Dopo Bergamo Pride, l’“Opera” Lgbtqia+ da 500 mila euro

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QUINTA COLONNA

Segnalazione Corrispondenza Romana

di Mauro Faverzani

Ancora non s’è spenta l’eco delle polemiche conseguenti al Bergamo Pride, “celebrato” con tanto di sigle di partito (tutte di Sinistra) presenti tra i promotori, nel corteo e sul palco, peraltro infischiandosene e calpestando il silenzio pre-elettorale, che già l’universo Lgbtqia+ torna alla carica e continua a far parlare di sé nel capoluogo orobico e sulla stampa.

Da L’Eco di Bergamo dello scorso 17 giugno, infatti, si è appreso delle fratture interne al consiglio d’amministrazione della Fondazione Teatro Donizetti dopo la proposta del direttore artistico del Festival Donizetti Opera, Francesco Micheli, di realizzare un’opera lirica dedicata a Raffaella Carrà. Le divisioni verterebbero sui costi, particolarmente importanti, e sul taglio «sfidante e innovativo» – ma meglio sarebbe dire forzosamente provocatorio –, che si vorrebbe dare a questo lavoro, totalmente slegato dal contesto del Donizetti Opera e dalla tradizione e identità bergamasca, proprio nell’anno in cui – oltre tutto – la città, assieme a Brescia, viene chiamata ad essere capitale italiana della cultura.

«L’amministrazione comunale di Bergamo continua incessantemente nella sua opera rivoluzionaria – afferma in merito il consigliere comunale Filippo Bianchi di Fratelli d’Italia – all’insegna della propagazione dell’ideologia gender. Dalla Sinistra non viene portato nessun rispetto per il grande compositore bergamasco Gaetano Donizetti, poiché anche l’autorevole fondazione, che porta il suo nome, viene utilizzata, senza alcun ritegno» per tale scopo «con grande dispendio di risorse pubbliche». E prosegue: «La cittadinanza bergamasca è nauseata dalle continue imposizioni subite, secondo la volontà dell’agenda delle minoranze arcobaleno, che lottano per scardinare l’ordine naturale dalla società, introducendo il liberticida ddl Zan, l’aberrante pratica dell’utero in affitto, l’ideologia gender nelle scuole e sostituendo le vocali con gli asterischi». Ma non è tutto: «La Fondazione Teatro Donizetti – dice Bianchi – negli ultimi anni è divenuta, attraverso la Direzione artistica e la Donizetti web tv, uno strumento per veicolare la propaganda gender nella società. I bergamaschi sono stanchi di tutto questo, pretendono una Direzione artistica della Fondazione Teatro Donizetti in armonia con il tessuto sociale e spettacoli, che non trattino unicamente di ideologia gender. Inoltre, la cittadinanza si sta da tempo domandando, se la Fondazione Teatro Donizetti offra ruoli artistici di rilievo anche a chi sia eterosessuale, senza discriminazioni, o se solo personaggi del mondo arcobaleno, come testimonial del Bergamo Pride o espressione del sito web Gay.it, possano ambire a tali ruoli».

Il Corriere di Bergamo ha fornito intanto ulteriori dettagli sullo spettacolo ipotizzato, dettagli sconvolgenti: il budget previsto è di circa 500 mila euro per l’opera, che dovrebbe essere dedicata «alle conquiste di genere» e che dovrebbe prevedere la partecipazione del gruppo musicale «La Rappresentante di Lista», esponente del genere «queer pop» o della «queer music», come ribadito in numerose interviste. Nel n. 8 del 2021 di Vanity Fair Dario Mangiaracina, fondatore del gruppo assieme a Veronica Lucchesi, ha dichiarato che il loro duo si sente portatore di un’identità «fluida, perché la sessualità non ha confini. Ma son servite le definizioni, le lotte per i diritti, per poter affermare, come faccio io, di non volere essere “fissato” in uno schema di genere». Secondo loro, «ogni lotta è collegata. Non si può essere femministi, senza essere antispecisti, senza essere antifascisti». Ed ecco che ritornano i soliti luoghi comuni, in particolare quell’antispecismo, che ha originato il transumanesimo e che tutela il koala più dell’embrione umano.

Secondo il quotidiano online Prima Bergamo, Giorgio Berta, presidente del cda della Fondazione Donizetti, avrebbe congelato la proposta. Al momento, non vi sarebbero certezze circa l’entità dei fondi pubblici destinati a coprire la colossale cifra pretesa. Intanto, però, la temperatura politica è immediatamente tornata rovente. Il consigliere comunale Bianchi ha inviato un’interpellanza a risposta scritta, in cui specifica come, tra l’altro, «il gruppo musicale La Rappresentante di Lista si sia politicamente speso facendo pubblicare una lettera sul quotidiano La Stampa in favore del ddl Zan, richiedendone la calendarizzazione in Parlamento». Tutto considerato, chiede se si intenda esplicitamente dare «un taglio conforme all’ideologia gender» allo spettacolo ipotizzato a Bergamo, città il cui legame e quello della Fondazione Donizetti con Raffaella Carrà resta poi tutto da spiegare. Il consigliere Bianchi chiede, tra l’altro, chi siano gli altri artisti immaginati e quali i loro compensi, quali altri teatri italiani prevedano la messa in scena e «se sia confermata la notizia che il Presidente del Consiglio d’amministrazione della Fondazione Teatro Donizetti, Giorgio Berta, intenda prudentemente congelare o archiviare tale progetto, dispendioso oltre misura ed ideologico», tale oltre tutto da non avere «nulla a che vedere con la tradizione e l’identità bergamasca».Insomma, Gay Pride ovunque, concerti, spot, artisti, film, telefilm, persino cartoni animati: il pressing della sfera Lgbtqia+ è continuo, insistente, provocatorio, martellante, prepotente, numericamente ridotto, ma deciso a far la voce grossa almeno finché chi la pensi diversamente non si arrenda e non se ne stia zitto. Ed è forte il sospetto che la totale assenza di rispetto più volte emersa contro la Chiesa cattolica dipenda da quel numero del Catechismo, il 2357, in cui le relazioni omosessuali vengono definite come «gravi depravazioni» ed «atti intrinsecamente disordinati», peraltro «contrari alla legge naturale», cioè tali da non poter essere «in nessun caso approvati». «Depravare», vocabolario alla mano, significa «corrompere moralmente, pervertire», con buona pace di quei sacerdoti e di quei vescovi, che ritengono che a far problema durante i Gay Pride siano solo le immagini blasfeme e non invece, come in effetti è in ambito cattolico, proprio i cortei in quanto tali.

Dopo il Cremona Pride, il Bergamo Pride. La kermesse arcobaleno continua

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Segnalazione Corrispondenza Romana

di Mauro Faverzani

Dopo la pioggia di critiche ricevute al Cremona Pride per l’immagine blasfema e la parzialissima retromarcia, cui di conseguenza sono state costrette le istituzioni locali, a Bergamo, dove sabato scorso è stato rimesso in scena un analogo corteo variopinto, ci sono andati più cauti, limitandosi ad un opinabilissimo Francesco versione Lgbt in vena di selfie, ad un angelo caduto con alucce arcobaleno e ad uno stuolo di bambini “arruolati” per la circostanza. Il che non ha reso l’evento meno critico per i cattolici, restando intrinsecamente inaccettabile a norma del Catechismo, numero 2357. Il che andrebbe ricordato a quei vescovi, a quei sindaci (specie se cattolici…) ed a quelle amministrazioni provinciali, che sostengono implicitamente tali manifestazioni, limitandosi a biasimarne gli eccessi.

Né tutto questo ha reso meno problematico l’evento, sia pure per altri motivi. L’11 giugno era giorno di silenzio pre-elettorale tanto a Bergamo quanto a Roma ed a Genova, dove contemporaneamente si sono svolti cortei-arcobaleno analoghi. Questo non ha impedito tuttavia ad esponenti politici con i loro simboli e le loro bandiere di tener pubblici comizi, col pretesto del Gay Pride locale, peraltro promosso ufficialmente, con tanto di patrocinio di Comune e Provincia, da partiti e sigle come Rifondazione Comunista, Giovani Comunisti Bergamo, Giovani Democratici Bergamo, Partito Socialista Italiano, Patto per Bergamo, Sinistra Classe Rivoluzione Bergamo, Sinistra Italiana Bergamo e Cgil. Una violazione delle regole (valide per tutti, evidentemente, meno che per gli Lgbtqia+,…), giudicata «inaccettabile» dal consigliere comunale Filippo Bianchi di Fratelli d’Italia, che ha biasimato come «inopportuna, scorretta e censurabile» la partecipazione alla pubblica manifestazione di un assessore comunale, Marzia Marchesi, e di un consigliere provinciale, Romina Russo, entrambe del Pd, «addirittura tenendo comizi pubblici», come evidenziato in un’interpellanza a risposta scritta, inviata da Bianchi al presidente del consiglio comunale di Bergamo in data 10 giugno, alla vigilia della singolare kermesse arcobaleno, dove è stata notata dai media anche la presenza dell’on. Elena Carnevali, sempre del Pd, del segretario provinciale del Pd, Davide Casati, e del consigliere regionale dei Cinquestelle, Dario Violi.

Alla fine, la kermesse arcobaleno si è rivelata un mega-spot per le Sinistre proprio nel giorno di silenzio pre-elettorale: all’indomani 832 mila bergamaschi avrebbero votato in 17 Comuni. Possibile che nessuno abbia avuto, né abbia tardivamente niente da dire? Possibile che i “soliti noti” possano serenamente infischiarsene del rispetto delle leggi, così rigidamente applicate al popolo? Davvero in Italia la legge per taluni è più uguale che per altri? Non solo. Questa edizione del Bergamo Pride sin dal titolo, «Mille e una lotta», si è rivelata più militante di altre. A beneficio di quanti non se ne fossero avveduti, va specificato come non si sia trattato del solito corteo contro le discriminazioni; il significato dell’iniziativa, visceralmente politico, è andato ben oltre, non solo dando voce al Black Lives Matter di Bergamo. Ha invocato anche la «carriera alias» per gli studenti trans richiedenti, affinché a scuola vengano “riconosciuti” in un genere diverso da quello biologico; ha invocato l’equiparazione delle “nozze”-gay al matrimonio vero e proprio con tutto quanto ne consegue; soprattutto ha invocato l’antispecismo, per il quale tutte le specie viventi avrebbero il medesimo valore e lo stesso status morale, per cui si giungerebbe facilmente all’assurdo, che attribuisce ad una rana più diritti che ad un embrione umano, cui sempre le Sinistre vorrebbero viceversa togliere qualsiasi valore, qualsiasi status, qualsiasi tutela, per giustificare l’aborto, anche in fase avanzata di gestazione. Si noti, per inciso, come da una costola dell’antispecismo si sia generato anche l’altro mostro contemporaneo ovvero il transumanesimo. Sotto la bandiera arcobaleno, insomma, zitti zitti quatti quatti gli organizzatori hanno mosso pretese molto al di là della semplice lotta alle discriminazioni di qualunque tipo, pretese molto più spinte in senso politico e molto meno accettate, meno condivise, meno popolari forse anche tra i loro amici Lgbtqia+. Ma quanti se ne sono accorti? Quanti ne sono stati davvero coscienti tra coloro che hanno sfilato in corteo?