Perché non abbiamo capito niente della guerra di Putin

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di Fulvio Scaglione

Fonte: fanpage

L’aggressore e l’aggredito. Il grosso contro il piccolo. Il cattivo contro il buono. Gli ingredienti c’erano tutti per trasformare le analisi sulla guerra in Ucraina in una specie di tifo. Però si sa come va con il tifo: tutti i falli fischiati contro la nostra squadra (in questo caso l’Ucraina) sono un’ingiustizia dell’arbitro, per noi c’erano almeno tre-quattro rigori, il recupero doveva essere più lungo… Il tifoso vede la partita del sentimento, non quella vera. Ed è forse per questo che, a parere personalissimo di chi scrive, della guerra di Vladimir Putin non abbiamo capito quasi niente.
Uno degli elementi che più hanno contribuito a questo risultato è stata la bizzarra convinzione (nata dal solito articolo del New York Times o del Washington Post, così concepito: fonti dell’intelligence dicono che…) che i russi cercassero una guerra-lampo e che il prolungamento delle ostilità equivalesse a una loro sconfitta.

Non c’è traccia nella storia militare russa di una guerra-lampo
Ecco allora tre elementi per confutare questa falsa convinzione. Il primo è che non c’è traccia nella storia militare russa di una guerra-lampo. I russi, semplicemente, non combattono così. Hanno sempre avuto una macchina militare pachidermica, lenta, massiccia ed efficace soprattutto alla distanza. Secondo elemento: i servizi segreti russi. In Occidente è cresciuta una visione assolutamente schizofrenica della loro efficacia. Un giorno li riteniamo onnipotenti (capaci persino, attraverso gli hacker, di far eleggere Donald Trump o minacciare le infrastrutture essenziali di Europa e Usa), il giorno dopo totalmente incapaci. A essere razionali, risulta difficile credere che possano aver garantito a Putin una guerra-lampo proprio in Ucraina dove, per ragioni storiche e geografiche, di sicuro hanno una rete di spie. In più, tutti sanno che dal 2015 l’Ucraina ha intrapreso una profonda riforma della Difesa e delle forze armate, che da anni viene rifornita di armi e denaro da molti Paesi, che aveva già prima di questa guerra un esercito di quasi 200 mila uomini e una milizia territoriale di circa 100 mila e che nel 2021 aveva speso il 4,1% del Pil per le forze armate. Chi poteva essere così stupido e temerario da sottoporre a Putin un pronostico di facile e immediata vittoria?
Chi è Anton Siluanov, il ministro di Putin che combatte la guerra contro le sanzioni (e il dollaro)
Fulvio Scaglione
Chi è Elvira Nabiullina, la cassiera di Putin che può salvare la Russia o farla fallire
Ma soprattutto basta guardare la cartina delle operazioni per capire che l’intento non era quello di un blitz o di una spedizione punitiva. Fin dal primo giorno, i russi hanno attaccato su un fronte vastissimo: lungo tutto il confine con l’Ucraina (lungo 1.560 chilometri), più un altro tratto a Nord dalla Bielorussia e un altro tratto a Sud dalla Crimea. Come si può pensare che un attacco così allargato fosse immaginato per una spedizione di pochi giorni, sostenuta tra l’altro da un contingente ridotto, visto che i russi hanno mobilitato “solo” 120-130 mila soldati?

Cosa cerca la Russia di Putin con la guerra in Ucraina
Ma se non cercava una guerra-lampo, che cosa cercava Putin con questa guerra? Che cosa voleva ottenere in Ucraina? La mia di nuovo personalissima convinzione è che a Putin non importi nulla di conquistare Kiev o di allargare l’operazione militare alla parte Ovest del Paese. Quello che gli interessa davvero è l’Est, dove c’è una popolazione in maggioranza russofona (che sia anche russofila, dopo le distruzioni della guerra, è da vedere) e dove si trovano tutte le maggiori risorse del Paese: miniere, centrali nucleari, industrie pesanti, porti, grandi snodi ferroviari. È lì che la Russia, con l’invasione, vuole insediarsi. Con un controllo diretto, cioè annettendo il territorio (ex) ucraino alla Federazione russa (e qui, attenzione alla proposta di Leonid Paschecnik, presidente della Repubblica di Lugansk, di tenere un referendum per l’annessione); oppure facendo nascere la cosiddetta Novorossija, uno Staterello vassallo della Russia che comprenderebbe il Donbass e la Crimea (in un modo o nell’altro sottratti all’Ucraina nel 2014) più i territori conquistati con l’invasione.
La Russia otterrebbe così nuova popolazione (pochi in Occidente lo sanno ma il calo demografico è una delle angosce di Mosca: un milione in meno di persone tra 2020 e 2021, la più drastica diminuzione in tempo di pace nella storia del Paese), nuovi e ricchi territori e, soprattutto, una continuità territoriale strategica dalla Bielorussia alla Moldavia. Obiettivo massimo di questa strategia: raggiungere il grande fiume Dnepr, che taglia in due l’Ucraina e in certi tratti è largo anche tre chilometri, e usarlo come un confine naturale rispetto all’Occidente. Così la Russia controllerebbe tutta la parte a Est del fiume e all’Ucraina propriamente detta resterebbe la parte Ovest. Molti, rispetto a questo piano, fanno il paragone con le due Coree. È giusto. Ma nella storia della Russia c’è già stato qualcosa di simile. Nel Seicento quando, dopo un accordo con le comunità cosacche dello Zaporozhe (dove ora sono arrivate le truppe russe che controllano la centrale atomica di Enerhodor), la Russia degli zar si trovò padrona a Est del Dnepr, mentre la Polonia lo era a Ovest. In qualche modo la storia si ripete.

Dio è buono perché punisce e manda all’Inferno…altrimenti sarebbe cattivo

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

Invece per l’eresia buonista tutti gli uomini sono concepiti immacolati, in quanto, come diceva Rousseau ciò che rende cattivo l’uomo è la società in cui vive
di Pierfrancesco Nardini

In un precedente articolo abbiamo parlato di un atteggiamento sempre più diffuso: quello di prendersela con Dio per le cose negative della vita e mai ringraziarlo per quelle belle [leggi: A DIO PUOI CHIEDERE TUTTO, MA NON PUOI PRETENDERE NULLA, clicca qui, N.d.BB].
A questo si collega un altro pensiero, molto spesso come critica che viene rivolta al mondo della Tradizione: Dio non è cattivo, quindi non punisce, non manda all’Inferno. Questo sottintende (ma a volte lo dicono proprio) che chi parla di peccato mortale, Inferno e cose affini è il solito retrogrado duro di cuore con i paraocchi, che non ha capito nulla di Dio.
Perché si collega al prendersela con Dio?
Sono due lati della stessa medaglia. Da un lato si bestemmia Dio, attribuendoGli cattiveria, dall’altro Gli si attribuisce una sdolcinata accondiscendenza ad ogni disobbedienza alla sua Legge. In ambedue i casi si nega a Dio una sua qualità: la Bontà infinita da un lato, la Giustizia perfetta dall’altro.
Torniamo all’argomento attuale. Dov’è il problema in questo ragionamento (Dio non punisce, Dio non manda all’Inferno, ecc…)? In primis sta in quel che sottintende.
Nei casi di cui parliamo infatti è chiaro che non si dice solo “Dio è buono”, letteralmente (fosse solo questo, sarebbe corretto). Si sottintende invece contrapposizione a una cattiveria erroneamente collegata al giudicare i peccatori. In parole povere si dice che Dio non giudica e non manda all’inferno perché non è cattivo. Lui ama e basta…
Si nota come questo sia una deriva di quel buonismo che ha oramai invaso la Chiesa con evidenti conseguenze sul modo di intendere la dottrina e non solo.

DIO NON È CATTIVO
“Ma Dio non è Bontà infinita?” mi potrebbe eccepire qualcuno. “Che c’è di male nel dire che non è cattivo?”.
Nulla di male, ovviamente, a dire che Dio non è cattivo. Ribadiamo che dirlo sarebbe una contraddizione in termini. C’è però differenza tra l’essere buono e l’essere buonista (leggi nota in fondo all’articolo).
Quel “mica Dio è cattivo”, poi, non è solo e semplicemente un ribadire l’ovvio, ma, detto con un certo senso, diventa una riduzione di Dio alla sola Bontà, intesa come un restringimento dell’azione divina ad una stucchevole salvezza per tutti che renderebbe inutile il Sacrificio di Cristo… (a proposito, fa pensare qualcosa il “per tutti” della Messa Novus Ordo rispetto al “pro multis” di quella Vetus Ordo?).
In effetti non è Dio che manda all’Inferno, non è Cristo che si diverte nel giudizio particolare a decidere della nostra gioia o dannazione eterna.
I versetti del Siracide ci ricordano che siamo noi a decidere quel che ci toccherà dopo la morte, che «a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà».
È l’uomo che, peccando gravemente, si mette da solo nella condizione di finire all’Inferno. Non è Cristo a deciderlo nel giudizio particolare.
Le suddette eccezioni fanno anche a volte perdere la pazienza perché, neanche troppo sottilmente, accusano di pensare che Cristo, nel giudizio particolare, a priori (ossia senza valutare la vita di chi subisce quel giudizio), decida arbitrariamente chi va dove…
L’errore invece è esattamente il contrario ed è di chi queste eccezioni le solleva.
Come abbiamo detto, proprio perché Dio è Bontà infinita, Amore perfetto, non è Lui che manda all’Inferno, nel senso letterale, ma è l’uomo a “mandarcisi” con il suo peccato.

DIO NON È SOLAMENTE BUONO, È ANCHE GIUSTO
Nel giudizio particolare la sentenza sarà semplicemente “dichiarativa” e non “costitutiva”, come si dice nel gergo del diritto. In sostanza, Gesù non costituirà una situazione nuova (stato di dannazione eterna dal nulla), ma si limiterà ad accertare lo status dell’anima (esistenza o meno del peccato grave) e a dichiarare la conseguenza di quello stato.
«Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà».
Dio non è solamente buono, è anche giusto!
Dire che Dio è giusto non significa in alcun modo che Dio è cattivo. L’essere giusto è l’esatto opposto dell’essere cattivo. L’essere giusto non è alternativo o in contrapposizione con l’essere buono.
Se ci si dice invece che Dio è buono e che non è cattivo, ponendo in essere quella contrapposizione, si cade nel gravissimo errore di non riconoscerGli una qualità: la Giustizia.
Provate a chiedere: «ma quindi secondo te Dio non è giusto?», la risposta sarà sicuramente «certo che lo è!». Allora si cala il carico e si risponde «e ti sembra giusto Dio che è solo buono e non manda nessuno all’Inferno, così da dare il premio del Paradiso sia a chi è in stato di grazia sia a chi è in peccato mortale?». O, per essere ancora più chiari: «riterresti giusto il Signore se andassi in Paradiso e vicino a te trovassi chi sai per certo essere in peccato mortale e non aver fatto nulla per uscirne?».
Proprio questo è il problema di questo modo di pensare.
Dire che Dio è (solo) buono nel senso evidenziato non significa dire che non è anche giusto?
Rileggiamo il Catechismo di San Pio X e ricordiamo che «Dio è l’essere perfettissimo» (n. 2), ossia che in Lui «è ogni perfezione, senza difetti e senza limiti» (n. 3). “Ogni perfezione”: quindi anche la Giustizia perfetta.

Nota di BastaBugie: Corrado Gnerre nell’articolo seguente dal titolo “Ti spieghiamo perché il buonismo è il contrario della bontà” spiega la differenza tra il perdono e la pena.
Ecco l’articolo completo pubblicato su I Tre Sentieri il 21 settembre 2021:

Per buonismo s’intende quell’atteggiamento secondo cui bisognerebbe evitare di castigare e di punire.
Si sa però che le deformazioni estremizzate della realtà si traducono sempre in una negazione della realtà stessa; così come l’estremizzazione di una cosa buona si traduce sempre nel suo contrario, cioè in una cosa cattiva.
Lo stesso vale per la bontà; infatti il buonismo è il maggior nemico della bontà. Essere buoni a tutti i costi, dimenticando la punizione e la pena, significa diventare cattivi e ingiusti.
Quando succede qualcosa di tragico, per esempio un pirata della strada che uccide investendo un bambino, oppure un rapinatore che uccide un padre di famiglia, ecc… i giornalisti spesso chiedono ai familiari delle vittime: siete pronti a perdonare? Domanda che nelle intenzioni di chi intervista ha un significato ben preciso: confondere il perdono con la volontà di non infierire, di non pretendere che il colpevole paghi, per la serie: non pretenderai mica che chi è colpevole sconti chissà che cosa…
La dottrina cattolica, invece, ci presenta una differenza importante, quella tra perdono e pena.
Il perdono è il perdono; ma questo non esclude la pena, anzi. Il Sacramento della Riconciliazione (la Confessione) assolve il peccatore, ma non toglie totalmente la pena che deve essere scontata in questa vita o, se non basta questa vita, in Purgatorio.
Dunque, Dio stesso, che è amore e giusto giudice, quando perdona e assolve non elimina la pena. Non è cristiano, quindi, confondere perdono con il fatto che il colpevole non debba “pagare”; né tantomeno può essere accusato di essere vendicativo chi pretende che il colpevole sconti la sua pena.
Ma qual è l’origine del buonismo? La risposta non è facile. Se ne può però individuare un’origine filosofica. Basterebbe fare riferimento al pensiero di Jean Jacques Rousseau. Questi disse che l’uomo nascerebbe buono e che ciò che lo renderebbe cattivo sarebbero le condizioni sociali, quali un certo tipo di progresso. Pertanto, le cause della cattiveria umana non sarebbero da ricercare nell’uomo e nella sua libertà, quanto in ciò che è al di fuori di lui: società, ambiente, educazione, ecc. Insomma, una vera e propria immacolata concezione dell’uomo. Tra parentesi: questa antropologia è stata fatta propria da tutte le dottrine progressiste e materialiste e quindi anche dal positivismo filosofico. Fu così che nella seconda metà dell’Ottocento (anno 1858) la Vergine apparve a Lourdes (dunque in Francia, patria del positivismo) confermando la solenne definizione della sua Immacolata Concezione, proprio per ricordare che, tranne Lei, ogni uomo nasce con il peccato di origine.

Titolo originale: Se Dio non è anche giusto… vuol dire che è cattivo
Fonte: I Tre Sentieri, 5 novembre 2020

Don Bosco: buono, non buonista

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Un interessante caso giudiziario a Valdocco
Una lettera al pretore della città di Torino del 18 aprile 1865 apre un interessante ed inedito spiraglio sulla vita quotidiana della Valdocco dell’epoca. Siamo forse abituati a pensare che a Valdocco, con la presenza di don Bosco, le cose andassero sempre bene, soprattutto negli anni cinquanta e primi anni sessanta quando l’opera salesiana non si era ancora diffusa e don Bosco viveva a contatto diretto e costante con i ragazzi. Invece successivamente, con una grande massa eterogenea di giovani, educatori, apprendisti artigiani, giovani studenti, novizi, studenti di filosofia e di teologia, allievi delle scuole serali, lavoratori “esterni”, sarebbero potute sorgere delle difficoltà nella gestione disciplinare della comunità di Valdocco.
 
Un fatto piuttosto grave 
Una lettera al pretore della città di Torino del 18 aprile 1865 apre un interessante ed inedito spiraglio sulla vita quotidiana della Valdocco dell’epoca. La riproduciamo e poi la commentiamo.

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