Tal Ben Shahar: “Le aziende devono investire nel benessere dei dipendenti”

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di Aleksandra Georgieva

In occasione del World Business Forum di Milano, organizzato da WOBI l’8 e 9 novembre, abbiamo intervistato, Tal Ben Shahar, co-fondatore e chief learning officer di Happiness Studies Academy e autore del libro “Happier, No Matter What: Cultivating Hope, Resilience, and Purpose in Hard Times”. Tal Ben Shahar ha dichiarato che messaggio più importante che vorrebbe diffondere all’interno della business community è “che le aziende hanno bisogno di investire nel benessere dei propri dipendenti.” A suo avviso:

“La maggior parte dei leader non riconosce il fatto che la felicità è un buon investimento per le organizzazioni. Come mai? Perché credono erroneamente che il successo porterà alla felicità. Il loro modello mentale è: Successo (causa) -> Felicità (effetto). Ma quello che emerge dalla maggior parte delle ricerche é che il successo, prosegue Shahar, nella migliore delle ipotesi, porta a un picco nei propri livelli di felicità, ma il picco è temporaneo, di breve durata.”

Qui potete visionare l’intera intervista. Buona visione!

Come cambierà la democrazia dopo il Covid

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di Corrado Ocone

L’OCCIDENTE INVIDIA IL MODELLO CINESE? LE CONSEGUENZE POLITICHE DELLA PANDEMIA

Abituati a vivere la quotidianità pandemica, e immersi nelle polemiche sui vaccini e il green pass, poco riflettiamo sulle conseguenze storico-politiche di più ampia durata delle politiche di contrasto messe in opera, indipendentemente da come le si possa giudicare. In questo senso, si può veramente dire che Covid-19 abbia accelerato dei processi in corso già da un po’ di tempo, almeno dalla crisi finanziaria del 2007-8.

Il sistema occidentale in crisi

Con l’efficacia che può essere di un titolo di copertina, è The Economist a parlare questa settimana di The triumph of big government e a chiedersi quale dovrebbe essere, di fronte a una così forte espansione dello Stato, la risposta del liberalismo classico. In effetti, quello che non si dice, o che viene semplicemente occultato, è che un sistema basato quasi esclusivamente sula spesa pubblica, e quindi su una forte tassazione, non può reggere a lungo. Non solo per motivi economici, ma anche culturali. Quello che non può reggere, più propriamente, è il complicato sistema delle libertà istituzionali e costituzionali che l’Occidente ha costruito nei secoli e decenni scorsi, e soprattutto quella sana e caotica anarchia della società civile che ha permesso di liberare energie e spiriti vitali che alla fine ci hanno garantito, e ancora ci garantiscono, una rispettabile qualità della vita.

La Cina, il modello alternativo

La qualità della democrazia liberale è qualcosa che ci deve stare a cuore se teniamo alla qualità delle nostre vite. Inutile dire che il convitato di pietra, in questo mio discorso, è la Cina, che da partner commerciale strategico dell’Occidente quale era stato nei primi anni della globalizzazione (che hanno coinciso con la sua escalation come potenza globale) è diventato, almeno per l’America (e qui Trump o Biden fa poca differenza), un temibile avversario politico di sistema, cioè con modello alternativo di politica e vita civile del tutto poco rispettoso delle libertà personali. 

Per mesi, osserva il settimanale inglese, mente la vaccinazione in Europa procedeva  molto  lentamente, “la Cina ha potuto celebrare la sua risposta al virus come una vittoria del modello dello Stato forte”. È emersa perciò, anche nelle nostre democrazie, una sorta di volontà di emulazione, che ovviamente si è realizzato in forme edulcorate e più controllate. Stessa però l’impostazione del problema: “la strategia dello zero-covid ha esemplificato l’inflessibilità di un potere centralizzato e incontrollato”.

La nuova “dittatura preventiva”

Che l’Occidente invidi sotto sotto il modello cinese? Questa domanda se la poneva ieri  Le Figaro nel recensire il libro appena uscito di un ex diplomatico. L’Occidente ha invidia e paura al tempo stesso della Cina, spiegava l’articolista, non certo per la repressione degli Uiguri (certamente esecrabile) ma per la strana mescolanza che lì sembra essersi realizzata “fra la prosperità organizzata del capitalismo cinese, che garantisce una forma di armonia sociale, e una ‘dittatura preventiva’, fondata sul controllo sociale dei dati, che rende obsoleta la “dittatura repressiva” del XX secolo”. La Cina, sulla lunga scorta di un confucianesimo ben integratosi con il marxismo e il progresso tecnico-informatico, sembra quasi proporci un nuovo equilibrio fra benessere individuale e benessere collettivo. “Il successo cinese, senza che noi osiamo ammetterlo, diventa la tentazione dell’Occidente”. Il discorso, a ben vedere, è sempre quello di Tocqueville: un individuo atomizzato e alla ricerca di piaceri effimeri è ben disposto a svendere la sua libertà a un sistema che lo protegge e lo rassicura dalla culla alla bara.

Devo dire la verità: il dibattito su no vax e no pass non mi appassiona più di tanto, soprattutto quando è urlato, fazioso, piazzaiolo, violento. Né mi sembra intelligente la retorica del “noi” contro “loro”, ove il loro che vorrebbe controllarci e sottometterci non si sa bene chi sia. E, pur avendo non pochi dubbi sul green pass, credo che la sua introduzione, in quanto legge di uno Stato democratico come il nostro, vada assolutamente rispettata. Porsi però anche in Italia, con la postura giusta e nelle sedi giuste, queste questioni di fondo, che la stampa e il dibattito esteri non occultano, credo sia importante e “salutare” (tanto per restare in tema).

Corrado Ocone, 21 novembre 2021 https://www.nicolaporro.it/come-cambiera-la-democrazia-dopo-il-covid/

In Borsa è il momento di investire sul Pil della felicità

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di Massimo Di Guglielmo

Ciascuno di noi dovrebbe iniziare a immaginare la propria vita come cinque palline che deve far roteare in aria con l’abilità di un giocoliere. Solamente una di queste è tuttavia di gomma, infrangibile e rappresenta il lavoro perché, persa un’occupazione, se ne può trovare una diversa. Le altre quattro sfere – famiglia, salute, amici, anima – sono invece di cristallo, pertanto se cadessero si romperebbero in maniera irreparabile. L’ammonimento che l’ad di Google, Sundar Pichai ha affidato di recente alla rete riflette il forte cambiamento di mentalità in atto nella nostra società. Complice la tragedia del Coronavirus, sempre più persone sono alla ricerca di una felicità che non corrisponde alla carriera o alla ricchezza ma a una migliore qualità dell’esistenza. Ecco perché questo è momento di applicare il paradigma della felicità anche al mondo delle Borse e degli investimenti. A invitare i piccoli risparmiatori a questa presa di coscienza è Schroders, colosso del risparmio gestito responsabile di un patrimonio di 815,8 miliardi di euro in 37 Paesi nel mondo. Un decennio fa – sottolinea Piya Sachdeva, Economista di Schroders – il premio Nobel Joseph Stiglitz aveva commissionato un rapporto chiamato La misura sbagliata delle nostre vite. Perché il Pil non basta più per valutare benessere e progresso sociale”, dimostrando la necessità di sostituire il Pil con il benessere. Il prodotto interno lordo, infatti, non solo è un parametro aggregato ma nulla o quasi dice del reddito effettivamente disponibile. E le riserve di Stiglitz non solo erano in parte già state anticipate nel 1968 da Bob Kennedy in un celebre discorso all’università del Kansas, ma sono state rafforzate e ulteriormente sviluppate dal movimento Beyond Gdp (Oltre il Pil), impegnato a costruire uno sviluppo appunto sostenibile. Ma vediamo come il benessere” si integra strettamente con i principi Esg (acronimo di Environmental, Social e Governance), che guidano oggi gli investimenti verdi, consapevoli e a impatto di cui Schroders è uno dei grandi alfieri. 

Piya Sachdeva, Economista di Schroders
Benessere e Sostenibilità, due grandi direttrici del futuro

L’idea di usare il benessere, e non più il Pil, come misura per valutare una società si è diffusa in parallelo all’aumento degli investitori che scelgono su quali aziende puntare in base ai principi ESG e nello specifico di quella “S”, che esprime la dimensione “Sociale”. Questo dimostra come il denaro possa comprare la felicità ma solo fino a un certo punto, sottolinea l’economista di Schroders, decidendo di condividere la sua personale esperienza durante i ripetuti lockdown dello scorso anno. “Ogni giorno scrivevo tre cose che apprezzavo nella mia vita: questo mi ha permesso di riflettere su ciò che mi rendeva felice. Recentemente ho ritrovato quel diario della gratitudine, e rileggendolo è chiaro che le cose che mi rendevano più felice tendevano a essere cose che il denaro non può comprare”. Certo, ammette Sachdeva, “questo va contro tutto ciò che mi è stato insegnato nella mia carriera di economista”. A ben guardare, tuttavia, non è così perché – prosegue – sebbene il Pil pro capite abbia una forte relazione con la felicità nazionale, più una persona è agiata, minore è la spinta alla felicità che le deriva dal diventare più ricca. Più precisamente, secondo alcune stime, la felicità si stabilizza quando il reddito medio della società raggiunge la soglia dei 70mila dollari. Insomma, i Paesi sviluppati hanno un modo più efficace per aumentare la felicità della loro popolazione rispetto al solo obiettivo di una maggiore crescita economica, e consiste in una saggia politica distributiva.

La corruzione erode felicità; Salute sempre più centrale

L’Ocse è stato tra i primi a cercare di scattare una fotografia più accurata del benessere mondiale, riunendo misure comparabili nel suo “Better Life Index”. Bisogna però tenere conto che alcuni fattori pesano più di altri, nello specifico quattro: il reddito personale, la disoccupazione a lungo termine, la salute auto-percepita e la corruzione percepita. Proprio la “corruzione” erode la fiducia di famiglie e imprese verso le istituzioni; quindi in ultima istanza mina la felicità. A confermarlo è anche l’ultimo “World Happiness Report”, che vede in fondo alla classifica, per percezione della corruzione, alcuni Paesi emergenti e dell’est Europa ma va detto che neppure l’Italia e la Grecia occupano un posto invidiabile. All’opposto i Paesi nordici sono ai massimi livelli.

 

Classifica per percezione della corruzione dei paesi europei

 

L’altro architrave su cui poggia la felicità delle popolazioni è poi la salute e il Covid ha potenziato tale convinzione: in questo caso la misura impiegata è la “salute autovalutata”, che combina quella mentale con quella fisica.

I rischi per l’economia globale e le Borse 

I fattori sociali non hanno ancora un grande impatto quando analisti e agenzie di rating stilano la pagella dei singoli Paesi, a meno non siano in corso forti disordini sociali. Il quadro cambia molto quando i report si riferiscono alle imprese quotate in Borse: le società sono infatti già punite dagli investitori se vengono allo scoperto problemi nella governance o non si impegnano per l’ambiente. Ne deriva – suggerisce Sachdeva – che “gli investitori macro che integrano l’ESG nelle loro analisi dovrebbero considerare i rischi per i loro investimenti dai mercati infelici”, come i Paesi emergenti o di frontiera. L’economista di Schroders indica in particolare tre rischi per la ripresa mondiale involontariamente insiti nella ‘Sostenibilità’: 1) La Fed, con i massicci aiuti stanziati per la ripresa post Covid a favorire l’occupazione, sta riconoscendo il proprio ruolo nella riduzione della disuguaglianza. Ma questo potrebbe portare a una reazione tardiva al rialzo dell’inflazione che potrebbe tradursi in una nuova recessione di cui pagherebbero le spese in primis i redditi più bassi. 2) La gestione del cambiamento climatico è cruciale per la crescita sostenibile e la creazione di nuovi posti di lavoro relativamente ben pagati sul lungo termine, nell’immediato provocherà dei costi sociali. 3) È possibile che, davanti alle macerie economiche lasciate dalla pandemia, aumentino i disordini nei Paesi più “infelici”, che di fatto sono delle polveriere pronte esplodere.

Un nuovo contratto sociale per investire in Borsa

“La nostra scoperta che i Paesi con bassa corruzione sono più felici dimostra che le considerazioni sociali derivano da una forte governance”, prosegue l’economista di Schroders; insomma nell’approccio ESG la “S” di “Sociale” non solo è inscindibile ma è sostenuta dalla “G” di “Governance”. Il risultato è la nascita di un nuovo ‘contratto sociale’ che dal lato delle società quotate impone già scelte virtuose; complice anche il ruolo dei gestori di fondi attivi nel selezionare le imprese da privilegiare e spingere a migliorarsi le realtà ora in ritardo. Ora però bisogna approfondire l’analisi e applicare questo stesso contratto sociale anche quando si analizzano i singoli Stati. E – conclude Sachdeva – “gli investitori macro che integrano i fattori ESG, piuttosto che cercare un ritorno dai mercati felici, dovrebbero invece considerare i rischi per i loro investimenti dai mercati infelici”.

 

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