Guerra tra Russia e Ucraina: la proposta di Musk è intelligente e fattibile

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/10/10/guerra-tra-russia-e-ucraina-la-proposta-di-musk-e-intelligente-e-fattibile/

LA PROPOSTA DI PACE TRA RUSSIA E UCRAINA DI ELON MUSK FA DISCUTERE

Tra propaganda e minacce nucleari, la comunicazione mainstream ci dice che la Russia è guidata da un dittatore impazzito che vorrebbe usare l’atomica contro l’Ucraina. Come al solito, pare di essere in un film di Hollywood, ove i buoni sono i pacifisti americani, i loro alleati sono le vittime che i supereroi a stelle e strisce salveranno dal bruto di turno. La storia ci insegna che non è mai stato così, anche se ad alcuni piace fingere di crederlo e, soprattutto, ingannare i popoli nel darlo a bere.

Le persone oneste sanno che Zelensky è un ex comico, messo lì dagli Stati Uniti per farne gli interessi geopolitici, sfruttando, soprattutto, la posizione geografica di Kiev, rispetto alla Federazione Russa. Sanno anche dei 48 laboratori bio-chimici in territorio ucraino e delle basi coi missili puntati a 700 km dal Cremlino. Sanno che la Crimea e le altre quattro regioni annesse sono Russia e non Ucraina, sul piano storico, culturale, religioso. L’attacco terroristico al ponte di Kerch, rivendicato dal consigliere dell’ufficio di Zelensky, Podolyak, con un esplicito “tutto ciò che è occupato dalla Russia deve essere distrutto”, la manomissione del gasdotto Nord Stream e le costanti provocazioni dell’ex attore ebreo-ucraino, dimostrano che, fra i contendenti, c’è chi vuole alzare l’asticella dello scontro.

In questo scenario di guerra a lungo termine, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden sembrerebbe disposto a tutto, senza escludere il nucleare. Ma il popolo americano ed occidentale lo seguirebbero in questa, eventuale, terribile decisione? A Novembre, alle elezioni di metà mandato, vedremo come si esprimeranno gli statunitensi nei confronti dell’amministrazione Biden. Sul fronte europeo, si va a ruota degli Stati Uniti, che dal 1945 esercitano una sovranità assoluta, qui da noi, anche se, spesso, sono stati capaci di mascherarla. Bettino Craxi, a Sigonella, tolse loro la maschera, ma poi la pagò a caro prezzo. In Italia, Giorgia Meloni ha già ricevuto i messaggi d’Oltreoceano, al di là dello spauracchio delle garanzie contro il ritorno fascista, che serve all’establishment da teatrino per spaventare la gente, per delle politiche completamente asservite al deep State progressista. Il primo governo politico dopo un decennio di tecnocrati dovrà operare come la sinistra, nascondendolo ai suoi elettori. In politichese, servirà essere democratici, ovvero servi degli Stati Uniti.

In questi giorni, ha fatto parecchio rumore la presa di posizione dell’imprenditore miliardario Elon Musk, americano, proprietario di Tesla e promotore di missioni nello spazio. Apparirà insolito, ma l’unica proposta di pace concreta, giunta finora, è quella formulata da lui su Twitter. Nello specifico, ha proposto di “rifare le elezioni nelle regioni annesse sotto la supervisione dell’Onu”, con la Russia che lascia le aree annesse “se questa è la volontà del popolo”; ricordando che “la Crimea è formalmente parte della Russia, come è stato dal 1738 (fino all’errore di Krusciov)”; “forniture d’acqua assicurate alla Crimea”; “l’Ucraina resta neutrale”. Oltre che concreta, tale proposta appare ragionevole per aprire un tavolo di negoziati.

Quasi immediata la risposta stizzita di Kiev, che rimanda al mittente, con particolare sarcasmo, ogni parola. “La maggioranza degli ucraini vuole certamente far parte dell’Ucraina, ma alcune regioni orientali sono a maggioranza russa e preferiscono la Russia”, ha scritto, poi, sempre su Twitter, Elon Musk, aggiungendo che “se la volontà della gente conta, dovrebbe essere sempre sostenuta, a prescindere da dove i conflitti hanno luogo”.

A differenza del presidente Zelensky e del suo braccio destro Podolyak, il sondaggio lanciato da Musk su Twitter, che ha sfondato il muro del milione e mezzo di votanti, è stato preso molto sul serio dalla Russia. È il caso, per esempio, di Mikhail Sheremet, deputato della Duma russa per la Crimea, il quale ha detto che “persone come Musk dovrebbero diventare presidente degli Stati Uniti, e non come Biden, che è diventato la vergogna del popolo americano, trasformando il Paese in un tiranno e assassino internazionale”.

Sheremet non sbaglia quando dice che “con persone come Musk si possono costruire relazioni pragmatiche e reciprocamente vantaggiose volte alla conservazione e allo sviluppo del mondo intero”. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha ribattuto: “Rispetto a molti diplomatici professionisti, Musk è ancora alla ricerca di modi per raggiungere la pace. E raggiungere la pace senza soddisfare le condizioni della Russia è assolutamente impossibile”.

In questo botta e risposta su Twitter, anche l’Ue è intervenuta rivendicando in maniera netta e chiara la sua posizione: “Non c’è Ucraina senza Crimea, così come non c’è Tesla senza batterie”. A dirlo è stato il commissario europeo all’Ambiente, Virginijus Sinkevicius, il quale ha contestato la proposta di Musk avvertendo che Kiev non può rinunciare alla penisola annessa dai russi nel 2014 e ha suggerito – con toni polemici – al “Signor Elon Musk” che “questa non è scienza dei missili: la Russia ha invaso l’Ucraina”.

Fino a quando la Politica internazionale non proporrà un tavolo di pace serio e concreto, il destino dell’umanità resterà “nelle mani di Dio”. Però Musk continua a lavorare e a trovare sostegno tra alcuni Repubblicani al Congresso e in Senato, oltre a quello, già espresso, di Newsweek. Nel mezzo di equilibri instabili, con all’orizzonte una guerra atomica, il silenzio della diplomazia diventa assordante e ottuso, quanto al contrario, la posizione di Musk si dimostra intelligente e fattibile. E, chissà, forse tutto ciò sarà prodromico alla sua candidatura alla Casa Bianca, che potrebbe cambiare gli orizzonti.

Stefania Craxi: Draghi? Dimostra tutta l’attualità del presidenzialismo di mio padre

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di Ferdinando Bergamaschi

Stefania Craxi: “Non mi chiami senatrice, preferisco senatore”. La battuta rivela tutta la sicurezza della figlia di Bettino Craxi, che a Palazzo Madama siede tra i banchi di Forza Italia. Il senatore ha uno sguardo dolce ma sempre attento, e l’atteggiamento di chi ama raccontarsi ma anche confrontarsi. Arriva da Parigi nella Milano di suo padre e osserva con piacere la Madonnina che appare ben distinta dalla vista che ci offrono le finestre del settimo piano che ci circondano. Poche formalità, ed entriamo subito nel vivo del discorso.

A questo punto della sua carriera politica che bilancio fa della sua esperienza parlamentare?
“Innanzitutto non sono in Parlamento per far carriera. Ho fatto questa scelta perché ho condotto e conduco una battaglia per rendere onore e merito a un uomo che ha lavorato tutta la vita per il bene del suo Paese. Ed è più facile farlo avendo un pulpito nazionale piuttosto che no. Mi è servito indubbiamente per avere consensi, ma lo spettacolo che da tempo offre il Parlamento italiano è miserevole; d’altronde questo accade da quando hanno distrutto i partiti, che avevano una funzione molto importante”.

Qual era questa funzione?
“Innanzitutto selezionavano una classe politica. La politica è una grande passione che richiede esperienza, confronto con la vita degli italiani e delle italiane. Una volta i partiti ti facevano fare una scuola di vita con percorsi che duravano anni. E che cominciavano dal basso, dalle periferie, dai piccoli paesi. Il fatto che oggi il Parlamento sia formato da persone che per lo più nella vita fanno altre cose è stato un depauperamento grave della politica e della nostra democrazia”. 

In Italia si è tornati a parlare di presidenzialismo. Pensa che il progetto di riforma costituzionale disegnato da suo padre in tal senso sia ancora attuale e perseguibile?
“Craxi parla della grande riforma istituzionale comprensiva del presidenzialismo nel lontano 1979. Lui aveva visto che quel sistema nato alla fine della guerra e che a quell’epoca era giusto, oggi di fatto impedisce il governo del Paese. Credo che Craxi fosse lungimirante quarant’anni fa e che il presidenzialismo sia di totale attualità; e credo anche che in questi vent’anni il Paese si sia avviato naturalmente verso un sistema presidenziale; basti vedere la fiducia che si è riposta nei presidenti della Repubblica e oggi nello stesso Draghi che di fatto sta governando con un sistema semipresidenziale. È la politica ad essere in ritardo”.

A proposito del premier, come pensa che finirà la partita del Quirinale? Draghi potrà salire al Colle già nel febbraio del 2022?
“Come sempre è successo nella nostra Repubblica la partita del Quirinale è molto complicata. Una volta si diceva: chi entra Papa esce cardinale. Non è mai detto che il candidato previsto sia quello che esce. Pensi al caso di Pertini, di Scalfaro e a tanti altri. Credo che Draghi, una volta fatte le riforme necessarie a consentirci di portare a casa i soldi del Pnrr (che, ci tengo a precisare, sono in gran parte debiti) probabilmente ambirà ad andare al Quirinale. E credo che sarà difficile per i partiti che oggi lo sostengono non votarlo. Tuttavia la ritengo una partita ancora aperta”. 

Torniamo a suo padre: lei pensa che la mancanza di servilismo che lo caratterizzava nei confronti degli altri partiti, dal Pci alla Dc e verso la dirigenza del suo partito (il Psi), così come nei confronti delle maggiori potenze straniere – vedi la crisi di Sigonella – abbia poi giocato un ruolo decisivo nel linciaggio giuridico-mediatico che ha subìto?
“Più che di mancanza di servilismo parlerei delle convinzioni profonde – giuste o sbagliate che fossero – che guidavano Craxi nelle sue decisioni politiche. Non si è mai posto un problema di opportunità. Certamente il suo carattere non lo ha aiutato, perché era un uomo libero. E si sa, gli uomini liberi difficilmente sono digeribili, soprattutto in un Paese che è stato molto spesso servo”.  

Ritiene che l’azione politica così incisiva e carismatica di suo padre sia stata in qualche misura ereditata da uno o più partiti di oggi? Se sì, quali sono questi partiti? E di cosa sono debitori dell’azione politica di Bettino Craxi?
“Craxi lascia indubbiamente un’eredità politica che è un patrimonio di idee capace di dare ancora buoni frutti. Che ci sia un partito che lo abbia ereditato in toto, credo di no; certamente alcune visioni, come quella del sistema presidenziale, si ritrovano più in un centrodestra che non in una sinistra che oggi senza ragione, senza storia e senza verità pretende di dirsi riformista. In realtà, dico sempre che è una usurpazione mancata: è come nel film Blade Runner, sono dei replicanti che vestono abiti non loro. Quella di Craxi comunque è un’eredità ancora viva nella disponibilità non di una persona, né di un partito ma dell’intera Nazione”. 

Bettino Craxi aveva grande ammirazione per Garibaldi e teneva in grande considerazione anche Mazzini. La personalità di suo padre si abbeverava alla fonte della sinistra risorgimentale. Il 2 giugno 1985 nel commemorare Garibaldi all’isola di Caprera, ebbe a dire: “Io considero un dovere il rinnovare la memoria delle idee, dei fatti e degli uomini che innalzarono l’Italia al rango di Nazione. La coscienza nazionale non è una retorica presunzione nazionalistica”. Questo concetto di coscienza nazionale oggi è forse più attuale che mai? Draghi oggi è, o può essere, la coscienza nazionale?
“Craxi era una personalità del tutto straordinaria perché aveva un esprit risorgimentale fortissimo; basti pensare che è un uomo che ha rinunciato alla sua vita per difendere le sue idee: un gesto di un altro secolo. E al tempo stesso aveva uno sguardo estremamente lungimirante sul  futuro. Era veramente un ‘ircocervo’ particolarissimo”.

E il suo amore per Garibaldi?
“Era un amore per l’Italia, per le battaglie combattute nel Risorgimento, per il pensiero di Garibaldi che era un socialista umanitario (andava al Senato col poncho e parlava di povertà, diritti, parità tra uomo e donna, elezione dei magistrati). A un certo punto addirittura la vita di Craxi si è sovrapposta alla vita del suo idolo…”.

In che senso, senatore Craxi?
“Se lei pensa che Garibaldi, pochi giorni dopo la morte di Anita, inseguito da cinque eserciti si imbarca per Tunisi dove rimarrà un anno in esilio; se lei pensa che entrambi concludono la loro vita da sconfitti, guardando quello che succede all’Italia con amarezza. Garibaldi ebbe a dire: ‘Non è questa l’Italia che io sognavo: miserabile al suo interno e derisa al suo esterno’. Potrebbero essere parole pronunciate anche da Craxi nell’ultimo periodo della sua vita, perché era un patriota. Quindi l’interesse della Nazione, scevro da ogni tentazione nazionalistica, era per lui un faro”.

Ci fa un esempio concreto?
“Certo. Anche quando ha dato vita all’Atto Unico Europeo, non ha mai pensato a un’Europa dove non si potessero difendere gli interessi nazionali. Oggi quella coscienza nazionale così intesa è d’attualità. Lo confermano anche le espressioni più estremiste, come questo sovranismo, che non si capisce bene cosa sia. Ma è comunque la reazione ad una globalizzazione finanziaria che ha preteso che non esistessero più popoli e nazioni; invece i popoli e le nazioni esistono ed esiste quindi una coscienza nazionale”.

E Draghi oggi può rappresentarla?
“È un uomo tenuto in grande considerazione internazionale, di grande livello culturale, di conoscenza, ma è un banchiere. Il suo mondo di riferimento non è mai stato un mondo nazionale e si riferisce ad ambienti sovranazionali: non saprei dirle se Draghi può essere espressione della coscienza nazionale”. 

Quale pensa possa essere la critica maggiore, formale e sostanziale, che si può muovere a Bettino Craxi?
“Il suo errore politico più grande fu, nel 1991, fidarsi dei comunisti, fare un gesto di lealtà nei loro confronti e non andare alle elezioni. Era caduto il Muro di Berlino, probabilmente sarebbero stati distrutti. Craxi pensava che la storia avrebbe fatto il suo corso e avrebbe portato i comunisti sulla strada di una socialdemocrazia matura, di un socialismo liberale. Ma ciò non è avvenuto, neanche oggi. Un altro errore, sul piano umano, è l’aver dato fiducia a persone che forse non la meritavano”.  

Suo padre, in un’intervista, raccontava che da ragazzo andava a portare dei fiori a Piazzale Loreto dove 15 antifascisti (tra cui diversi socialisti) erano stati uccisi dai fascisti. Poi che un giorno, arrivato a Giulino di Mezzegra sul lago di Como con moglie e figli, decise di portare dei fiori davanti al cancello di Villa Belmonte, luogo simbolo dell’uccisione di Benito Mussolini. E che quando si recava al cimitero di Musocco era solito portare dei fiori anche agli sconfitti della Seconda guerra mondiale… Lei crede che gesti così nobili possano aiutare a far sì che la coscienza italiana possa riappacificarsi con se stessa?
“Guardi, le rispondo così: ho trovato assolutamente ridicola la polemica odierna su fascismo e antifascismo. Sono passati 70 anni e una classe dirigente degna di questo nome dovrebbe non dividersi ma lavorare per una pacificazione nazionale”.

Lo ritiene possibile?
“No. Basta vedere lo scontro paradossale e ridicolo di questi giorni in cui si è divisa tra fascisti e antifascisti sempre con due pesi e due misure”.

Quali sarebbero?
“Non si capisce perché si chiede a chi ha nell’album di famiglia la storia del fascismo di abiurarla e nessuno dall’altra parte ha mai pensato di abiurare la storia del totalitarismo comunista. Quella di portare i fiori a Piazzale Loreto sia dove è stata consumata quella scena barbara, cioè lo scempio del cadavere di Mussolini, sia dove sono stati uccisi 15 resistenti socialisti, è una cosa che mi riprometto di fare ogni 25 aprile e che mi piacerebbe molto fare. Devo trovare qualcuno che abbia il coraggio di venire con me”.

Il Procuratore Gratteri a Paola: “Fare pulizia tra i magistrati. E anche tra i giornalisti”

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Gratteri a Paola discute di giustizia e informazione partendo dal ricordo di Enzo Lo Giudice, avvocato di Craxi in “Mani pulite”. «Io ministro della Giustizia? Chi mi vuole bene dice che mi sono salvato». Belpietro: «I magistrati che sbagliano vanno sospese.

PAOLA  «Tra alcuni avvocati e alcuni clienti l’ampiezza della scrivania si è ridotta. Permettere questo, soprattutto in ambito penale, è molto pericoloso. Ma è pericoloso non tanto per i rapporti che si creano con i clienti ma con i colleghi avvocati. Francamente, ce ne sono troppi, e troppe sono anche le cause che non dovrebbero stare in tribunale». Nicola Gratteri nel chiostro di Sant’Agostino, a Paola, risponde così alla prima domanda del giornalista Gianluigi Nuzzi. Gli avvocati Marcello Manna e Francesco Scrivano annuiscono. L’umidità di un forte temporale estivo si mescola con il calore umano di una platea che si accomoda per commemorare uno dei più grandi avvocati della storia repubblicana: Enzo Lo Giudice. «Lo dico sempre ai giovani – continua il magistrato – non cercate scorciatoie, non servono, fate in modo che con i vostri clienti la scrivania abbia un margine ampio». E la scrivania di Enzo Lo Giudice era ampia. Legale di Craxi nel processo “Mani Pulite”, formazione comunista, ma soprattutto garantista puro come ricorda il suo prima praticante, ora avvocato, Francesco Scrivano. Difendere il leader socialista nel tornado giudiziario messo in piedi dal pool di “Mani Pulite” dei tre magistrati Davigo-Di Pietro-Colombo, significò per Lo Giudice confrontarsi anche con il primo episodio vero in Italia di quello che oggi si definisce “processo mediatico”. Da allora tutto cambiò. Anche un avviso di garanzia si trasformò in udienza sulle colonne dei giornali. «I direttori delle testate italiane più importanti – dice Scrivano – si chiamavano per mettersi d’accordo sul titolo da dare il giorno dopo». Continua a leggere

Una lettera su Mussolini, nell’anniversario della nascita

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Riceviamo questa LETTERA DEL LETTORE di cui ci viene chiesta gentilmente la pubblicazione, che accogliamo, sebbene alcune parti non siano condivise, soprattutto quelle elogiative di Craxi e su una visione del Fascismo in un’ottica, a nostro avviso, un po’ troppo sbilanciata a sinistra. Comunque, il testo è interessante, originale e ben scritto. Certamente, il dibattito ancora aperto sul Fascismo è riservato a storici seri, come De Felice e Parlato, mentre oggi viene utilizzato in modo pretestuoso e falso tra i politicanti al servizio di Soros e Rockefeller…

di Giacomo Emilia

Il 29 Luglio 1883 nasce a Dovia di Predappio, sotto la Stella protettrice di Amilcare Cipriani e A. Oriani, Benito Mussolini.

Rivoluzionario, Socialista, ma soprattutto Italiano, sarà il massimo protagonista, secondo il giudizio che ne darà il suo unico continuatore, il grande statista del PSI Bettino Craxi, di un autentico Rinascimento sociale che seppe imporre Roma al centro del mondo.

Catturato nell’aprile del 1945 durante il tentativo di creazione del Ridotto alpino Repubblicano, veniva passato per le armi nella notte tra il 27 ed il 28 aprile nel corso di colluttazione in quanto tentava infatti di difendere Claretta Petacci vittima di violenza partigiana (cfr. http://www.secoloditalia.it/2018/01/lo-storico-parlato-su-claretta-troppi-misteri-ecco-la-versione-piu-plausibile/).

Prima della morte, nonostante il sabotaggio germanico, riusciva però con il Decreto Legislativo 12 febbraio 1944 n. 375 (https://it.wikisource.org/wiki/D.Lgs._12_febbraio_1944,_n._375_-_Socializzazione_delle_imprese) a declinare definitivamente il messaggio fascista quale sintesi sociale e “Socialista” dell’ideologia della Terza Italia. Continua a leggere