Cari lettori, il documento che trovate nella pagina precedente, la “Lettera ai fedeli”, è stato scritto vent’anni fa, quando fu inaugurata la Casa San Pio X dell’Istituto Mater Boni Consilii, che festeggia dunque il suo ventennale.
In questi ultimi vent’anni la situazione nella Chiesa è ulteriormente peggiorata, con gravi conseguenze anche nella società, come ammonisce il Vangelo: “Voi siete il sale della terra; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli si renderà il sapore? A null’altro serve che ad essere gettato via e ad essere calpestato dagli uomini”. Gli uomini del modernismo hanno calpestato Cristo e la Sua Chiesa e, malgrado il maldestro tentativo di guadagnare la simpatia del mondo (tema tanto caro a Paolo VI), è cresciuto il disprezzo generale nei confronti di questi servi infedeli.
Sessant’anni dopo l’inizio del Concilio Vaticano II, la religione cattolica non è più presente nell’insegnamento, nei riti e nella disciplina dei modernisti, poiché essi diffondono un’altra religione o, più precisamente, l’assenza della religione stessa. In effetti sotto il loro sentimento religioso si nasconde una vera e propria forma di ateismo, l’estrema conseguenza dell’eresia modernista, come ammoniva all’inizio del ‘900 san Pio X (purtroppo inascoltato dagli opportunisti della sua epoca). Del resto se credessero davvero nella rivelazione divina, come potrebbero fare e dire quello che fanno e dicono? La loro “divinità” è nient’altro che la povera umanità sedotta dalla tentazione luciferina dell’orgoglio e della disobbedienza: “sarete come Dio”.
Anche le persone più semplici possono constatare la perdita della fede dall’architettura delle nuove chiese: l’assenza della verità ha provocato l’assenza della bellezza (intesa secondo l’insegnamento di san Tommaso: integrità, armonia e splendore), lasciando spazio allo squallore più tetro, dove gesticolano tristi personaggi nel corso di squallide liturgie.
Le conseguenze nell’ambito della morale sono inevitabili: se si accettano le dottrine erronee del modernismo, perché si dovrebbe rimanere cattolici in determinati comportamenti umani? I peccati che contraddicono la professione di fede sono più gravi dei vizi della carne, e senza l’aiuto della grazia sarebbe illusorio pensare di vivere cristianamente.
La situazione sempre più grave nella Chiesa non ha risparmiato il “tradizionalismo” cattolico. Il rifiuto e il disgusto del modernismo mi spinsero nel 1983 ad entrare nel seminario della Fraternità San Pio X a Ecône – in quell’epoca riferimento quasi obbligato per chi non accettava il Concilio e la “nuova messa” – dove nel 1988 ricevetti l’ordine sacro. Fui chiamato a svolgere il ministero sacerdotale prima in Lorena e poi, per undici anni, al priorato di Spadarolo, alle porte di Rimini. Le riserve nei confronti della Fraternità non mancavano: la presenza di tanti preti e seminaristi “liberali”, la liturgia di Giovanni XXIII, le foto di Giovanni Paolo II nelle sacrestie… Ma l’entusiasmo giovanile faceva andare avanti e soffocare (colpevolmente, molto colpevolmente!) il tormento di coscienza relativo alla disobbedienza abituale a colui che si doveva riconoscere come il papa legittimo.
Le divisioni interne alla Fraternità contribuivano a falsare la coscienza: se la “sinistra” sperava – malgrado i tanti scandali contro la fede – nell’accordo col Vaticano (prima con Giovanni Paolo II e poi con Benedetto XVI), schierarsi con la “destra” anti-accordista, quella dei “puri e duri”, sprezzante nei confronti del “papa eretico”, del “papa massone” (che però citavano ogni giorno al Canone della Messa) sembrava soddisfare l’esigenza di ortodossia.
Entrambe le posizioni si rifacevano (e si rifanno) alla linea di Mons. Marcel Lefebvre che, col suo esasperato pragmatismo, ha sempre cercato di mantenere unite queste due tendenze all’interno della Fraternità per salvare la Fraternità stessa, che progressivamente da mezzo è diventata il fine, un fine da salvare ad ogni costo, anche a discapito della testimonianza della verità minata dai compromessi. I due schieramenti potevano (e possono) giustificare le loro posizioni e alimentare le proprie ambizioni attingendo alle dichiarazioni del fondatore, a volte dai toni più concilianti, altre volte dai toni più oltranzisti, a seconda delle circostanze.
Come ho spiegato nella lettera, queste due posizioni – attualmente rappresentate dalla Fraternità “storica” e dai lefebvrani della cosiddetta “resistenza” nata con Mons. Williamson – erano e sono inaccettabili. Le conseguenze sono davanti agli occhi di tutti. Gli “accordisti” (alcuni per convinzione, altri per rassegnazione) hanno ottenuto una serie di riconoscimenti discreti (per non urtare gli “opposti estremismi” del campo modernista e di quello interno) ma reali. Con i provvedimenti del Vaticano (basta un timbro a trasformare la “Roma modernista” nella “Roma eterna”…) la scomunica è stata tolta (quindi era valida?); le confessioni hanno ottenuto la “giurisdizione” (prima erano invalide?); la facoltà per i matrimoni è stata concessa a patto che sia il parroco “conciliare” a ricevere i consensi degli sposi, col prete FSSPX che si limita a celebrare la Messa; è stata concessa la facoltà di procedere alle ordinazioni sacerdotali anche senza il permesso dell’ordinario della diocesi dove sorgono i seminari; la Fraternità può inoltre ricorrere senza problemi (e senza vergogna) ai tribunali della Roma “modernista”, pardon, “eterna”, per ridurre allo stato laicale alcuni suoi membri.
I risultati di tutto questo? Un certo aumento di fedeli e forse di vocazioni, argomento utilizzato per rassicurare i più perplessi e illuderli di aver portato a casa solo vantaggi. In realtà negli accord le concessioni viaggiano nelle due direzioni, le mani dei modernisti hanno dato molto non senza chiedere qualcosa in cambio. Sarebbe sufficiente l’accettazione della “communicatio in sacris” per le nozze a dimostrare come sia stato imboccata la via del compromesso e della resa.
Il modernismo è arrivato sino alle attuali aberrazioni di Bergoglio – precedute e preparate da quelle di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – eppure la Fraternità è sempre più silenziosa, per non urtare chi è stato così generoso. Le voci pubbliche di dissenso provengono sempre più “dall’interno” dello schieramento ufficiale (la “chiesa alta” rappresentata da prelati come il card. Burke e Mons. Schneider) e sempre meno dalla Fraternità. Certo, non mancano, seppur sporadiche, alcune dichiarazioni di critica, ma per chi conosce bene i meccanismi della politica, sa bene che si può essere al contempo partito di opposizione e di governo, a secondo dei contesti e degli interessi (di opposizione davanti agli irriducibili, di governo nelle stanze romane).
Questo stato di cose ha provocato notevoli dissidi interni alla Fraternità, con la partenza di decine di sacerdoti e di centinaia di fedeli (oltre agli arrivi ci sono anche le partenze), in Europa come nelle Americhe, organizzati nella cosiddetta “resistenza”. Per questa parte di lefebvriani, gli accordi col Vaticano non si devono fare (almeno per oggi, domani si vedrà, poiché si tratta pur sempre del “Santo Padre”), la “Chiesa” e il “Papa” devono convertirsi e “raggiungere la Tradizione” che è salvaguardata solamente nelle chiese lefebvriane (la chiesa intesa come edificio che richiama però le “piccole chiese” scismatiche, come ammoniva nel 2000 l’abbé Michel Simoulin). Ovviamente per i “resistenti” la Sede non è vacante e quindi non bisogna avere nulla a che fare coi “sedevacantisti”. Nella migliore delle ipotesi, la considerano una semplice opinione, per nulla vincolante.
Paradossalmente Mons. Williamson, l’artefice della “resistenza”, negli ultimi anni si è spostato alla sinistra della Fraternità “accordista”, difendendo la validità della “messa nuova” e la partecipazione ad essa (ma non è necessario andare sino in Gran Bretagna per sentire o leggere queste enormità, che fanno rivoltare nella tomba dei sacerdoti come don Francesco Putti, sepolto a Velletri).
Continuando ad analizzare la situazione, il peggioramento negli ultimi 20 anni, è sotto gli occhi di tutti; si vede come la mentalità lefebvriana non abbia colpito solamente il perimetro ufficiale della Fraternità (quella storica e quella della “resistenza”), ma ha contagiato l’intero “tradizionalismo”, dove ormai è assimilata la convinzione che la Sposa di Cristo sia fallibile, in quanto il magistero dei papi conterrebbe degli errori, con buona pace delle promesse di Nostro Signore. Negli ambienti dell’attuale tradizionalismo prosperano personaggi spuntati dal nulla (non è sufficiente la conversione di una persona per abilitarla a formare altre persone: non tutti sono come san Paolo) che oltre all’errore fallibilista diffondono idee (anche nei convegni organizzati dalla Fraternità ai quali sono invitate) estranee o addirittura contrarie al “buon combattimento” di un tempo, aumentando la confusione e minando i principi dei cattolici in buona fede (a volte però troppo curiosi e girovaghi).
Vi è poi il gravissimo problema relativo alla validità dei riti delle nuove consacrazioni episcopali e delle nuove ordinazioni sacerdotali, che determina, come conseguenza inevitabile, un forte dubbio sulla validità delle celebrazioni dell’ex Ecclesia Dei e del Summorum pontificum (che fu accolto col canto del Te Deum dalla Fraternità) e dei sacramenti amministrati in quel contesto. Il gravissimo problema si pone anche per i preti diocesani che celebrano e confessano nei priorati lefebvriani senza essere stati riordinati: fa pena e rabbia pensare alle anime che, pur desiderando rimanere fedeli alla Chiesa, si ritrovano in quelle condizioni. Il ritornello lefebvriano “noi facciamo quello che la Chiesa ha sempre fatto” diventa un’insopportabile stonatura.
Queste mie riflessioni hanno voluto ripercorrere le tappe che hanno portato alla mia decisione, alla luce dello scontro tra la verità cattolica e gli errori del Concilio. Esse probabilmente non saranno gradite a tutti i lettori, ma la verità non si può tacere (conosco dei preti che pur volendo lasciare la Fraternità cambiarono idea proprio per la paura di perdere il consenso di una parte dei fedeli). Il modernismo sa bene che il “tradizionalismo” cattolico, seppur numericamente irrisorio, rappresenta una voce da ridurre al silenzio. Dopo i lunghi anni della persecuzione aperta, durante i quali i sacerdoti e i laici fedeli alla Chiesa hanno subito ogni genere di angherie, è stata scelta la via dell’assimilazione, favorendo il passaggio da un campo all’altro: lo dimostrano la vicende di Alleanza Cattolica e dell’Ecclesia Dei, in particolare della diocesi di Campos.
L’ultima fase a cui stiamo assistendo, inaugurata da Benedetto XVI, è quella del ‘cammuffamento’. Ratzinger, uno degli ultimi partecipanti al Concilio ancora in vita, ha agito con astuzia nei confronti dell’opposizione, sostituendo agli occhi dell’opinione pubblica i “tradizionalisti” con dei “conciliari” che sembrano tradizionalisti, come già accennato a proposito dei Burke di turno. Inoltre il trucchetto del nuovo messale, fino ad allora mai accettato dai difensori della Tradizione, che è stato presentato come il “rito ordinario” della Chiesa, e in quanto tale accettato da tanti “oppositori” pur di usufruire del “rito straordinario”, ricorda quei colpi di maestro di cui parlava Mons. Lefebvre.
Coloro che avrebbero dovuto continuare a combattere a viso aperto gli occupanti della Sede apostolica non l’hanno fatto, proprio per quelle incongruità interne sopraelencate: quindi anche tra le file del “tradizionalismo” il sale è diventato insipido.
Per tutta questa serie di motivi ringrazio la Madonna del Buon Consiglio di avermi permesso di conoscere e abbracciare pubblicamente la Tesi di Cassiciacum di Mons. Guérard des Lauriers, l’unica spiegazione corretta dell’attuale situazione della Chiesa, e di far parte dell’Istituto Mater Boni Consilii, per poter svolgere il ministero sacerdotale in tranquillità di coscienza.
Questi vent’anni non sono stati facili, soprattutto all’inizio, e le difficoltà nello svolgere il ministero rimangono, poiché l’Istituto è una piccola opera all’interno della Chiesa, con pochi mezzi e tanti ostacoli. Tuttavia la perseveranza di tante anime che da tempo si affidano all’Istituto, la formazione di nuove famiglie e l’aumento di presenze registrato degli ultimi anni, sono un incoraggiamento a proseguire nella via stretta ma benedetta della fedeltà incondizionata alla Chiesa e al Papato, senza cercare scorciatoie basate sulla prudenza umana.
Il 30 giugno prossimo, 20° anniversario della Casa San Pio X e del suo apostolato, all’altare del piccolo oratorio dedicato a Maria Ausiliatrice ricorderò al Memento dei vivi tutti i confratelli, i benefattori, i fedeli e gli amici, anche coloro che lo sono stati per un tratto di strada. Al Memento dei defunti pregherò per le anime di tutti coloro che anche grazie al ministero della Casa si sono presentati con l’abito nuziale al giudizio divino e per le anime dei tanti amici e conoscenti defunti.
Che la Madonna del Buon Consiglio, san Giuseppe e san Pio X concedano il più presto possibile il trionfo della Chiesa sui nemici interni ed esterni e la restaurazione dell’unica liturgia gradita a Dio. In attesa di tutto ciò, invochiamoli per conservarci fedeli dalla parte giusta, che non può che essere quella integralmente cattolica, apostolica e romana.