Un “gaio nichilismo” con a capo Elly Schlein

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di Riccardo Arbusti – 01/03/2023

Un “gaio nichilismo” con a capo Elly Schlein

Fonte: Il Secolo d’Italia

Il filosofo Del Noce lo aveva già previsto: la sinistra diventerà un “gaio nichilismo”. Con a capo Elly Schlein

Quale potrebbe essere, da un punto di vista filosofico, il nuovo profilo del Pd targato Elly Schlein? Non forzando troppo la mano potrebbe essere esattamente quello profetizzato dal filosofo Augusto Del Noce quando, a metà degli anni Ottanta del Novecento, descriveva l’emergere di un possibile “partito radicale di massa” quale esito “suicida” della cultura politica della sinistra che era stata precedentemente socialista e marxista.

Del Noce profetizzò la saldatura tra tecnocrazia e postmarxismo
Negli anni Ottanta, infatti, la saldatura in corso tra tecnocrazia e quel che restava del comunismo, tra ricca borghesia e popolo de-cristianizzato, veniva da Del Noce identificato in una sorta di superpartito trasversale, laicista e individualista che stava egemonizzando tutto il quadro. A questo superpartito, il filosofo torinese opponeva una nuova alleanza tra cattolici, socialisti non subalterni al laicismo e al marxismo e settori politici e sociali sensibili al richiamo della cultura nazionale italiana . Non a caso, si professerà in sintonia con l’analisi di Del Noce anche il filosofo postmarxista come Costanzo Preve quando scriverà dello scivolamento della cultura di sinistra verso «l’adesione inesorabile alla società radicale dei consumi».

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La cultura azionista alla Scalfari utile a scardinare la questione sociale
L’incontro inevitabile tra ciò che restava del marxismo e l’ordine tecnocratico neocapitalistico è l’essenza della tesi del libro più politico di Del Noce, Il suicidio della rivoluzione, del 1978. Il filosofo aveva infatti chiaro l’avversario politico-culturale di quella nuova forma di Risorgimento nazionale che Del Noce auspicava, come aveva ben presente l’avanzante minaccia “morbida” di una nuova forma di totalitarismo, quella che a suo dire veniva delineata secondo una strategia condotta dalla parte politica «che si riconosceva nel quotidiano la Repubblica e nelle idee del suo direttore, Eugenio Scalfari. Quel quotidiano, secondo il filosofo torinese, mettendo insieme la componente progressista della Dc rappresentata da De Mita insieme al risultato della laicizzazione del Pci, puntava dritto dritto al “partito radicale di massa” e, quindi, a egemonizzare il nuovo soggetto sulla base di una rinnovata cultura azionista, espressione diretta di una borghesia laicista, permissiva e, col pretesto della “questione morale” a annullare la centralità della questione sociale».

Il rifiuto da sinistra dei valori permanenti e lo slittamento verso il laicismo
Ricordiamoci come è proprio dalla celebre intervista di Berlinguer a Scalfari, del 1981, che il Pci in qualche modo compie una scelta sul fronte del progressismo azionista mettendo progressivamente in sordina la tradizione sociale e la rappresentanza dei ceti popolari. Del Noce definisce quella scelta un’opzione per la rappresentanza privilegiata – da parte della sinistra – della nuova borghesia, che – citiamo le sue parole – «è poi il soggetto storico degli ultimi decenni nelle sue abitudini, nei suoi costumi, nella sua mentalità. Ideologicamente questa nuova borghesia è caratterizzata dal timore di un qualsiasi risveglio religioso, sia cattolico, sia persino comunista, addirittura nella vecchia forma del marxismo come religione secolare. Si vuole dunque una società completamente secolarizzata, che rifiuti ogni sorta di valori assoluti, permanenti, immutabili». Si andava così prefigurando, a suo avviso, «un totalitarismo di nuova natura, assai più aggiornato, assai più capace di dominio assoluto di quel che i modelli passati non fossero». Un progetto, portato avanti, da quello che lui definiva «il superpartito tecnocratico che attraversa i partiti, che ha in possesso le sorgenti di informazione, che cura la propria apologia attraverso la casta degli intellettuali, che è equamente ripartito secondo le varie posizioni culturali e politiche dai cattolici ai comunisti…». Insomma quella che oggi chiamiamo la sinistra della Ztl o dei salotti o dei “comunisti col rolex”.

L’orizzonte umano coincide col piacere del singolo
È proprio questa l’essenza della “società radicale”, che non può che assumere una forma tecnocratica, inevitabile, per dirla con Del Noce, «in una realtà in cui i valori etico-politici sono sostituiti da criteri strumentali: è la società della massima oppressività possibile, quella il cui fondamento è il principio pragmatico esteso a tutti i rapporti sociali, in cui tutto sembra passare in via privilegiata per il diritto assoluto degli individui al soddisfacimento dei propri desideri». Se la natura diviene, in altre parole, solo un oggetto per l’uomo, e se la società viene pensata solo nei termini dei vantaggi che essa può assicurare al piacere del singolo, allora il problema di un valore “trascendente” della natura e della società – la religione, la morale, la prospettiva nazionale – appare come privo di senso. La sinistra postmarxista raggiunge così la perfetta negazione della trascendenza, il rifiuto dell’esperienza immediata e della consapevolezza della realtà, sia per ciò che riguarda la natura, sia per ciò che riguarda la società: il mondo e l’uomo emergono soltanto come ciò che appaiono e la misura concreta che li avvince al soggetto umano è soltanto il soddisfacimento dei suoi bisogni e desideri. Non c’è, anche in questo, una prefigurazione dell’orizzonte liquido, sradicato, indifferenziato, politicamente corretto e “sostenibile” degli scenari a noi contemporanei?

La nuova religione tecnologica profetizzata da Del Noce
Annotava appropriatamente Del Noce: «Si sta organizzando dunque una società globale, che trae la sua forza dalla conciliazione del massimo dell’oppressività con l’aumento del benessere». Di fronte a questa presa d’atto, il filosofo torinese arriva esplicitamente a domandarsi: «Significa che il pieno fiore della civiltà tecnologica coinciderà con il rispetto di tutti gli individui, visti nella loro individualità? Mi pare sia proprio qui l’illusione che si tratta di dissipare. Facciamo l’ipotesi di un governo mondiale diretto da un’élite di grandi scienziati e di grandi tecnici. Per essere però del tutto coerenti, dobbiamo supporre uomini ridotti alla pura dimensione scientifica, e nient’altro. Ovviamente essi non potranno ragionare che in termini di potenza, di efficacia, di organizzazione… Si avrà un’umanità divisa nettamente in due classi, quella di coloro che in qualche maniera partecipano a questa conquista, quella di coloro che a essa sono superflui. Se anche si vorrà pensare che a costoro verrà garantito un minimo vitale, essi però non potranno che servire, sapendo che ogni tentativo di sottrarsi alla loro condizione è del tutto inutile e assurdo, per la potenza senza pari che sarà concentrata in poche mani, quelle dei custodi della religione tecnologica».

Il “nichilismo gaio” della sinistra di Elly Schlein
La “società radicale” era stata profetizzata nel migliore dei modi da Del Noce già in una lettera del gennaio 1984 a Rodolfo Quadrelli e descritta nei termini di un totalitarismo morbido dai tratti nichilisti, un “nichilismo gaio”, un totalitarismo senza inquietudine. Per Del Noce il “nichilismo gaio” appariva tale – forse quarant’anni fa se ne resero conto in pochi – anche nel riferimento a una sessualità neutralizzata e “gender”, così come si sostiene recentemente. «Si può infatti dire – annotava – che tende a intendere l’amore sempre omosessualmente, anche quando mantiene il rapporto uomo-donna, immaginando una relazione sessuale indifferenziata», escludente il principio di “differenza” tra i generi. «Tale nichilismo – precisava – è esattamente la riduzione di ogni valore a valore di scambio: l’esito borghese massimo, nel peggiore dei sensi, del processo che comincia con la prima guerra mondiale. Il peggiore annebbiamento che il nichilismo genera è la perdita del senso dell’interdipendenza dei fattori della nostra storia presente; infatti a ben guardare, non è che l’altra faccia dello scientismo e della sua necessaria autodissoluzione da ogni traccia di valori che non siano strumentali».

Del Noce faceva propria l’analisi di Pasolini
Insomma, Del Noce – e lo rilevò più volte – si riteneva in pieno accordo con il Pier Paolo Pasolini che non solo negli Scritti corsari ma anche nel suo ultimo discorso pubblico alla Festa nazionale dell’Unità del settembre 1975 contestava alla sinistra quel “progressismo” – incipiente in quegli anni Settanta ma oggi dominante ed egemone – che a suo dire era il tratto trasversale e coinvolgente di tutta la realtà nel mondo dell’omologazione compiuta. Anche il Pci, a suo dire, era di fatto già “inquinato” – così lui spiegava – da «quel falso laicismo, e da quel falso progressismo, con cui il potere ammanta la sua ideologia consumista. Cioè, la televisione o anche la scuola. I modelli di vita che offre la televisione sono, per quanto laidamente, laici. Chi viene offerto alla vostra indicazione? Non certamente un santo eremita, o un prete che fa delle belle prediche. Viene esposto alla vostra indicazione un giovane cretino e una giovane cretina. Laici, che godono la vita. La cui religione è il pic-nic, il weekend, la macchina, il profumo, il sapone, le belle scarpe, i blue jeans, eccetera. …. Anche i voti andati a sinistra – denunciava Pasolini, in pieno accordo con Del Noce – sono “inquinati” da un laicismo e un progressismo, che noi non possiamo condannare, dal nuovo modo di produzione, cioè dalla nuova cultura e dal nuovo Potere». E oggi, quasi cinquant’anni dopo quel laicismo e quel progressismo sono diventati la piattaforma ideale ufficiale della nuova sinistra del Pd. Alla cui guida non si poteva che scegliere una leader come Elly Schlein.

Il principe, le pecore e la leadership

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QUINTA COLONNA

In un mondo in cui tutti sembrano voler comandare, ritenendosi capaci di farlo, troviamo interessante proporre questo articolo ed altri in link in fondo, che sono consigli utili. Anche a rassegnarsi, se non si possiedono troppi di questi requisiti e anche se i vari sistemi pongono persone inadeguate in posti di comando o di rilievo, perché l’umiltà non è mai troppa e fare un passo indietro non è sempre un segnale di debolezza ma di maturità… (n.d.r.)

di Edoardo Lombardi

Ecco un breve racconto stimolante sulla leadership che dovresti leggere per cominciare un percorso che potrà portarti a essere un manager migliore.

PICCOLA STORIA INSEGNA

C’era una volta un importante regno, che era governato da un principe, il quale ereditò lo scettro dopo la morte di suo padre.

Dopo alcuni mesi del suo governo, le cose cominciarono a metterlo seriamente alla prova. La siccità causò gravi perdite agli agricoltori, uccise molti animali, uccelli e piante preziose nella foresta. E seguì poi una epidemia sconosciuta che tolse la vita a molte persone.

Poi, trascorso del tempo, le cose iniziarono lentamente a migliorare. Ma, prima che potessero riprendersi completamente, un re nemico aggredì il regno, ne prese il controllo, uccidendo alcune persone e imprigionandone molte. Il giovane re riuscì in qualche modo a fuggire e cercò di incontrare un suo amico d’infanzia che era re di un regno vicino.

Nel mentre, rifletteva su come tutte queste cose negative potessero essergli successe. Era nato e cresciuto per essere un re di un regno potente e ricco, ma ora aveva perso tutto. Si convinse di avere avuto molta sfortuna perché nulla di simile era successo a suo padre o a qualunque altro re che egli conoscesse.

Al suo re amico raccontò tutte le cose che gli erano accadute. Dopo aver ascoltato la sua storia, il re amico ordinò di dargli un gregge di 100 pecore. Il giovane re fu sorpreso perché si aspettava molto di più. Non voleva fare il pastore. Ma non avendo alternative accettò l’offerta.

La sorte però gli era chiaramente avversa e dopo alcuni giorni, mentre pascolava il suo gregge, un gruppo di lupi lo assalì e uccise tutte le pecore. Mentre i lupi attaccavano, il giovane re scappò da quel luogo.

Tornò dal suo amico re e chiese aiuto. Questa volta ricevette 50 pecore. Ma di nuovo non riuscì a proteggerle dai lupi. La terza volta, gli furono date solo 25 pecore. Adesso il giovane re si rese conto che, se non trovava un modo di proteggere il suo gregge dai lupi, non avrebbe ricevuto più alcun aiuto dal suo amico.

Allora studiò attentamente il posto in cui il gregge risiedeva e individuò le aree di attacco dei lupi. Aggiunse recinzioni e pose guardie all’intorno. Poi continuò a monitorare i luoghi e a parlare con tutte le persone con esperienza per imparare i trucchi per proteggere il gregge. Dopo qualche anno, il suo gregge era diventato di 1000 pecore.

Con tanta soddisfazione andò a incontrare il re suo amico e gli raccontò che cosa aveva realizzato. Dopo averlo ascoltato, il re amico ordinò ai suoi ministri di affidargli un intero Stato da governare. Sorpreso da tutto questo, allora chiese: “Perché non mi hai dato lo Stato da governare quando sono venuto da te per la prima volta a chiedere aiuto?”

Il re amico rispose: 

La prima volta che sei venuto da me per chiedere aiuto, la tua mentalità era quella di essere nato e cresciuto per essere un leader. In realtà tu eri assolutamente lontano dal comportarti come tale. È vero che sei nato nella ricchezza e hai conosciuto orgoglio e potere, ma non sei mai stato adeguatamente istruito e addestrato per guidare il tuo patrimonio e la tua gente. Quindi, quando ti ho dato il gregge, ho aspettato che imparassi come gestire gli altri. Caro amico, solo ora credo che tu sia pronto a guidarli!

MORALE DELLA STORIA: Nascere in una famiglia potente o essere un manager in una posizione elevata non ti rende automaticamente un leader. 

Ma essere responsabile di altri come re di uno stato o manager di una squadra o CEO di un’azienda e non fare nulla per guidare le persone a te affidate non ti rende un capo da seguire. Ti suggerisco di conoscere meglio la tua gente e di conquistare i loro cuori e le loro menti: e allora sarai anche un leader.

LEZIONI DA IMPARARE

Un primo passo verso il miglioramento della tua leadership

Quando Niccolò Machiavelli nel 1513 scrisse per primo sul tema del rischio e della difficoltà di esercitare il ruolo di guida di uomini (“Il Principe”), forse non si sarebbe mai aspettato che l’argomento sotto il nome anglosassone di “leadership” avrebbe avuto la diffusione che ha oggi.

Oggi infatti il significato della parola “leader” è universalmente conosciuto, o nei semplici termini dell’Oxford Dictionary: “il leader è una persona che gli altri seguono”, o nel modo più esauriente prescelto dal Prof. R.J. House, uno degli studiosi americani più noti in materia, il quale lo definisce come

“un leader è un individuo capace di mettere in condizione gli altri di contribuire al successo dell’organizzazione di cui tutti loro fanno parte”.

L’importanza della leadership nei nostri giorni si manifesta prepotentemente in un’ampia gamma di gruppi e di strutture, dalle aziende alle famiglie, nella politica come nello sport; e può essere:

  • “formale” in virtù del possesso di un ruolo riconosciuto, o
  • “informale” sulla base di legami e relazioni personali.

Tutti noi, in un modo o nell’altro, abbiamo la possibilità e talvolta la necessità di esercitare la leadership.  

E la leadership è considerata uno degli ingredienti più importanti del successo. Anche se è opportuna una precisazione: il successo è variegato e va da quello nel “fare” a quello nel “far fare”.

Se ci guardiamo attorno, notiamo che gli atleti più dotati non sempre riescono a essere poi allenatori di grido, un grande violinista o pianista non necessariamente diventerà un buon direttore di orchestra. Ci riusciranno solo quelli dotati di “leadership”, cioè di una serie di attributi e di qualità comportamentali che permettono di guidare gli altri nella realizzazione della performance, piuttosto che realizzare personalmente la performance medesima.

Questi attributi spesso sono innati mentre le qualità comportamentali il più delle volte sono apprese. Perciò è importante capire:

  1. da un lato, se una persona è dotata per “esercitare la leadership”
  2. e dall’altro, “quali qualità deve apprendere” per essere un buon leader.

John Pepper, che per 16 anni è stato ai vertici di Procter&Gamble (Presidente, CEO e Chairman), ha fatto un’apprezzabile selezione di questi aspetti, individuando sei Attributi Chiave e cinque Qualità Comportamentali, che sono determinanti al fine di essere “leader”.

I 6 Attributi Chiave del Leader secondo John Pepper

  1. Possedere un forte carattere personale, partendo dall’integrità.
  2. Credere profondamente e appassionatamente negli scopi dell’organizzazione.
  3. Impegnarsi a fondo e dare sempre un forte contributo personale.
  4. Questionare costantemente lo status quo e cercare sempre il miglioramento.
  5. Coltivare la fiducia e il rispetto per gli altri e il desiderio del loro sviluppo.
  6. Perseguire e difendere ciò in cui crede con saggezza, coraggio e perseveranza.

Leggendoli appare chiaro che questi attributi sono in buona parte da ritenersi “innati” o generati nel corso dei primi anni di vita.

Le 5 Qualità Comportamentali del Leader secondo John Pepper (le 5 “E”)

  1. Immaginare in modo chiaro il futuro come se lo avesse davanti a lui. (Envision: “prevedere ciò che sarà per adattare ad esso il modello di business”)
  2. Riportare all’attività e o alla vita qualcosa, latente o fermo nel suo sviluppo. (Energize: “ispirare e ricaricare i collaboratori”)
  3. Rendere gli altri capaci di conseguire i risultati. (Enable: “realizzare le condizioni necessarie all’organizzazione per raggiungere i suoi obiettivi”)
  4. Instaurare relazioni e collaborazioni di qualità. (Engage: “costruire rapporti di lavoro basati sulla fiducia e il rispetto”)
  5. Realizzare completamente ciò che esiste nei piani. (Execute: “portare a compimento ciò che si è programmato”)

Esse sono prevalentemente acquisibili con un impegno costante e, soprattutto, con la pratica.

LESSON LEARNED

Concludo citando una efficace sintesi di tutto ciò, attribuita a John C.Maxwell, un famoso autore americano che ha molto approfondito il tema della leadership:

Un leader è uno che conosce la strada, segue la strada e mostra la strada“.

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