L’Avv. Luigi Bellazzi: “non mi piego al pensiero unico”

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Sono Gigi. Sono un uomo. Sono un fascista.
So da un grande comunista che “la verità è sempre rivoluzionaria” e mi oppongo al pensiero unico. Dunque non criminalizzo il “nemico”, come fa abitualmente la fabbrica protestante e anglosassone delle bugie.
Per limitarmi alle guerre che hanno reso il mondo ciò che è, ricordo che nel 1914 l’Impero britannico sosteneva che i tedeschi, invasori del Belgio, tagliassero le mani ai bambini. Ci credettero in tanti, ma non era vero.
Ricordo che, nel 1915, il transatlantico “Lusitania”, con molti passeggeri americani, viaggiava verso la Gran Bretagna carico di armi. Lo si fece sapere ai tedeschi, proprio perché essi l’affondassero; Londra ci rimise le armi, ma quella strage favorì l’ingresso in guerra degli Usa dalla loro parte.
Ricordo che, nel 1941, gli Stati Uniti bloccarono il flusso del petrolio indonesiano verso il Giappone, obbligando quest’ultimo ad attaccarli (ancor oggi i più credono che siano stati i giapponesi gli aggressori…).
Ricordo che gli Stati Uniti “dimenticarono” nel 1950 di includere la Corea del Sud nella lista dell’area asiatica di loro protezione, illudendo così i sovietici di poter unirla a quella del Nord; ne derivò un conflitto di tre anni e l’armistizio tuttora vigente…
Ricordo che, avendo imposto al Vaticano la morte innaturale di un papa italiano e l’avvento di un bellicoso papa polacco, dal 1978 gli Stati Uniti (con soldi del Banco Ambrosiano) sovvertirono proprio la Polonia, esponendo la Francia a pesanti rappresaglie. Infatti, nella Nato, la Francia corrispondeva gerarchicamente a ciò che, nel Patto di Varsavia, era la Polonia…
Ricordo Saddam Hussein, già agente della Cia negli anni ’50 contro il presidente nazionalista Qassem, che nel 1990 chiese il placet agli Usa per completare l’unità irachena col Kuwait, a risarcimento della guerra contro l’Iran del 1980-88. Il Kuwait era stato infatti una provincia dell’Impero ottomano per vari secoli, tutt’uno col resto della Mesopotamia. A proposito: l’Ucraina per secoli non è stata tutt’uno con Russia e Bielorussia? Ma resto per ora a Saddam Hussein. Egli ottenne il silenzio-assenso dalla ambasciatrice Usa a Bagdad, April Glaspie, peraltro almeno lei in perfetta buonafede. Saddam Hussein abboccò. Il resto è storia, atroce, con la strage, oltre che per guerra, per embargo di circa mezzo milione di iracheni, bambini poveri soprattutto.
Indico altre località di stragi “made in Nato” per completare il quadretto. Se la Cecoslovacchia, creatura francese col trattato di Versailles nel 1919, fu demolita pacificamente nel 1992, mentre la Jugoslavia, altra creatura francese col trattato di Versailles, venne frantumata dal 1991 in poi dalla micidiale cooperazione Usa/Vaticano + Austria/Germania. E il modello dell’Ucraina, domani, sarà la Bosnia. oggi: una triste confederazione di popoli nemici:
Quanto a macelleria bellica, rammento quella perpetrata, ogni tot anni, a Gaza, città egiziana abitata da palestinesi e bombardata dagli israeliani. Ma chi piange mai per Gaza nei tg Rai, Mediaset o de La 7, questo prestanome di Mediaset?
Ricordo la Siria, devastata inizialmente da “milizie islamiche”, di origine irachena (ex militari del disciolto esercito, messesi per disperazione al servizio degli israeliani e di chi ne tira i fili).
Via via di questo passo, gli USA trascinano l’Europa nella quarta guerra mondiale (la terza essendo la Guerra fredda). Siamo al suo prologo ucraino, come nel 1939 eravamo al prologo polacco. Un caso? Il 2022 è gemello del 1939. Tutto si volge nella stessa area geografica, tra polacchi diventati ucraini nell’Urss del 1945, ma rimasti cattolici; e russi o russofoni di fede ortodossa.
C’è ora un conflitto per procura, con gli ucraini lì a morire per conto di interessi polacchi, lituani, léttoni, éstoni, finlandesi… Tutti già sudditi dei russi e poco ansiosi di tornarlo. Ma questo è solo il guscio della vicenda. Il fine geopolitico vero degli angloamericani è rompere il nuovo patto di non aggressione tra Germania e Russia.
I guai di domani dei tedeschi di oggi possono anche giovarci, brevemente. Però piangeremo presto anche noi italiani. Non scrivo dunque in nome del torto e della ragione. Scrivo in nome dell’interesse nazionale. All’interrogativo retorico francese del 1939, “Mourir pour Danzig?”, con implicito “no” di allora, fa eco oggi il gesto dell’ombrello che mi suscita il falso dilemma “Pace o condizionatori d’aria?” di un presidente del Consiglio, nominato e non eletto, che così ha ammesso di aver portato l’Italia in guerra senza averla dichiarata.
Poiché sono un fascista in età, ma non un cretino, non volerò a Mosca, come faceva, per affari malcondotti, il duo Salvini & Savoini. Né volerò a Washington a farmi benedire dagli epigoni di Trump, alla maniera di come “Sono Giorgia-sono-una-donna” Meloni il 24 febbraio scorso, proprio il giorno di apertura di previstissime ostilità in Ucraìna.
Sono stato nostalgico di Benito Mussolini. Non sono mai stato nostalgico di Bettino Craxi, pur con i meriti che gli riconosco. Dunque non miagolerò parole sagge, come fa il socialista Alessandro Orsini.
Concludo quindi da temerario. Apprezzo l’esempio della Chiesa ortodossa russa e dello Stato russo nel sostegno alla famiglia tradizionale, con quanti più figli sia naturalmente possibile. Esorto i giovani russi, in Italia e non, a essere fieri della Grande Madre Russia. Mi addolora vederli morire, anche se mi è stato insegnato da ragazzo che “Dulce et decorum est pro Patria mori” (Orazio). Da vecchio so però anche che “non bisogna perdere le guerre” (Hermann Bickler).
Giovani russi, prevedo che in questa rossa [di sangue] primavera i vostri nemici vedranno crescere l’erba. Dalla parte delle radici.
Gigi Bellazzi
P.S. Amate la Vostra Patria, non disprezzate mai i Vostri Nemici. Rispettateli e trattateli con L’Onore che si deve al combattente nemico.I vinti di oggi potranno essere i migliori alleati di domani. Il male americano è la metastasi da estirpare. Il Battaglione Azov e il gruppo Wagner hanno gli stessi simboli e lo stesso mito indo europeo.

Mariupol, la verità dei civili: “Il battaglione Azov ci sparava contro”

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di Bianca Leonardi

Siamo ufficialmente nella seconda fase della guerra, come lo stesso presidente Zelensky ha affermato: una guerra combattuta nella parte meridionale del paese, una guerra che non trova fine e che vede al centro dei bombardamenti la regione del Donbass, con le repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk. È qui che il battaglione Azov – quello che ormai è rimasto – si è asserragliato nell’acciaieria di Azovstal a Mariupol, teatro ormai della spietata guerra.

Se da una parte gli Azov sono a tutti gli effetti militari ucraini e quindi vittime di quell’invasione russa che sta sconvolgendo il mondo, è, però, infantile e poco producente ai fini dell’informazione catalogare i buoni a prescindere e i cattivi a prescindere. Nei conflitti non ci sono gironi speciali, ci sono solo uomini, con i propri errori e le proprie glorie.

A tal proposito, il servizio fatto da Report, realizzato da Manuele Bonaccorsi tra Mariupol e Donetsk, ha mostrato un lato sconosciuto, o nascosto, che la stampa occidentale e italiana ha sempre preferito non approfondire. “Il battaglione Azov, con i suoi carrarmati, ha sparato su casa mia”, racconta una giovane abitante di Mariupol confermando che si trattava di milizie ucraine, in quanto avevano la bandiera del paese sulla divisa.

Le condizioni di vita dei civili di Mariupol, da più di un mese, versano infatti in una situazione drammatica: tra l’impossibilità di uscire dai rifugi e le abitazioni bombardate, e tutto per mano dei nazionalisti ucraini, raccontano. “Senza luce, senza acqua, senza cibo: abbiamo vissuto come i ratti”, spiega una coppia di anziani ormai rimasta senza niente.

E ancora: “I militari ucraini mettevano davanti ai portoni dei barattoli rossi, segnalando alle truppe i punti di fuoco: noi li abbiamo fatti sparire e così abbiamo salvato nostra casa, altrimenti saremmo morti. Quelli del palazzo davanti non l’hanno fatto e lì hanno messo un obice sul tetto da cui sparavano a ripetizione: ora di quel palazzo non resta niente, è stato completamente distrutto”. Un vero tiro al bersaglio da parte del battaglione Azov sui civili di Mariupol: così racconterebbero gli abitanti della città che, stremati, cercano ora una via di fuga verso Donetsk.

“Il 24 febbraio Mariupol è stata chiusa, eravamo in gabbia: non c’è mai stato un corridoio verde per portare via bambini e anziani. Hanno fatto saltare le rotaie del treno ed era impossibile uscire dalla città”. Smontata quindi, stando agli abitanti della città presa di mira, anche tutta l’organizzazione legata alla creazione di corridoi umanitari per far evacuare almeno le persone più fragili, come ha sempre riportato la stampa ucraina.

Anzi, dalle loro parole, sembrerebbe proprio che i civili siano stati tenuti con la forza nei confini della città: “Fin dall’inizio della guerra non è stato possibile lasciare Mariupol, i soldati avevano messo carrarmati in mezzo alle strade e ci dicevano che c’erano i ponti minati. Dopo era troppo tardi per fuggire. Solo quando la Russia ha conquistato tutta la costa orientale siamo riusciti a scappare”, spiega un ragazzo padre di due bambini che ha vissuto per almeno un mese in uno scantinato ed è stato costretto a rubare per dare cibo ai suoi figli.

E per quanto riguarda il fiume di persone che solo adesso si sta spostando nella capitale della repubblica indipendente separatista di Donetsk, l’Ucraina ha parlato di vere e proprie “deportazioni” russe. “Nessuno ci ha deportato: stiamo solo fuggendo all’inferno. Abbiamo persone sepolte sotto ogni casa, ci sono croci ovunque e hanno messo l’artiglieria tra gli edifici residenziali anche se c’era la scritta “bambini”: ci hanno usato come scudi umani”, prosegue un’altra donna raccontando come il battaglione Azov non abbia avuto pietà nemmeno dei più piccoli.

La città di Mariupol è infatti abitata, per la maggior parte, da persone di lingua russa e gli occupanti – cioè le milizie di Putin – vengono chiamati “liberatori” essendo – come riferiscono gli intervistati – gli unici ad aver permesso ai civili di salvarsi e scappare dalla furia Azov. “Noi ci sentiamo russi – racconta un uomo – È stata l’Ucraina che ci ha bombardato, non la Russia: tutto questo lo hanno fatto i neonazisti dell’Azov”.

E stando a quanto dichiarato dai civili è inevitabile tornare a riflettere su quei famosi uomini e donne rinchiusi nell’acciaieria e che, stando alle fonti ucraine, insieme ai nazionalisti non riescano a liberarsi a causa dell’avanzata russa. Torniamo a domandarci: come mai durante il cessate il fuoco, che le truppe del Cremlino ormai fanno quasi regolarmente, quei civili in Azovstal non riescono ad uscire?

Bianca Leonardi, 6 maggio 2022

Fonte: https://www.nicolaporro.it/mariupol-la-verita-dei-civili-il-battaglione-azov-ci-sparava-contro/

Azovstal, Capuozzo mostra il video dei miliziani di Azov: “Sapete cosa stanno cantando?”

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QUINTA COLONNA

Si combatte dentro l’acciaieria trasformata in un “inferno”. Asserragliati i soldati del Battaglione Azov

Una combattente di Azov asserragliata all’Azovstal. Il video ripreso da un cellulare. I “resistenti” all’assalto russo che intonano una canzone, l’odierna “Bella Ciao” come scrive qualcuno. È il video, pubblicato sui social e raccontato anche dai media italiani, su cui si sta discutendo in queste ore. Ovvero il canto dei soldati che difendono l’ultima postazione ucraina a Mariupol.

Perché se ne discute? Lo spiega Toni Capuozzo, molto critico sulla posizione che i media occidentali hanno preso rispetto al Battaglione (ormai un reggimento) accusato in passato di simpatie neonaziste. “Non so se sia vero che i “resistenti” dell’Azovstal abbiano chiesto una tonnellata di cibo per ogni quindici civili da rilasciare: la fonte è russa, e ovviamente non farebbe loro onore – scrive lo storico inviato di guerra sui suoi canali social – So quel che leggo sul Corriere della Sera di oggi, che li descrive come dei soldati Ryan da salvare, e paragona la loro canzone a Bella Ciao. Peccato che inneggi a Stepan Bandera, eroe del collaborazionismo con i nazisti. Non è l’unico equivoco: il Primo maggio dal concertone di Roma hanno spedito i saluti a Kiev, senza accorgersi che quella festività è abolita in Ucraina dal 2014″. La seconda strofa della canzone infatti dice: “L’Ucraina è la nostra madre e Stepan Bandera è nostro padre”.

Su Stepan Bandera molto si è detto e scritto. Ucciso a Monaco nel 1959, questo nazionalista ucraino divide la società: amato nella parte occidentale, viene considerato un fondamentalista nazista nelle zone ad Est. Quelle a maggioranza russofona. Nel 2018 vi furono non poche polemiche quando il Parlamento di Kiev decise di festeggiare come festa nazionale il compleanno del discusso combattente. Il leader dell’Oun, Organizzazione dei nazionalisti ucraini, è infatti accusato di aver collaborato con Hitler anche se oggi per il Corriere diventa “patriota dell’Ucraina libera, irredenta e democratica”.

Secondo quanto riporta ilGiornale, “a partire dal febbraio del 1943 i nazionalisti ucraini cominciarono ad attaccare la popolazione polacca dell’oblast di Volyn’. L’Upa e l’Oun attaccarono oltre cento villaggi polacchi sterminando oltre centomila persone, in maggioranza donne, bambini e anziani”. Per questo in Polonia viene considerato un criminale, così come le attività dei due movimenti nazionalisti. Non solo. Anche il Parlamento europeo, in una risoluzione approvata il 25 febbraio del 2010, scrisse di “deplorare profondamente la decisione del Presidente uscente dell’Ucraina, Viktor Yushchenko, di attribuire a Stepan Bandera, uno dei leader dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (OUN), che ha collaborato con la Germania nazista, il titolo postumo di «Eroe nazionale dell’Ucraina»; auspica, a questo proposito, che la nuova dirigenza ucraina riveda tali decisioni e mantenga il suo impegno nei confronti dei valori europei”

Fonte: https://www.nicolaporro.it/azovstal-capuozzo-mostra-il-video-dei-miliziani-di-azov-sapete-cosa-stanno-cantando/