La Chiesa tedesca sfida il Vaticano, è ufficiale: “Benedire le coppie gay”

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BARUFFE NELLA “CONTRO-CHIESA” CONCILIARE? (N.D.R.)
Terremoto nella Chiesa: il sinodo tedesco approva il documento per la benedizione delle coppie omosessuali. Il Papa contrario

La rivoluzione è servita, o giù di lì. La Chiesa Cattolica tedesca ha aperto alla celebrazione di cerimonie per benedire le coppie di stesso sesso. Lo ha deciso l’Assemblea sinodale con 176 voti a favore, 14 contrari e 12 astensioni. Si inizia dal marzo del 2026.

Si tratta di una notizia importante, che farà sicuramente discutere, come già successo negli anni scorsi con scontri neppure troppo velati tra tradizionalisti e progressisti le cui tensioni sono riemerse in tutta la loro forza in occasione della morte di Benedetto XVI. Il sinodo tedesco ha superato la maggioranza dei due terzi dei vescovi che era necessaria per approvare il provvedimento (38 a favore, 9 contrari, 11 astenuti). I tre anni che dividono la decisione dalla sua applicazione saranno dedicati a definire il formato liturgico di questo tipo di cerimonia. La benedizione dell’unione riguarda sia le coppie gay chi si è risposato dopo un divorzio. Come si legge nel documento, rifiutare la benedizione di due persone “che vogliono vivere il loro amore nell’impegno e nella responsabilità reciproca verso Dio” sarebbe una sorta di discriminazione che “non può essere giustificata in modo convincente in termine di teologia della grazia”. E questo nonostante una nota esplicativa della Congregazione della dottrina della fede avesse nel 2021 precisato che la benedizione per le coppie omosessuali non fosse possibile. 

La discussione sinodale era iniziata nel 2019. La preoccupazione del Vaticano per il percorso intrapreso dalla Chiesa tedesca non è certo un mistero. Il segretario di Stato Parolin, nel 2022 durante un incontro con Georg Bätzing, vescovo di Limburg e presidente della Conferenza Episcopale di Germania, aveva sottolineato il rischio di “riforme della Chiesa e non nella Chiesa”. Pochi giorni fa, anche Papa Francesco aveva lanciato il suo allarme: “Il pericolo è che trapeli qualcosa di molto, molto ideologico. E quando l’ideologia viene coinvolta nei processi ecclesiali, lo Spirito Santo torna a casa perché l’ideologia supera lo Spirito Santo”, aveva detto all’Associated Press. “L’esperienza tedesca non aiuta, perché non è un Sinodo, un cammino sinodale serio, è un cosiddetto cammino sinodale, ma non della totalità del popolo di Dio, ma fatto di élite”.

Sempre nell’incontro del novembre del 2022, il presidente dei vescovi tedeschi aveva già fatto capire che la chiesa di Germania non avrebbe tolto la possibilità di benedire le coppie omosessuali. “Noi siamo cattolici e lo restiamo cattolici – disse – ma vogliamo essere cattolici in modo diverso e sentiamo questa responsabilità”. Per il sinodo tedesco “non si può andare avanti come prima, si tratta di trasmettere il messaggio del Vangelo qui e ora, e non guardare sempre al passato, anche correndo il rischio di una Chiesa ammaccata”. Da più parti però si avanza l’ipotesi di un vero e proprio scisma. Nel luglio del 2022 la Santa Sede arrivò a pubblicare una nota ufficiale in cui “per tutelare la libertà del popolo di Dio” chiariva che “il cammino sinodale in Germania non ha la facoltà di obbligare i vescovi e i fedeli ad assumere nuovi modi di governo e nuove impostazioni di dottrina e di morale“.

Le novità intanto non finiscono qui. I vescovi hanno infatti approvato un testo che chiede a Bergoglio di “riesaminare il legame tra la concessione delle ordinazioni e l’impegno al celibato”. In sostanza, la possibilità per i preti di sposarsi. Quasi il 95% dei membri dell’Assemblea ha votato a favore del testo, come riporta infocattolica. Dei 60 vescovi presenti all’assemblea sinodale, 44 hanno votato a favore, 5 contrari e 11 si sono astenuti.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/la-chiesa-tedesca-sfida-il-vaticano-e-ufficiale-benedire-le-coppie-gay/

“Io, tradizionalista, dico che sulla messa in latino Bergoglio ha ragione”

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Il Circolo Christus Rex si riconosce perfettamente nelle parole di questo articolo dell’amico Mattia Rossi. Bergoglio cerca di troncare con l’ambiguità dei predecessori e di stabilire che la lex orandi della lex credendi prodotta dal Concilio Vaticano II (1962-1965) è espressa nel Novus Ordo e non nella Messa tridentina. I fautori della “terza via” clerical-democristiana, in ambito conservatore e tradizionalista sono disperati per qualcosa che ci auguriamo riescano a comprendere grazie alla coerenza di Francesco, anche se costerà qualcosa in termini di comodità: niente più chiese, altari maestosi, basiliche. Niente più inciuci coi conciliari. Ora la prova è nella sostanza, ovvero nella Fede autentica. Noi ci auguriamo che abbiano, nell’abbracciare la Tradizione cattolica senza compromessi, la coerenza di Bergoglio e il coraggio di Mons. De Castro Mayer. (n.d.r.)

di Mattia Rossi

Al direttore – È curioso doverlo ammettere  – dal momento che, chi scrive, è da annoverarsi nella schiera di quanti vengono, più o meno propriamente, definiti “tradizionalisti” – ma Bergoglio, con Traditionis custodes, ha agito bene. La posizione del Summorum pontificum ratzingeriano del vetus e novus ordo quali “due usi dell’unico rito” era palesemente ossimorica: le due ecclesiologie che soggiacciono alle due messe sono antitetiche e incompatibili. L’ecclesiologia comunitaria veicolata dal Vaticano II, ponendo a fondamento la categoria di “popolo di Dio” e, dunque, esigendo le dimensioni collegiali ed ecumeniche, è chiaramente differente da quella precedente, ovvero di una chiesa nella quale l’autorità viene prima della comunità e la conversione prima del dialogo. E allora, se con la riforma liturgica di Paolo VI la chiesa si è data una nuova lex orandi per una nuova lex credendi, è impossibile che due lex orandi differenti possano rispecchiare un’unica lex credendi. Ecco perché, nel chiedere espressamente ai fedeli che intendano celebrare vetus ordo la chiara accettazione del Concilio, Traditionis custodes, dal suo punto di vista, ne ha pienamente diritto.

Ma le restrizioni per l’uso del vetus ordo all’interno della chiesa postconciliare sono ovvie anche perché se si ritiene che Paolo VI avesse autorità (e io non sono tra quelli) occorre riconoscere che con la costituzione apostolica Missale Romanum ebbe la netta intenzione di abrogare la Quo primum di Pio V: “Quanto abbiamo qui stabilito e ordinato vogliamo che rimanga valido ed efficace, ora e in futuro, nonostante quanto vi possa essere in contrario nelle costituzioni e negli ordinamenti dei Nostri Predecessori”. E nel concistoro del 24 maggio 1976, Montini precisò: “Il nuovo ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio tridentino”. Perché ciò che vale per un papa del ’500 non può valere, se se ne riconosce l’autorità, per un suo successore del ’900? E infatti il Codice di diritto canonico, sia nell’edizione del 1917 che in quella riformata del 1983, precisa che “la legge posteriore abroga la precedente o deroga alla medesima, se lo indica espressamente, o è direttamente contraria a quella, oppure riordina integralmente tutta quanta la materia della legge precedente”.

E ancora, per quale motivo Wojtyla, nel concedere limitatamente l’uso del messale del ’62, utilizzò lo strumento dell’indulto, che giuridicamente è l’esenzione dalla potenziale pena? Significa, evidentemente, che il messale precedente non era più “legale”. Quando Bergoglio pone restrizioni sulla “messa in latino” lo fa con coerenza e incarnando l’ecclesiologia del Vaticano II dalla quale, seppur dissimulando, neppure Ratzinger, riconoscendo il “valore e la santità” del nuovo rito, ovviamente mai si distaccò salvo promulgare un motu proprio illusorio. Con Francesco è tutto più chiaro: o di qua o di là senza un piede nel vetus e uno nel novus.

Fonte: https://www.ilfoglio.it/chiesa/2021/10/02/news/-io-tradizionalista-dico-che-sulla-messa-in-latino-papa-francesco-ha-ragione–3063112/

Chi sono gli 007 che “spiano” la Meloni

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Chi sa leggere tra le righe, capirà cosa il prossimo premier dovrà fare, perché le fonti di intelligence dell’autore sono reali. Sottolineiamo il “dovrà” perché almeno dalla crisi economica del 2008 ogni Presidente del Consiglio dell’Unione Europea deve obbedire all’agenda sovranazionale. Non esiste movimento che si presenti alle elezioni ed ottenga risultati, che possa fermarla, se non “la mano di Dio”. Tutto il resto è propaganda. (.n.d.r.)

 

Missione: “ritorno al futuro”. All’estero, Giorgia premier non lascia indifferenti: entusiasma, inquieta, incuriosisce. Per questo le più influenti intelligence – dalla Cia americana all’inglese MI6 fino alla Siaz, la struttura dei servizi russi che risponde direttamente al presidente Putin e perfino i cinesi del Guojia – sono in Italia in “visita turistica”, in attesa delle elezioni politiche che in prospettiva potrebbero anche terremotare il placido Quirinale di Sergio Mattarella.

L’obiettivo è monitorare innanzitutto Fratelli d’Italia e quei partiti e quei candidati che gravitano nelle zone sensibili dove sono presenti le basi Nato, da Aviano a Sigonella, o nelle piattaforme di trasmissione dati di Tim Sparkle di Catania e di Crotone.

Ma ad analizzare gli orientamenti per capire lo scenario in Italia dopo il 25 settembre ci sono anche i cosiddetti “Centri per le strategie preliminari”, la cui esistenza è nota solo a pochi, e che Cossiga non esisterebbe a definirli la versione “millennial” della nostra Gladio, l’organizzazione paramilitare clandestina aderente a ‘Stay behind’, messa su negli anni ‘50 per prevenire eventuali attacchi sovietici. Si tratta di strutture ascose, sovranazionali e presenti in città strategiche del mondo, tra cui Washington, Mosca, Pechino, Gerusalemme, Teheran, Edimburgo, Berlino. I nostri Servizi, dal Dis all’Aise, da anni cercano di saperne di più.

Creare stati d’emergenza

All’interno di queste unità, personale altamente qualificato (militari, scienziati, economisti, politologi, religiosi, imprenditori, informatici, ecc.) raccoglie informazioni, le analizza e stila strategie per i governi, in stretto coordinamento con vari deep state, grazie anche all’utilizzo di tecnologia avanzata, con potenti server forse già in parte beneficiati dai traguardi della ricerca quantistica. Le loro analisi certificano un sistema di gestione globale (finanziario, politico, sociale, tecnologico) al collasso, non più capace di produrre risultati, quindi da sostituire con un vero e proprio cambio totale di paradigma. Ma come e a quale prezzo? Gli ingredienti sembrano quelli delle teorie definite complottiste: nelle visioni finora trapelate, ancora molto teoriche, si dice infatti che bisogna rompere le regole del “contratto”, creando degli “stati di emergenza”. Ed ecco che, in uno scenario distopico, pandemie, carestie e guerre possono diventare le cause migliori per orchestrare manovre “speciali”.

Il “Great reset”

Già Karl Schwab, patron del forum economico di Davos, come anche il principe Carlo d’Inghilterra, tra gli altri, hanno parlato del “Great reset” e di come realizzarlo attraverso una nuova infrastruttura globale politica, economica, sociale, tecnologica, persino religiosa. Le analisi descrivono la creazione di una piattaforma unica di Stati democratici occidentali (Usa, Europa, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Giappone e di tutti quelli che vi vorranno aderire) con una sola governance compatta a dettare la linea. Senza farneticare, già Papa Bergoglio, nell’enciclica Laudato sí, evidenzia che “è arrivato il momento di costituire un organismo globale che abbia potere economico e politico sui singoli Stati”. Sempre Francesco ha parlato della proprietà privata come di un bene non più indispensabile e ha auspicato un reddito universale per tutti gli abitanti della terra. E ancora: togliere il cash per combattere l’evasione fiscale, il terrorismo e la criminalità e rendere tutto digitale; sì a una valuta digitale unica con cui controllare tutto e tutti e contribuire al progetto di globalizzazione e interconnessione. Le criptovalute private saranno bandite come già stanno facendo alcuni Stati, Cina in testa, dove si ritiene più funzionale controllare e contribuire al processo di globalizzazione, rendendo tutto e tutti interconnessi, manipolabili e orientati dagli algoritmi. Del resto, come si è visto su Raiuno, nel servizio dalla Cina di Marco Clementi per l’innovativa trasmissione “Codice”, le prove generali sono già in corso nella città di Chongqing. D’altro canto, Microsoft ha già preparato la sua valuta digitale così come Amazon, che tra l’altro, con il recente acquisto del robot per le pulizie domestiche Rumba, acquisirà anche le mappe delle nostre case e accelererà i pagamenti biometrici con la semplice scansione del palmo della mano. Con buona pace della nostra privacy.

Esecutori in Italia

Mario Draghi è ancora considerato il diligente esecutore di questa agenda ed il Pd il partito prescelto per eseguire il programma in Italia ma, a parte il Governatore Bonaccini in Emilia-Romagna con il suo Tecnopolo che ospita il Supercomputer europeo, il Nazareno di Enrico Letta naviga nell’inconsapevolezza più totale. Ormai i singoli Paesi contano sempre di meno, non hanno futuro, così come la politica parlamentare: si segue solo un’agenda sovranazionale, cioè globale, come quella Onu 2030.

Ma se in Italia dovesse vincere la destra, come riuscirà questo nuovo sistema orwelliano a rimanere a galla? Una cosa è certa: questa volta, per dirla con Sorrentino, ci vorrà davvero la ‘mano di Dio’ per sistemare le cose. Ed il piccolo mondo antico italiano, con le sue camarille, appare sempre più anacronistico e, nonostante Super Mario Draghi, ancora non si riesce neppure a fare una rete unica. Se il possibile non lo stiamo facendo, almeno per i miracoli di solito sappiamo attrezzarci.

Luigi Bisignani, Il Tempo 14 agosto 2022

Bergoglio e la comunione dei santi

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di Gianfranco Amato

Durante l’udienza generale del 2 febbraio 2022, tenuta in Vaticano, un brivido è passato lungo la schiena di molti partecipanti nell’udire alcune parole pronunciate da Bergoglio. Quest’ultimo aveva scelto di svolgere una una catechesi su San Giuseppe. Il tema era in particolare quello su San Giuseppe e la comunione dei santi. Fin qui niente di male. Il punto è che, dopo un lungo preambolo di un livello teologico particolarmente basso – si è persino spiegato che la comunione dei santi non riguarda i santi che fanno la comunione – lo stesso Bergoglio si è incartato su una questione dottrinale non da poco.

Utilizzando sempre il metodo del cosiddetto “linguaggio semplice”, il papa argentino ha posto a se stesso una domanda retorica, parlando in terza persona: «Padre, pensiamo a coloro che hanno rinnegato la fede, che sono degli apostati, che sono i persecutori della Chiesa, che hanno rinnegato il loro battesimo: anche questi sono a casa?». Risposta di Bergoglio: «Sì, anche questi, anche i bestemmiatori, tutti. Siamo fratelli: questa è la comunione dei santi». Apprendiamo, quindi, che anche il sedicente cantante Achille Lauro, dopo l’ennesima performance blasfema al Festival di San Remo, farebbe parte della comunione dei santi.

Ora, sappiamo ormai da anni che la teologia non è il piatto forte di Bergoglio, ma i fedeli cattolici avrebbero diritto ad un papa che quantomeno conoscesse il Catechismo sul quale dice di aver studiato da bambino, ovvero quello di un Papa santo: Pio X. Anche il papa Giuseppe Sarto amava formulare le domande, e infatti il suo Catechismo era strutturato in forma dialogica con domande e risposte.

Vediamo, quindi, che cosa ha studiato l’attuale pontefice da bambino. Domanda 224: «Chi sono quelli che non appartengono alla comunione dei santi?». Risposta: «Non appartengono alla comunione dei santi nell’altra vita i dannati ed in questa coloro che si trovano fuori della vera Chiesa». Domanda 225: «Chi sono quelli che si trovano fuori della vera Chiesa?». Risposta: «Si trovano fuori della vera Chiesa gli infedeli, gli ebrei, gli eretici, gli apostati, gli scismatici e gli scomunicati». Risulta abbastanza chiaro anche, appunto, ad un bambino.

Non è che il Concilio Vaticano II abbia abrogato questa verità di fede. Del resto, anche il catechismo ratzingeriano del 1992, pur utilizzando termini più dotti e aulici, ribadisce il concetto. Al punto 948, infatti, spiega che  «il termine “comunione dei santi” ha due significati, strettamente legati: comunione alle cose sante (sancta) e comunione tra le persone sante (sancti)». Per evitare che personaggi improbabili possano venire annoverate tra i santi – come ha fatto Bergoglio ­– lo stesso catechismo precisa che i fedeli che si considerano «sancti» sono solo coloro «che si nutrono del Corpo e del Sangue di Cristo (sancta) per crescere nella comunione dello Spirito Santo (Koinonia) e comunicarla al mondo». Difficile fare rientrare in questa categoria anche «apostati, persecutori della Chiesa, rinnegatori del battesimo e bestemmiatori».

Resta da comprendere quali siano i veri motivi che spingono quello che viene ritenuto l’attuale capo della Chiesa cattolica a disorientare i fedeli. Si tratta di semplice ignoranza teologica o vi è il preciso intento di scardinare il depositum fidei, il Magistero e la Tradizione? Come diceva il grande giurista romano Aulio Gellio nella sua opera Notti Attiche, «veritas filia temporis», la verità è figlia del tempo. Non resta che attendere, registrando per ora lo sconcerto e lo scuotimento della fede non solo da parte di tanti laici ma anche di sempre più numerosi sacerdoti e religiosi.

La catechesi di Bergoglio nella citata udienza generale del 2 febbraio 2022 è stata interrotta da un imprevisto fuoriprogramma. Uno dei partecipanti, un uomo evidentemente alterato, si è messo ad urlare in inglese: «Questa non è la Chiesa di Dio». È stato ovviamente accompagnato fuori dai gendarmi vaticani, ai quali il contestatore non ha opposto nessuna resistenza. L’episodio è stato liquidato come incidente dovuto ad uno squilibrato. Forse lo era davvero. O forse no.

Il principio di autorità: davvero chi non è in comunione con Bergoglio è fuori dalla Chiesa?

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Pubblichiamo questo articolo di don Francesco Ricossa perché riteniamo che quanto scrive possa essere un’utile, esaustiva risposta a tutti coloro che, in buona o in cattiva fede, accusano chi non è in comunione coi “papi conciliari” di essere fuori dalla Chiesa. L’ironia e la sagacia sono particolarmente apprezzati. (N.d.R.)

Fonte: https://www.aldomariavalli.it/2022/01/08/il-principio-di-autorita-la-botte-piena-e-la-moglie-ubriaca-una-risposta-di-don-ricossa/

Cari amici di Duc in altum, ieri ho pubblicato la lettera di un lettore che mi critica perché ho ospitato nel blog un intervento di don Francesco Ricossa, superiore dell’Istituto Mater Boni Consilii. Poiché l’Istituto – questa la tesi del lettore – non riconosce Francesco come papa, esso si pone fuori dalla Chiesa cattolica e, di conseguenza, non può intervenire su questioni cattoliche. Al lettore ho risposto che non guardo alle etichette appiccicate sopra le persone, ma alle idee sostenute e all’amore nella ricerca della verità. E oggi, con un efficace ricorso all’ironia, risponde lo stesso don Ricossa.  

***

di don Francesco Ricossa

Caro Valli,

come lei sa, mi aveva chiesto un commento all’articolo di The Wanderer (La confessione di Pietro e un “dubium” teologico), commento che lei ha gentilmente pubblicato sul suo blog con il titolo A quali condizioni Pietro è veramente roccia. Ora vedo la sua risposta alla lettera di un suo lettore, che critica la pubblicazione del mio intervento in quanto lei avrebbe affidato il commento al dubbio di The Wanderer a una persona che “si pone al di fuori della Chiesa cattolica”.

Il suo lettore, per la verità, non entra e si rifiuta di entrare nel merito della questione (“non entro nel merito del contenuto dell’articolo”); infatti egli non solo rifiuta di esaminare quanto da me sostenuto, ma persino quanto scritto da The Wanderer (che giunge al punto di dubitare che J. M. Bergoglio creda alla divinità di Cristo): un “non cattolico”, quale sarei io, non avrebbe diritto di trattare di questioni interne alla Chiesa cattolica e “non ha alcun senso dibattere con lui e chiedere il suo parere circa un problema che riguarda specificamente la teologia cattolica”.

In proposito le invio queste poche righe, evitando di trattare degli altri argomenti sollevati dal suo interlocutore, che non mi concernono.

Per quel che mi riguarda, mi preme rendere qui testimonianza della mia Fede cattolica e del mio amore per la Chiesa, nella quale sono nato, vivo e intendo morire. Nel ricevere gli ordini sacri, ho prestato come prescritto il giuramento antimodernista, e professato solennemente la professione di Fede del Concilio di Trento e del Concilio Vaticano che la Chiesa richiede agli ordinandi. Credo e professo ogni singolo articolo di questa professione di Fede, aborrisco ogni errore ad essa contrario, e se avessi errato in qualunque mio scritto o affermazione contro l’insegnamento della Chiesa ritratto fin d’ora qualunque proposizione contraria a questo insegnamento.

Poiché suppongo che questa mia professione di fede non convincerà il suo lettore, mi voglio porre tuttavia dal suo punto di vista, dal punto di vista cioè di colui che riconosce J. M. Bergoglio come il legittimo Pontefice della Chiesa cattolica, Vicario di Cristo e Successore di Pietro. È questo infatti il motivo per cui il suo interlocutore non mi considera cattolico – pur esponendo in maniera confusa se non errata il mio pensiero (“il soglio di Pietro sarebbe, secondo i sedeprivazionisti, occupato formalmente ma non sostanzialmente, il che vuol dire che di fatto Papa Francesco non sarebbe Papa”; non conosco i sedeprivazionisti e, quanto a padre Guérard des Lauriers o.p., la sua tesi teologica sostiene che Paolo VI e successori occupano materialmente ma non formalmente la Sede di Pietro).

Mettendomi, come detto, nei panni del suo interlocutore, nei panni cioè di coloro che riconoscono senza difficoltà alcuna in J. M. Bergoglio la roccia su cui è edificata la Chiesa di Cristo, mi permetto di far notare quanto segue.

Sono entrato nella Chiesa cattolica il giorno dopo la mia nascita, con il Santo Battesimo (era il 1958). Da allora, come detto, non ho mai dubitato o negato alcuna verità rivelata e che la Santa Chiesa propone a credere (il suo lettore non ne cita neppure una, d’altronde), né ho aderito ad altra confessione religiosa, né sono incorso in alcuna censura di scomunica che avrebbe potuto separarmi dalla Chiesa. Il suo lettore obietterà che sono incorso in una scomunica latae sententiae o ipso facto per non essere in comunione con Papa Francesco, ma a questo proposito non c’è stata finora alcuna sentenza di condanna o anche solo di notificazione dell’essere incorso in detta censura. Se anche essa fosse in futuro comminata, ci sarebbe da chiedersi quale ne sarebbe il valore, provenendo da una autorità che è sospettata persino di non credere pubblicamente nella divinità di Cristo (non sono io che lo affermo, ma l’articolo di The Wanderer, che non ha suscitato nel suo lettore una reazione ostile).

Mettiamo comunque che il suo lettore abbia ragione e che, per motivo di scisma (non essendo in comunione con “Papa Francesco”), mi sarei escluso dalla Chiesa cattolica. In questo caso (dato e non concesso), sarei, secondo il Sacrosanto Concilio Vaticano II, costituzione dogmatica Lumen Gentium, in comunione imperfetta con la Chiesa cattolica, in virtù del valido battesimo, e ancor più della valida celebrazione della Eucarestia (o il suo interlocutore non riconosce il Vaticano II?). A questi “fratelli separati”, in comunione imperfetta con la Chiesa cattolica, il suo interlocutore proibisce di poter intervenire su questioni riguardanti la teologia cattolica, e a lei di ospitare i loro scritti (senza necessariamente condividerli, d’altronde, visto che molti autori da lei pubblicati difendono altre opinioni). L’opinione del suo lettore mi sembra legata a una disciplina preconciliare, in opposizione al magistero e alla disciplina della Chiesa conciliare (o forse il lettore rigetta l’uno e l’altra?). Mi limiterò ad alcuni esempi.

Durante il Concilio Vaticano II numerosi teologi, questi sì certamente acattolici, furono invitati ufficialmente a partecipare come osservatori all’assise conciliare. È vero che non avevano diritto di parola e di voto, ma è anche vero che collaborarono attivamente all’elaborazione degli schemi conciliari poi votati dai Padri, soprattutto in tema di ecumenismo e libertà religiosa. In materia di dialogo interreligioso (dichiarazione Nostra aetate) la collaborazione con il segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani istituito nel 1960 da San Giovanni XXIII e allora presieduto dal cardinal Bea si estese anche ai non cristiani, in primis lo storico Jules Marx Isaac, appartenente ai B’nai B’rith, che per primo richiese la stesura di un tale documento. La Curia romana comprende attualmente un Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani (erede del segretariato di cui sopra), un Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso (ex segretariato per i non cristiani) e un Pontificio consiglio per la cultura, erede del Pontificio consiglio per il dialogo con i non credenti (istituito da san Paolo VI nel 1965). Il suo interlocutore sembra legato a forme ormai superate dalle decisioni conciliari, come i metodi del Sant’Uffizio, soppresso da san Paolo VI nel 1965 e sostituito dalla Congregazione per la dottrina della fede. La stagione ecumenica e interreligiosa ha portato a una intensa collaborazione dottrinale con i non cattolici, i non cristiani e i non credenti, con risultati concreti come i documenti congiunti sottoscritti da cattolici e non cattolici: mi limiterò a citare la dichiarazione congiunta cattolico-luterana sulla giustificazione, oppure la cosiddetta dichiarazione di Abu Dhabi sottoscritta da Sua Santità Papa Francesco e dal Gran Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb nel 2019.

Se anche fossi non cattolico, non sono stato solennemente anatemizzato da Papa Leone X e dal Concilio di Trento come lo fu Martin Lutero; eppure Sua Santità Papa Francesco ha accolto ben due volte i pellegrini luterani in Vaticano, affiancato da una statua dell’eresiarca sassone, e la seconda volta anche tenendo sullo sfondo i ritratti congiunti di Sua Santità e di Lutero, incoraggiato in questo gesto innovativo dalle dichiarazioni dei suoi Santi predecessori: “Oggi vengo io a voi, all’eredità spirituale di Martin Lutero; vengo da pellegrino” (discorso di Giovanni Paolo II al Consiglio della Chiesa evangelica di Germania, Magonza, 17 novembre 1980). “Il pensiero di Lutero, l’intera sua spiritualità era del tutto cristocentrica” (discorso di Benedetto XVI al Consiglio della Chiesa evangelica di Germania, Erfurt, 23 settembre 2011). Se “Papa Francesco” ha affiancato il proprio ritratto a quello di Lutero, non vedo perché, caro Valli, lei non potrebbe pubblicare una letterina di don Ricossa (senza sua fotografia).

Lo stesso rito della Messa (unica espressione del rito romano come rammentato nel motu proprio Traditionis custodes), promulgato da san Paolo VI nel 1969, fu il frutto di una attiva collaborazione ecumenica tra liturgisti cattolici e protestanti, e quindi non cattolici; mi spiace al proposito che la ferrea fedeltà del suo lettore al Santo Padre sia incrinata dal suo suggerimento di criticare detto motu proprio. Terminerò infine (giacché promisi brevità) con una citazione dell’enciclica Ut unum sint di san Giovanni Paolo II, nella quale il santo pontefice richiedeva il contributo dei non cattolici per rivedere in senso ecumenico il concetto del primato petrino.

Di fronte a così tante, autorevoli e persino sante autorità, come può il suo lettore restare ancorato a una visione integralista e sorpassata dei rapporti tra cattolici e non cattolici? Non si può volere “la botte piena e la moglie ubriaca” (per far uso di un volgare proverbio popolare): riconoscere cioè l’autorità dei “Papi conciliari” per accreditarsi come cattolici, senza accettarne il magistero: si tratterebbe di un riconoscimento fittizio e punto sincero, come rammenta proprio J. M. Bergoglio in Traditionis custodes.

Naturalmente, caro Valli, ho fatto uso dell’ironia (non vorrei che qualcuno mi attribuisse un’adesione al pensiero conciliare da Paolo Vi a oggi!); non me ne voglia neppure il lettore che ha obiettato alla pubblicazione della mia letterina precedente. Se gli farà leggere queste mie righe, sappia che comprendo il suo attaccamento al principio di autorità, come comprendo che la situazione attuale generi tanta confusione in chi desidera conservare la Fede.

 

Usa: sdoganato l’aborto, “salta” l’obiezione di coscienza

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Segnalazione Corrispondenza Romana

di Mauro Faverzani

Quanto accaduto a fine ottobre in Vaticano ha lasciato il segno. E non poteva essere altrimenti. Il fatto che, dopo l’incontro avuto, papa Francesco si sia detto felice che il presidente americano Biden «sia un buon cattolico» ed abbia dichiarato ch’egli debba «continuare a ricevere la Comunione», secondo quanto dichiarato dall’interessato, pur in assenza di conferme dirette da parte del Vaticano, non può passare sotto silenzio. Il fatto che, come riferito dall’agenzia Associated Press, l’attuale inquilino della Casa Bianca con le sue idee filoabortiste abbia ricevuto nonostante tutto, come tutti gli altri fedeli, la Santa Comunione nel corso di una Messa, celebrata presso la chiesa di St. Patrick, a Roma, vuole essere – ed è! – un segno molto chiaro. Il cui primo, triste frutto è stato l’atteso testo generale sul Mistero dell’Eucaristia nella vita della Chiesa, approvato dai Vescovi statunitensi al termine della loro assemblea autunnale, svoltasi dal 15 al 18 novembre scorsi a Baltimora, con ben 222 voti favorevoli, solo 8 contrari e 3 astensioni. Nel documento, proposto un anno fa per ribadire quel che la Dottrina cattolica dice a chi, anche se presidente, pur dichiarandosi cattolico, si opponga agli insegnamenti della Chiesa promuovendo aborto e gender, è improvvisamente sparito qualsiasi riferimento al fatto di negare a lui o a chiunque altro la Santa Comunione, ricordando soltanto ai fedeli, che rivestano cariche pubbliche e che occupino posizioni d’autorità, come essi abbiano «una speciale responsabilità» nel dover rispettare la legge della Chiesa. Tutto qui. Nessuna condanna, nessun provvedimento, nessuna restrizione.

Del resto, era già tutto contenuto nella lettera inviata nel maggio scorso dal Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, card. Louis Ladaria, al presidente della Conferenza episcopale americana, l’arcivescovo di Los Angeles José Gomez. In essa si invitava espressamente al dialogo, raccomandando di evitare che «la formulazione di una politica nazionale» su di una questione «potenzialmente controversa» (sic!)possa diventare «fonte di discordia piuttosto che di unità all’interno dell’episcopato e della più grande Chiesa negli Stati Uniti». Per poi concludere, specificando come ogni discussione in merito debba «essere contestualizzata nella più ampia cornice della dignità di ricevere la Comunione da parte di tutti i fedeli, anziché da parte di una sola categoria di cattolici», ritenendo il documento dei Vescovi Usa, allora in fase ancora embrionale, «fuorviante se desse l’impressione che l’aborto e l’eutanasia costituissero da soli le uniche questioni gravi dell’insegnamento morale e sociale cattolico, che richiedono l’intervento della Chiesa».

Dunque, «Roma locuta, causa soluta»? No, certo! Biden e le lobby abortiste, che lo hanno sostenuto durante la campagna elettorale, non considerano questo un punto di arrivo, bensì solo un punto di partenza. Intendono anzi “capitalizzare” il via libera vaticano, per rilanciare. Ed ecco l’Ufficio per i Diritti Civili ed il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani lanciati in una nuova sfida: cancellare i provvedimenti dell’amministrazione Trump, in particolare l’Rfra-Religious Freedom Restoration Act, e costringere così i medici e le cliniche cattolici a praticare aborti ed interventi di transizione di genere. Grazie ai documenti giudiziari ottenuti, la Catholic Benefits Association ha dimostrato una stretta relazione sussistente tra il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani americano e numerose organizzazioni attiviste di Sinistra, come la Leadership Conference on Civil and Human Rights.

L’eventuale prevalere della linea Biden ammazzerebbe il diritto a qualsiasi obiezione di coscienza, nonché l’autonomia della Sanità cattolica (e non solo). Se ad un posto in una clinica cattolica ambisse un medico abortista, questi dovrebbe essere comunque assunto, benché in chiaro contrasto coi principi etici della struttura.

Non solo. L’amministrazione Biden starebbe introducendo anche il “diritto” dei single socialmente infertili e delle coppie Lgbt a ricevere trattamenti di fertilità, per poter comunque “avere figli”. Una novità subito ben accolta dall’industria sanitaria, che vede in ciò l’occasione per nuovi, insperati business, per quanto disumani. La strategia è quella di giungervi grazie alle sentenze dei tribunali, bypassando così anche gli eventuali ostacoli resi possibili da un dibattito in sede di Congresso. È, questa, la democrazia “fai-da-te”, che si costruisce e si smonta a piacimento, a seconda di dove portino gli interessi di bottega e di lobby. Non va dimenticato come della squadra di Biden facciano parte anche numerose altre sigle di Sinistra quali l’Aclu, gli Atei americani, l’Anti-Defamation League, la Human Right Campaign, il Southern Poverty Law CenterPlanned Parenthood ed il Center for American Progress, da sempre ontologicamente ostili alla presenza cattolica.

Sarebbe buona cosa che chi ha posto le premesse della rivoluzione in atto riflettesse, almeno ora, sulle conseguenze…

Greta canta “Bella Ciao”. La paladina green alza bandiera rossa

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di Redazione www.nicolaporro.it 

Fa un certo effetto sapere che la quasi totalità dei leader mondiali continui a prostrarsi di fronte a una ragazzina svedese che canta e balla sulle note di “Bella Ciao”. Sì, perché ci fa capire, oltre ogni ragionevole dubbio, in che direzione sta andando il mondo. Quale sarà, volenti o nolenti, il nostro futuro. Non ci credete? Guardate questo video in cui Greta e i suoi adepti si divertono mentre in sottofondo si innalza potente il canto della Resistenza. 

Video Player alla fonte
sistema capitalistico

Pensate forse che quello di Milano possa essere un episodio isolato? Che Greta sia stata in qualche modo contagiata dall’aria rossa della città meneghina? Tutt’altro. Ecco un altro video, risalente a due anni fa, in cui la Thunberg e “compagni” cantano un inno ambientalista a Torino utilizzando, ancora una volta, la base melodica di “Bella Ciao”.

#GretaThunberg DAL PALCO DI TORINO GRETA THUNBERG CANTA BELLA CIAO

Questo il testo integrale della canzone cantata dagli attivisti green o, per meglio dire, red:

We need to wake up
We need to wise up
We need to open our eyes
And do it now now now
We need to build a better future
And we need to start right now

We’re on a planet
That has a problem
We’ve got to solve it, get involved
And do it now now now
We need to build a better future
And we need to start right now

Make it greener
Make it cleaner
Make it last, make it fast
and do it now now now
We need to build a better future
And we need to start right now

No point in waiting
Or hesitating
We must get wise, take no more lies
And do it now now now
We need to build a better future
And we need to start right now

“Dobbiamo costruire un futuro migliore”. Questo il succo della canzone. E in effetti questa è sempre stata l’utopia delle ideologie di stampo marxista. L’arrogante pretesa di sapere quale sia il futuro migliore per tutti. E ancora: “La Terra ha un problema, dobbiamo risolverlo”. La lotta per il clima è l’odierna lotta di classe. E chi la pensa diversamente diventa l’equivalente del vecchio borghese.

E’ inutile che ci prendano in giro. L’ambientalismo declinato in questa maniera, non è nient’altro che un mezzo politico molto furbo per attaccare il fondamento dell’odierna società occidentale: il sistema capitalistico. Anche perché, se così non fosse, i paladini dell’ambiente eviterebbero di utilizzare simboli politici divisivi, come appunto Bella Ciao. E magari potrebbero concentrarsi sull’andare a protestare là dove serve davvero, come ad esempio in Cina, paese in cui l’inquinamento negli ultimi anni è aumentato molto più che all’Ovest.

L’aspetto più preoccupante, però, è che queste sono le nuove leve. Sono coloro che vengono incoraggiati da Papa Francesco. Sono quelli al cospetto dei quali il nostro premier Mario Draghi e il nostro ministro Cingolani si cospargono il capo di cenere, e magari fossero solo loro. Sono i volti puliti che servono alla sinistra mondiale per portare avanti le narrazioni utili alla causa politica e che vengono quindi spinti da tutti i media mainstream.

Ma noi la verità la conosciamo: cambiano i tempi, cambiano i mezzi e i messaggi, ma non gli uomini e i loro obiettivi. Inutile prendersela con Greta e i ragazzi. Il problema è chi c’è dietro. Chi, sconfitto innumerevoli volte dalla storia, ha purtroppo ancora in mano il potere di scriverla. E prova a farlo con mezzi molto più subdoli rispetto al passato. In questo aveva ragione da vendere Berlusconi. Sono ancora, oggi, come sempre, dei poveri comunisti!

Altro che Fridays 4 Future, pray 4 future…

Fonte e Video: https://www.nicolaporro.it/greta-canta-bella-ciao-la-paladina-green-alza-bandiera-rossa/

“Traditionis Custodes “: comunicato dell’Istituto Mater Boni Consilii

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Segnalazione del Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza

Comunicato dell’Istituto Mater Boni Consilii sul “Motu Proprio” Traditionis Custodes   

Come tutti sanno, il 16 luglio 2021 è stata pubblicata la “lettera apostolica sotto forma di motu proprio” Traditionis custodes accompagnata da una lettera dell’attuale occupante della Sede Apostolica ai suoi Vescovi (i “custodi della Tradizione” di cui sopra) con la quale – con inusuale fretta, promulgando immediatamente il documento con la sola pubblicazione sull’Osservatore Romano – vengono revocate le concessioni fatte dal suo predecessore con il “motu proprio” Summorum Pontificum cura del 7 luglio 2007.

A proposito di questo nuovo “motu proprio” valgono da parte nostra le riflessioni e le conclusioni già da noi espresse in occasione del precedente ora parzialmente revocato:  https://www.sodalitium.biz/comunicato-riflessioni-sul-motu-summorum-pontificum-2/

I due documenti sono in evidente opposizione, e forse non solo nelle scelte pastorali (uno revoca le concessioni dell’altro) ma anche su di una questione di principio: sapere cioè se il Rito Romano avrebbe due forme liturgiche (quella ordinaria e quelle straordinaria, per utilizzare l’espressione del documento del 2007) o se la sua unica espressione è quella del rito riformato (come afferma l’attuale documento riprendendo le dichiarazioni di Paolo VI nel concistoro del 24 maggio 1976).

Essi hanno tuttavia un fondamentale punto comune:

sia il m.p. Summorum Pontificum sia il m.p. Traditionis custodes impongono a chi utilizzasse il messale romano del 1962 (di Giovanni XXIII) il riconoscimento della legittimità, della validità e della santità della riforma liturgica in applicazione del Concilio Vaticano II. Su questo punto i due documenti differiscono solo in questo: il m. p. del 2007 presume l’accettazione del Concilio e della Riforma liturgica da parte di chi si avvarrà delle sue concessioni, mentre il m. p. del 2021 revoca dette concessioni perché pretende constatare una diffusa non accettazione di quanto sopra.

Ora, di due cose l’una: o coloro che si avvalgono del messale romano (del 1962) riconoscono l’autorità degli occupanti della Sede Apostolica dal 1965 in poi, e conseguentemente la legittimità, la validità e la santità del messale riformato, ed il valore magisteriale dei documenti del Vaticano II, oppure no.

Nel primo caso, non si vede perché essi provino delle difficoltà a celebrare con il rito riformato, o ad assistere al medesimo, in spirito d’obbedienza a colui che reputano essere Vicario di Cristo e Successore di Pietro, il quale ha tra l’altro espresso il voto che tutti finiscano con l’adottare il messale di Paolo VI: un rito della Chiesa, promulgato dall’autorità della Chiesa, d’altronde, non può essere che legittimo, valido e santo. Nel secondo caso, il m.p. Traditionis custodes avrebbe ragione in questo (l’inconciliabilità dei due riti) ed i sacerdoti e fedeli alla tradizione cattolica dovrebbero coerentemente rifiutare ogni concessione fondata sull’accettazione del Vaticano II e dei nuovi riti, e non dovrebbero avvalersi dei due motu proprio, né quello del 2007 né quello attuale.

Ora, il nuovo rito della messa (e dei sacramenti) è stato redatto esplicitamente nello spirito del movimento ecumenista avallato dal Vaticano II: si propone cioè non di difendere le verità della Fede, specie il sacrificio della Messa, il sacerdozio, la Transustanziazione, quanto piuttosto di andare incontro a chi queste verità di fede rigetta, al seguito di Martin Lutero (l’eresiarca omaggiato dagli ultimi occupanti della Sede Apostolica, in particolare dall’autore di Traditionis custodes); non può quindi essere un rito della Chiesa, né pertanto venire da una legittima autorità della Chiesa.

Insomma: la chiave di tutto consiste nel riconoscere la legittimità di Paolo VI che ha promulgato la “costituzione apostolica” Missale romanum, riconosciuta la quale (come fa la stessa Fraternità San Pio X, beneficiata come mai prima, paradossalmente, proprio dall’autore di Traditionis custodes) ne segue inevitabilmente il dover riconoscere la legittimità, la validità e la santità della riforma liturgica nel suo insieme, e la necessità, al di là delle astuzie dei canonisti, di uniformarsi alle disposizioni del m. p. Traditionis custodes.

In base a queste considerazioni, concludiamo:

  • Il m. p. Traditionis custodes – come pure il m. p. Summorum Pontificum e la “costituzione apostolica” Missale Romanum non sono un documento della Chiesa. Non si deve loro pertanto obbedienza o disobbedienza, né devono essere aggirati, ma ignorati.
  • Il m. p. Traditionis custodes, pur non essendo espressione del diritto e della dottrina della Chiesa, è però insigne testimonianza dell’avversione profonda dei neo-modernisti e degli ecumenisti filo-luterani contro la liturgia immemoriale della Chiesa Romana, manifestando così l’incompatibilità dei due riti: i riformatori vogliono far scomparire il rito cattolico, i cattolici devono ottenere da Dio e da un legittimo Pontefice che quello riformato sia cacciato dalle nostre chiese e dai nostri altari.
  • “Non si può servire a due padroni”. Il m. p. Traditionis custodes conferma l’impossibilità di essere e di celebrare in comunione con colui che ha come scopo dichiarato la soppressione della messa e dei sacramenti della Chiesa.
  • “Non si può servire a due padroni”. Il m. p. Traditionis custodes potrà avere l’involontario benefico effetto di aprire gli occhi ai dubbiosi, e di far cessare delle celebrazioni “tradizionali” spesso dubbiosamente valide e comunque sempre oggettivamente ingannatrici dato il presupposto dell’accettazione del Vaticano II e della riforma liturgica.
  • I sacerdoti dell’Istituto Mater Boni Consilii continueranno pertanto tranquillamente a celebrare il Santo Sacrificio della Messa e ad amministrare i santi Sacramenti senza essere in comunione con gli occupanti materiali ma non formali della Sede Apostolica, seguendo i venerati libri liturgici della Chiesa Cattolica Romana promulgati da Papa San Pio V e dai suoi successori, e secondo le rubriche di San Pio X.

Verrua Savoia, 21 luglio 2021.

Omelia del 18 luglio 2021 sul medesimo argomento:

 

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