Due Italie e due mobilitazioni: per la libertà di lavorare e per la libertà di processare le idee

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2021/11/01/due-italie-e-due-mobilitazioni-per-la-liberta-di-lavorare-e-per-la-liberta-di-processare-le-idee/

I POTERI FORTI CONTINUANO IL LORO LAVORO DI PREPARAZIONE DELLA SOCIETÀ CHE VERRÀ, BASATA SU TRE CARDINI: LO SCIENTISMO, LA TECNOCRAZIA E IL GLOBALISMO

In Italia assistiamo a due mobilitazioni differenti: una contro il green pass e l’altra contro la bocciatura del ddl Zan. La prima, capitanata dai portuali di Trieste, rivendica il diritto al lavoro per tutti, senza obblighi di natura sanitaria, quali il vaccino o il tampone. La seconda, capitanata dalle associazioni LGBT, protesta contro il Senato, che ha respinto la votazione su una proposta di legge pansessualista, che mirava a sanzionare duramente i pubblici sostenitori del diritto naturale.

Mentre il popolo viene distratto da queste questioni, i poteri forti continuano il loro lavoro di preparazione della società che verrà, basata su tre cardini: lo scientismo, ovvero la divinizzazione della scienza come bene assoluto e supremo, al posto di Dio; la tecnocrazia, ovvero il primato delle macchine e della tecnologia sull’uomo, in nome del profitto; il globalismo, ovvero il “socialismo della povertà”, in nome di una transumana uguaglianza universale, governata dal primato dell’economia sulla politica, del materialismo sull’etica. “Il potere economico in mano a poche persone”, oggi i padroni delle multinazionali e i grandi speculatori dell’alta finanza internazionale, viene condannato già nell’Enciclica Quadragesimo Anno di S.S. Pio XI, promulgata il 15 maggio 1931, che appartiene alla dottrina sociale della Chiesa, perenne e immutabile.

Troviamo, allora, un nesso comune tra le due mobilitazioni degli italiani: la difesa di una libertà da parte di chi segue l’esempio di Stefano Puzzer e la difesa di una parvenza di libertà da parte degli LGBT e da coloro che sono stati ingannati dalla martellante propaganda arcobaleno. Forse, non è un caso che chi è favorevole al ddl Zan, tendenzialmente, sia anche strenuo sostenitore dell’obbligatorietà vaccinale e del green pass…

Chi ha la consapevolezza di lottare contro un lasciapassare sanitario che potrebbe divenire, già nel 2022, anche uno strumento di controllo fiscale, sostiene il diritto al lavoro, così come lo abbiamo sempre conosciuto e, come garantito dall’art. 1 della Costituzione. Principio sacrosanto di libertà, come diritto e come dovere.

La teologia morale cattolica sta dalla parte di queste persone. Il lavoro “è un diritto di giustizia sociale che ha come corrispettivo il dovere dello Stato di promuovere il bene comune e quindi di combattere la disoccupazione (non di indurla! n.d.r.) aprendo vie al lavoro”, non di chiuderle! (P. Pavan, Libertà di lavoro e diritto al lavoro, in “Atti della XX Settimana Sociale di Venezia”, Roma 1947) Si può obiettare che anche il diritto alla salute vada perseguito dallo Stato, in nome del bene comune. E’ assolutamente vero in via generale, ma vacilla nel caso di specie, perché i vaccini, che vengono proposti, attualmente, come unica forma di cura del Covid-19, non garantiscono l’immunizzazione delle persone, perché chi è vaccinato può prendere e trasmettere il virus, tanto quanto un non vaccinato.

I casi Israele e Regno Unito ne sono le prove provate. Perciò, paradossalmente rispetto a quanto sostiene il governo Draghi, l’obbligo del green pass per lavorare (di cui l’Italia è capofila e unico Paese europeo) appare misura eccessiva e sproporzionata, soprattutto perché chi fa il tampone ogni 48 ore dà più garanzie di essere negativo all’infezione rispetto a chi detiene il lasciapassare da vaccinato, che è un potenziale contagiato e trasmettitore del virus, ma non più controllato. Ne deduciamo che il bene comune che lo Stato deve garantire resta il lavoro, ponendo in essere tutte le politiche necessarie per implementarlo, così da consentire una vita normale al maggior numero di persone, nonché la libertà di coscienza in merito all’inoculazione del vaccino.

E’ bene sfatare un’altra sciocchezza, che è quella di sostenere che il vaccino sia gratis mentre il tampone sia a pagamento. Sono entrambi a pagamento, solo che il primo viene saldato, ab origine, con le nostre tasse ed il secondo viene, di fatto, pagato due volte dal lavoratore: con le tasse alla fonte e, poi, con l’esborso in farmacia. Quindi, nessuno grava economicamente sulle spalle di un altro. Anzi, chi si tampona ogni due giorni dà più sicurezze a se stesso e agli altri, nonché paga pure di tasca sua.

La parvenza di libertà è costituita dal ddl Zan, bocciato al Senato, più per le defezioni delle sinistre (Pd e Movimento 5 Stelle) che per una volontà espressa del centrodestra. Il diritto naturale è superiore ad ogni desiderio personale. La confusione tra diritto e desiderio ha portato ad una proposta di legge ideologica che dava piena facoltà ai gruppi LGBT di propagandare la teoria gender nelle scuole (art. 7 ddl Zan) e la totale discrezionalità ai magistrati nell’attribuire pene detentive pesanti nei confronti di coloro che “istigano alla discriminazione per motivi fondati sul sesso, genere, orientamento sessuale…”, estendendo così l’art. 604bis del codice di procedura penale. Vero che Zan prevedeva un “pericolo concreto” di istigazione alla discriminazione e alla violenza, ma chi l’avrebbe deciso e su che base o fatto non ancora compiuto si sarebbe dovuta esprimere oggettivamente la giustizia ordinaria? Ciò che viene fatto passare come una libertà ed una tutela, in realtà è un bavaglio nei confronti del comune buon senso, della nostra cultura, dei cattolici, dei politici che difendono il diritto naturale, di tutti coloro che dicono che i bambini hanno bisogno di mamma e papà.

Fosse passato il ddl Zan, avremmo potuto ancora scrivere, senza rischiare una denuncia, che, come recita il Catechismo di San Pio X, “la sodomia è peccato impuro contro-natura”, iscritto tra quelli che “gridano vendetta al cospetto di Dio”, dalla cui pratica peccaminosa occorre rifuggire, tramite l’astinenza? Oppure, sulla scia di altre opere e statue abbattute dai Black Lives Matter, si sarebbe dovuta sbianchettare la Bibbia, laddove dice: “La sodomia è un peccato abominevole (Gen. 13,13; Lev. 18,22; 20,13; Rom. 1, 26-27; 1 Cor. 6,9; 1 Tim. 1,10); “ripugna intrinsecamente alla natura e al fine primario dell’atto sessuale: è lussuria contro natura (v. Lussuria)” (cfr. Dizionario di Teologia Morale, Card. Roberti – Mons. Palazzini. Vol. II, Ed. Effedieffe, 2019, pag. 709, I edizione Editrice Studium, 1955)?

Ecco, chi crede che il ddl Zan avrebbe difeso dalle discriminazioni le persone con inclinazioni omosessuali, sappia che le leggi esistono già, così come le aggravanti dei “futili motivi”, che vanno a perseguire le violenze, ma non prevedono, grazie a Dio, di processare né i principi morali né coloro che li professano pubblicamente. I talebani del gender hanno sbagliato residenza…almeno per ora.

I virologi piangono solo se zittiscono loro

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di Francesco Giubilei

Dopo mesi di marginalizzazione dal dibattito pubblico e mediatico di ogni voce che provasse ad avanzare dubbi sulla gestione della pandemia in Italia, anche i virologi gridano a una presunta censura nei loro confronti a causa di un ordine del giorno discusso in parlamento. Il coro unanime di Galli, Bassetti e Preglisco “no al bavaglio” arriva a causa dell’odg al Dl green pass bis che afferma: “I professionisti sanitari possono fornire informazioni relative alle disposizioni sulla gestione dell’emergenza sanitaria in corso su esplicita autorizzazione della propria struttura sanitaria”.
In poche parole i virologi e tutti i medici, prima di rilasciare dichiarazioni o interviste sui media, devono farsi autorizzare dall’azienda sanitaria in cui lavorano per “evitare di diffondere notizie o informazioni lesive per il Sistema sanitario Nazionale e di conseguenza per la salute dei cittadini”. Una proposta sulla carta sbagliata ma nata dopo un anno e mezzo di sovraesposizione mediatica in cui i virologi hanno detto tutto e il contrario di tutto nei principali media nazionali.
La levata di scudi dei virologi contro la presunta censura contraddice il loro silenzio nei mesi passati quando a non avere spazio erano voci critiche di molte decisioni legate al covid non da un punto di vista medico ma politico, sociale, economico e costituzionale. Numerosi giornalisti, costituzionalisti, intellettuali hanno avanzato legittimi dubbi sul green pass o su misure che mettono in discussione diritti costituzionali eppure, pur non addentrandosi in analisi di carattere medico, sono stati etichettati come no-vax e marginalizzati. Sarebbe stato importante anche in questo caso che i virologi si esprimessero contro la censura e il bavaglio. Eppure nei mesi passati non abbiamo sentito nessun appello alla libertà di parola e di dissenso su determinate scelte politiche.
Al contrario, ogni volta che qualche commentatore aveva l’ardire di contraddire le posizioni dei virologi, veniva tacciato come antiscientifico. Il problema è che nell’ultimo anno e mezzo molti di loro non si sono limitati a parlare di medicina o covid da un punto di vista scientifico ma sono diventati veri e propri tuttologi intervenendo quotidianamente su ogni tema e sostituendosi spesso alla politica. Abbiamo assistito al paradosso che, mentre i virologi accusavano commentatori a vario titolo di parlare a sproposito di medicina e di “dover studiare”, erano essi stessi a esprimersi su argomenti in cui deficitavano di una preparazione. Si sarebbero perciò dovuti accorgere prima che la libertà di parola va sempre difesa e non solo quando ad essere toccati sono i propri interessi.

DDL Zan: quando la norma penale è strumento di rieducazione

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di Pietro Dubolino

Fonte: Centro studi Livatino

La reclusione può essere strumento ‘pedagogico’ per sanzionare chi non si allinea con la ‘cultura dell’indifferenza sessuale’? Considerazioni di Pietro Dubolino, presidente emerito di sezione della Corte di Cassazione, a margine dell’articolo del prof Giuseppe Savagnone, comparso su Giustizia insieme: il quale difende il filo conduttore delle nuove disposizioni, pur al prezzo di negare l’antico brocardo ‘Cogitationis poenam nemo patitur’.

1.  Nell’ambito dell’ormai strabocchevole pubblicistica che, dalle opposte trincee, ha per oggetto il DDL Zan sulla “omotransfobia”, mette conto segnalare l’articolo comparso il 25 maggio scorso sulla rivista giuridica Giustizia insieme a firma di Giuseppe Savagnone, professore emerito di storia e filosofia nei licei statali e direttore, per molti anni, dell’ufficio per la pastorale della cultura della diocesi di Palermo.

Articolo, quello anzidetto, che, pur provenendo da una sponda dichiaratamente di sinistra, e quindi comunque favorevole al disegno di legge in questione, vuole tuttavia caratterizzarsi per un approccio apparentemente moderato e conciliativo, manifestato in particolare nel richiamo, in termini di apprezzamento, se non anche di condivisione, alla presa di posizione di alcune associazioni femministe contrarie al concetto di “identità di genere”, accomunato, nel testo approvato dalla Camera ed attualmente in discussione al Senato, a quelli di “sesso”, “genere”, “orientamento sessuale” e definito come “l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso”. Si tratta, però, di un’unica concessione che, guarda caso, viene rivolta ad un mondo, quello appunto delle associazioni femministe, tradizionalmente vicinissimo alla sinistra e delle cui opinioni, quindi, sarebbe assai sconsigliabile non tenere conto.

2. Quanto al resto, il sostegno al DDL Zan, nella sua attuale formulazione risulta, pur nell’apprezzabile pacatezza del linguaggio, assoluto e granitico. Il che non lo renderebbe particolarmente interessante se non fosse per il fatto che l’Autore, per un verso, minimizza quello che dovrebbe essere il contenuto meramente precettivo della norma in gestazione, affermando che essa prevederebbe “soltanto l’estensione ai comportamenti violenti ‘fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità’ [del]le aggravanti che già il nostro ordinamento prevede per quelli che riguardano i reati commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso”; per altro verso riconosce espressamente che il DDL Zan, in realtà, vuole avere un “carattere simbolico e pedagogico” e, pertanto, “non si limita a difendere i diritti delle persone omosessuali” ma, proprio per tale suo carattere, “pone le basi per una educazione capillare alla cultura dell’indifferenza sessuale”, per cui “si può facilmente prevedere che i suoi effetti non si manifesteranno [solo – N.d.R.] nelle aule dei tribunali, ma in tutte le sedi in cui si realizza un’opera educativa”. Continua a leggere

Sergio Sylvestre ha fallito come Balotelli. Il messia nero degli antirazzisti ancora non c’è

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di Adriano Scianca

Qui si ride e si scherza, ma quello degli antirazzisti italiani è un dramma lacerante: una pattuglia così agguerrita e motivata che cerca solo un messia, un testimonial all’altezza del suo compito titanico, e invece niente. L’ultima delusione arriva da Sergio Sylvestre, chiamato a trasformare l’inno di Mameli in una sorta di «Motherfucker of Italy» prima della finale di Coppa Italia e franato rovinosamente sull’elmo di Scipio davanti agli sguardi perplessi di mezza Italia (e a quello di Leonardo Bonucci, impietosamente ripreso dalle telecamere mentre alzava il sopracciglio dal disappunto). Una performance degna dell’Enrico Pallazzo di Una pallottola spuntata, che ha bruciato sul nascere questa maldestra marchetta a Black lives matter, brillante capolavoro della Lega calcio, che ha così completato la sua serata di gloria dopo la partita cominciata inspiegabilmente in ritardo e la grottesca coreografia posticcia a coprire gli spalti vuoti. Complimenti vivissimi.

 

Sergio Sylvestre ha fallito come Balotelli

E quindi niente da fare, il colored italiano destinato a redimere le recalcitranti folle italiche per portarle nell’eden antirazzista e multirazziale ancora ha da venire. Sylvestre, americano di madre messicana e padre haitiano ma italiano di adozione, anche perché la vittoria di Amici di Maria de Filippi dà più punti di italianità del passaporto, ha fallito la grande occasione. Non solo ha violentato l’inno, ma, non contento, si è anche esibito nel pugno chiuso e nello slogan del ghetto, senza riflettere sul fatto che il naufragio canoro avrebbe portato a fondo anche qualsiasi messaggio politico susseguente.

Una brutta botta, per un mondo che non si è ancora ripreso dall’implosione della supernova attorno a cui gravitavano le speranze degli antirazzisti de ‘noantri, ovvero Mario Balotelli. Era lui, l’unto della Costituzione, il prescelto. Ma anche lui ha fallito. Non una volta, sempre. Un fallimento durato anni, recidivo, continuato, ostentato, fino a che il fallimento non ha saturato tutta la bolla mediatica che gli era stata costruita attorno. E non è stato solo un fallimento sportivo o personale, ma la catastrofe di tutta un’operazione culturale. Doveva farci ricredere dai pregiudizi, e invece li ha confermati tutti. Tutti, anche quelli che non sono veri in generale ma che ha inverato lui da solo. E, nel mondo del calcio, ogni altro tentativo di trovare un sostituto è andato a vuoto: i vari Ogbonna o Okaka, pure più simpatici di Mario, non hanno avuto la fortuna sportiva che poteva renderli dei simboli, mentre il predestinato Moise Kean ha per ora dimostrato di essere l’erede di Balotelli solo nel senso deteriore dell’espressione. Continua a leggere

SULL’ORLO DELLA TOMBA DI INTERNET – ControRassegna Blu #18

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