienza che viene dall’alto poté essere d’aiuto a tanti poveri ragazzi di strada, figli di nessuno. Pose sempre Dio innanzi a tutto, consumandosi per Lui in una vita di povertà, di preghiera e di sacrificio.
Qui, per ben dieci anni, la sua vita si confuse con quella del figlio e con gli albori dell’opera salesiana: Mamma Margherita fu così la prima e principale Cooperatrice di Don Bosco ed estese la sua maternità allo stuolo di ragazzi che affollarono il celebre oratorio di Valdocco. Con bontà fattiva divenne l’elemento materno del “sistema preventivo” e senza saperlo fu vera “cofondatrice” della Famiglia Salesiana, sarta che da una buona stoffa seppe creare grandi santi come Domenico Savio e Michele Rua.
Una sera Margherita sussurrò al figlio: “Giovanni, sono stanca. Lasciami tornare ai Becchi. Lavoro dal mattino alla sera, sono una povera vecchia, e quei ragazzacci mi rovinano sempre tutto. Non ce la faccio proprio più”. Don Bosco guardò il volto di sua madre e sente un nodo alla gola. Non trova parole potenzialmente capaci di consolare quella povera donna. Si limitò allora a fare un gesto: le indicò il Crocifisso appeso alla parete e la vecchia mamma capì in silenzio.
Il 29 ottobre 1854 arrivò all’oratorio Domenico Savio, un ragazzino di Mondonio. Mamma Margherita, sempre più frequentemente faceva qualche pausa durante il suo pesante lavoro e per riprendere fiato si recava nella nuova chiesa di San Francesco di Sales, tirava fuori la corona del Rosario e la sgranava lentamente. Un giorno osservò con Don Bosco: “Tu hai tanti giovani buoni, ma nessuno supera la bellezza del cuore e dell’animo di Domenico Savio”. Don Bosco le chiese il perché e lei riprese: “Interrompe i giochi per venire a trovare Gesù nel tabernacolo. Sta in chiesa come un angelo”. Fu dunque lei la prima persona ad accorgersi della santità di quel ragazzo al quale un giorno un papa avrebbe concesso l’aureola dei santi.

EROICA ANCHE NELLA VECCHIAIA
Nell’autunno del 1856, Mamma Margherita non usciva ormai quasi più dalla cucina. Ad ottobre, Don Bosco si recò come sempre ai Becchi per la festa della Madonna del Rosario, portando con sé i ragazzi migliori. Ma per la prima volta Mamma Margherita restò a casa. Per alcuni giorni rimase a letto, tormentata da una tosse insistente. Sopraggiunse poi una febbre alta. Don Bosco chiamò il medico e la diagnosi fu “polmonite”. SI avvicinava dunque la sua morte, vista che per gli anziani quelle era una malattia fatale. Don Bosco pensò che questa sarebbe stata una gravissima perdita per l’oratorio e specialmente per lui. Sua madre gli aveva insegnato a vivere, ad essere prete, ad educare i ragazzi, tutto ciò mentre andavano insieme in campagna, quando si confidava con lui alla sera, mentre all’oratorio rimestava la polenta. Gli aveva insegnato la forza di non stancarsi mai, la fiducia nella Provvidenza. Gli aveva regalato, senza che lui se ne rendesse conto, il suo sistema educativo che meravigliò il mondo. Tutto questo fu condensato nella sua vita e può essere riassunto in sei parole: “bontà dolce e forte della madre”.
Don Giovanni Battista Borel, suo confessore, le amministrò gli ultimi sacramenti. Lei disse al figlio: “Quando eri bambino, ti aiutavo io a ricevere Gesù. Ora tocca a te aiutare tua madre. Di’ le parole forte. Io le ripeterò”. Giunse dai Becchi anche l’altro figlio, Giuseppe, con le mani ancora sporche di terra. Con le sue ultime parle lasciò il suo testamente spirituale: “Vogliatevi sempre bene”. Dio la venne a prendere alle 3 del mattino del 25 novembre 1956. Aveva 68 anni di età. L’accompagnano al Cimitero Monumentale di Torino tanti ragazzi che la piansero quale vera “Mamma”.
Purtroppo i suoi resti mortali sono oggi andati perso, ma mai svanì nella Famiglia Salesiana il suo ricordo e la sua fama di santità. Il suo processo di canonizzazione iniziò però solo nel 1995. E’ stata dichiarata “venerabile” nel 2006, nel 150° anniversario della sua nascita al cielo, eroica nell’esercizio “delle virtù teologali della Fede, della Speranza e della Carità, sia verso Dio sia verso il prossimo, nonché le virtù cardinali della Prudenza, della Giustizia e della Temperanza”, come recita il decreto promulgato dalla Congregazione delle Cause dei Santi.

DOSSIER “SAN GIOVANNI BOSCO”
Il santo educatore dei giovani

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Titolo originale: Venerabile Margherita Occhiena Madre di San Giovanni Bosco
Fonte: santiebeati.it

IL DIVORZIO E’ LA VILTA’ DI COLUI CHE FUGGE DINANZI ALLE DIFFICOLTA’

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Segnalazione BastaBugie
La legge sul divorzio ha dato una facile via d’uscita da ogni responsabilità… ma con danni incalcolabili ai singoli e alla società nel suo complesso
di Pierfrancesco Nardini

«Al massimo puoi sempre divorziare». Questa frase sentita in un film la si prende come spunto perché, se ci si pensa, racchiude la sintesi dei tempi che viviamo sull’argomento matrimonio.
Il divorzio divenuto logica normalità della vita. Se ho sete, bevo. Se sono stanco, mi riposo. Se sono innamorato della mia fidanzata, mi sposo. Se va male, divorzio. Logico, no?
Il personaggio che dice questa frase (per incoraggiare lo sposo!) mica gli parla della giustezza della sua scelta, mica gli ricorda l’amore che ha per la sposa, mica gli rammenta i sogni da loro fatti nei mesi passati, no! Gli dice, in pratica, che tanto al massimo divorzieranno e si libereranno facilmente di qualsiasi problema…

RIMETTERE INSIEME I COCCI
È talmente normale pensare al divorzio come una soluzione che non ci si pone oramai più la domanda se si possano rimettere insieme i cocci, se si possa risolvere il problema.
È proprio vero che la possibilità del divorzio ha inciso sulla mentalità delle persone. Ha inciso, diciamo così, sul loro modo di pensare che è cambiato in modo inconscio. Immagazzinato il file, anche senza pensarci in modo consapevole, c’è questa spia nella mente che sempre più automaticamente fa pensare a questo, non si prende più in considerazione l’altra possibilità, quella di combattere per il proprio matrimonio, affrontando la crisi.
La presenza del divorzio, insomma, ha dato alle persone una facile via d’uscita che rende veloce e (s’illudono) indolore la fine di ogni problema.
È stato giustamente detto che, se una persona vive in una stanza e se l’arreda come più gli piace, ma ha una porta aperta che gli permette di uscirne quando vuole, al primo momento in cui questa stanza non gli piacerà più, uscirà subito, non proverà prima ad aggiustarla (cambiare colori alle pareti, i mobili, ecc…), come invece farebbe se la porta aperta (via d’uscita facile) non ci fosse. Questo vale per matrimonio e divorzio.
Qui non ci si sofferma sulla sempre maggiore superficialità delle relazioni ai giorni nostri, frutto di più cose, che si ripercuote però sui rapporti di coppia e sulla capacità di capire la profondità dei propri sentimenti. Quel che qui si vuol sottolineare è come oramai il divorzio sia entrato appieno nella normale e quotidiana prassi della vita, sia diventato qualcosa di comunemente accettato e abituale, tale da non esser più messo in discussione, ahinoi anche da molti che si dicono cattolici.

UNA CONVINZIONE NATA DALL’ABITUDINE
Se c’è qualcosa che è difficile scardinare dalla mente delle persone, è una convinzione nata dall’abitudine. Se, cioè, una persona si abitua a qualcosa nella propria vita, dopo qualche tempo, giusto o sbagliato che sia quel comportamento, la sua capacità di giudizio sul quella cosa è dominata dall’abitudine.
In conclusione leggiamo queste interessanti parole di Chesterton: “La prima cosa da dire su questi riformatori è che per loro il matrimonio è un discorso senza capo né coda. Non sanno cosa sia, o cosa significhi; essi non vi danno un’occhiata nemmeno quando vi ci si trovano dentro. Semplicemente si liberano della fatica più vicina (…) non hanno la minima idea di quanto sia vasta l’idea che stanno attaccando. (…). Non esiste forse peggior consiglio di quello di liberarsi dalla fatica più vicina (…) sarebbe a dire ‘rosicchia la prima cosa che ti capita a tiro’. L’uomo, come il topo, tende a scardinare ciò che non comprende e, dato che ha sbattuto contro un ostacolo, non importa che questo ostacolo sia il pilastro portante che sostiene il tetto sopra la sua testa (…). Ci accorgeremo di come la grande massa di uomini e donne moderni, che scrivono e parlano del matrimonio, stiano rosicchiandolo ciecamente come un esercito di topi. (…) I ratti sono sempre pronti ad abbandonare la nave che affonda: esiste una nave (fuor di metafora: la famiglia), grande o piccola non fa differenza, che non va abbandonata anche quando si pensa stia affondando. (…) Ogni filosofia dell’amore che non dia conto della sua ambizione di stabilità, come delle sue esperienze di fallimento, è destinata a fallire.”

Titolo originale: Il divorzio, ovvero la viltà che fugge dinanzi alle difficoltà
Fonte: I Tre Sentieri, 18 novembre 2022

Cercasi disperatamente uteri in affitto (sic!)

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

di Raffaella Frullone
Il New York Times piagnucola il calo di donne americane disposte a vendere il proprio corpo a causa del vaccino anti Covid… e non si può più ricorrere nemmeno all’Ucraina

Cercasi disperatamente surrogate. Il titolo campeggiava qualche giorno fa nientepopodimeno che sulla home page del New York Times. Il lungo articolo parte raccontando la storia di Charlie «e suo marito» che stanno aspettando da 15 mesi la loro “surrogata” quando l’agenzia con cui hanno siglato il contratto aveva parlato di «una attesa di sei mesi al massimo». Un disservizio non da poco… I due uomini hanno già effettuato l’inseminazione artificiale attraverso gli ovuli di una donna cosiddetta donatrice (in realtà pagata per questo “servizio”) ed erano alla ricerca di una donna che si fosse resa disponibile per la gestazione, una surrogata appunto. E siccome non la trovano, scrive il New York Times, sono disposti ad alzare la posta in gioco, 50mila dollari al posto di 35mila, più extra per i vestiti, gli spostamenti e altre amenità. Chi offre di più?
Secondo il quotidiano americano nella stessa “situazione” ci sarebbero «migliaia di aspiranti genitori» negli ultimi anni a causa della pandemia, si è registrata una diminuzione di circa il 60% delle potenziali “madri surrogate”, i tempi di attesa sono raddoppiati e i costi sono aumentati sensibilmente. Ogni tanto una bella notizia, verrebbe da dire.
Tra le motivazioni di questo calo, rileva il Nyt c’è il vaccino anti Covid. Nel contratto che le parti in causa firmano – i committenti che richiedono il bambino e la mamma gestante che porta avanti la gravidanza – ci sono sempre state molte limitazioni della libertà della donna stessa, che per contratto è tenuta ad osservare una determinata dieta, stile di vita ecc. Ora però il contratto prevede la vaccinazione anti Covid che molte potenziali surrogate non sono disposte a fare. Non solo. Nei contratti viene ora richiesto di non viaggiare oppure di partecipare, per tutta la durata della gravidanza, a grandi eventi o raduni pubblici, scenario che, dopo due anni di lockdown, ha evidentemente scoraggiato anche chi ha molto bisogno di soldi. Inoltre pare che il periodo della pandemia abbia portato molte donne a ridefinire le priorità e molte scelgono di non mettersi più a disposizione per questa pratica.
Il Nyt riporta con rammarico che le coppie di “aspiranti genitori” sono così sfortunate da non poter contare su quella che è sempre stata la più economica opzione B, ovvero l’Ucraina, a causa del conflitto in corso. Un bel problema, le americane non sembrano più così disposte a farsi schiavizzare e nemmeno in Ucraina si può più rimediare. E dunque le agenzie corrono ai ripari, spingendo più sul marketing, aumentando compensi, offrendo premi extra a chi si vaccina, insomma ricchi premi e cotillons.
Sempre utile poi è raccontare le storie “positive”. Come quella di Amir «e suo marito», che sono al terzo bambino commissionato ottenuto tramite utero in affitto.
Scrive sempre il Nyt: «Hanno pagato circa $ 200.000 in totale per la loro prima maternità surrogata nel 2017: $ 35.000 per le spese di screening delle donatori di ovociti, una donazione di ovociti, l’assicurazione per la donazione di ovociti, la quota dell’agenzia di donazione, le spese di viaggio e le spese legali; $ 35.000 per la fecondazione in vitro, che includeva il recupero degli ovuli, la creazione degli embrioni e il trasferimento dell’embrione; e più di $ 120.000 per il processo di maternità surrogata, che includeva un compenso di $ 35.000 per la surrogata, più le spese di agenzia surrogata, l’assicurazione per la surrogata, le spese legali, lo screening, le spese di viaggio e altre varie. La seconda volta, a settembre 2020, hanno pagato $ 150.000, utilizzando un’agenzia diversa».
Nessuno pensa minimamente ai bambini, o anche “solo” alle donne utilizzate come forni. L’importante è risolvere il problema della carenza di prodotto sul mercato. È l’Occidente, bellezza.

Nota di BastaBugie:
 l’autrice del precedente articolo, Raffaella Frullone, nell’articolo seguente dal titolo “8 marzo per le donne ucraine, ma non si parla di utero in affitto” parla della situazione delle donne in ucraina e dei loro bambini.
Ecco l’articolo completo pubblicato sul Sito del Timone il 9 marzo 2022:

E così anche questo 8 marzo è passato, con il suo carico di retorica, finte rivendicazioni, strumentalizzazioni e pseudo battaglie fuori tempo massimo. Il tutto condito da mazzi di mimose ovunque. […] La variante sul tema, quest’anno, ça va sans dire, era l’Ucraina, e dunque già il giorno precedente il Ministro per le Pari opportunità Elena Bonetti ci aveva tenuto a specificare che questo 8 marzo sarebbe stato per loro, «per le donne ucraine».
E infatti ieri nel suo discorso al Quirinale ha affermato: «L’8 marzo nasce come universo di storie e lo è anche oggi: un popolo di volti e di nomi. […] Oggi, quelli delle nostre sorelle ucraine, così coraggiose, cui voglio dire: noi siamo con voi, al fianco della vostra storia e delle vostre storie. Sono le nostre storie che ci fanno rinascere quando siamo laceri, feriti, persino distrutti. Storie che, ogni giorno a rischio della propria vita, le donne raccontano da giornaliste o soccorrono da volontarie o proteggono al servizio dello Stato. Tutti questi volti, li portiamo nel cuore».
Chissà se tra le donne ucraine a cui il ministro pensa in questo 8 marzo ci sono anche le cosiddette madri surrogate, ovvero quelle migliaia di donne ucraine che ogni anno vengono sfruttate per portare avanti su commissione gravidanze per cittadini stranieri, prevalentemente occidentali, ma non solo, a cui cedono il bambino dietro compenso di denaro.
Sì perché l’Ucraina – in pochi lo stanno ricordando in questi giorni – è un hub internazionale dell’utero in affitto, uno dei pochi Paesi al mondo che consente agli stranieri di stipulare veri e propri contratti per “ottenere” un figlio da una gestante. Ciò significa che persone provenienti da Stati Uniti, Germania o Australia, ma anche dall’Italia, possono semplicemente andare e acquistare un bambino. E se i termini vi sembrano eccessivi beh, basta andare a vedere direttamente come vengono presentati questi “servizi” dalle agenzie per la cosiddetta surrogacy che si trovano prevalentemente a Kiev, la più nota delle quali è la Biotex di cui abbiamo parlato diverse volte. In Ucraina i prezzi sono più convenienti della scintillante California, dove l’operazione “bambino in mano” può arrivare a costare oltre i centocinquantamila euro, le donne ucraine sono pagate molto meno dalle loro “colleghe” californiane e quindi il prezzo scende di molto. Ce la si può cavare con circa quarantamila euro, a seconda del “pacchetto” scelto.
Eccolo un simbolo dell’occidentalizzazione ucraina, piccolo ma significativo. La reificazione dei bambini che diventano merce e lo sfruttamento delle donne ridotte ad apparati riproduttivi per altri. Il tutto per guadagnare qualche migliaia di euro insieme all’illusione – che poi verrà tradita – di una vita migliore. Che ne è di loro in queste ore? Che ne è del “corpo è mio è lo gestisco io” quando tu, il corpo, la donna, vorresti fuggire da un Paese sotto attacco ma un contratto che hai firmato come “surrogata” ti vincola a un altro corpo, quello che porti in grembo, e a restare in un determinato posto? E quando questo posto magari è un bunker anti missile nel quale sei costretta a rifugiarti e quindi ad allontanarti dalla tua famiglia che non si sa quando e se rivedrai. Che ne è di queste donne? E degli embrioni occidentali congelati in attesa di impianto, piccole vite dimenticate, che ne sarà? Nessuno se lo chiede, nemmeno quell’Occidente che pure a parole dice di aver a cuore le donne ucraine.
Anche la Russia, oggi vista come contraltare all’Ucraina, non è stata risparmiata dalla penetrazione di questo business disumano. Anche lì l’utero in affitto è stato legalizzato, per giunta da tempo, nel 1993, con Eltsin, ai tempi del far west delle liberalizzazioni. Businnes is businnes. E oggi a Mosca ci sono agenzie che realizzano la maternità surrogata – seppur con limitazioni – da oltre vent’anni. Perché il mondo non è diviso in blocchi monolitici, il male è trasversale, la realtà è molto più complessa di come ce la presentano. E non esiste l’Impero del bene, non su questa terra, si intende.

Titolo originale: L’America piagnucola: Cercasi disperatamente surrogate
Fonte: Sito del Timone, 6 aprile 2022

A Torino nasce la scuola di drag queen per bambini

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

E intanto Tiziano Ferro annuncia trionfale insieme al compagno di aver avuto un bambino con l’utero in affitto e paradossalmente chiede il rispetto della loro privacy pur avendola infranta lui per primo
di Luca Marcolivio

Con la complicità dei media patinati e non, da La Stampa a Repubblica, fino a Elle, le “scuole” per drag queen sono una realtà che definire assurda e choccante è forse poco.
«L’idea è nata per gioco (gioco??? ndr), soprattutto su richiesta di alcune donne che volevano migliorare il proprio portamento e imparare a camminare con i tacchi», spiega a Repubblica Dario Bellotti, in arte Barbie Bubu, attore e trasformista, che si esibisce come drag queen da 21 anni, fondatore dell’Art Studio Drag Queen. Al “corso”, infatti, partecipano sia uomini che donne.
Tanto per cambiare l’impostazione dell’iniziativa è all’insegna del gender fluid più spinto. Sembra quasi che più le idee sono confuse, meglio è: «La drag queen non è per forza omosessuale può essere anche una donna, si chiama bio queen», spiega ancora Bellotti, in un video postato sulla pagina Facebook de La Stampa. Non può mancare il riferimento alle lotte per i «diritti omosessuali» che le drag queen incarnano. «In vent’anni è cambiato tutto», aggiunge l’artista, «abbiamo tolto parecchi blocchi, ci sono meno pregiudizi. Le persone hanno capito che essere drag queen non significa essere volgari o vendere sesso, ma semplicemente divertirsi».
Intanto Bellotti gongola per l'”evoluzione” che questi personaggi hanno conosciuto negli ultimi anni: se prima erano quelle che portavano «folclore» alle manifestazioni, oggi «le abbiamo portate nei teatri».
Giancarlo, un allievo (peraltro non giovanissimo) della scuola per drag queen non riesce a contenere tutto il suo entusiasmo: «Cosa mi affascina? Il fatto di essere qualcosa che nella vita forse non potrò mai essere. La drag queen invece è proprio diva per definizione». La scuola per drag queen, a suo dire, aiuterebbe a «superare i limiti che uno ha» e a vincere i «tanti pregiudizi» e «preconcetti che uno ha in testa».
Sul fenomeno, già di suo, ci sarebbe molto da discutere anche se coinvolgesse soltanto adulti. Invece, dai servizi che stanno girando in queste settimane, emerge che a frequentare i corsi per drag queen a Torino sono anche tanti minori. Non solo adolescenti, anche bambini. Alessandro (nome di fantasia, mentre sui social viene usato il suo nome vero ma noi preferiamo evitare) ad esempio, ha intorno ai 9-10 anni e il suo sogno è «essere Elektra Bionic perché innanzitutto è bellissima». La mamma è totalmente dalla sua parte, al punto che, afferma, «per me vederlo felice è la cosa che mi riempie». Tutti i «sacrifici» che una madre può fare per il figlio «svaniscono perché so che lui è contento, è felice e va bene così».
Il giornalista non manca poi di fare la domanda capziosa: «C’è molta discriminazione su queste tematiche… avete per caso subito qualche attacco?». La mamma di Alessandro risponde affermativamente: «Purtroppo sì, la discriminazione c’è, quello che mi fa più male è che parta dalle famiglie… una persona adulta che lo insegna a un bambino». Al figlio dice sempre di «non attaccare» ma di «difendersi».
L’interrogativo più importante, tuttavia, è: che bene può fare (noi crediamo l’esatto opposto) alla crescita di un bambino essere portato ad una scuola di drag queen? È la domanda che anche noi di Pro Vita & Famiglia, con rispetto, rivolgiamo al signor Bellotti, alla mamma di Alessio e al giornalista che l’ha intervistata.

Nota di BastaBugie: Tommaso Scandroglio nell’articolo seguente dal titolo “Tiziano Ferro, quante stecche oltre lo zucchero filato” parla dell’annuncio della “paternità” del cantante che non rivela come ha avuto i due bambini per non creare polemiche sul tema utero in affitto e chiede il rispetto della loro privacy infrangendolo lui per primo.
Ecco l’articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 2 marzo 2022:

Post su Instagram di Tiziano Ferro: “Sono diventato papà, e voglio presentarvi queste due meraviglie di 9 e 4 mesi. Margherita e Andres”. A corredo del post una foto in cui il cantante abbraccia i due bambini e dietro lui Victor Allen, l’uomo che Ferro ha “sposato” negli Usa.
Il post, dopo qualche pensierino sulla paternità al sapore di zucchero filato, così continua: “Comprendiamo e accettiamo la curiosità che regna intorno a noi, ma vi chiediamo di rispettare la riservatezza di Margherita e di Andres. Ci prenderemo cura dei nostri figli proteggendoli e custodendone l’intimità meglio che potremo. Saranno solo e soltanto loro a decidere ‘quando’ – e soprattutto ‘se’ – condividere il racconto della loro vita, è giusto che lo conoscano prima del resto del mondo. E’ un diritto insindacabile”.
Qualche pensierino nostro, però, purtroppo, non al gusto di zucchero filato. Ferro non rivela come ha avuto questi due bambini. Due sono le ipotesi, escludendo un incontro amoroso del nostro con una donna: l’adozione e la pratica dell’utero in affitto. La maggior parte dei media parla di adozione, ma non ne abbiamo le prove. Come ha fatto notare acutamente la giornalista di Repubblica Elena Stancanelli, se Ferro avesse adottato i due pargoli lo avrebbe detto. Infatti il cantante da anni adotta cani e non ne ha mai fatto mistero, anzi. Il fatto che invece sia omertoso sul come i due bebè siano entrati in casa Ferro puzza di bruciato. Si potrebbe quindi ipotizzare che il cantante abbia preferito non rivelare che i due bambini provengono dall’utero affittato di una donna dato che la pratica qui da noi è vietata (ma se la pratichi all’estero nulla quaestio). Insomma un silenzio voluto per non creare polemiche e per non incrinare l’immagine patinata in bianco e nero di lui che stringe a sé i due marmocchi.
Seconda riflessione che già alcuni tabloid hanno fatto. Il post su Instagram di Ferro è un vero e proprio ossimoro, una contraddizione in termini: mostra i due bambini sui social e nello stesso tempo chiede di rispettarne la privacy, già violata con questo primo scatto. E’ come appiccare un incendio in un bosco e sperare che non divampi. E’ come dare un sorso d’acqua all’assetato ed esigere da lui che non chieda altra acqua. Se si voleva davvero proteggere la vita privata dei due bambini, non sarebbe stato più semplice, sin dall’inizio, non dire nulla su di loro, non postare nemmeno una foto? Se si afferma che saranno loro a decidere se divulgare i fatti della loro vita privata perché allora non si è rispettato questo principio sin da subito?
Ma – e qui sta il punto fondamentale di tutta questa vicenda – se davvero si avesse avuto a cuore il bene di questi bambini in primis non si doveva chiamarli ad esistenza tramite fecondazione artificiale eterologa e poi tramite utero in affitto (se realmente si è fatto ricorso a queste pratiche) e in secondo luogo, sia nel caso fossero nati in modo naturale sia nel caso opposto, i due bambini, a proposito di diritti insindacabili come dice Ferro, hanno il diritto nativo di essere educati dai propri genitori o, se questi fossero ritenuti non idonei alla loro educazione, hanno il diritto di essere cresciuti da un uomo e da una donna (in merito ai danni sui minori provocati da un’educazione priva della figura materna o paterna ci permettiamo di rimandare ad un lungo elenco di studi scientifici contenuti in T. Scandroglio, Dizionario elementare dei luoghi comuni – voce Figli di coppie gay? L’importante è l’amore, IdA, Milano).
Quante stecche per un cantante.

Titolo originale: Torino choc. Scuola drag queen per bambini
Fonte: Provita & Famiglia, 14 marzo 2022

La guerra e gli uteri in affitto in Ucraina

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

Un mercato senza legge, madri invisibili usa e getta, coppie benestanti accecate dal proprio interesse (leggi la clamorosa storia di una coppia americana che prende la bambina che aveva ordinato e scappa dalla guerra)
di Caterina Giojelli

«Oh mio Dio, ce l’abbiamo fatta». Emozionati, Jacob e Jessie Boeckmann sorridono a telecamere e obiettivi, tutti, dalla Cnn al Los Angeles Times, vogliono intervistarli con il loro prezioso fagotto in braccio: Vivian, venuta alla luce quattro giorni prima che cadessero le bombe su Kiev.
La coppia americana racconta di non aver perso un secondo: svegliati dalle esplosioni, sfidando l’ospedale che non voleva firmare loro le dimissioni della piccola che aveva avuto qualche problema a prendere il latte, hanno caricato la bambina in macchina, viaggiato per 27 ore fino al confine con la Polonia, percorso le ultime otto miglia a piedi sotto la neve tra le auto bloccate in coda. Fino alla frontiera, dove grazie all’intervento telefonico dell’ambasciata americana i due si sono lasciati alle spalle migliaia di donne e bambini premuti sui cancelli chiusi.
I due ricordano quella marcia terribile, la morsa del gelo, il terrore che Vivian morisse, le suppliche alle guardie perché Jacob che era stato trattenuto (nessun uomo tra i 18 e i 60 può lasciare il paese) potesse allungare la borsa dei biberon a Jessie, già sul suolo polacco, gli sguardi di “disapprovazione” delle profughe anziane e l’arrivo alla stazione, «è stato uno spettacolo molto triste vedere così tante donne e bambini separate dai loro padri, dai loro mariti e dai loro fratelli».

MIGLIAIA DI MADRI INVISIBILI
Già, il dramma della separazione. A questo proposito qualche giornalista a fine servizio chiede molto discretamente come sta la madre della bambina. Che domanda impertinente da rivolgere a due che hanno rischiato la vita per prelevare la seconda figlia commissionata, come la prima, a una surrogata ucraina, una donna che non aveva consegnato la figlia alla presunta data del parto, quella del giorno di San Valentino. I medici avevano spiegato ai genitori intenzionali che la bambina aveva bisogno di “più tempo” in pancia, e si erano assolutamente rifiutati di indurre il parto come supplicato da Jacob e Jessie affinché la bambina nascesse il prima possibile e i tre potessero lasciare quel posto in cui la guerra era imminente.
Finalmente Lilya, la loro surrogata, aveva “consegnato” Vivian: non c’era il foglio di dimissioni ma il certificato di nascita sì, tanto era bastato per permettere alla coppia di lasciare immediatamente l’Ucraina. Quanto a Lilya, «è al sicuro, a casa, con i suoi due figli e il marito che però vuole andare a combattere contro i russi», tagliano corto gli americani. Il suo ultimo messaggio risale a lunedì, «ci hanno sparato addosso violentemente. Abbiamo costantemente paura», si legge nel testo, «Abbiamo paura di quello che accadrà dopo».
Lilya è una madre invisibile. Peggio, una donna a cui non è riconosciuto nemmeno lo status di mamma o la tristezza di una separazione. Vista da Jacob e Jessie non sarà mai come quelle madri strappate ai loro mariti, o padri strappati ai loro figli dalla guerra alla frontiera. Perché Lilya è stata pagata, il suo utero è stato affittato. A dirla tutta, nella storia di Jacob e Jessie, Lilya non è che una intrusa. Come lo sono le centinaia di surrogate di cui diamo per scontata l’esistenza e di cui non vogliamo sapere nulla, perché guasterebbero la crosta del sentimento con il quale, dal Regno Unito alla Francia, dall’Irlanda agli Stati Uniti, cercano di venderci i racconti di chi «ce l’ha fatta», «siamo tornati con nostra figlia».
La quantità di genitori intenzionali in fuga dall’Ucraina con i neonati acquistati, pronti a raccontare alla stampa e alla tv il loro avventuroso viaggio per mettersi in salvo dalla guerra, deve tuttavia avere costretto i giornali a riflettere sulla portata del business alimentato da oltre 33 cliniche private e 5 cliniche statali. «Non si sa quanti bambini nascano in Ucraina attraverso la maternità surrogata, forse 2.500 all’anno – scrive l’Atlantic -. BioTexCom, una grande clinica per la fertilità con sede a Kiev, mi ha confermato che nei prossimi tre mesi nasceranno circa 200 bambini surrogati».

IL CIECO EGOISMO DEGLI AFFITTAUTERI
Già, la BioTexCom, quella del “Make Babies, not War” di cui Tempi ha già scritto, che orgogliosa girava filmati per i suoi clienti dal bunker antiatomico costruito vicino alla clinica dove «i vostri neonati saranno al sicuro». Nei giorni scorsi sui social del colosso della surrogata si leggevano messaggi perentori ai genitori intenzionali tedeschi in procinto di raggiungere l’Ucraina per mettere in salvo i loro preziosi embrioni e i feti che crescevano nelle pance delle donne contrattualizzate: «Molti genitori stanno esprimendo il desiderio di portare urgentemente le loro madri surrogate al confine e fare partorire il loro bambino all’estero. Ma vi avvisiamo! Dare alla luce il bambino al di fuori dell’Ucraina non è legale e avrà conseguenze legali: la surrogata sarà considerata sua madre e il tentativo di far nascere il bambino sarà considerato traffico di minori, non sarete mai i genitori del vostro bambino», scrive il personale della clinica. I procacciatori di uteri schiaffeggiati dalla guerra schiaffeggiano i clienti: sotto il cotone idrofilo usato per ammantare l’operazione, la madre di un figlio comprato resta colei che l’ha partorito.
Quanto alle surrogate, prima che le cose precipitassero la Delivering Dreams aveva deciso di trasferirle a Leopoli, e loro avevano obbedito, «ci mancano i nostri bambini, spero che torneremo a Kiev il prima possibile», messaggiavano alla giornalista dell’Atlantic. Sappiamo tutti cosa è successo dopo a Kiev.
È successo anche che una guerra mostruosa abbia sventrato la crosta di una industria avida di denaro e alimentata dall’avidità di occidentali che non sanno vedere al di là del proprio desiderio personale, «non una parola, non una sentenza per queste “madri surrogate” la cui temporanea sopravvivenza è solo sperata perché consegnino la merce ordinata, e che possano poi tornare al loro destino, ancora più tragico di quello dell’indigenza finanziaria che le ha spinte a portare un figlio per altri al fine di nutrire il proprio». Lo ha scritto magnificamente Céline Revel-Dumas sul Figaro.
Per l’autrice di Gpa. Le Grand Bluff è una indecenza che mentre arrivano le immagini feroci di morte e terrore dall’Ucraina, le committenti francesi lancino appelli in tv perché il governo si dia una mossa a rimpatriarle quanto prima con «il loro bambino» rivolgendo un pensiero ai genitori meno fortunati che non potranno «recuperarlo» in questi giorni. «La copertura mediatica delle coppie che ricorrono alla maternità surrogata in Ucraina mentre la guerra scoppia con una violenza senza precedenti è rivelatrice. La meccanica di fondo della maternità surrogata, di un cinismo implacabile, appare ora in piena luce: rivela un mercato senza fede né legge, donne ridotte in schiavitù e poi gettate via, coppie benestanti ossessionate dai propri interessi e media che riescono, nella tragica attualità, a vendere un programma politico, rinunciando a ogni etica. Tale è la morale della guerra: distruggi l’illusione, rivela l’orrore, scegli una pace razionale. C’è anche altro da sperare, una pace del ventre».

Nota di BastaBugie: dall’indipendenza dall’Unione Sovietica ad oggi in Ucraina sono stati uccisi 55 milioni di bambini con l’aborto. Ma di questo nessuno parla e a nessuno interessa in Occidente.
Inoltre l’Ucraina è leader della pratica dell’utero in affitto: clicca sul link per leggere i seguenti articoli.

IL TERRIFICANTE VIDEO DEI BIMBI NATI DA UTERO IN AFFITTO BLOCCATI IN UCRAINA DAL CORONAVIRUS
La straziante storia dei 46 neonati piangenti che attendono di essere ritirati da chi li ha ordinati e pagati in internet
di Costanza Miriano
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6125

LA SQUALLIDA CERIMONIA DELLA CONSEGNA DEI BIMBI NATI DA UTERO IN AFFITTO BLOCCATI IN UCRAINA DAL CORONAVIRUS
Lo straziante epilogo della storia dei neonati che a causa del lockdown attendevano di essere ritirati da chi li aveva ordinati e pagati in internet (VIDEO: i bambini prodotti in Ucraina)
di Caterina Giojelli
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6414

DOSSIER “GUERRA RUSSIA-UCRAINA”
L’offensiva di Putin nel 2022

Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!

Titolo originale: La surrogata è al sicuro. L’implacabile cinismo degli affittauteri in Ucraina
Fonte: Tempi, 7 marzo 2022

L’Europa festeggia la bandiera…quella LGBT

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

Altre notizie dal mondo gay (sempre meno gaio): sui documenti scrivi l’età che ti senti, finanziato il cambio-sesso con 15 milioni di euro, il Ddl Zan europeo e la Teoria della dittatura
di Manuela Antonacci

Pochi sanno che la bandiera europea ha qualcosa di “mariano”, infatti il significato della bandiera riprende un’immagine della devozione alla Madonna, propria del dodicesimo capitolo dell’Apocalisse: “Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una Donna vestita di sole con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle”. Anche Wikipedia, versione inglese, riporta questa origine. Eppure l’Unione Europea, come al solito, sembra voler cancellare ogni traccia delle sue radici cristiane, persino nel rimuovere il vero significato dei simboli della sua bandiera.
La pagina facebook del Consiglio dell’Unione Europea, infatti, nel celebrare il sessantaseiesimo anniversario della scelta della bandiera come simbolo dell’UE, viene linkato il significato di ciò che simboleggerebbe. Così cliccando sul link leggiamo che il cerchio con le dodici stelle rappresenterebbe la solidarietà e l’armonia tra gli europei e il numero dodici sarebbe collegato ad una non ben precisata idea di perfezione e “interezza”.
Insomma, una spiegazione non chiarissima e se vogliamo anche un po’ raffazzonata e forzata, così come è davvero forzato l’accostamento della bandiera dell’Unione Europea a quella arcobaleno, in una delle immagini riportate dal post celebrativo. Ci si chiede infatti, come mai i riferimenti alla religione cristiana (che è la religione della maggioranza degli stati europei) sono proibiti e censurati e l’esaltazione dell’ideologia LGBT che appartiene ad una minoranza, anche nei suoi simboli, debba essere ostentata.
Per cui, ormai, si crede poco alla favola dell’esclusione dei simboli religiosi (il riferimento più recente è ovviamente alle contestatissime – e poi ritirate – linee guida della Commissione europea, per la “comunicazione inclusiva” che disponevano di non citare il Natale nei documenti istituzionali) in nome di un non ben inteso concetto di “inclusività”, se poi lo stesso non vale per altri “dogmi”.
Non solo, tutto ciò suona ancora più ridicolo se si pensa che il cristianesimo permea le radici culturali dell’Europa stessa. Un’identità iscritta nel DNA europeo con cui volenti o nolenti ci si troverà sempre a fare i conti.

Nota di BastaBugie: ecco altre notizie sul “gaio” mondo gay… sempre meno gaio.

SUI DOCUMENTI SCRIVI L’ETÀ CHE TI SENTI
Se conta solo quello che uno “si sente” (maschio, femmina o altro), perché non deve contare se mi sento vecchio o giovane, al di là della mia età anagrafica?
E infatti, la Corte Suprema messicana ha affermato il diritto di cambiare il certificato di nascita per riflettere l'”identità” dell’età che uno si sente.
Rientra nel “diritto fondamentale all’identità personale”, poiché l’identità è composta da qualcosa di più della semplice “verità biologica”.
L’unico limite è che le modifiche non siano poste in essere “per creare, modificare o estinguere diritti o obbligazioni in danno di terzi”.  Nel 2018, un tribunale olandese aveva respinto la richiesta analoga avanzata da Emile Ratelband.
Chissà se la giurisprudenza messicana farà scuola….
(Provita & Famiglia, 10 dicembre 2021)

FINANZIATO IL CAMBIO-SESSO CON 15 MILIONI DI EURO
«Siamo sconcertati dall’emendamento con cui la Senatrice Papatheu di Forza Italia intende finanziare con 15 milioni di euro dei cittadini italiani gli interventi chirurgici per il cambio di sesso per i prossimi tre anni. Ci chiediamo perché tali operazioni debbano gravare sulle spalle di lavoratori, famiglie e pensionati, in un momento di gravissima crisi sanitaria in cui sono a stento garantiti i livelli minimi di assistenza per malati oncologici e per altre categorie a rischio di vita», è la denuncia di Jacopo Coghe, vicepresidente di Pro Vita & Famiglia.
«Nel mare magnum di migliaia di emendamenti – conclude Coghe – si vuole far passare surrettiziamente la cultura gender e incentivare una sessualità fluida e incerta. Allarma che l’emendamento sia stato presentato da Forza Italia, una forza politica che si è più volte opposta al progressismo ‘politicamente corretto’ promosso dalla Sinistra».
(Provita & Famiglia, 2 dicembre 2021)

IL DDL ZAN EUROPEO E LA TEORIA DELLA DITTATURA
La notizia ormai non fa più quasi notizia. La Commissione europea sta lavorando ad un documento che intende estendere i crimini d’odio ad alcune condotte che fino a ieri erano legittime. Giustamente vengono annoverati tra i crimini la violenza domestica, il razzismo, le discriminazioni religiose, però ecco che compare anche la cosiddetta omofobia. Da sanzionare anche gli hate speech, ossia i discorsi d’odio.
L’obiezione usuale a tali tipi di reati è intuibile: quali criteri oggettivi adottare per distinguere i discorsi d’odio dalla libera espressione del proprio pensiero? Se uno psicoterapeuta afferma che un bambino per crescere sano ha bisogno di un papà e di una mamma, questa affermazione può essere intesa come discriminatoria delle coppie omosessuali e quindi come affermazione che fomenta l’odio? In breve, tale norma difetterebbe di tassatività che è quel principio che impone al legislatore di determinare con precisione le condotte illecite distinguendole da quelle lecite. L’europarlamentare di Fratelli d’Italia, Nicola Procaccini, ha dichiarato: “La Commissione europea ha posto le fondamenta per la realizzazione di un mega Ddl Zan in salsa europea”.
Questo nuovo documento programmatico, che attualmente non ha ancora visto la luce, è – nella sua ratio – simile a moltissimi altri che riguardano temi sensibili come la vita, la famiglia, l’educazione, la libertà di educazione et similia. Il documento, al pari di altri, è infettato da alcuni virus tipici del clima da totalitarismo di velluto che stiamo vivendo negli ultimi anni, un totalitarismo che è tale perché ha preso possesso direttamente delle coscienze personali e quindi della coscienza collettiva di intere nazioni senza uso di carri armati, torture, sequestri e prigioni, ma soggiogando le menti con la persuasione, l’omologazione informativa e la paura. Tali virus sono ben descritti da Michel Onfray, filosofo di estrazione levantina e autore del recente Teoria della dittatura, nel quale il saggista, rileggendo 1984 di Orwell, individua sette fasi della dittatura. Le elenchiamo qui brevemente perché ben presenti nel documento targato UE appena citato.
LA PRIMA FASE: DISTRUGGERE LA LIBERTÀ
Scrive Onfray: “La libertà si rimpicciolisce come una pelle zigrinata. Siamo una società sottoposta a controlli di ogni tipo, una società in cui la parola, la presenza, l’espressione, il pensiero, le idee e gli spostamenti sono tutti tracciati e tracciabili”. La parola è quindi controllata e verificata non alla luce dell’oggettiva dignità umana, bensì alla luce dell’ideologia del mainstream attuale che, relativamente al documento UE, si sostanzia nella teoria del gender.
SECONDA FASE: IMPOVERIRE LA LINGUA
“Attacco alla lingua. La politicizzazione della lingua arriva persino a proibizioni sul maschile e femminile. Ci sono vademecum da rispettare per i giornali. Ma impoverire la lingua con stereotipi, conformismi e slogan è la tomba del pensiero”. È noto che chiamare un uomo che si sente donna con sostantivi, pronomi e aggettivi maschili può essere definito un atteggiamento discriminatorio. Onfray parla dell’impoverimento della lingua, ma vi sono altre dinamiche linguistiche che interessano il processo rivoluzionario. Ad esempio la cancellazione di alcuni termini (ad esempio padre e madre), i neologismi (omofobia, cisgender, etc.), lo svuotamento di significato e la sua sostituzione con un altro significato (ad esempio il termine natura non ha più una connotazione metafisica ma solo empirica: la natura è sinonimo solo di ambiente).
TERZA FASE: ABOLIRE LA VERITÀ
“Si stabilisce come nuova e insormontabile verità il fatto che non esistono più verità ma solo prospettive. E guai a chi rifiuta la nuova verità sull’inesistenza delle verità!… Questo nichilismo della verità consente di fare tabula rasa di qualsiasi certezza… Se non esiste più una verità ma soltanto delle prospettive, allora tutto diventa possibile… la menzogna ha a propria disposizione un viale intero”. Questa fase indicata da Onfray crediamo che sia ormai superata. Non viviamo più in un mondo relativista dove, ad esempio, il giudizio positivo e negativo sull’omosessualità possono coesistere perché hanno pari dignità. Ormai il nostro mondo ha sposato solo alcune verità, è ormai ostaggio di un pensiero che non è più pluralista scadendo nel relativismo, ma è un pensiero unico che scade nel dispotismo. L’unico pensiero accettato, e ci rifacciamo all’esempio di prima, è che l’omosessualità è una condizione moralmente buona perché variante naturale dell’attrazione sessuale. Affermare l’opposto è tanto errato da meritare una sanzione di carattere giuridico e non più solo una censura di natura culturale. Questo ci sta dicendo il documento UE di cui sopra.
QUARTA FASE: SOPPRIMERE LA STORIA
È il famigerato fenomeno denominato cancel culture. Un esempio per tutti: la non menzione delle radici cristiane nella Costituzione europea. Anche a causa di ciò poi un documento come quello che sta partorendo la Commissione europea potrà essere varato.
QUINTA FASE: NEGARE LA NATURA
“La cancellazione della natura, con la teoria dei generi, che postula che noi non nasciamo né di sesso maschile né di sesso femminile, ma neutri e che diventiamo ragazzi o ragazze solo per questioni di cultura, di civiltà, di società e d’indottrinamento, attraverso stereotipi che andrebbero decostruiti fin dalla scuola”.
SESTA FASE: PROPAGARE L’ODIO
“L’incoraggiamento dell’odio. Nell’ambito della cultura postmoderna, l’odio viene riservato a chi non si inginocchia davanti alle verità rivelate della religione che si autoproclama progressista. L’odio è contro tutto ciò che è sovranista, ed è un odio senza limiti”. La Commissione europea vuole combattere l’odio sociale, ma in realtà lo alimenta perché bolla i dissenzienti come soggetti pericolosi, privi di moralità, nemici della pace sociale che occorre individuare e neutralizzare grazie anche all’opera di delazione da parte dei cittadini.
SETTIMA FASE: ASPIRARE ALL’IMPERO
“L’Impero è in marcia. Ma quale Impero? La fine delle nazioni è stata voluta dagli attori dell’Europa di Maastricht. In un mondo in cui i progressisti hanno cancellato la verità, il progresso significa sostenere il catechismo dei dominatori e ingoiare tutti i princìpi della loro ideologia, significa non rimettere mai niente in questione e prendere per oro colato tutte le cose che si raccontano a scuola, sui giornali, in televisione o su Internet”. Sempre più spesso la sovranità nazionale viene esautorata dall’Unione europea che si propone e s’impone dunque non come un organismo internazionale, bensì come un sovrastato composto da più Stati a lui vassalli. Un impero, dunque, per dirla con Onfray.
(Tommaso Scandroglio, La Nuova Bussola Quotidiana, 17 dicembre 2021)

Titolo originale: L’Europa festeggia la bandiera… con quella Lgbt
Fonte: Provita & Famiglia, 10 dicembre 2021

IL REGALO DI NATALE DI BIDEN: PIU’ ABORTI X TUTTI

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

L’ONU nomina direttore esecutivo dell’Unicef un’assistente super abortista del presidente Biden, mentre il presidente Giammattei trasforma il Guatemala nel cuore pulsante dei pro life dell’America latina
di Luca Volontè

Biden ‘nomina’ superabortisti e liberalizza le kill pills. Avete letto bene. Proprio lo scorso 9 dicembre, il presidente degli Stati Uniti ha nominato Geeta Rao Gupta a capo dell’importante Ufficio per le questioni femminili globali presso il Dipartimento di Stato. La Gupta, come ha dichiarato la Presidente di Planned Parenthood, Alexis McGill Johnson, “giocherà un ruolo chiave” nel promuovere “la salute e i diritti sessuali e riproduttivi nelle politiche estere degli Stati Uniti”.
Il giorno seguente, il 10 dicembre, le Nazioni Unite hanno invece annunciato la nomina di Catherine Russell, un’assistente (super abortista) del Presidente americano Joe Biden, come prossimo direttore esecutivo dell’agenzia per l’infanzia Unicef. Un’abortista incallita all’Unicef per aiutare i bambini a non morire di fame o stenti?
La furia abortista della nuova amministrazione Usa non si è però placata ma anzi, la FDA (agenzia che autorizza la vendita di farmaci), ha recentemente deliberato l’autorizzazione della distribuzione su tutto il territorio federale delle pillole abortive (le kill pills), un tentativo nemmeno troppo mascherato di bypassare le nuove leggi che in alcuni stati stanno limitando l’aborto.
La F.D.A. permetterà dunque di vendere e ricevere le pillole abortive (RU-486 o Mifeprex) per posta. La decisione amplierà l’accesso all’aborto farmacologico, metodo sempre più comune autorizzato negli Stati Uniti per gravidanze fino a 10 settimane di gestazione, che diventerà quindi più disponibile per le donne. Con ciò si permette alle donne di avere un appuntamento di telemedicina con una delle tante multinazionali dell’aborto che potranno prescrivere le pillole e inviarle per posta. A queste decisioni incredibili hanno reagito con una serie di dure dichiarazioni moltissimi leader delle organizzazioni pro life americane e la stessa Conferenza Episcopale Cattolica degli USA.
Tra gli altri, Nicole Hudgens, della ‘Family Policy Alliance’, ha detto che è l’industria dell’aborto da miliardi di dollari che beneficia della nuova decisione, non le donne. Parlando con Fox News, Kristan Hawkins, presidente di ‘Students for Life’, ha definito l’amministrazione Biden “sconsiderata” e “folle” nel suo disinteresse per la sicurezza delle donne e dei bambini. Il regalo di ‘buon Natale’ di Biden è dunque un gran dono per le industrie abortiste e a pagarlo saranno i bambini e le donne americane.

Nota di BastaBugie: Luca Volontè nell’articolo seguente dal titolo “Guatemala, un presidente cattolico che protegge la vita” parla del presidente del Guatemala che ha dichiarato il suo Paese diventerà la capitale pro-vita dell’America Latina sin dall’inizio del prossimo anno 2022.
Ecco l’articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 18 dicembre 2021:

Il presidente del Guatemala ha dichiarato il suo Paese diventerà la capitale pro-vita dell’America Latina sin dall’inizio del prossimo anno 2022, mentre Biden nomina abortisti in ruoli nevralgici della sua Amministrazione e nell’Unicef. C’è modo e modo di essere cattolici in politica.
La notizia ha fatto il giro del mondo, grazie alla stampa cattolica e delle diverse denominazioni cristiane, il Presidente Alejandro Giammattei ha annunciato la sua intenzione di fare del Guatemala la capitale della vita dell’America Latina durante un discorso tenuto al Willard Hotel di Washington, D.C., lo scorso 6 dicembre. Giammattei ha pronunciato il suo discorso come ospite d’onore in un evento ospitato dall’Institute for Women’s Health, un’organizzazione pro-vita fondata dall’un ex dirigente del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani dell’amministrazione Trump, Valerie Huber e dall’International Human Rights Group (altro istituto americano che promuove i diritti umani a partire dal quelli del bimbo concepito). Come notato in una dichiarazione dell’Institute for Women’s Health, Giammattei non è stato invitato al ‘Democracy Summit’ organizzato dal presidente Joe Biden, dove si sono riuniti diversi leader delle democrazie del mondo (alcune dei quali erano tiranni tagliagole).
Il Guatemala non è stato invitato a partecipare al vertice, forse le differenze sul diritto alla vita sono state la ragione fondamentale per l’omissione del paese. Nel suo discorso all’evento Giammattei aveva ampiamente presentato la sua passione e condivisione convinta per le iniziative e le sfide che i sostenitori della vita stanno affrontando e aveva annunciato che il Guatemala diventerà la capitale della vita dell’Ibero-America il 9 marzo 2022: “Ogni persona merita di avere la propria vita protetta, dal concepimento alla morte naturale. (…) È totalmente falso che l’aborto sia un diritto umano. Qualsiasi sforzo per cercare di imporre l’aborto in un Paese è un’interferenza indebita negli affari internazionali”. L’Associazione per la Famiglia’ del Guatemala (AFI) ha accolto con favore il recente annuncio del presidente Alejandro Giammattei e, in una dichiarazione, ribadito che “è il risultato di anni di lavoro, sia da parte della società civile e delle organizzazioni che lavorano attivamente per sostenere la vita, la famiglia e la libertà, così come di funzionari di diverse amministrazioni pubbliche”.
Gli ha fatto eco uno dei leader evangelici Aàron Lara che ha aggiunto come l’intenzione di Giammattei sia stata ufficialmente dichiarata dinnanzi al Congresso Intermericano per la Vita, all’OSA (Organizzazione degli Stati Americani) e davanti a funzionari del governo degli Stati Uniti, e che si inaugurerà “un monumento per la vita come di questo evento nella storia” del Paese. Non è la prima volta che il Presidente del Guatemala dimostra la il suo impegno sui temi della vita, come della famiglia naturale. Giammattei aveva firmato per il suo Paese, lo scorso 12 ottobre, la ‘Dichiarazione di Consenso di Ginevra’, promossa da Trump e rinnegata da Biden, in cui si dichiara che “non esiste un diritto internazionale all’aborto”. L’imminente riconoscimento del Guatemala come capitale pro-vita dell’America Latina è l’ennesimo esito di un buon governo attento alla vita, educazione infantile, tutela delle donne e della famiglie nel Paese, che durante l’estate, ha approvato un piano ventennale (2021-2032) di politica pubblica interministeriale per la protezione della vita e della famiglia.
Eletto l’11 agosto del 2019, come avevamo profeticamente descritto, sino al 2024 il Presidente Giammatei ha tutto il tempo necessario per fare del proprio Paese il vero cuore pulsante dei pro life dell’America latina. Il Paese è con lui ed anche le proteste della scorsa estate, tutt’altro che spontanee, sono di fatto svanite nel nulla, davanti alla ‘carovana’ popolare per la famiglia che si conclusa proprio nella piazza della capitale l’8 agosto. Le potentissime lobbies LGBTI e le multinazionali abortiste, messe fuorilegge in Guatemala, hanno mostrato la loro sete di vendetta ed il loro enorme potere, con l’eliminare il Guatemala dalle lista, come peraltro l’Ungheria, dalla lista dei ‘paesi democratici’ dell’Amministrazione Biden. Sì, proprio il ‘cattolico devoto’ che siede alla Casa Bianca, non solo ha evitato il confronto sulla democrazia con Giammattei, ma ha fatto di più e di peggio. Negli stessi giorni, il 9 dicembre, Biden ha nominato Geeta Rao Gupta a capo dell’importante Ufficio per le questioni femminili globali presso il Dipartimento di Stato. La Gupta, come ha dichiarato la Presidente di Planned Parenthood, Alexis McGill Johnson, “giocherà un ruolo chiave” nel promuovere “la salute e i diritti sessuali e riproduttivi nelle politiche estere degli Stati Uniti”.
Biden non si è fermato qui: il 10 dicembre le Nazioni Unite hanno annunciato la nomina di Catherine Russell, un’assistente (super abortista) del presidente americano Joe Biden, come prossimo direttore esecutivo dell’agenzia per l’infanzia Unicef. Ci pensate? Un’abortista incallita all’Unicef per aiutare i bambini. C’è cattolico e cattolico in politica, ma c’è anche una democrazia che preserva la vita e un’altra che colonizza il mondo con omicidi e ideologie tiranniche.

Titolo originale: Il regalo di Natale di Joe Biden. Più aborti per tutti
Fonte: Provita & Famiglia, 23 dicembre 2021

La scusa di non avere tempo per pregare

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Chi prega poco trova la scusa che non ha tempo per farlo, ma la verità è che se non mettiamo la preghiera al primo posto è ovvio che poi scivola all’ultimo
di Manuela Mariotti

Un giorno, un anziano professore universitario esperto in “time Management” tenne una originale lezione…
Prima di iniziare la lezione l’anziano professore guardò gli studenti ad uno ad uno, lentamente, e poi disse: “Adesso faremo un esperimento.”
Da sotto alla cattedra il professore tirò fuori un grande recipiente di vetro, e lo posò davanti a lui; poi tirò fuori una dozzina di sassi grandi come palline da golf, e ad uno ad uno li mise dentro il vaso. Quando questo fu riempito fino al bordo e fu impossibile aggiungere anche un solo sasso, alzò lentamente gli occhi verso i suoi allievi e domandò: “Questo vaso è pieno?” Gli studenti risposero senza esitazione di “Si'” Il professore attese qualche secondo e aggiunse: “Davvero?” Allora si chinò di nuovo e tirò fuori da sotto al tavolo un secondo contenitore, questa volta pieno di ghiaia. Con attenzione versò questa ghiaia sui grossi sassi e poi scosse leggermente il vaso. I pezzettini di ghiaia si infiltrarono tra i sassi… fino al fondo del recipiente.
L’anziano professore alzò nuovamente lo sguardo verso il suo uditorio e domandò: “Questo vaso è pieno?” Anche se un po’ stupiti tutti gli allievi risposero “Sì è pieno!” “Bene” rispose l’anziano professore.
Si piegò di nuovo e questa volta tirò fuori da sotto al tavolo un secchio di sabbia. Con delicatezza versò la sabbia nel vaso. La sabbia andò a riempire gli spazi tra i grossi ciottoli e la ghiaia. Ancora una volta domandò: “Questo vaso è pieno?” Stavolta con ancora più convinzione gli allievi risposero “Ora sì! Ora è proprio pieno!” Il professore tirò fuori da sotto la cattedra due lattine di birra, le aprì e le rovesciò interamente dentro il barattolo, riempiendo tutto lo spazio fra i granelli di sabbia.
Gli studenti risero! “Ora”, disse il professore quando la risata finì, “Vorrei che voi consideriate questo barattolo la vostra vita. I sassi più grandi sono le cose importanti; la vostra famiglia, i vostri figli, la vostra salute, i vostri amici e le cose che preferite; cose che se rimanessero dopo che tutto il resto fosse perduto riempirebbero comunque la vostra esistenza. I sassolini sono le altre cose che contano, come il vostro lavoro, la vostra casa, l’automobile. La sabbia è tutto il resto, le piccole cose. Se metteste nel barattolo per prima la sabbia, continuò, non resterebbe spazio per i sassolini e per i sassi più grandi. Lo stesso accade per la vita. Se usate tutto il vostro tempo e la vostra energia per le piccole cose, non vi potrete mai dedicare alle cose che per voi sono veramente importanti. Curatevi delle cose che sono fondamentali per la vostra felicità. Giocate con i vostri figli, tenete sotto controllo la vostra salute. Portate il vostro partner a cena fuori. Fatevi un altro giro sugli sci! C’è sempre tempo per sistemare la casa e per buttare l’immondizia. Dedicatevi prima di tutto ai sassi grandi, le cose che contano sul serio. Definite le vostre priorità, tutto il resto è solo sabbia.” Una studentessa alzò la mano e chiese che cosa rappresentassero le due lattine di birra. Il professore sorrise. “Sono contento che tu l’abbia chiesto. Serve solo a dimostrare che, per quanto possa sembra piena la tua vita, c’è sempre spazio per un paio di birre con un amico”.

Titolo originale: I sassi e il tempo
Fonte: Oltre il dato, 15 ottobre 2020

DOPO LA SCONFITTA DELLA LEGGE ZAN, LA LOBBY GAY RIPARTE ALL’ATTACCO

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

Zan continua a fare propaganda gender nei licei, il governo regala 4 milioni per case rifugio gay, il bavaglio della defunta legge Zan si ritrova nel Codice della Strada
di Luca Marcolivio

Che la questione omofobia non si sarebbe esaurita con la bocciatura del ddl Zan a Palazzo Madama, era più che certo. La piega che sta prendendo a meno di una settimana dal voto in Senato, era però difficile da prevedere. Gli attivisti lgbt e i parlamentari di sinistra non accettano la sconfitta e ora puntano tutto su una propaganda che batterà il territorio palmo a palmo. Primo obiettivo: la parte più vulnerabile e manipolabile dell’opinione pubblica, ovvero i giovanissimi.
L’onorevole Alessandro Zan non ha perso tempo e la scorsa settimana è volato a Oristano, dove ha parlato davanti a 250 studenti (senza contare quelli collegati virtualmente) del liceo classico “De Castro”. La scelta non è casuale: la città sarda si appresta ad ospitare il suo primo Pride, che, con tutta probabilità, avrà il suo frontman proprio nel principale relatore del disegno di legge naufragato in Senato mercoledì scorso.
Zan ha fretta di raccogliere le munizioni e tornare quanto prima nella trincea parlamentare. «Fra sei mesi si ricomincia: la legge torna in commissione e noi ripartiamo portando avanti, come sempre, la nostra battaglia – ha detto il deputato dem agli studenti oristanesi -. Sfrutteremo fino all’ultimo minuto utile la legislatura mettendoci tutte le nostre forze per far approvare questa legge».
Va da sé che il discorso dell’onorevole Zan al liceo “De Castro” è stato totalmente privo di contraddittorio. Praticamente un comizio. A fiancheggiare e sostenere il parlamentare, due docenti dello stesso istituto, uno dei quali, secondo la stampa locale, si è soffermato sul presunto «altissimo tasso di suicidio» tra i giovani omosessuali. Il dirigente scolastico, poi, ha definito l’incontro con Zan «uno dei momenti più belli vissuti in questa scuola».
Nel suo discorso, il deputato dem ha attaccato Matteo Renzi, accusandolo di cercare di «giustificare l’ingiustificabile. Italia Viva si è sfilata al Senato allineandosi ai sovranisti nostrani, esattamente come Forza Italia, e l’ha fatto per altre logiche. Scelta ancora più grave – ha commentato – perché non si specula politicamente sulla vita delle persone».
L’iniziativa di Zan è stata fortemente criticata da tre deputate di Fratelli d’Italia. Secondo la vicecapogruppo alla Camera, Wanda Ferro, si tratta di «un episodio già di per sé grave, reso inaccettabile dal fatto che il deputato abbia utilizzato una scuola per rivolgere attacchi, senza contraddittorio, alle forze politiche che in Parlamento hanno bocciato, voglio ricordare legittimamente, la sua proposta di legge contro l’omotransfobia». L’onorevole Ferro ha quindi sollecitato «un intervento del presidente della Camera Roberto Fico in difesa dell’autonomia e della libertà di voto dei deputati che in nessun modo possono essere condizionate o minacciate».
Da parte loro, le onorevoli Paola Frassinetti e Carmela Bucalo, rispettivamente vicepresidente della Commissione Cultura e responsabile istruzione FdI e responsabile scuola FdI, hanno denunciato la disparità di trattamento riservata alla leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, che, nei mesi scorsi era stata invitata a parlare in un liceo in Sicilia. «Nel primo caso un deputato va per parlare di una sua proposta di legge peraltro appena respinta – hanno dichiarato le parlamentari FdI – nel secondo Giorgia Meloni avrebbe dovuto presentare il suo libro in un progetto che prevedeva che un autore presentasse un libro». Frassinetti e Bucalo hanno quindi annunciato un’interrogazione al ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi «per capire come si sono precisamente svolti i fatti e come mai nelle scuole si usano metodi diversi a seconda del partito al quale appartiene il parlamentare invitato».

Nota di BastaBugie: ecco altre notizie sulle rivincite del mondo LGBT, dopo la sconfitta della non approvazione della legge Zan.

GOVERNO DONA 4 MILIONI PER CASE RIFUGIO GAY
Il governo ha stanziato 4 milioni a favore di associazioni e comuni “per la selezione di progetti per la costituzione di centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere”, si legge nel relativo decreto del 2020.
Tra le 37 associazioni vi sono il Gay center gay help line (180mila euro), Spazio aperto servizi coop (168.073) il Movimento omosessuale sardo (100mila), Quore aps (180mila), Caleidos coop sociale (180.000), Arcigay nazionale ‘ass. lesbica e gay italiana’ (100.000), I ken onlus (180mila), Circolo Mieli (100mila).
Poi i comuni di Ravenna 79 (86.000), Ragusa (99.820), Padova (97.140), Livorno (100mila), e ancora San Giorgio a Cremano, Avellino, Campobasso e Albano Laziale.
Soldi dei contribuenti destinati ad opere di cui sarebbe bene verificare la necessità dato che atti di discriminazioni a danno di persone omosessuali e transessuali non sono così numerosi da obbligare a destinare così tanti immobili a tale scopo.
(Gender Watch News, 11 novembre 2021)

RIECCO IL BAVAGLIO DA DDL ZAN NEL CODICE DELLA STRADA
La scorsa settimana la Camera ha approvato il Decreto-legge Infrastrutture con cui il legislatore ha ritoccato il Codice della strada (Cds). Nell’esame del provvedimento arrivato nelle Commissioni riunite Ambiente e Trasporti si è fatto largo un emendamento delle relatrici Alessia Rotta (Pd) e Raffaella Paita (Italia Viva) nel quale viene “vietata sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche”.
Dunque, la formula sull’identità di genere, già inserita nell’articolo 1 del Ddl Zan e causa di mal di pancia anche a sinistra che hanno poi portato all’affossamento in Senato del disegno di legge, ha fatto la sua ricomparsa per vietare pubblicità considerate offensive. Nel caso di violazione della norma, l’autorizzazione per la pubblicità potrà essere revocata immediatamente.
Per Raffaella Paita, presidente renziana della Commissione Trasporti, “la norma rappresenta una doverosa conquista di civiltà utile a impedire che gli spostamenti lungo le nostre strade possano essere occasione per promuovere campagne contro il genere femminile o lanciare messaggi violenti”. Non è dello stesso avviso l’associazione Pro Vita & Famiglia, promotrice in passato di pubblicità contro aborto, eutanasia e gender nelle scuole che avevano fatto parecchio discutere e che rischiano, con questa norma, di essere oggetto di facile censura. Un loro maxi-manifesto a Roma contro l’interruzione di gravidanza, dopo giorni di polemiche, era stato fatto rimuovere dall’amministrazione comunale allora guidata da Virginia Raggi. In un comunicato, Pro Vita & Famiglia ha criticato l’approvazione dell’emendamento al Dl Infrastrutture, chiedendosi se “sarà ancora possibile affermare in una pubblicità che i bambini sono maschi e le bambine sono femmine” o “che un bambino nasce da una mamma e un papà”. L’associazione ha anche chiesto di eliminare il riferimento all’identità di genere “altrimenti – si legge nella nota – realtà, partiti politici o associazioni finora libere come la nostra avranno la bocca chiusa da una censura figlia della volontà di allineare tutti al pensiero unico”.
Lucio Malan, senatore di Fratelli d’Italia, ha criticato l’inserimento “piratesco” dell’emendamento all’interno di un decreto-legge sulla sicurezza e circolazione stradale. L’esponente del partito di Giorgia Meloni, inoltre, ha criticato la presidenza della Camera per non aver ritenuto estraneo alla materia del decreto-legge il contenuto dell’emendamento delle relatrici.
Dopo l’ok alla Camera, […] il Senato ha votato la fiducia (190 sì, 34 no) posta sul Dl Infrastrutture, che così è diventato legge. […] Toccherà al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti emanare le direttive per l’applicazione della norma. E quindi, probabilmente, anche decidere cosa si debba intendere per “messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi o discriminatori”. Discriminatori anche in riferimento a quell’identità di genere che, votando a favore della ‘tagliola’ sul Ddl Zan, il Senato aveva respinto la scorsa settimana.
Pro Vita & Famiglia ha diffuso un nuovo comunicato, spiegando che il Governo Draghi “ha approvato un Ddl Zan mascherato. Da oggi avremo il bavaglio per le nostre opinioni”.
(Gender Watch News, 5 novembre 2021)

Titolo originale: Zan non si arrende alla sconfitta e continua a fare propaganda gender nei licei
Fonte: Provita & Famiglia, 4 novembre 2021

Il tremendo virus della Cristianofobia

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La cristianofobia dilaga ormai ad ogni latitudine e le cronache confermano un dato in progressivo peggioramento (Usa, Spagna, Nigeria, India, ecc.)
di Mauro Faverzani

Non solo Covid-19… Dall’anno scorso c’è un altro virus, che serpeggia nel mondo intero, non meno temibile: è quello della persecuzione contro i cristiani. Dilaga ormai ad ogni latitudine e le cronache confermano un dato in progressivo peggioramento. Dal maggio 2020, la Conferenza episcopale statunitense ha contato 95 nuovi attacchi a chiese o fedeli in tutto il Paese: incendi, statue di santi decapitate, intimidazioni con armi da fuoco, è capitato di tutto. Gesti assurdi, sferrati con odio e furia incontrollata. Tanto da spingere l’episcopato americano a diffondere una lettera lo scorso primo giugno, per chiedere una rivalutazione del bilancio della Fema,l’Agenzia federale per la gestione delle emergenze, rivalutazione che tenga conto di un sostegno anche economico, per mettere in sicurezza i luoghi di culto da quest’esplosione di violenza contro la fede: «In questo momento di crescente estremismo e di opposizione a vari gruppi religiosi ed alla religione in quanto tale, incoraggiamo il Congresso ad aumentare il budget totale per il programma di sicurezza a 360 milioni di dollari per il 2022» contro i 180 del 2021, rivelatisi assolutamente insufficienti per far fronte alle 3 mila richieste pervenute.

LA SITUAZIONE IN OCCIDENTE
Qualche esempio? Nel luglio dell’anno scorso, poco prima della S. Messa feriale, un uomo ha diretto il suo minivan contro il santuario intitolato alla Regina della Pace, in Florida. Dopo lo schianto ha cercato di dar fuoco al mezzo, poi si è dato alla fuga, ma è stato individuato ed arrestato. Nel marzo scorso, invece, in Missouri, la Madre badessa del monastero benedettino intitolato a Maria Regina degli Apostoli ha trovato due proiettili conficcati nel muro della sua cella. Nel periodo precedente altri colpi erano già stati sparati contro l’edificio. Il Cancelliere della Diocesi di Brooklyn, Padre Anthony Hernandez, ha espresso chiaramente la sua preoccupazione a fronte di tali eventi: «Siamo davvero preoccupati – ha detto – di questa tendenza emergente ai crimini d’odio contro i cattolici».
L’anticlericalismo però dilaga anche in Europa ed, in particolare, in quella che fu la cattolicissima Spagna, dove ancora una volta il governo socialcomunista si dedica ad un nuovo attacco contro la Chiesa. In un proprio comunicato, la lista di estrema sinistra Unidos Podemos ha chiesto all’esecutivo di annullare tutti gli accordi in essere tra lo Stato e la Santa Sede e di abolire i relativi benefici fiscali concessi, considerati come un’«anomalia democratica», di eliminare l’insegnamento della religione dalla Scuola, di recuperare il patrimonio immatricolato dalla Chiesa e di promuovere indagini suppletive circa gli abusi sessuali commessi dal clero. Il tutto, per assicurare così laicismo ed aconfessionalità alle istituzioni, ritenendo che il Concordato di Franco, firmato nel 1953, in realtà non sia mai stato abrogato, dimenticando però come, in ogni caso, nel gennaio 1979 Spagna e Santa Sede abbiano firmato i nuovi accordi, abrogando quelli precedenti. Richieste, dunque, quelle avanzate, totalmente infondate e folli, come si evince anche dalle parole espresse in proposito dai deputati di Podemos Javier Sánchez Serna e Martina Velarde: «La Chiesa cattolica – hanno detto – continua a godere di scandalosi privilegi, che violano la Costituzione spagnola. La gerarchia cattolica riceve ogni anno 11 miliardi di euro dalle casse pubbliche, tuttavia è esente dal pagamento di tasse come l’Ibi. Il paradiso dei vescovi non è in cielo, è un paradiso fiscale ed è in Spagna».
L’aggressione della Sinistra alla Chiesa qui è talmente grave da spingere Sofía Ruiz del Cueto, vicepresidente della programmazione e della produzione della sezione spagnola del network televisivo cattolico EWTN, a dedicare all’«evangelizzazione della Spagna» la veglia di adorazione, trasmessa in diretta domenica scorsa e rilanciata da EWTN Usa News, realizzando quanto chiesto dalla Madonna ovvero pregare: «L’evangelizzazione della Spagna – ha dichiarato Ruiz del Cueto – ovvero della nazione che ha evangelizzato il mondo è un evento con ripercussioni mondiali». C’è da sperarlo, poiché il bisogno e l’urgenza sono evidenti.

LA SITUAZIONE IN AFRICA
Intanto, però, le cronache riservano nuove sofferenze e nuovi dolori, anche guardando all’Africa, in Nigeria nello specifico, dove lo scorso 11 ottobre un gruppo di uomini armati ha assaltato il seminario di Cristo Re a Fayat, nella diocesi di Kafanchan, aprendo il fuoco ed invadendo i locali. I 130 studenti in quel momento erano riuniti per la S. Messa del mattino: sei di loro sono rimasti feriti, tre del quarto anno di Teologia sono stati sequestrati ma rilasciati due giorni dopo.
La situazione qui è davvero pesante: la Chiesa ha pubblicamente denunciato come i cattolici, in Nigeria, siano vittime non di banali “scontri” per questioni terriere, bensì di un vero e proprio processo di pulizia etnica e religiosa ad opera degli islamici Fulani con la complicità dello Stato. Il vescovo di Makurdi, mons. Wilfred Anagbe, è stato chiarissimo: «Questa è una guerra religiosa – ha detto -. Hanno un’agenda, che è l’islamizzazione del Paese. E lo stanno facendo, eliminando accuratamente tutti i cristiani ed occupando i loro territori», ammazzando e bruciando case. Le cifre ufficiali parlano di 3 mila morti finora, ma chi è sul campo stima le vittime in almeno 36 mila, oltre a molti sfollati ed indigenti. Molte ong hanno già abbandonato le zone a rischio, a restare è solo la Chiesa, segno di speranza e strumento operativo per far arrivare gli aiuti a quanti si trovino in difficoltà. Come è stato rilevato da Johan Viljoen, direttore del Denis Hurley Peace Institute in Sudafrica, quella in corso è un’«occupazione concertata e ben pianificata. Non credo che l’esercito stia cercando di risolvere qualcosa. Semmai cerca d’incoraggiare» tale triste fenomeno, dato che, dopo anni di violenza, «non un solo Fulani è stato processato». Del resto, la riluttanza delle forze armate ad intervenire discende direttamente dal coinvolgimento diretto dello Stato ad alti livelli in questa sconcertante epurazione di massa. Mons. Anagbe osserva come «tutti i capi militari della marina, dell’aviazione e della polizia siano musulmani». Padre Joseph Fidelis della diocesi di Maiduguri ribadisce: «Non è uno scontro, è un lento genocidio. Costringere le persone a lasciare le loro terre, privarle dei mezzi di sussistenza e massacrarle, ebbene questa è una forma di genocidio». Da qui l’appello all’Occidente, chiedendo preghiere ed aiuti. Ma l’Occidente, troppo preda di un suicidio collettivo chiamato aborto, eutanasia, suicidio assistito e dintorni, è purtroppo sordo ai richiami che giungono da fratelli nella fede, che dall’altra parte del globo chiedono soccorso.
Anche l’India piange gli attacchi dei fondamentalisti indù contro i cristiani: solo nello scorso 3 ottobre si sono registrati almeno 13 episodi di violenza e minacce contro le comunità di Uttarakhand, Haryana, Uttar Pradesh, Chhattisgarh, Madhya Pradesh e Nuova Delhi, la capitale. Urlando slogan inneggianti al dio indù Ram, gli estremisti del Sangh Parivar hanno aggredito i fedeli riuniti in preghiera e distrutto i luoghi di culto, oltre ad aver lanciato false accuse di conversioni forzate a danno dei sacerdoti. Secondo Padre Cedric Prakash, gesuita, «la violenza è in aumento».
America, Europa, Africa ed Asia: in pochi minuti abbiamo fatto il giro del mondo. Ma è un mondo in preda alla follia, alla violenza, all’integralismo, un mondo che pare aver deciso che per i cristiani non v’è posto…

Titolo originale: Usa, Spagna, Nigeria, India, qui scorre sangue cattolico
Fonte: Corrispondenza Romana, 20 ottobre 2021
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