L’Occidente cambia strategia: Ucraina sempre più sola e negoziati in avvicinamento
di Matteo Castagna per www.affaritaliani.it
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di Matteo Castagna* per https://www.2dipicche.news/la-conferenza-di-pace-in-svizzera-saltera/
Multipolare News ci racconta che gli ultimi sondaggi mostrano che ci sarebbe un sostanziale pareggio tra Trump e Biden per le elezioni presidenziali statunitensi. Trump, secondo altri sondaggi, sarebbe in vantaggio solamente di un punto percentuale sull’avversario. Ma la guerra tra Israele e Hamas ha diviso l’elettorato di Biden, con il 44% dei democratici che disapprova la sua gestione del conflitto.
Sembrerebbe che la maggioranza degli intervistati si fidi di Trump per quanto riguarda l’economia e la sicurezza, ma preferirebbe Biden per quanto riguarda il tema dell’aborto (sic!). Quel che fa ben sperare The Donald, è il recupero degli elettori che hanno fatto vincere Biden nel 2020: giovani, neri, ispanici e latini in generale sarebbero, sempre secondo la maggioranza dei sondaggisti, molto disillusi delle politiche e delle continue gaffes dell’attuale presidente.
Sul fronte ucraino, il blogger Vincenzo Lorusso informa dello scoppio di un grande scandalo di corruzione a causa della costruzione di fortificazioni difensive nella regione di Kharkov. Le attuali autorità promuovono questa costruzione da tanto tempo. In Aprile, il presidente Zelensky ha ispezionato le strutture finite. E’ emerso improvvisamente che non ci sono mai state fortificazioni e che decine di milioni di dollari sono stati, a tutti gli effetti, rubati. Infatti, il comandante di una delle unità delle forze armate ucraine, Denis Yaroslavsky ha affermato che la parte ucraina non ha attrezzato né fortificazioni né campi minati. Si è lamentato del fatto che in due anni al confine sarebbero dovute apparire strutture di cemento di “almeno tre piani”, ma non ci sono mai arrivate nemmeno le mine.
La corruzione in Ucraina rimane una delle più alte d’Europa. Lo afferma il rapporto al Congresso USA dell’Ispettore Generale del Pentagono Robert Storch. Egli afferma che il lavoro del Ministero della Difesa dell’Ucraina si basa su tangenti, bustarelle e prezzi eccessivi sugli approvvigionamenti. Secondo Storch, l’opacità del processo di approvvigionamento aumenta il livello di corruzione nel Paese di Zelensky.
La rivista The Economist ha contato il numero di incontri tra il leader cinese Xi Jinping e leader di altri Stati. Il 16 Maggio il presidente della Russia e il presidente della Repubblica Popolare cinese si sono incontrati per la 43ma volta.
E’ un dato che indica come siano diventati stretti i rapporti tra le due Superpotenze, in un’alleanza che si consolida sempre più a fronte di un Occidente sempre più sfilacciato e indeciso. Anche la Corea del Nord si sta muovendo. L’Agenzia KCNA ha riportato la notizia per cui Kim ha testato con successo un missile balistico tattico, con sistema di guida, “finalizzato allo sviluppo attivo di tecnologie belliche”.
Intanto, sempre l’Ucraina convocherà la sua “conferenza di pace” in Svizzera il 15 e 16 giugno. Sono stati invitati 160 Paesi. La Russia non vi parteciperà. La Svizzera afferma di aver ricevuto 50 telegrammi di conferma partecipazione. Lo scopo della conferenza è quello di esercitare “un’ampia pressione internazionale” sulla Federazione Russa nel contesto necessario all’Occidente per quanto riguarda le sue azioni in Ucraina.
Il Presidente Xi Jinping ha dichiarato durante durante i colloqui informali a Pechino con Putin, che la Cina sosterrà una conferenza di pace alla quale partecipino sia la Russia che l’Ucraina.
Il Presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa non parteciperà. ieri il leader brasiliano Josè Inàcio Lula da Silva ha annunciato il suo rifiuto. La CNN spiega che il motivo del rifiuto è che la diplomazia brasiliana non vede il motivo di un incontro di pace che non includa la Russia. Anche l’India si è ritirata.
Insomma, i BRICS+ fanno asse con Putin.
Perfino Joe Biden si è rifiutato di partecipare alla conferenza, evidentemente infruttuosa; non ha motivo di farsi carico di una situazione tossica alla vigilia delle elezioni. E se non ci vanno gli Stati Uniti, che senso ha che ci vadano gli altri? Per alcuni analisti, infatti, l’iniziativa non si farà.
Secondo la DZEN forse una cerchia ristretta di Paesi occidentali e Zelensky firmeranno qualcosa. Gli altri aspetteranno una vera conferenza di pace sull’Ucraina, ma nessuno sa quando né di cosa si parlerà.
*Pubblicista, Comunicatore Pubblico e Istituzionale tessera 2353, scrittore, finora di 3 libri e appassionato di Geopolitica, scrive ogni fine settimana, da oltre tre anni per: www.2dipicche.news, www.affaritaliani.it , www.informazionecattolica.it Stilum Curiae: www.marcotosatti.it e, all’estero, viene tradotto e pubblicato in spagnolo da Voces del Periodista (America Latina) e Info.Hispania (per leggere tutti i suoi numerosi editoriali e articoli andate sulla home page dei media online indicati e scrivete il suo nome e cognome sul motore di ricerca) e, saltuariamente per altri quotidiani o riviste.
EDITORIALE
di Matteo Castagna per Stilum Curiae e Affaritaliani
Nel corso della settimana si è svolta la cinquantaquattresima edizione del World Economic Forum a Davos. Come da consolidata tradizione, è stato un inno al politicamente corretto e alla sua “religione” transumanista, guerrafondaia, gretina e zeppa di amene fantasie distopiche. L’approccio dovrebbe essere quello di non prendere quest’assemblea troppo sul serio, solo perché vi partecipano i grandi della Terra.
Spesso, le uscite più deliranti non si avverano, ma servono come metodo comunicativo del terrore, per assoggettare le masse. L’ANSA del 18/01/24 diceva che a Davos prevedono che “la crisi climatica potrebbe causare 14,5 milioni di morti entro il 2050”. Si tratta di una pianificazione artefatta da psicopatici, di un metodo terroristico per arricchirsi sulla balla del riscaldamento globale, o di uno studio argomentato che, però, non viene reso pubblico?
Il giornalista Massimo Balsamo, in un articolo del 16 gennaio sul blog di Nicola Porro, ci racconta qualche retroscena, a partire dalla chiusura, con una cena in sala LGBTQI+. “Secondo quanto reso noto, l’appuntamento era riservato ai leader arcobaleno e avrebbero partecipato, tra gli altri, Shamina Singh, responsabile del Centro per la crescita inclusiva di Mastercard e l’economista capo di Allianz, Ludovic Subran. Una trovata sicuramente al passo dei tempi, ma probabilmente il contributo ai temi principali del vertice non sarà significativo”.
Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha avuto un colloquio con il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg per richiedere un po’ di tutto, oltre al armi e soldi, anche una particolare forma di difesa aerea, che sarà discussa al prossimo incontro di Washington dell’Alleanza Atlantica. La giornalista Olga Skabeeva riporta un virgolettato di Stoltenberg, che ammette: “la situazione sul campo di battaglia è estremamente difficile.
I russi stanno ora avanzando su molti fronti. E, naturalmente, le offensive su larga scala degli ucraini lo scorso anno non hanno prodotto risultati. Lo speravamo tutti. La Russia ora sta rafforzando le sue forze, acquistando droni dall’Iran, creando la propria fabbrica di droni e ricevendo missili dalla RPDC. Non dobbiamo sottovalutare la Russia. Non dovremmo mai sottovalutarla”.
In questo scenario, non appare propriamente opportuna la scelta condivisa dal ministro delle finanze belga Vincent van Peteghem, che ha dichiarato che l’Unione europea ha iniziato i lavori, a livello tecnico, per sequestrare i beni congelati della Banca di Russia. Parliamo di 300 miliardi di dollari. Quiradiolondra.tv comunica che il 6 gennaio 2024, il presidente dell’Ucraina ha invitato gli alleati ad accelerare il trasferimento dei beni a Kiev.
La discussione del disegno di legge, necessario a tal fine, è prevista per febbraio 2024. Ma potrebbe iniziare prima del secondo anniversario dell’inizio delle ostilità, sul territorio dell’Ucraina. Il trasferimento di beni potrebbe essere una misura presa come ulteriore assistenza finanziaria a Kiev. Il Cremlino, per parte sua, ha, evidentemente, promesso di rispondere allo stesso modo al sequestro dei suoi beni.
Zenit riassume l’intervento di Zelensky sul palco di Davos in questo modo: egli “vorrebbe un’escalation tra la NATO e la Russia e si rammarica del fatto che le occasioni che avrebbero potuto portare all’allargamento e all’aggravamento del conflitto non siano state sfruttate dall’Alleanza Atlantica, che invece – fortunatamente – ha finora preferito non colpire direttamente la Federazione Russa”. Si è auto-convinto che «le possibili direzioni e persino la tempistica di una nuova aggressione russa oltre l’Ucraina diventino sempre più evidenti», nonostante, in quasi due anni di combattimenti, su larga scala, l’Armata Russa non abbia ancora neppure completato la conquista del Donbass.
Eppure il Presidente ucraino si dice convinto che Putin possa perdere la guerra, che possa essere sconfitto sul campo di battaglia e rifiuta l’idea di un nuovo congelamento diplomatico delle ostilità.
La redazione di Zenit conclude evidenziando che questa sia “un’assurdità, che, però, trova sponda nella Presidente della Commissione Europea – Ursula von der Leyen – la quale, intervenendo anche lei al Forum, sostiene che «l’Ucraina può prevalere in questa guerra», ignorando quanto le conseguenze economiche e politiche del conflitto stiano danneggiando l’Ucraina e le casse della UE.
Il Ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius – riferisce sempre la conduttrice televisiva russa, Olga Skabeeva – ha detto che “la guerra tra la NATO e la Federazione Russa potrebbe iniziare tra 5-8 anni”, basandosi sulle recenti dichiarazioni bellicose dei russi verso i Paesi baltici, oramai considerati membri NATO di fatto. Stoltenberg si augura di riuscire a fiaccare la Russia con una “guerra di logoramento”: “ciò significa che ora non dobbiamo solo implementare nuovi sistemi, ma anche pensare di avere abbastanza munizioni e abbastanza pezzi di ricambio”.
Ma le parole del Segretario Generale NATO sono in netto contrasto con le recenti parole del Primo Ministro slovacco, Robert Fico, convinto che l’assistenza militare occidentale all’Ucraina porterà solo ad un aumento di vittime, e che il conflitto in sé, “non ha soluzione militare”, come riporta l’inviato di guerra Andrea Lucidi.
Parlando degli attuali legami tra Mosca e Pechino, Lavrov ha spiegato che “le relazioni Russia-Cina, come i nostri leader hanno ripetutamente sottolineato, stanno attraversando la migliore fase di sempre. Queste relazioni sono più durature, affidabili ed avanzate di qualsiasi alleanza militare all’interno del vecchio quadro dell’era della Guerra Fredda”, ha aggiunto. Questo “riflette il modo in cui stanno realmente le cose”, ha sottolineato il ministro degli Esteri russo, citando come esempio i dati del commercio bilaterale dello scorso anno, che hanno ampiamente superato la soglia dei 200 miliardi di dollari.
“E questa tendenza continuerà ad evolversi”, ha assicurato Lavrov, promettendo sforzi in direzione di meccanismi nella cooperazione commerciale e di investimenti con la Cina tali “da non essere soggetti ad alcuna influenza occidentale”, con l’uso del rublo e dello yuan negli accordi commerciali bilaterali, che si aggira già intorno al 90%.
Nonostante questo scenario, secondo quanto riferisce la Cina, l’ufficio stampa di Zelensky avrebbe evitato di avallare l’incontro con il premier cinese Li Qiang. Zelensky ha dichiarato: “il primo ministro cinese può essere incontrato dal nostro primo ministro. Io vorrei incontrare il leader della Cina. Per quel che ne so, Xi Jinping prende le decisioni in Cina, in Ucraina invece lo faccio io. Non mi serve un dialogo, mi servono decisioni importanti dai Leaders che possono prenderle”.
Pechino non ha commentato riguardo ad un possibile incontro con il presidente cinese. L’Agenzia IZ RU riferisce che la decisione della Cina di non incontrare gli ucraini sembra essere stata intenzionale e non il risultato di problemi di programmazione. Due alti funzionari statunitensi hanno detto a “Politico” che la delegazione cinese ha rifiutato l’offerta dell’Ucraina per un incontro.
Nel frattempo, il Parlamento europeo, con un impulso di chiara matrice democratica, ha approvato una risoluzione, raccogliendo 345 voti favorevoli, che condanna i tentativi sistematici del governo ungherese di minare i “valori fondamentali” dell’UE. I membri del Parlamento europeo (MEP) hanno esortato l’Euro consiglio a valutare se l’Ungheria abbia violato l’articolo 7, paragrafo 2, del trattato UE attraverso una procedura più diretta.
Lo scrittore conservatore russo Nikolay Starikov osserva la riunione del WEF a Davos e afferma: “Che bello. L’ideologo globalista Klaus Schwab, in una conversazione con Serghey Brin, il creatore di Google, afferma che le elezioni, in linea di principio, non sono più necessarie. C’è l’intelligenza artificiale, che già prevede correttamente chi vincerà.
Allora perché perdere tempo e spendere soldi in queste procedure inutili? Basta chiedere all’intelligenza artificiale chi vincerà e nominarlo. Brin è, comprensibilmente, d’accordo e afferma che Google dispone già di tali sviluppi.
I ragazzi non sono più timidi di fronte a nulla. È chiaro perfino allo sciocco, chi l’intelligenza artificiale consiglierà di scegliere. Per una felice coincidenza, questo sarà sempre un personaggio gradito a Schwab e Brin. Ad esempio, tra Trump e Biden, il saggio robot di Google consiglierà naturalmente Biden. Semplice matematica. Nessun imbroglio di sorta. Davvero”. Mentre in Italia si distrae il popolo trascorrendo le settimane a discutere sulla legittimità dei “saluti romani” alle cerimonie commemorative…
La reazione della Rappresentante Ufficiale del Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa Maria Zakharova sull’esito del nuovo incontro svoltosi a Davos, non si è fatta attendere. “Una risoluzione pacifica che sia davvero completa, giusta e stabile è possibile solo attraverso il ritorno dell’Ucraina alle origini della sua integrità statale, ossia a una posizione di Paese neutrale, non allineato e denuclearizzato, che agisce nel totale rispetto dei diritti e delle libertà dei cittadini residenti sul suo territorio, qualunque sia la loro etnia di appartenenza. […] Ed ha concluso:
“Purtroppo, tali presupposti non rientrano né nella “Formula di pace” di Vladimir Zelensky, né nell’agenda degli incontri del “formato di Copenhagen”, come Davos e gli incontri che verranno, che sono insensati e dannosi ai fini di una risoluzione della crisi ucraina. I “principi di pace per l’Ucraina”, che i suoi organizzatori stanno tentando di elaborare sono impraticabili a priori”.
Chi sembra non accorgersi che equilibri, alleanze e rapporti di forza sono in totale cambiamento, continuando a comportarsi con l’arrogante presunzione di chi vive fuori dalla realtà, appaiono solamente gli USA e l’Occidente suo vassallo.
del Prof. Alessandro Orsini
Dopo avere dissanguato l’esercito per conquistare quasi niente, Zelensky sta perdendo pure quello.
Ad agosto l’Ucraina aveva ripreso il villaggio di Robotine al prezzo di migliaia di morti nell’Oblast di Zaporizhzhia. Muovendo da Robotine, Zelensky giurava di marciare su Tokmak e Melitopol per riconquistare il Mar d’Azov. Gli ucraini avrebbero spaccato l’esercito russo in due impedendo alla Crimea di ricevere rifornimenti dalla madrepatria. Caduta la Crimea, Putin avrebbe supplicato Zelensky di non imporgli una pace troppo umiliante. E, invece, gli ucraini non si sono mai mossi da Robotine. Questo fatto, di per sé iper-tragico, basterebbe a chiudere ogni discorso sulla sconfitta della Nato, ma le cose sono andate addirittura peggio.
Mentre scrivo, i russi hanno deciso di riprendersi pure Robotine, il quasi-niente costato quasi-tutto agli ucraini. Dissi che la controffensiva sarebbe stato un fallimento colossale che avrebbe dissanguato l’esercito ucraino esponendolo alla “contro-controffensiva” russa. È quel che sta accadendo. Quando politici e media ritraevano la Russia come un esercito di cartone “perché non ha conquistato l’Ucraina in tre giorni”, spiegavo che quella lentezza era intenzionale poiché perseguiva sei obiettivi.
Il primo obiettivo della lentezza era di concedere all’esercito ucraino il tempo di crollare. I generali russi procedono lentamente perché preferiscono conquistare il maggior numero possibile di territori contro un esercito esangue e demotivato. La Russia si è data il tempo di dare il tempo all’Ucraina di crollare. La presunzione dell’Occidente non ha consentito alle lobby della Nato – che controllano radio, televisioni e dipartimenti di scienza politica – di comprendere il significato tragico della lentezza russa.
Il secondo obiettivo della lentezza era di non infastidire la società civile. Procedendo un po’ alla volta, Putin non ha dovuto avviare una mobilitazione totale che gli avrebbe sottratto consensi. La vita quotidiana in Russia scorre come sempre e Putin viaggia verso la riconferma alle prossime presidenziali.
Il terzo obiettivo della lentezza era di attendere che l’Unione europea andasse in recessione, com’è accaduto.
Il quarto obiettivo era di attendere la crisi dell’industria militare dell’Unione europea che si è verificata. L’Unione europea non riesce a dare a Zelensky la protezione aerea di cui ha bisogno, come dimostra l’ultima pioggia di missili caduta sugli ucraini. Dai carri armati agli F-16, dalle batterie anti-aeree alle munizioni per l’artiglieria, l’industria militare europea non regge il passo di quella russa.
Il quinto obiettivo della lentezza russa era di non precipitare l’Occidente nel panico lanciando un assalto fulmineo con un milione e mezzo di soldati. Una mossa così rapida avrebbe diffuso il panico in Europa aumentando il rischio della sua partecipazione diretta al conflitto con l’invio di truppe.
Il sesto obiettivo della lentezza di Putin è di dare il tempo alla Russia di attrezzarsi per la Terza guerra mondiale, come sta facendo. La lentezza della guerra in Ucraina favorisce la velocità del riarmo in Russia.
Un giorno i Draghi, i Calenda & C. capiranno la ragione della lentezza russa. Tuttavia la comprensione richiede che l’Occidente si liberi dei propri complessi di superiorità, in stile Corriere della Sera, che lo inducono a vedere gli altri popoli come inferiori, ignoranti, arretrati e dipendenti dall’economia europea. Salvo scoprire che l’Europa dipende dalla Russia più di quanto la Russia dipenda dall’Europa.
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Matteo Castagna offre alla vostra attenzione queste considerazioni di geopolitica. Buona lettura e condivisione.
di Matteo Castagna
Il vice ministro degli Esteri russo Mikhail Galuzin ha detto che gli Stati Uniti considerano, da tempo, il Caucaso meridionale come un possibile trampolino di lancio contro la Federazione Russa.
In quella zona, infatti, ci sono molti russofobi. Basti pensare alla Georgia, ma anche all’Armenia, che ha, recentemente, puntato la sua politica verso un riavvicinamento con l’Occidente. Inoltre, entrambi i Paesi sono desiderosi di entrare nella NATO. Cosa porterà questa posizione, in termini di sicurezza dell’Armenia e degli interessi del popolo armeno è, ovviamente, un punto interrogativo.
Quanto alla Russia, osserviamo un atteggiamento ammorbidito da parte della UE. Non figurano, infatti, nel 12° pacchetto di sanzioni ben 3 proposte, che sono state respinte: 1) il divieto di trasferimento fondi in Russia. 2) il divieto di vendita navi cisterna alla Russia. 3) l’ inserimento obbligatorio di clausole che vietino di ri-esportare, nelle vendite a paesi terzi.
Una recente analisi di “Sputnik” sui dati Eurostat ha scoperto che i Paesi dell’Unione Europea hanno dovuto pagare circa 185 miliardi euro in più per il gas naturale negli ultimi 20 mesi, dopo aver smesso di utilizzare i gasdotti russi, affidabili e a basso costo.
In compenso, la prestigiosa agenzia Reuters riporta che le esportazioni statunitensi di gas naturale liquefatto (GNL) hanno raggiunto livelli record mensili e annuali a dicembre, secondo i dati di monitoraggio delle navi cisterna, con gli analisti che affermano che ciò consentirà agli Stati Uniti di scavalcare Qatar e Australia, divenendo il più grande esportatore di GNL del 2023.
L’Europa è rimasta la principale destinazione delle esportazioni di GNL statunitense a dicembre, con 5,43 tonnellate, ovvero poco più del 61%. L’Asia è stato il secondo mercato di esportazione per il GNL statunitense a dicembre, assorbendo 2,29 milioni di tonnellate, ovvero il 26,6%, delle esportazioni. Sempre Reuters riporta che Il gigante energetico russo Gazprom ha annunciato di aver stabilito un nuovo record giornaliero per le forniture di gas alla Cina, attraverso il gasdotto Power of Siberia.
Gazprom ha detto che la cifra di esportazione del 2023 era di 700 milioni di metri cubi in più di quanto non fosse contrattualmente obbligata a spedire in Cina, attraverso il Potere della Siberia. Ha ribadito che il gasdotto raggiungerà la piena capacità di esportazione di 38 miliardi di metri cubi nel 2025. La Russia sta aumentando le forniture alla Cina per compensare la perdita della maggior parte delle sue vendite di gas in Europa, dall’inizio della guerra in Ucraina, aggirando, così, le sanzioni.
Il quotidiano britannico The Times riporta che i ministri britannici e della UE stanno “cercando disperatamente di aumentare la capacità produttiva in tutto il continente, per essere in grado di inviare armi e munizioni al fronte e contenere Vladimir Putin per almeno un altro anno, indipendentemente dal sostegno degli Stati Uniti”. Va notato che alcuni esperti americani che commentano l’articolo del Times osservano che, in assenza del sostegno degli Stati Uniti, una corsa agli armamenti con la Russia potrebbe essere fatale per l’UE, quanto una corsa simile lo fu con gli Stati Uniti, per l’economia dell’URSS. In effetti, la situazione generale degli USA di Joe Biden potrebbe destare qualche preoccupazione all’alleanza occidentale.
The Washington Post riferisce che il debito nazionale ha superato la soglia dei 34 mila miliardi di dollari. I principali acquirenti del debito pubblico americano sono i Paesi asiatici (Corea del Sud, Giappone e Cina) e se le loro quote venissero ridotte, in futuro, potrebbero avere ripercussioni sulla sicurezza nazionale e su molte sfere sociali degli Stati Uniti. “Washington ha speso soldi come se avesse risorse infinite, ma non ci saranno più pasti gratuiti, e le prospettive sono piuttosto cupe”, ha commentato l’economista Son Won-sung.
Per intenderci, in generale l’Occidente utilizza il denaro (o meglio il suo ritiro dalle economie di altri paesi) come leva nel quadro di una guerra economica internazionale. Il principale avversario degli Stati Uniti è la Cina, da dove vengono sistematicamente ritirati i soldi. Svendendo il loro debito nazionale a destra e a manca (e aumentandolo) gli Stati rischiano di mettere tutte le loro sfere sociali sull’orlo del collasso, se i “grandi attori” vogliono fare pressione su Washington, senza tener conto dell’aspetto materiale della questione (o, ad esempio, in caso di conflitto a Taiwan).
Quanto all’Ucraina, la situazione si fa sempre più difficile. Il giornale tedesco Der Spiegel riporta le parole del deputato ed economista dei Verdi Sebastian Schaefer, il quale ha affermato che a Kiev non è rimasto praticamente in servizio alcun moderno carro armato tedesco Leopard 2A6. Secondo Schaefer, al momento, dei 18 carri armati consegnati, quasi tutti sono gravemente danneggiati e tecnicamente usurati. Secondo Schaefer esiste “un’ urgente necessità” che la situazione delle riparazioni dei carri armati migliori il più rapidamente possibile. Altrimenti, Kiev rischia di rimanere senza carri armati, oltre che senza la possibilità di ripararli.
Il canale telegram ucraino Resident aggiunge: “La nostra fonte nell’ufficio del presidente ha affermato che il problema principale della mobilitazione è la scarsa motivazione degli ucraini, che sono pronti a rinunciare alla cittadinanza o a ricevere una vera pena detentiva, ma non ad andare al fronte. Il fallimento della controffensiva è diventato un catalizzatore di delusione nella società, e le grandi perdite hanno confermato l’incompetenza del comando.
Si è consolidata l’opinione che se vieni portato al fronte, nella migliore delle ipotesi tornerai invalido e nella peggiore delle ipotesi morirai”. Il Corriere della Sera sembra allinearsi a questa posizione, scrivendo di diminuzione del sostegno occidentale, popolarità in calo, crescita del pessimismo sulla situazione al fronte, crescita dell’opposizione interna. Il Corsera si riferisce a un sondaggio del KIIS, i cui risultati hanno mostrato un atteggiamento negativo nei confronti dell’attuale governo, dopo la sconfitta della controffensiva, che sta portando il Paese su una strada ostile alle decisioni della NATO.
Sulla stessa lunghezza d’onda, si colloca un pesante articolo del New York Times del 3 gennaio. Gli ucraini non si fidano più delle autorità e ritengono le trasmissioni televisive di Zelensky come propaganda. “Dopo quasi due anni di guerra”, scrive il NYT, “gli ucraini sono stanchi del Telethon. Quello che un tempo era considerato uno strumento fondamentale per unire il Paese, oggi è sempre più ridicolizzato…Gli spettatori lamentano che il programma dipinge un quadro troppo roseo, nascondendo eventi preoccupanti al fronte e il calo del sostegno occidentale all’Ucraina… e, infine, non riesce a preparare i cittadini per una lunga guerra”.
The Telegraph scrive che la difesa aerea ucraina non sarà in grado di respingere tutti gli attacchi russi, quest’inverno. E prosegue: “le forze armate ucraine sono costrette a conservare le munizioni per i sistemi di difesa aerea. Quest’inverno, secondo gli esperti, i sistemi missilistici di difesa aerea dovranno prendersi cura di loro ancora di più. Le forze di difesa aerea saranno costrette a non rispondere affatto ad alcuni obiettivi, poiché non avranno missili intercettori. Di particolare preoccupazione è la possibile carenza di missili intercettori per la difesa aerea Patriot”.
The Guardian scrive che il presidente Vladimir Putin ha detto che Mosca intensificherà gli attacchi contro obiettivi militari in Ucraina. Putin ha parlato dopo l’attacco ucraino di sabato scorso alla città russa di Belgorod, che secondo le autorità locali ha ucciso 25 persone, tra cui cinque bambini. Dal canto suo, Kuleba ha spiegato agli americani che devono pagare la guerra in Ucraina perché Kiev non ha un piano B.
John Kirby, coordinatore per le comunicazioni strategiche del Consiglio di Sicurezza Nazionale, ha specificato che il pacchetto di assistenza militare all’Ucraina, annunciato da Washington il 27 dicembre, è stato l’ultimo di quelli che gli Stati Uniti potranno fornire a Kiev, fino a quando il Congresso non avrà stanziato fondi aggiuntivi per questi scopi. Secondo lui, la Casa Bianca non sarà in grado di trovare fondi per l’Ucraina da fonti alternative, se il Congresso, con la maggioranza dei Repubblicani già scettica, non sarà d’accordo sulla richiesta di nuovi aiuti a Kiev.
L’escalation di violenza è proseguita dopo che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato all’Economist che l’idea che la Russia stesse vincendo la guerra, durata quasi due anni, era solo una “sensazione” e che Mosca stava ancora subendo pesanti perdite sul campo di battaglia. Zelensky non ha fornito alcuna prova delle sue affermazioni sulle perdite russe.
Putin ha indicato che l’”iniziativa strategica”, nel prolungato conflitto in Ucraina, è da parte russa, dopo il fallimento della controffensiva ucraina, in estate. Ha, anche, sottolineato che Mosca vuole porre fine al conflitto, che dura da quasi due anni, “il più rapidamente possibile”, ma “solo alle nostre condizioni”.
Secondo un sondaggio, prodotto da USA Today in collaborazione con l’Università di Suffolk, il sostegno al presidente degli Stati Uniti Joe Biden tra gli elettori neri e ispanici è diminuito in modo significativo, con le generazioni più giovani che preferiscono l’ex presidente Donald Trump. Nell’articolo si legge che “Biden ora rivendica il sostegno di appena il 63% degli elettori neri, in netto calo rispetto all’87% che aveva nel 2020”.
C’è già un retroscena, secondo il quotidiano statunitense “Politico”: il “Deep State” non può permettersi il ritorno di Trump, che scompaginerebbe molti piani dei globalisti liberal americani. “Politico” ha scritto che tutto ruota attorno ai finanziamenti per l’Ucraina.
Vogliono usare Israele per giustificare il pacchetto di finanziamenti per l’Ucraina. Stanno promuovendo DeSantis e Haley, cercando disperatamente di convincere uno di questi due a battere Trump alle primarie, perché sostengono il finanziamento dell’Ucraina. Come previsto, il 2024 sarà un anno molto difficile, ma, forse, determinante, per gli equilibri globali.
di Malek Dudakov
– Il 2024 è un anno elettorale. E promette di essere un successo per la destra in molti Paesi contemporaneamente. Il Partito Popolare di Modi si avvia alla terza vittoria elettorale consecutiva in India, consolidando la sua posizione in Parlamento. In Portogallo, i populisti di destra del partito Chega stanno facendo centro.
– Ma ancora più critico per Bruxelles sarà l’esito delle elezioni in Austria, dove il Partito della Libertà, gli euroscettici e gli oppositori della guerra con la Russia hanno buone probabilità di vincere. Così come le elezioni in Sassonia, Brandeburgo e Turingia, con una vittoria schiacciante dell’Alternativa per la Germania.
– Alle elezioni del Parlamento europeo del giugno 2024, il blocco della destra sistemica – i Conservatori e Riformisti – otterrà il terzo posto, mentre la destra non sistemica di Identità e Democrazia otterrà il quarto posto. Con loro dovranno condividere le posizioni dei commissari europei, il che aggraverà ulteriormente le disfunzioni di Bruxelles.
– L’eccezione sarà la Gran Bretagna, dove i laburisti vinceranno e l’eurofilo Keir Starmer sostituirà Sunak. Le elezioni di gennaio a Taiwan saranno sorprendentemente tranquille. Ma una nuova escalation potrebbe iniziare alla fine del 2024, in mezzo all’instabilità politica con il passaggio del potere agli Stati Uniti.
– Trump otterrà l’ammissione alle primarie e alle elezioni nella stragrande maggioranza degli Stati ma sarà ancora più attivamente sfidato da cause penali. Non si può escludere un verdetto di colpevolezza proprio alla vigilia delle elezioni. La situazione negli Stati Uniti sarà molto caotica: la probabilità di un attentato a uno dei candidati o di un grave attacco terroristico è piuttosto alta.
Nel caso in cui Trump riesca fisicamente ad arrivare alle elezioni e non finisca in carcere, vincerà contro Biden o Harris, qualunque di loro sia il candidato dei Democratici. I repubblicani, invece, otterranno la maggioranza al Senato, vincendo in Montana, Ohio e West Virginia. I Democratici non lo accetteranno, quindi possiamo aspettarci grandi rivolte e disordini nelle strade.
– La squadra di Biden invierà attivamente emissari a Doha e Istanbul, cercando di negoziare con l’Iran sugli Houthi e con la Russia sull’Ucraina. Le tranche per Kiev saranno concordate entro la fine di gennaio ma in un volume minore. La situazione sul fronte di Kiev si deteriorerà costantemente, minando la posizione di Biden.
– La FED inizierà a ridurre rapidamente il tasso di riferimento a febbraio, seguita dalla BCE e da altre banche centrali. Questo aiuterà gli Stati Uniti a evitare la recessione ma non la stagnazione. L’Europa sarà già saldamente in recessione, con la minaccia di una destabilizzazione politica nel 2025.
di Antonio Landini
Fonte: cese-m.eu
Dal 1948 al 1990 la CIA si è avvalsa di figure di spicco dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini, accusata di aver collaborato con il Terzo Reich durante la Seconda guerra mondiale, per cercare di destabilizzare l’Ucraina e mettere in crisi l’Unione Sovietica. Un’operazione segretissima, denominata Aerodynamic, che può aiutare a comprendere gli avvenimenti dei nostri giorni.
In un passaggio chiave del lungo discorso alla nazione del 24 febbraio 2022, data in cui ha avuto inizio la cosiddetta “Operazione Speciale” in Ucraina, Vladimir Putin ha affermato: «I principali Paesi della NATO, al fine di raggiungere i propri obiettivi, sostengono in tutto i nazionalisti estremisti e neonazisti in Ucraina». Il presidente russo ha, quindi, sottolineato che il fine dell’operazione militare «è proteggere le persone che sono state oggetto di bullismo e genocidio da parte del regime di Kiev per otto anni. E per questo ci adopereremo per la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina». In sostanza, il Cremlino ha accusato l’Occidente, e in primis gli Stati Uniti, di aver agito con il preciso intento di destabilizzare l’Ucraina, appoggiando e finanziando movimenti ultranazionalistici e, allo stesso tempo, di favorire la formazione di un governo filoccidentale. In pratica, un colpo di Stato. È chiaro il riferimento alle proteste di Euromaidan che nel febbraio del 2014 hanno provocato la caduta del governo, democraticamente eletto, del Presidente Viktor Janukovyč. Ma è davvero così?
I fantasmi di Euromaidan
Oggi, in relazione ai tragici avvenimenti di Maidan, sappiamo che le manifestazioni di protesta, nate in maniera spontanea (come reazione alla decisione di Janukovyč di rimandare la firma dell’accordo di associazione dell’Ucraina all’Unione europea) sul finire di novembre del 2013, videro la partecipazione iniziale di vari movimenti politici liberali prima di essere monopolizzate e radicalizzate da forze di estrema destra ultranazionalistiche come Pravyj Sektor (Settore Destro) – alleanza di diversi gruppi nazionalisti ucraini e dell’Assemblea Nazionale Ucraina-Auto Difesa Nazionale Ucraina (UNA-UNSO) formatisi proprio all’inizio delle proteste – e Svoboda (Unione Pan-Ucraina “Libertà”), partito fondato nell’ottobre del 1991 con il nome di Partito Social-Nazionalista di Ucraina su posizioni di stampo neonazista (il nome fu cambiato in Svoboda nel febbraio 2004). In un articolo apparso sulla rivista progressista “Salon” dal titolo Ci sono davvero neonazisti che combattono per l’Ucraina? Beh, sì ma è una lunga storia, a firma Medea Benjamin e Nicolas Davies, gli eventi sono stati sintetizzati in questo modo: «Il partito neonazista ucraino Svoboda e i suoi fondatori, Oleh Tyahnybok e Andriy Parubiy, hanno giocato ruoli di primo piano nel colpo di Stato sostenuto dagli Stati Uniti nel febbraio 2014. L’assistente segretario di Stato Victoria Nuland e l’ambasciatore americano Geoffrey Pyatt hanno menzionato Tyahnybok come uno dei leader con cui stavano lavorando nella loro famigerata telefonata trapelata prima del colpo di Stato, anche se hanno cercato di escluderlo da una posizione ufficiale nel governo post-golpe». E poco dopo: «Mentre le proteste precedentemente pacifiche a Kiev lasciavano il posto a scontri con la polizia e a violente marce armate… i membri di Svoboda e la nuova milizia di Settore Destro, guidata da Dmytro Yarosh, combattevano contro la polizia, guidavano le marce e razziavano un’armeria…». In sostanza, verso la metà di febbraio, i militanti di queste formazioni erano diventati i veri leader delle proteste. C’è da chiedersi pertanto che tipo di transizione politica ci sarebbe stata in Ucraina se avessero prevalso le proteste pacifiche e, soprattutto, quanto differente sarebbe stato il governo se questo processo non violento avesse potuto fare il suo corso senza le interferenze degli Stati Uniti e la posizione radicale della destra ultranazionalista ucraina. E invece è stato proprio il fondatore di Settore Destro (Yarosh), dopo aver rigettato l’accordo del 21 febbraio, che era stato negoziato dai ministri degli esteri francese, tedesco e polacco con Yanukovych, e prevedeva lo scioglimento del governo e la possibilità di indire nuove elezioni entro l’anno, a rifiutarsi di abbandonare la piazza e abbassare le armi. Al contrario, si è messo alla testa della marcia contro il Parlamento che è finita in un bagno di sangue quando cecchini, appostati sui palazzi circostanti, hanno aperto il fuoco (i morti sono stati oltre cento tra i manifestanti e la polizia). Evento che ha fatto precipitare la situazione e provocato il rovesciamento del governo.
Ucraina, un obiettivo sensibile
La ricostruzione degli eventi fatta da Benjamin e Davies si basa su dati oggettivi e riscontri reali come la famosa telefonata tra Victoria Nuland, Assistente del Segretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici, e l’ambasciatore americano in Ucraina Geoffrey Pyatt (fu intercettata dai servizi segreti russi e poi divulgata tramite il canale Youtube), che gli stessi interessati non hanno mai smentito; ma siamo ben lungi dall’aver un quadro completo degli eventi. Molti altri aspetti restano oscuri o di difficile interpretazione. Basti pensare alla difficoltà di appurare chi fossero i tiratori scelti che hanno aperto il fuoco. In assenza di una inchiesta governativa capace di fare luce sulla vicenda, il governo ucraino post-Janukovyč si è limitato ad accusare la polizia dell’ex presidente, sebbene quest’ultimo abbia sempre affermato di non aver mai dato l’ordine di sparare sui manifestanti. Che la cosa sia più complessa lo si comprende da diverse inchieste giornalistiche da cui emergerebbe come entrambi gli schieramenti avessero a disposizione fucili di precisione e molte immagini li immortalano mentre prendono la mira e fanno fuoco. Le conseguenze di quel drammatico cambio di regime provocarono, nei mesi successivi, forti tensioni tra la maggioranza ucraina e la popolazione russofona (concentrata perlopiù nel sud-est del paese), seguite dall’inizio della crisi in Donbass (e la decisione del Consiglio di Stato della Repubblica di Crimea di indire un referendum che ha sancito l’annessione alla Russia). Crisi che si è trascinata drammaticamente fino ai nostri giorni nel modo che tutti noi conosciamo. Al momento, quantificare la reale portata storica delle interferenze statunitensi sui fatti di Maidan e l’appoggio fornito da questi alle forze ultranazionalistiche ucraine non è possibile. Sarà necessario attendere a lungo (sempre che ciò avvenga) prima di poter consultare documenti ufficiali in grado di fare luce sugli eventi. È fuori di dubbio, tuttavia, che storici e analisti avevano già sottolineato la complessità del “caso ucraino” e che le prospettive future non erano per nulla rosee. Nel suo celebre Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Samuel Huntington, uno dei massimi esperti di politica estera americani, ha scritto nel 1996: «L’Ucraina… è un Paese diviso, patria di due distinte culture. La linea di faglia tra civiltà occidentale e civiltà ortodossa attraversa infatti il cuore del Paese, e così è stato per secoli. In passato, l’Ucraina ha fatto parte ora della Polonia, ora della Lituania, ora dell’Impero austro-ungarico. Un’ampia parte della sua popolazione aderisce alla Chiesa uniate, che segue il rito ortodosso ma riconosce l’autorità del Papa». Sul piano storico, afferma Huntington, gli ucraini occidentali hanno sempre parlato ucraino ed esibito un atteggiamento fortemente nazionalista, mentre la popolazione della parte orientale del Paese è in netta prevalenza di credo ortodosso e parla russo. Agli inizi degli anni Novanta, i russi ammontavano a circa il 22 per cento e i madrelingua russi al 31 per cento dell’intera popolazione. Nel 1993 nella maggioranza delle scuole primarie e secondarie le lezioni erano tenute in lingua russa. Un caso a parte è la Crimea. La sua popolazione era costituita per la maggioranza da russi, avendo fatto parte della Federazione russa fino al 1954, quando Chruščëv la concesse all’Ucraina. Le differenze tra queste due “anime” del Paese si manifestano negli atteggiamenti delle rispettive popolazioni: alla fine del 1992 un terzo dei residenti in Ucraina occidentale, a fronte del dieci per cento di quelli che abitavano nella capitale, mostravano sentimenti antirussi. Che l’Ucraina fosse un Paese diviso, e per tale ragione facilmente destabilizzabile, lo si comprende leggendo un documento della CIA, datato 1966, oggi reso pubblico: «Il processo di russificazione ha raggiunto in Ucraina orientale, soprattutto nelle città, un livello superiore a quello ottenuto da Mosca in ogni altro territorio dell’Urss, ma i sentimenti sciovinisti sono ancora molto forti nella campagne e nelle regioni occidentali lontane dai confini sovietici… Nel caso di una disintegrazione del controllo centrale sovietico, il nazionalismo ucraino potrebbe riaffiorare alla superficie e costruire un punto di riferimento per la nascita di un movimento organizzato di resistenza anti-comunista». Un’analisi precisa che, per quanto sia stata elaborata alla metà degli anni Sessanta, dimostra tutta la sua attualità alla luce di quanto avvenuto recentemente. E che i servizi segreti americani fossero sempre interessati a sondare il campo lo si percepisce da un altro documento – questa volta elaborato nel 2008 e poi pubblicato su Wikileaks – da cui emerge come «gli esperti sostengono che la Russia è preoccupata per le forti divisioni che esistono in Ucraina riguardo all’eventualità di entrare a far parte della NATO, a causa della nutrita componente etnica russa che è contraria all’adesione e che potrebbe portare a forti opposizioni, violenze o nel peggiore dei casi, alla guerra civile». Dal file si evince che gli americani sono consci che per la Russia la “questione ucraina” è un problema sensibile, che li potrebbe costringere a un intervento (militare?). Decisione che, tuttavia, non sono per nulla intenzionati a prendere. Questi due documenti dimostrano che la CIA ha monitorato gli eventi nel Paese, consapevole che avrebbero potuto essere uno strumento – una sorta di cavallo di Troia – con cui indebolire e destabilizzare l’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda, prima, e la Russia di Putin, poi. Non può essere una mera coincidenza il fatto che quel “nazionalismo ucraino”, paventato nel documento del 1966, si sia puntualmente materializzato nel 2014 con le conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti. Ma c’è di più.
Al soldo di Washington
La vasta mole di documenti resi pubblici dal governo americano grazie al Nazi War Crimes Disclosure Act del 1998 ha permesso di appurare come l’amministrazione a “Stelle e Strisce” abbia permesso ai suoi servizi segreti (prima il CIC e poi la CIA) di appoggiare e finanziare organizzazioni ultranazionalistiche e filonaziste ucraine in chiave antisovietica per l’intero corso della Guerra Fredda, ed esattamente dal 1948 fino agli inizi degli anni Novanta. Di che cosa stiamo parlando? E, in particolare, quali figure e organizzazioni furono cooptate? Vale la pena approfondire la questione perché di strettissima attualità. Dall’esame della documentazione resa pubblica emerge il ruolo dell’OUN-B, l’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini di Stepan Bandera, che durante la Seconda guerra mondiale aveva collaborato con i nazisti (non va dimenticato che nei giorni di Euromaidan i manifestanti di Svoboda marciavano proprio sotto il vessillo dell’OUN-B). Cosa sappiamo di questa organizzazione? L’OUN fu fondata nel 1929 da ucraini occidentali della Galizia orientale che chiedevano una nazione indipendente ed etnicamente omogenea. Il nemico giurato era la Polonia che in quel periodo controllava la Galizia orientale e la Volhynia. Nel 1934 l’OUN si rese protagonista dell’assassinio del ministro degli interni polacco Bronislaw Pieracki. Tra coloro che vennero arrestati e condannati per l’omicidio figuravano Bandera e Mykola Lebed, figura che ci interessa direttamente per i rapporti che ha avuto con la CIA nel dopoguerra. Il tribunale li condannò a morte, ma la sentenza fu poi tramutata in prigione a vita. Non passarono molto tempo dietro le sbarre: Bandera fu liberato nel 1938 (Lebed riuscì a fuggire l’anno successivo), dopodiché entrò in trattativa con il Terzo Reich che gli garantì fondi e permise a ottocento dei suoi uomini di essere addestrati alla guerriglia. Poi nel 1940 l’organizzazione si scisse in due: da una parte l’OUN-M (il cui leader era Andriy Atanasovych Melnyk), collocato su posizioni più moderate, e dall’altra la ben più radicale OUN-B di Bandera. Quando nel giugno del 1941 ebbe inizio l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, le forze dell’OUN-B ammontavano a circa settemila uomini, organizzati in “gruppi mobili” che si coordinavano con le truppe tedesche. Quindi, il colpo di scena. Il 5 luglio, le autorità, temendo che Bandera e l’OUN avessero intenzione di autoproclamare un’Ucraina indipendente per mezzo di una rivolta armata, lo arrestarono e lo condussero a Berlino (dopo una serie di interrogatori fu rilasciato ma obbligato a rimanere nella capitale tedesca). Sarà riarrestato nel gennaio del 1942 e condotto nel campo di concentramento di Sachsenhausen come prigioniero politico, godendo comunque di uno status speciale. In Germania il leader di OUN-B continuò a gestire il movimento. Lo dimostra il fatto che i suoi uomini continuarono a operare grazie all’appoggio di Berlino. Nel 1943 l’OUN-B prenderà parte alla campagna di sterminio di ebrei e polacchi. In questa fase fu proprio Lebed, comandante della Sluzhba Bespeki (l’organizzazione di polizia segreta della OUN-B), a gestire il programma di pulizia etnica. Con la fine della guerra, i leader dell’organizzazione finirono in vari campi per sfollati dell’Europa orientale e della Germania. Le loro vite presero strade diverse. Bandera, secondo quanto emerso dai documenti resi pubblici, nel 1948 fu reclutato dal servizio segreto inglese (MI6) per addestrare agenti che operassero in territorio sovietico per missioni di sabotaggio e assassinio. Nel 1956 Bandera fu quindi cooptato dall’Organizzazione Gehlen, una struttura segreta, nata nell’aprile del 1946 quando gli americani avevano dato il via all’Operazione Rusty, nome in codice dietro cui si celava la scelta di riattivare i vertici dell’FHO (Fremde Heere Ost), ovvero i servizi segreti militari del defunto esercito nazista sul fronte orientale, a cui era stato delegato (a partire dal 1942) l’attività di spionaggio contro l’Unione Sovietica. Con una sola differenza, ora questi ufficiali sarebbero stati sul libro paga degli Stati Uniti. Un progetto segretissimo (e rimasto tale almeno fino ai primi anni Cinquanta), attivo dal 1946 al 1956, prima che l’Organizzazione Gehlen si trasformasse nel Bundesnachrichtendienst (BND), l’agenzia di intelligence esterna della Repubblica federale tedesca. Ma questa è un’altra storia. Bandera, che in un rapporto dell’MI6 veniva definito come un «professionista con background terroristico e nozioni spietate sulle regole del gioco», sarà assassinato nel 1959 dal KGB nella Germania Ovest.
Operazione Aerodynamic
La “carriera” di Mykola Lebed avrà invece uno sviluppo sorprendente proprio per le relazioni con i servizi di intelligence statunitense. Sul suo conto la documentazione desegretata è voluminosa. Nel 1947, un rapporto stilato dal CIC (servizio segreto militare) definiva il soggetto un «collaboratore dei tedeschi». Eppure, ciò non impedì che finisse sul libro paga di Washington. Ciò avvenne nel 1948 quando, con l’inasprirsi della crisi con l’Unione Sovietica, la CIA decise che l’Esercito insurrezionale ucraino (UPA) di Lebed avrebbe potuto servire per operazioni di resistenza e intelligence dietro le linee sovietiche. La Central Intelligence Agency si occupò di tutto, fornendo denaro, armi e rifornimenti. Come ebbe modo di sottolineare Lebed più tardi: «Le… operazioni di lancio furono la prima vera indicazione… che l’intelligence americana era disposta a dare un sostegno attivo per stabilire linee di comunicazione in Ucraina». La sua carriera era a una svolta. L’operazione assunse fin da subito un ritmo significativo sotto il nome in codice di Cartel, presto mutato in Aerodynamic. Lebed fu fortunato in quanto la CIA decise di trasferirlo a New York dove acquisì lo status di residente permanente e di lì a poco la cittadinanza. Ciò gli permise di evitare possibili vendette e di prendere contatto con gli emigrati ucraini negli Stati Uniti. Quando era necessario si spostava in Europa per coordinare le operazioni sul campo. In America Lebed divenne il principale referente della CIA per Aerodynamic. Nei rapporti del tempo, come rimarcato dai ricercatori Richard Breitman e Norman Goda, autori di Hitler’s Shadow, Nazi War Criminals, U.S. Intelligence, and the Cold War, il soggetto viene definito «astuto» e «un operatore molto spietato». A quanto pare, non era molto popolare tra gli ucraini negli Stati Uniti per la brutalità mostrata durante la guerra, ma l’intelligence americana gradiva la sua efficienza. Allen Dulles, il futuro direttore della CIA dal 1953 al 1961, sottolineò come il soggetto fosse «di valore inestimabile». Aerodynamic prevedeva l’infiltrazione e l’esfiltrazione dall’Ucraina di agenti addestrati dagli americani. Secondo Breitman e Goda, le operazioni del 1950 rivelarono «un movimento clandestino ben stabilito e sicuro» in Ucraina che era anche «più grande e più pienamente sviluppato di quanto i rapporti precedenti avessero indicato». Washington era soddisfatta dell’alto livello di addestramento dell’UPA e del suo potenziale per azioni di guerriglia. Di fronte a questi risultati, la CIA decise di potenziare ulteriormente le attività dell’UPA al fine di sfruttare il movimento clandestino a fini di resistenza e di intelligence. Nei documenti veniamo a sapere che in caso di guerra l’UPA avrebbe potuto arruolare sotto le sue fila qualcosa come centomila combattenti. Ma i rischi della missione erano elevati. I sovietici fecero di tutto per mettere fine alla loro attività e, tra il 1949 e il 1953, un gran numero di militanti fu ucciso e catturato. Entro il 1954 l’organizzazione era stata fortemente indebolita.
La CIA fu costretta a interrompere la fase più aggressiva di Aerodynamic, ma non cancellò l’operazione. Fu riadattata. A partire dal 1953, Lebed e un gruppo di collaboratori iniziò a operare per realizzare giornali, programmi radio e libri che si ispiravano al nazionalismo ucraino. L’obiettivo era distribuirli di nascosto nel Paese. Poi nel 1956 questo gruppo di lavoro divenne un’associazione no-profit chiamata Prolog Research and Publishing, stratagemma che permetteva alla CIA di far giungere finanziamenti senza lasciare traccia. In un secondo tempo, per evitare che le autorità potessero scoprire cosa si celava dietro il progetto, l’Agenzia trasformò l’associazione nella Prolog Research Corporation, che aveva un ufficio anche in Germania chiamato Ukrainische-Gesellschaft für Auslandsstudien, EV. Sarà proprio questo a pubblicare la maggior parte della documentazione. Lo schema usato da Prolog era semplice: gli autori di origine ucraina, che avevano lasciato il Paese, venivano reclutati per realizzare i lavori senza sapere che stavano lavorando per l’intelligence statunitense. Solo un ristretto numero ne era al corrente. Ma come veniva fatto entrare in Ucraina il materiale? Nel 1955 un gran numero di volantini furono lanciati per via aerea, mentre una trasmissione radio chiamata Nova Ukraina andava in onda da Atene. Come ben spiegato da Breitman e Goda «queste attività diedero il via a campagne sistematiche di mailing in Ucraina attraverso contatti ucraini in Polonia ed… emigrati in Argentina, Australia, Canada, Spagna, Svezia e altrove. Il giornale Suchasna Ukrainia (Ucraina Oggi), bollettini informativi, una rivista in lingua ucraina per intellettuali chiamata Suchasnist (Il Presente), e altre pubblicazioni furono inviate a biblioteche, istituzioni culturali, uffici amministrativi e privati in Ucraina. Queste attività incoraggiarono il nazionalismo ucraino, rafforzarono la resistenza ucraina e fornirono un’alternativa ai media sovietici. Solo nel 1957, con il supporto della CIA, Prolog trasmise 1200 programmi radio per un totale di 70 ore al mese e distribuì 200mila giornali e 5mila opuscoli». Una campagna massiccia il cui fine, come sottolineato da un funzionario della CIA, era dettata dal fatto che «una qualche forma di sentimento nazionalista continua a esistere [in Ucraina] e c’è l’obbligo di sostenerlo come arma della Guerra Fredda». Prolog non disdegnava la raccolta di informazioni, cosa che fu facilitata dal fatto che, sul finire degli anni Cinquanta, i sovietici allettarono le restrizioni sugli spostamenti all’estero. Ogni occasione – conferenze universitarie, eventi culturali e sportivi (le Olimpiadi di Roma ad esempio) – servivano per avvicinare personalità ucraine residenti in Unione Sovietica e sondare i sentimenti della popolazione nei confronti dei russi. Ecco perché la CIA era così entusiasta di Aerodynamic. Nel corso degli anni Sessanta, Lebed e compagni fornirono un gran numero di rapporti sulla situazione politica in Ucraina, informazioni sensibili sulle attività del KGB e la dislocazione delle forze armate. Il fatto che Mosca reagisse bollando questi gruppi clandestini – erano definiti “Banderisti” – come nazisti al soldo degli americani fu interpretato dalla CIA come una prova dell’efficacia del progetto. Non stupisce che le nuove generazioni nel Paese siano state influenzate dall’attività di Prolog (alcuni viaggiatori occidentali riferirono di aver potuto consultare il materiale pubblicato in diverse case private). Lebed lavorò al progetto fino al 1975 quando andò in pensione, continuando però a fornire consulenza. Nel 1978 a capo della struttura fu nominato il giornalista ucraino Roman Kupchinsky. Nel corso degli anni Ottanta l’Operazione Aerodynamic cambiò nome in Qrdynamic, Pddynamic e poi Qrplumb. Va fatto notare che nel 1977 si interessò del progetto anche Zbigniew Brzezinski, il potente consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter, tenendo conto del fatto che i risultati ottenuti erano significativi e raggiungevano un vasto pubblico in Ucraina. La conseguenza fu che le operazioni furono estese ad altre aree e nazionalità dell’URSS (gli ebrei sovietici ad esempio). In base a quanto è stato possibile appurare, agli inizi degli anni Novanta, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, Qrplumb non fu più finanziata, ma fu lasciata libera di operare. Difficile sapere come si sia mossa. I documenti non lo specificano.
L’ultimo atto
Nel 1985 Lebed venne menzionato da un rapporto governativo che indagava sulla presenza di nazisti e fiancheggiatori stabilitisi negli Stati Uniti grazie all’appoggio dei servizi segreti. In breve tempo l’OSI, l’Office of Special Investigations del Dipartimento di Giustizia, iniziò a indagare sul suo conto. Ancora una volta la CIA intervenne, temendo lo scandalo che ne sarebbe potuto derivare tra i membri della comunità ucraina negli Usa. Ma il grande timore era che l’Operazione Qrplumb potesse subire un contraccolpo. L’Agenzia negò categoricamente che Lebed avesse avuto a che fare con i nazisti e i crimini commessi in tempo di guerra, sostenendo che era stato un vero combattete ucraino per la libertà. Ma non è tutto. Fino al 1991 i funzionari della CIA fecero in modo di dissuadere l’Office of Special Investigations dal richiedere ai governi sovietico, polacco, tedesco informazioni sul suo conto. Alla fine, i funzionari del Dipartimento di Giustizia dovettero gettare la spugna. Lebed ebbe tutto il tempo di godersi la vecchiaia fino alla morte, sopraggiunta nel 1998.
In collegamento video, per evitare il possibile arresto dopo il mandato spiccato dalla Corte dell’Aja per crimini di guerra, il leader del Cremlino ha utilizzato il suo discorso per difendere l’invasione della Russia in Ucraina
AGI – A un anno e mezzo dall’inizio della guerra in Ucraina, Vladimir Putin ha assicurato, durante il vertice del gruppo Brics a Johannesburg, che la Russia vuole porre fine a un conflitto che, secondo lui è stato “scatenato” dall’Occidente “per mantenere la propria egemonia nel mondo”.
Intervenuto in collegamento video, per evitare il possibile arresto dopo il mandato spiccato dalla Corte dell’Aja per crimini di guerra, il leader del Cremlino ha utilizzato il suo discorso per difendere la guerra della Russia in Ucraina e lodare Cina, Brasile, India e Sudafrica, che nel blocco con Mosca si presentano sempre più’ come contrappeso al dominio globale degli Stati Uniti.
Putin ha ripetuto, ancora una volta, la narrativa ufficiale russa, secondo cui l’invasione dell’Ucraina, condannata da Kiev e dall’Occidente come una mossa imperialista, è stata la risposta obbligata della Russia alle azioni ostili di Kiev e Washington e allo “sterminio” che da otto anni era in corso nelle regioni orientali del Donbass.
“Prima, con l’aiuto degli occidentali, in questo Paese è stato effettuato un colpo di Stato incostituzionale, e poi è stata scatenata una guerra contro quelle persone che non erano d’accordo col golpe”, ha detto riferendosi alla caduta del governo filo-russo di Viktor Yanukovich dopo la rivoluzione di Maidan del 2014. “Una guerra crudele, una guerra di sterminio da otto anni“.
Putin ha parlato ai leader di Paesi che si sono astenuti dal condannare le azioni della Russia in Ucraina. Dopo la rottura con l’Occidente sull’Ucraina, i Brics hanno assunto maggiore importanza per Mosca, interessata ad attenuare le sanzioni con l’aumento dell’interscambio aumentando con Asia, Africa e America Latina.
L’EDITORIALE
di Matteo Castagna perhttps://www.informazionecattolica.it/2023/07/24/e-se-il-dollaro-crollasse/ – pubblicato anche da www.2dipicche.news – www.tgpadova.telenuovo.org
e all’estero, tradotto in spagnolo dai giornalisti messicani per www.info.Hispania.it e Voces del Periodista
LA POTENZIALE FINE DEL REGNO DEL DOLLARO USA COME VALUTA DI RISERVA GLOBALE
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L’ambasciata russa in Kenya ha pubblicato su Twitter la seguente dichiarazione: “I paesi BRICS stanno pianificando di introdurre una nuova valuta commerciale, che sarà sostenuta dall’oro. Sempre più contee hanno recentemente espresso il desiderio di aderire ai BRICS”.
Questa mossa verso la de-dollarizzazione simboleggia una potenziale fine del regno del dollaro USA come valuta di riserva globale. Gli impatti di questo cambiamento si svilupperanno senza dubbio nei prossimi mesi, suggerendo la fine di un’era di dominio statunitense e l’inizio di una nuova era di stabilità economica e prosperità per le nazioni BRICS+.
Al loro prossimo vertice di agosto a Johannesburg, in Sudafrica, previsto tra il 22 e il 24 Agosto, Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e numerosi altri Stati africani e latino-americani delibereranno in merito.
John Maynard Keynes (1883 – 1946) ha scritto che non c’è mezzo più sicuro per rovesciare un sistema economico che minare la fiducia nella sua moneta. L’ economia americana, pur rimanendo la più grande del pianeta, oggi corrisponde solo al 20% del pil mondiale. Il primato del dollaro, a livello geopolitico, pone gli Stati Uniti in una situazione di vantaggio senza eguali, soprattutto per quanto riguarda le materie prime, come gas naturale e petrolio, che la Federal Reserve può giocarsi come meglio crede nei confronti dei commerci internazionali. Ma la crisi politica, successiva alle elezioni di metà mandato, ha consegnato la maggioranza al Congresso ai repubblicani e una risicata maggioranza dei democratici al Senato.
Filippo Gori, su Limes (n.6/2023) scrive: “Il rischio di un default conseguente al mancato innalzamento del tetto d’indebitamento, danneggia la fiducia negli Stati Uniti e nel dollaro, cioè nella stabilità economico-politica del paese che è alla base del primato della sua valuta nel sistema finanziario globale. Non solo. Il costo per i paesi detentori di riserve valutarie in dollari – tipicamente accumulate con l’acquisto di titoli del Tesoro statunitense – di una possibile insolvenza americana pesa sull’utilizzo del biglietto verde negli scambi internazionali. Il ricorrere di crisi del tetto del debito, pertanto, non configura solo un rischio per la stabilità economica della più grande economia del mondo, ma anche una minaccia al ruolo dominante del dollaro nel sistema finanziario internazionale”.
In tale contesto, si andrebbe a favorire l’ingresso nel mercato globale di valute alternative, come quella anticipata ai media dai portavoce BRICS+. Osserva acutamente, sempre Gori: “la sempre maggiore frammentazione geopolitica, l’aumento delle tensioni economico-strategiche e il crescente uso del dollaro come strumento di politica estera da parte statunitense spingono tuttavia i rivali strategici di Washington, su tutti Russia e Cina, verso sistemi di pagamento indipendenti dal dollaro. Pechino, per volume di scambi commerciali e rilevanza economica, è oggi l’unico paese in grado di offrirne uno”.
Molti Paesi potrebbero far venir meno la loro fiducia nei confronti del biglietto verde se, come appare all’orizzonte, gli Stati Uniti andassero incontro a ricorrenti crisi del tetto del debito. E’ certo che – come conclude Filippo Gori – “non c’è mezzo più sicuro per rovesciare l’attuale sistema economico che minare la fiducia nella sua moneta”.
La crisi americana non è, però, soltanto di natura economica, perché è in corso uno sviluppo multipolare destinato ad emarginare il dollaro, quanto sociale e, quindi politica. Sembrerebbero raffreddarsi le posizioni americane e UE pro Zelensky, cui viene vietato l’ingresso nella NATO, forse per non provocare la Russia e mantenere al passo coi cambiamenti gli interessi finanziari statunitensi, che hanno visto un’ importante tappa nell’incontro tra il sempreverde Henry Kissinger e il Presidente cinese Xi Jinping.
Negli stravolgimenti socio-culturali dell’ideologia wok, che muta ogni paradigma naturale e ovvio, consacrando la dimensione, spesso distopica, dell’assurdo come forma di nuova normalità, l’Occidente liberale, costituito dall’Europa sembra seguire, senza ragionare, la deriva d’Oltreoceano, che rischia di crollare miseramente, se venisse accantonato il dollaro e, quindi, il potere globale degli americani venisse ampiamente ridimensionato.
Anziché intestardirsi nel rifiutare un mondo multipolare, il patto atlantico dovrebbe guardare al resto del mondo senza pregiudizi, guarendo dalla miopia che lo attanaglia, perché il processo di cambiamento di potere è già in corso e, difficilmente, farà passi indietro.
I BRICS+, seppur con sfumature differenti, mantengono una visione della vita molto lontana da quella liberal, che si avvicina a quella dell’ortodossia cattolica in campo etico e morale. Inconcepibile per loro che un uomo si faccia chiamare donna, come sancito dal Tribunale di Trapani, così come non è accettabile la mercificazione dei corpi, il genderismo e le conseguenti amenità dem del Vecchio Continente americanizzato e post-cristiano. Sarebbe, dunque necessario, ovviare al pacchetto cosiddetto progressista, che morirebbe con un forte indebolimento degli States nel mondo.
Per non finire come i filistei, le Istituzioni europee dovrebbero ricordare una grande lezione di uno dei più grandi intellettuali e scrittori inglesi del secolo scorso, quale G.K. Chesterton (1874 – 1936) che su Ortodossia, dato alle stampe nel 1908, aveva già colto l’essenziale: “l’ortodossia è non solo l’unico guardiano sicuro della morale e dell’ordine, ma è anche l’unico guardiano logico della libertà, dell’innovazione, del progresso. Se vogliamo far cadere il ricco oppressore, non possiamo farlo con la nuova dottrina della perfettività umana, ma con la vecchia dottrina del peccato originale. Se vogliamo sradicare crudeltà innate o risollevare popolazioni disperate, non possiamo farlo con la teoria scientifica, secondo cui la materia precede lo spirito, ma con la teoria sovrannaturale secondo cui lo spirito precede la materia. […]
Se desideriamo che la civiltà europea vada in soccorso delle anime così come ne va all’assalto, dovremmo insistere fermamente sul fatto che esse sono davvero in pericolo, piuttosto che affermare che il pericolo al quale sono esposte sia in fin dei conti irreale. […] Soprattutto se desideriamo proteggere i poveri dovremmo essere a favore di regole fisse e di dogmi chiari. Le regole di un club, di tanto in tanto, sono a favore dei membri più poveri. La tendenza di un club è sempre a favore di quelli ricchi”.
di Alastair Crooke*
Fonte: Come Don Chisciotte
L’arroganza consiste nel credere che una narrazione artificiosa possa, di per sé, portare alla vittoria. È una fantasia che ha attraversato tutto l’Occidente, soprattutto a partire dal XVII secolo. Recentemente, il Daily Telegraph ha pubblicato un ridicolo video di nove minuti in cui si sostiene che “le narrazioni vincono le guerre” e che le battute d’arresto in uno scenario bellico sono un fatto accidentale: ciò che conta è avere un filo narrativo unitario articolato, sia verticalmente che orizzontalmente, lungo tutto lo spettro – dal soldato delle forze speciali sul campo fino all’apice del vertice politico.
Il succo è che “noi” (l’Occidente) abbiamo una narrativa irresistibile, mentre quella della Russia è “goffa”, quindi, è inevitabile che gli Stati Uniti vincano.
È facile deriderla, ma possiamo comunque riconoscere in essa una certa sostanza (anche se questa sostanza è un’invenzione). La narrazione è ormai il modo in cui le élite occidentali immaginano il mondo. Che si tratti dell’emergenza pandemica, del clima o dell’Ucraina, tutte le “emergenze” sono ridefinite come “guerre”. E tutte sono”guerre” che devono essere combattute con una narrazione unitaria e obbligatoria di “vittoria”, contro la quale è vietata ogni opinione contraria.
L’ovvio difetto di questa arroganza è che richiede di essere in guerra con la realtà. All’inizio il pubblico è confuso, ma, man mano che le menzogne proliferano e si stratificano, la narrazione si separa sempre di più dalla realtà, anche se le nebbie della disonestà continuano ad avvolgerla. Lo scetticismo del pubblico si fa strada. Le narrazioni sul “perché” dell’inflazione, sul fatto che l’economia sia o no sana, o sul perché dobbiamo entrare in guerra con la Russia, iniziano a perdere colpi.
Le élite occidentali hanno scommesso tutto sul massimo controllo delle “piattaforme mediatiche”, sull’assoluto conformismo dei messaggi e sulla spietata repressione delle proteste come loro progetto per continuare a mantenere il potere.
Eppure, contro ogni previsione, i media mainstream stanno perdendo la loro presa sul pubblico statunitense. I sondaggi mostrano una crescente sfiducia nei confronti dei media statunitensi. Quando è apparso il primo show “anti-messaggio” di Tucker Carlson su Twitter, il rumore delle placche tettoniche che si scontravano è stato imperdibile, mentre più di 100 milioni di americani (uno su tre) ascoltavano l’iconoclastia.
Il punto debole di questo nuovo autoritarismo “liberale” è che i suoi miti narrativi chiave possono essere infranti. Basta poco; lentamente, la gente inizia a parlare della realtà.
Ucraina: come si vince una guerra che non si può vincere? La risposta dell’élite è stata la narrazione. Insistendo, contro la realtà dei fatti, che l’Ucraina sta vincendo e la Russia sta “cedendo”. Ma questa arroganza alla fine viene smontata dai fatti sul campo. Anche le classi dirigenti occidentali si rendono conto che la loro richiesta di un’offensiva ucraina di successo è fallita. Alla fine, i risultati militari sono più potenti delle chiacchiere politiche: Uno schieramento è distrutto, i suoi molti morti diventano la tragica “forza” per rovesciare il dogma.
“Saremo in grado di estendere all’Ucraina l’invito ad aderire all’Alleanza quando gli alleati saranno d’accordo e le condizioni saranno soddisfatte… [tuttavia] a meno che l’Ucraina non vinca questa guerra, non c’è alcun problema di adesione da discutere” – ha dichiarato Jens Stoltenberg a Vilnius. Così, dopo aver esortato Kiev a gettare altre (centinaia di migliaia) di uomini nelle fauci della morte per giustificare l’adesione alla NATO, quest’ultima volta le spalle alla sua protetta. Dopotutto, si trattava di una guerra non vincibile fin dall’inizio.
L’arroganza, ad un certo livello, risiede nel fatto che la NATO contrappone la sua presunta “superiorità” in termini di dottrina militare e di armamenti alla deprecata rigidità – e “incompetenza” – militare russa di stampo sovietico.
Ma le operazioni militari sul campo hanno rivelato la dottrina occidentale per quel che è – arroganza – con le forze ucraine decimate e le armi della NATO ridotte a carcasse fumanti. È stata la NATO ad insistere sulla rievocazione della Battaglia del 73 Est (nel deserto iracheno, ma ora trasportata in Ucraina).
In Iraq, il “pugno corazzato” aveva facilmente perforato le formazioni di carri armati iracheni: si trattava infatti di un “cazzottone” che aveva messo al tappeto l’opposizione irachena. Ma, come ammette francamente il comandante statunitense di quella battaglia di carri armati (il colonnello Macgregor), il suo risultato contro un’opposizione demotivata era stato in gran parte fortuito.
Tuttavia, il “73 Easting” è un mito della NATO, trasformato in dottrina generale per le forze ucraine – una dottrina strutturata sulla circostanza unica dell’Iraq.
L’arroganza – in linea con il video del Daily Telegraph – sale tuttavia in verticale per imporre la narrazione unitaria di una prossima “vittoria” occidentale anche sulla sfera politica russa. È una vecchia storia che la Russia sia militarmente debole, politicamente fragile e incline alle spaccature. Conor Gallagher ha dimostrato con ampie citazioni che era stata esattamente la stessa storia anche nella Seconda Guerra Mondiale, si trattava di un’analoga sottovalutazione della Russia da parte dell’Occidente – combinata con una grossolana sopravvalutazione delle proprie capacità.
Il problema fondamentale del delirio è che l’uscirne (se mai succede) avviene ad un ritmo molto più lento degli eventi. Questo disallineamento può definire gli esiti futuri.
Potrebbe essere nell’interesse del Team Biden supervisionare un ritiro ordinato della NATO dall’Ucraina, in modo da evitare che diventi un’altra debacle in stile Kabul.
Perché ciò avvenga, il Team Biden ha bisogno che la Russia accetti un cessate il fuoco. E qui sta il difetto (ampiamente trascurato) di questa strategia: semplicemente, non è nell’interesse della Russia “congelare” la situazione. Ancora una volta, l’ipotesi che Putin “prenderebbe al volo” l’offerta occidentale di un cessate il fuoco è un modo di pensare arrogante: i due avversari non sono congelati nel senso basilare del termine – come in un conflitto in cui nessuna delle due parti è riuscita a prevalere sull’altra e sono bloccate.
In parole povere, mentre l’Ucraina è strutturalmente sull’orlo dell’implosione, la Russia, al contrario, è del tutto plenipotente: Dispone di forze ingenti e fresche, domina lo spazio aereo e ha quasi il dominio dello spazio elettromagnetico. Ma l’obiezione fondamentale ad un cessate il fuoco è che Mosca vuole che l’attuale collettivo di Kiev se ne vada e che le armi della NATO siano fuori dal campo di battaglia.
Quindi, ecco il problema: Biden ha un’elezione, e quindi sarebbe adatto alle esigenze della campagna democratica avere un “disimpegno ordinato”. La guerra in Ucraina ha messo in luce troppe carenze logistiche americane. Ma anche la Russia ha i suoi interessi.
L’Europa è la parte più intrappolata dall’”allucinazione”, fin dal momento in cui si è gettata senza riserve nel “campo” di Biden. La narrazione dell’Ucraina si è interrotta a Vilnius. Ma l’amour propre di alcuni leader dell’UE li mette in conflitto con la realtà. Vogliono continuare ad alimentare il tritacarne ucraino, a persistere nella fantasia di una “vittoria totale”: “non c’è altro modo che una vittoria totale – e sbarazzarsi di Putin… Dobbiamo correre tutti i rischi per questo. Nessun compromesso è possibile, nessun compromesso“.
La classe politica dell’UE ha preso così tante decisioni disastrose in ossequio alla strategia statunitense – decisioni che vanno direttamente contro gli interessi economici e di sicurezza degli europei – che ha molta paura.
Se la reazione di alcuni di questi leader sembra sproporzionata e irrealistica (“Non c’è altro modo che una vittoria totale – e sbarazzarsi di Putin”) – è perché questa “guerra” tocca motivazioni più profonde. Riflette il timore esistenziale di un disfacimento della meta-narrazione occidentale che farà crollare la sua egemonia e, con essa, la struttura finanziaria occidentale.
La meta-narrazione occidentale “da Platone alla NATO, è quella di idee e pratiche superiori le cui origini risalgono all’antica Grecia e che, da allora, sono state raffinate, estese e trasmesse nel corso dei secoli (attraverso il Rinascimento, la rivoluzione scientifica e altri sviluppi presumibilmente unicamente occidentali), cosicché oggi noi occidentali siamo i fortunati eredi di un DNA culturale superiore“.
Questo è ciò che probabilmente avevano in mente gli autori del video del Daily Telegraph quando avevano insistito sul fatto che “la nostra narrativa vince le guerre”. La loro arroganza risiede nella presunzione implicita che l’Occidente, in qualche modo, vince sempre – è destinato a prevalere – perché è il destinatario di questa genealogia privilegiata.
Naturalmente, al di fuori della comprensione generale, è accettato che la nozione di “Occidente coerente” sia stata inventata, riproposta e utilizzata in tempi e luoghi diversi. Nel suo nuovo libro, The West, l’archeologa classica Naoíse Mac Sweeney contesta il “mito del padrone”, sottolineando che era stato solo “con l’espansione dell’imperialismo europeo d’oltremare nel XVII secolo che aveva iniziato ad emergere un’idea più coerente di Occidente, utilizzata come strumento concettuale per tracciare la distinzione tra il tipo di persone che potevano essere legittimamente colonizzate e quelli che potevano essere legittimamente i colonizzatori”.
Con questa invenzione dell’Occidente era arrivata anche l’invenzione della storia occidentale, un lignaggio elevato ed esclusivo che ha fornito una giustificazione storica per la dominazione occidentale. Secondo il giurista e filosofo inglese Francis Bacon, nella storia dell’umanità ci sono stati solo tre periodi di apprendimento e civiltà: “uno tra i Greci, il secondo tra i Romani e l’ultimo tra noi, cioè le nazioni dell’Europa occidentale“.
Il timore più profondo dei leader politici occidentali – complice la consapevolezza che la “Narrazione” è una finzione che raccontiamo a noi stessi, pur sapendola essere di fatto falsa – è che la nostra epoca sia stata resa sempre più e pericolosamente dipendente da questo meta-mito.
Se la fanno sotto non solo a causa di una “Russia potente”, ma piuttosto per la prospettiva che il nuovo ordine multipolare guidato da Putin e Xi, che si sta diffondendo in tutto il mondo, faccia crollare il mito della civiltà occidentale.
Fonte: www.strategic-culture.org
Link: https://strategic-culture.org/news/2023/07/17/a-bonfire-of-the-vanities/
Scelto e tradotto da Markus per www.comedonchisciotte.org
*Alastair Crooke CMG, ex diplomatico britannico, è fondatore e direttore del Conflicts Forum di Beirut, un’organizzazione che sostiene l’impegno tra l’Islam politico e l’Occidente. In precedenza è stato una figura di spicco dell’intelligence britannica (MI6) e della diplomazia dell’Unione Europea.
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