“I cristiani non rimarranno più a lungo a Gerusalemme”

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Segnalazione del Centro Studi Federici

La notizia che segnaliamo non la troverete sui media italiani, di sinistra o di destra, perché nessuno ha il coraggio di denunciare la logica conclusione dell’occupazione sionista della Terra Santa: il tentativo di cacciare i cristiani da Gerusalemme. Solo i mezzi d’informazione legati alle strutture ufficiali della Chiesa in Terra Santa denunciano periodicamente (seppur con toni annacquati in nome del “dialogo giudaico-cristiano”, toni presenti anche nell’articolo che pubblichiamo) la crescita di aggressioni verbali e materiali nei confronti dei cristiani: voce che grida nel deserto… L’ultimo fatto riguarda una troupe del “Terra Sancta Museum” aggredita da un gruppo di giudei.
 
«Non vogliamo cristiani qui!»
 
Il 12 ottobre scorso, durante le riprese per un materiale audiovisivo destinato al Terra Sancta Museum, lungo l’antico cardo di Gerusalemme, la troupe è stata cacciata da un gruppo di ebrei ortodossi. Un incidente non isolato.
 
«Fate i bagagli e andatevene!», ordina un ebreo ultraortodosso sulla trentina alla troupe cinematografica del Terra Santa Museum, prima di aggiungere con tono aggressivo: «I cristiani non rimarranno più a lungo a Gerusalemme». L’episodio, del tutto reale, è avvenuto mercoledì 12 ottobre mattina – mentre gli ebrei erano in piena celebrazione della festa di Sukkot – sul selciato del vecchio cardo romano, che solca il quartiere ebraico della città vecchia. È l’ennesimo esempio dei quotidiani gesti di intolleranza commessi contro i cristiani a Gerusalemme.
 
La squadra della Custodia di Terra Santa, composta da cristiani francesi e palestinesi, si trovava quella mattina nel cardo per girare alcune scene di un video educativo che sarà proiettato ai visitatori della sezione storica del Terra Sancta Museum in via di allestimento presso il convento francescano di San Salvatore.
 
L’audiovisivo servirà a raccontare la storia della presenza cristiana in Terra Santa. La scena che si stava girando il 12 ottobre vuole mostrare i primi ebrei seguaci di Gesù, che, diventati cristiani, continuano a pregare secondo la tradizione ebraica. Quattro israeliani hanno accettato di recitare indossando abiti d’epoca e scialli da preghiera. La produzione aveva ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie per girare sul cardo.
 
«All’inizio, i passanti ci guardavano con curiosità – riferisce una dei membri del gruppo di lavoro – poi è arrivato un ebreo ortodosso che ci ha chiesto cosa stessimo facendo, prima di chiamare altri suoi amici. Una decina di minuti più tardi sopraggiunge un intero gruppo che entra nel campo di ripresa delle telecamere e cantando motivi religiosi». «Hanno capito che eravamo cristiani. Non sembravano particolarmente aggressivi, ma neppure molto benevoli – soggiunge la giovane testimone –. Abbiamo subito messo via l’attrezzatura e i figuranti se ne sono andati».
 
Un’intimidazione
 
Quello descritto non è un incidente isolato. Atti di inciviltà, come sputi e insulti, sono frequenti da parte di una popolazione ebrea ultraortodossa che poco sa del cristianesimo. Anche i monasteri e conventi situati sul monte Sion sono regolarmente oggetto di atti vandalici da parte degli appartenenti a gruppi radicali.
 
«Penso che sia un’intimidazione – osserva una delle comparse coinvolte la mattina del 12 ottobre, un israeliano, ebreo praticante e molto impegnato nel dialogo ebraico-cristiano –. Vogliono solo mostrare il loro potere là dove sono, ma non c’è nient’altro dietro. Se fosse stata presente la polizia, non avrebbero fatto nulla». (…)
 
«Incidenti simili sono imbarazzanti perché si imprimono nella memoria e danneggiano l’immagine della città e delle persone che vi abitano. Atteggiamenti simili vanno contro quello che stiamo cercando di fare: insegnare e spiegare», denuncia Hana Bendcowsky, direttrice dei programmi del Centro di Gerusalemme per le relazioni ebraico-cristiane (Jerusalem Center for Jewish-Christian Relations – Jcjcr), la cui pagina Facebook ha riportato il video dei fatti qui descritti. https://www.facebook.com/jcjcr.org/videos/1601281490269690
 
C’è anche chi si adopera per disinnescare le tensioni: dal 2021, ad esempio, alcuni volontari israeliani in giubbotti gialli dell’associazione Finestra sul Monte Sion, accompagnano ogni domenica le processioni armene (minacciate dai giudei, ndr) dal convento di San Giacomo alla basilica del Santo Sepolcro.
 

Paranoia anticristiana: mercatino di Natale senza crocifissi

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Strasburgo: la paranoia laicista ed ecologista colpisce i mercatini di Natale 
 
In diverse nazioni europee la maggioranza della popolazione è ostaggio delle paranoie ideologiche o delle perversioni sessuali del partito del politicamente corretto. Un esempio proviene da Strasburgo, dove imperversa il sindaco “ecologista” madama Jeanne Barseghian, che sta stravolgendo i tradizionali mercatini natalizi.
 
Strasburgo. Il mercatino di Natale è troppo cristiano, via i crocifissi
 
La giunta ecologista della città francese fa una lista dei prodotti che non si potranno vendere al tradizionale “mercato di Gesù Bambino”: niente prodotti tipici, poco multiculturali, “croci di JC” ammesse solo “ad alcune condizioni”
 
Parigi. Robert Schuman concepì il progetto di un’Unione europea meditando fra le vetrate della cattedrale di Strasburgo, epicentro della cristianità in Francia e gioiello dell’arte gotica, tanto da essere definita da Victor Hugo «un prodigio di grandezza e leggiadria». Nei pressi dalla cattedrale e a Place Kleber si svolge ogni anno il “Christkindelsmärik”, ossia “il mercatino di Gesù Bambino”, uno dei più importanti mercatini di Natale d’Europa (quest’anno festeggia il suo 452esimo anniversario). Da sempre si respira una gioiosa atmosfera cristiana: è un momento speciale per tutti gli abitanti di Strasburgo, ma anche per i milioni di turisti che si recano nella città alsaziana.
 
Niente piatti della tradizione né crocifissi in vendita
Per l’edizione 2022, tuttavia, il comune guidato dalla giunta ecologista di Jeanne Barseghian vuole a quanto pare rovinare la festa: mettendo da parte le tradizioni “troppo” franco-francesi, e dunque non abbastanza multiculturali, e sgonfiando il più possibile la dimensione cristiana dell’evento. Secondo quanto rivelato dal quotidiano Dernières Nouvelles d’Alsace (Dna), i commercianti di Strasburgo che parteciperanno al mercatino hanno ricevuto una mail da parte del Comune che vieta loro la vendita di un certo numero di prodotti. La lista è stata diffusa su Twitter da Dna.
Sarà fermamente vietata la vendita delle bevande e dei piatti gastronomici della tradizione francese, champagne, tartiflette e raclette, ma soprattutto, ed è questa l’interdizione più scioccante, dei crocifissi, o meglio, delle “croix de Jc” (croci di Gesù Cristo, ma con le sole iniziali), come le chiama nel linguaggio politically correct il Comune ecologista. Nella lista inviata dalla sindaca Jeanne Barseghian e dai suoi pasdaran si specifica che i crocifissi, inseriti peraltro nello stesso gruppo dei cavatappi e dei posacenere, potranno essere venduti soltanto «ad alcune condizioni».
 
I Verdi a Strasburgo e il mercatino di Natale senza Gesù
«Al mercatino di Natale di Strasburgo, le “croix Jc” (sic), relegate al rango dei cavatappi o dei posacenere, sono autorizzati “ad alcune condizioni”? Ma quali condizioni? Senza crocifisso, il Natale sparisce», ha denunciato la giornalista di Boulevard Voltaire Gabrielle Cluzel. Lo sgomento dinanzi agli ordini della giunta green è tanta sia tra gli abitanti sia tra i consiglieri comunali dell’opposizione. Come Pierre Jakubowicz, centrista. «Dopo i musei e la cultura… il mercatino di Natale o quando le decisioni arbitrarie della sindaca ecologista di Strasburgo rovinano la festa. Sì a un momento festivo che rivendica le sue radici e smettiamola di voler impedire tutto e mettere regole ovunque», ha twittato Jakubowicz.
Il cinguettio sdegnato dell’eletto centrista è accompagnato da una lettera aperta alla sindaca di Strasburgo, rea non solo di voler svuotare il mercatino di Natale del suo significato cristiano, mettendo fine a una tradizione che va avanti da quasi cinquecento anni, ma anche di aver comunicato la lista in maniera tardiva e senza concertazioni. «Siamo sorpresi dall’arrivo tardivo di questa lettera, ossia a sole cinque settimane dall’inaugurazione del mercatino», ha attaccato Jakubowicz, denunciando un comportamento «unilaterale e brutale, in totale opacità».
 
«Trattiamo tutto allo stesso modo, crocifissi e souvenir»
In seguito alla levata di scudi trasversale, il vice sindaco di Strasburgo, Guillaume Libsig, ha provato a giustificare la scelta con la scusa della “scarsa qualità” degli oggetti venduti, tra cui i crocifissi, e dell’effetto “supermercato per i turisti”. Libsig ha spiegato che il Comune vuole mantenere l’autenticità del Natale in tutti i campi, non solo in quello religioso.
«Il lavoro che stiamo portando avanti è incentrato sulla volontà di garantire l’autenticità», ha scritto sul suo account Facebook il vice sindaco, prima di aggiungere: «E l’insieme dei prodotti è stato trattato allo stesso modo. Boule de neige… presepi… ghirlande… crocifissi… santoni… souvenirs». Il problema, appunto, è quello di trattare i crocifissi e i presepi come un oggetto qualsiasi, a maggior ragione in un evento che porta il nome di Gesù Bambino.
 
 

 

La figura di San Francesco tratteggiata da Piero Bargellini

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Segnalazione del Centro Studi Federici

SAN FRANCESCO D’ASSISI, Confessore, 1182-1226 
 
Chi non conosce il « poverello d’Assisi », il « giullare di Dio », lo sposo di « Madonna povertà », l’« alter Christus », il lodatore di Dio per mezzo delle sue creature, l’attore dei Fioretti? Stamane, per celebrarne la festa, converrebbe recitare soltanto il suo Cantico, il Cantico ch’egli chiamò di Frate Sole, e che è più conosciuto col nome di Cantico delle Creature.
 
« Altissimo omnipotente bon Signore – tue son le laude, la gloria e l’onore – et onne benedictione : – Ad te solo, Altissimo, se konfanno – et nullo homo ene digno – te mentovare.
 
« Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature – specialmente messer lo frate sole – lo quale iorna et illumina noi per lui; et ellu è bellu e radiante – cum grande splendore: – de te, Altissimo, porta significatione.
 
« Laudato sie, mi’ Signore, per sora luna e le stelle; – in cielo l’hai formate clarite – et pretiose et belle. – Laudato sie mi’ Signore per frate vento – e per aere et nubilo et sereno et onne tempo, – per lo quale alle tue creature dai sostentamento. – Laudato sie mi’ Signore per sora aqua, – la quale è molto utile et humile – et pretiosa et casta.
 
« Laudato sie, mi’ Signore, per frate foco – per lo quale enallumini la notte; et elio è bello et iocundo et robustoso et forte. – Laudato sie, mi’ Signore, per sora nostra madre terra, la quale ne sostenta et governa et produce diversi fructi – con coloriti fiori et herba.
 
« Laudato sie, mi’ Signore – per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengono infirmitate et tribulatione; – beati quelli kel sosterranno in pace – ka da te, Altissimo – saranno incoronati. – Laudato sie, mi’ Signore – per sora nostra morte corporale – da la quale nullo homo vivente può skappare. – Guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali -beati quelli ke troverà ne le tue santissime voluntati, – ka la morte seconda nol farà male. – Laudate et benedicete il mi’ Signore – et ringratiate et serviteli – cum grande humilitate ».
 
Bisogna pensare che quando San Francesco innalzava quest’inno di riconoscenza e di letizia al Signore, si trovava a San Damiano, disfatto dalla malattia, quasi cieco, piagato dalle Stigmate, e usciva da una nottata tormentosa passata insonne sulla paglia della capanna, preparatagli da Santa Chiara nell’orto del convento, e invasa da topi feroci e fastidiosi.
 
Eppure, al risorgere del sole, il povero infermo era uscito in quell’inno di ringraziamento, perché il grande segreto del Santo consisteva nella letizia, non tra gli agi e i piaceri, ma nell’abbandono e nella tribolazione.
 
La perfetta letizia di San Francesco era serenità nel tormento, gioia nel dolore, letizia nel sacrificio. L’amore verso Dio, verso gli uomini e verso tutte le creature, riscattava ogni male e letificava ogni patimento.
 
Era nato ad Assisi nel 1182, figlio d’un ricco mercante di lana, che l’aveva voluto chiamare Francesco, cioè francese, in omaggio alla merce che importava d’Oltralpe. Giovane piacente e intraprendente, aveva seguito i piaceri terreni e gli onori mondani; poi, un giorno, a 24 anni, si era spogliato di tutto, ricchezza, ambizione, superbia, per sposare « Madonna povertà » e per proporre a una società di orgogliosi, di rapaci e lussuriosi i tre voti di umiltà, povertà e castità.
 
Creduto, da prima, pazzo, suscitò poi uno dei più vasti e profondi movimenti spirituali. Infatti, il cosiddetto « francescanesimo », lievitò e animò il Duecento, il Trecento e anche nei secoli successivi, fino ai nostri giorni, fu l’araldo di perfezione evangelica e d’ideale missionario.
Nel 1224, sul « crudo sasso », della Verna, San Francesco ricevette, come a sigillo della sua fedeltà agli insegnamenti di Cristo, le Stigmate. Due anni dopo, nel 1226, a soli 44 anni, moriva sulla « nuda terra » nella Porziuncola di Santa Maria degli Angioli, presso Assisi. Due anni dopo, con una inconsueta rapidità, la Chiesa lo proclamava Santo.
 
È Patrono d’Italia, Patrono dei missionari, Patrono dei mercanti, e ora (1957, ndr) si chiede che sia dato Patrono anche ai turisti, egli che viaggiò, sempre a piedi scalzi, lodando ognora l’opera del Signore, diffondendo ovunque la gioia spirituale e accettando con perfetta letizia tutte le fatiche e i disagi del lungo e tribolato suo camminare.
 
Profilo tratto da: Piero Bargellini, I SANTI DEL GIORNO, Vallecchi Editore, Firenze, 1958.
 

L’enciclica Pascendi, il modernista agnostico, Joseph Ratzinger

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Segnalazione del Centro Studi Federici

L’8 settembre 1907 il papa san Pio X promulgava l’enciclica “Pascendi Domini gregis” sugli errori del Modernismo. Ricordiamo questo anniversario con un editoriale della rivista antimodernista “Sodalitium”, che tratta l’aspetto del modernismo agnostico denunciato nell’enciclica, in particolare riferito al teologo modernista Joseph Ratzinger.
 
“Che infine l’elogio dell’agnosticismo fatto da Ratzinger non stupisce se si rileggono le pagine dell’enciclica Pascendi dominici gregis di condanna dell’eresia modernista, ove San Pio X spiega come il modernista concili in sé stesso l’essere agnostico e l’essere credente”
 
Editoriale del n. 65 della rivista Sodalitium, febbraio 2012
Dopo molto, troppo tempo, Sodalitium ritorna nelle vostre case. Inevitabilmente, questo numero 65 risente del lungo ritardo, per cui alcuni argomenti trattati non sono più di stretta attualità. Come ad esempio quando rispondiamo ad alcune reazioni a proposito degli articoli del n. 64, oppure trattiamo dell’anno dell’infausto 150° dell’Unità d’Italia, quando ormai i “festeggiamenti” e le commemorazioni sono praticamente (e fortunatamente) giunti al termine. Ma, lo abbiamo ricordato più volte, la nostra non è una rivista di attualità ma di approfondimento.
Nel frattempo la situazione diviene sempre più grave, sia per quel che riguarda la società temporale, dove si realizza più velocemente il potere unico mondiale anticristiano o acristiano, sia per quel che riguarda, e questo è ancora più triste, la situazione della Chiesa Cattolica fondata da Nostro Signore Gesù Cristo. Il 19 aprile 2005 il nostro Istituto, in seguito alla dichiarazione di Joseph Ratzinger, appena eletto al Soglio pontificio, di applicare e difendere il Concilio Vaticano II, dichiarò pubblicamente, per questo motivo, di non poter essere in comunione con lui, e di non poter riconoscere, nella sua persona, l’autorità divinamente assistita.
Il n. 59 riconosceva quindi che colui che era stato eletto col nome di Benedetto XVI non era affatto mutato – come egli stesso ripetutamente aveva affermato – ma era sempre rimasto il giovane teologo tedesco neo-modernista che, come perito del cardinale Frings, contribuì, assieme ad Hans Küng, Karl Rahner, Henri de Lubac, Jean Danielou, Marie-Dominique Chenu, Yves Congar, John Courtney Murrey, ed altri “nuovi teologi”, ad operare la rivoluzione modernista nel seno e nelle viscere stesse della Chiesa.
Fummo voce quasi isolata. Fin dal­’inizio, e poi ancora di più dopo il Motu Proprio Summorum Pontificum e la levata delle scomuniche ai Vescovi consacrati da Mons. Lefebvre, un vero e proprio entusiasmo nei confronti di Joseph Ratzinger animò la maggior parte dei fedeli, del clero, della stampa cattolica “antimodernista” legata alla tradizione della Chiesa. In questo nuovo clima, non ancora del tutto spento, si fece strada un doppio e convergente fenomeno. Da un lato, grazie al “Motu Proprio”, dei sacerdoti, liturgisti e teologi conciliari (e persino editori massoni), vale a dire assolutamente fedeli al Vaticano II (fino al punto di giustificare ed applaudire il nuovo incontro interreligioso di Assisi), hanno preso in mano il movimento di difesa della liturgia tradizionale, a scapito di chi, da sempre, aveva difeso la tradizione liturgica cattolica a viso aperto, contro la riforma liturgica montiniana.
D’altro canto, la Fraternità Sacerdotale San Pio X, uscita per così dire dal “ghetto”, ha instaurato una collaborazione quotidiana con questo clero (spesso ‘ordinato’ col nuovo rito) per cui è frequente osservare un ‘sacerdote’ biritualista (che dice cioè la Messa seguendo entrambi i riti) officiare nei priorati della Fraternità, o un sacerdote della Fraternità servire all’altare o assistere in coro a delle ‘messe’ in ‘rito straordinario’ celebrate da ‘sacerdoti’ conciliari (come è accaduto, in Italia, a Oropa e a Bologna). Prima ancora di un ‘accordo’ ufficiale, che pare aver incontrato degli ostacoli, è nella pratica e alla base che le frontiere tra conciliari e anticonciliari stanno diventando sempre più labili se non invisibili.
Eppure, Joseph Ratzinger non nasconde – tutto il contrario – il suo pensiero chiaramente liberale e modernista. Non ci riferiamo tanto alla scandalosa “beatificazione” di Karol Wojtyla (a proposito di quella del card. Newman si potrà leggere qualche cenno nel prossimo numero), all’elogio del “Risorgimento” e del cattolicesimo liberale (anche di questo parliamo in questo numero), né alle due opere pubblicate come ‘dottore privato’: Luce del mondo (Libreria Editrice Vaticana, 2010) e Gesù di Nazaret (vol. II, Dall’ingresso in Gerusalemme alla Risurrezione, Libreria Editrice Vaticana, 2011), benché la prima abbia suscitato scalpore (e scandalo) per le ambigue aperture nel campo della morale (o dell’immoralità) e della seconda sia stata scritta una ampia critica – alla quale rinviamo il lettore – dalla rivista francese di Saint-Parres-les-Vaudes, Il est Ressuscité (a partire dal numero 104, e tuttora in corso).
Ci riferiamo piuttosto all’insegnamento di Joseph Ratzinger a proposito dell’ateismo e dell’agnosticismo. Quello della possibilità della Fede nel mondo moderno, dopo l’Illuminismo, è un tema centrale nel pensiero del teologo Ratzinger fin dai suoi primi saggi (si vedano ad esempio le prime pagine del suo Introduzione al Cristianesimo, che data del 1968, ove Ratzinger commenta le parole del Simbolo Apostolico “Io credo”); a questo proposito il suo pensiero è rimasto sostanzialmente immutato. Più recentemente, egli lo ha sviluppato con l’iniziativa del “Cortile dei Gentili” affidata all’esegeta dichiaratamente modernista “cardinal” Ravasi, nelle sue parole durante la visita in Germania (e con lo scandaloso ma ormai “tradizionale” elogio di Lutero) e soprattutto nel discorso da lui tenuto durante il nuovo incontro interreligioso di Assisi del 27 ottobre 2011, voluto da Benedetto XVI, come lo aveva annunciato già il 1 gennaio 2011, per commemorare il 25° anniversario dell’analoga iniziativa del “beato” Giovanni Paolo II.
Le novità del nuovo incontro d’Assisi rispetto a quello wojtyliano sono state essenzialmente due: nessuna preghiera pubblica – in comune o fatta separatamente – è stata prevista durante l’incontro (ma solo una preghiera privata nell’ora della siesta!), da un lato; e, d’altro lato, l’invito all’incontro rivolto anche ad alcuni rappresentanti dell’ateismo e dell’agnosticismo.
Alcuni hanno visto in queste novità un aspetto positivo (esclusione del sospetto di sincretismo, minimo comun denominatore trovato legittimamente nella ragione e nel diritto naturale); altri, come Francesco Agnoli su Il Foglio (quotidiano il cui direttore si è definito ironicamente, ma non troppo, “ateo devoto”) hanno lamentato solo che siano stati invitati degli “atei sbagliati” (comunisti, psicanalisti, in genere negatori del diritto naturale) e non quelli “devoti”, rispettosi della Chiesa e del diritto naturale (come il sen. Pera o, appunto, Giuliano Ferrara).
Il problema invece è ben diverso, e lo ha esposto, con la chiarezza che gli è abituale, lo stesso Joseph Ratzinger nel suo discorso durante la giornata di Assisi. Di questo discorso non colpisce tanto la pubblica ammenda – “pieno di vergogna” – per l’uso della violenza in nome del Cristianesimo (che continua la neo-tradizione dei “mea culpa” inaugurata da Giovanni Paolo II in occasione del “Giubileo”) quanto l’incredibile, interessantissimo e gravissimo elogio dell’agnosticismo.
Don Ricossa ha ampiamente commentato questo discorso, in continuità con quanto già Ratzinger scrisse in “Introduzione al Cristianesimo”, durante i convegni di Parigi e Milano (novembre 2011) organizzati rispettivamente dall’Istituto Mater Boni Consilii e dal Centro Studi Davide Albertario.
Il tema è così importante che verrà ampiamente affrontato in un prossimo articolo da pubblicare su Sodalitium e, prima ancora, da diffondere a parte, appena ultimato.
Vi sarà dimostrato che Joseph Ratzinger è essenzialmente un agnostico.
Che il suo agnosticismo rende impossibile l’atto di fede, giacché dell’atto di Fede nega la certezza fondata sull’autorità di Dio.
Che per lui l’esistenza di Dio non è dimostrabile con la ragione (vedi questo numero a pag. 41).
Che per lui credere e non credere sono di fatto due facce del dubitare, dato che il dubbio è inscindibilmente legato alla condizione umana e quindi sia al credere che al non credere.
Che per lui le religioni, come pure, all’opposto, l’ateismo militante, devono essere purificati e messi in difficoltà dall’agnosticismo, se vogliono evitare la devianza della giustificazione della violenza e dell’intolleranza.
Che l’agnostico non ha ricevuto da Dio la possibilità stessa di poter credere, ma ha ricevuto da Dio quell’apertura a Lui (il dubbio) che è già, in fondo, un credere, un essere “pellegrino della verità e della pace”.
La terza riunione di Assisi è stata, ancor più della prima, una riunione di Loggia dove uomini “religiosi” (credenti o non credenti) si riuniscono fraternamente rimanendo ciascuno della propria confessione ma evitando – proprio per restare fraternamente assieme nel servizio dell’Uomo – di parlare di religione (che non sia quella a tutti loro comune) o di pregare secondo i riti di questa o quella religione. Lo “spirito d’Assisi” (promosso dal neo-ministro Riccardi) dimostra che veramente l’ecumenismo e il “dialogo religioso” sono, tramite l’Agnosticismo – la via all’Ateismo, come scrisse papa Pio XI e come viene ricordato in questo numero nell’articolo dedicato alla novella dei Tre Anelli (e a quella dei Tre Impostori).
Che infine l’elogio dell’agnosticismo fatto da Ratzinger non stupisce se si rileggono le pagine dell’enciclica Pascendi dominici gregis di condanna dell’eresia modernista, ove San Pio X spiega come il modernista concili in sé stesso l’essere agnostico e l’essere credente.
Leggendo queste pagine del Santo Papa Pio X, e le parole di Ratzinger, non si può non convincersi che, volente o nolente, consciamente o no, Joseph Ratzinger è, nel senso stretto della parola, nel suo agnosticismo credente, un vero e proprio modernista.
Signore salvaci, e salva la Tua Chiesa!
 
 

Crimini comunisti: il martirio di don Luigi Lenzini

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Segnalazione del Centro Studi Federici

La stella rossa evoca tristissimi ricordi, tra cui l’uccisione di decine di sacerdoti nel famigerato “triangolo della morte” in Emilia. Tra questi martiri vi fu don Luigi Lenzini, ucciso a guerra finita da una banda di partigiani comunisti.
 
Don Luigi Lenzini (Fiumalbo, Modena, 28 maggio 1881 – Pavullo nel Frignano, Modena, 21 luglio 1945)
La notte del 21 luglio 1945 – la guerra era finita da tre mesi – alle ore 2, si ode una scampanellata alla porta della canonica di Crocette (Pavullo – Modena). La buona “perpetua”, Angiolina F., affacciatasi alla finestra, vede un uomo che le dice di voler il parroco per l’assistenza a un infermo assai grave. Angiolina conosce l’uomo e si affretta a chiamare il parroco, don Luigi Lenzini, 64 anni di età, che dovrebbe riposare, ma carico di preoccupazioni, veglia e prega. Don Luigi, intuito il diabolico tranello, rifiuta l’invito, dicendo che ha già visitato il malato il giorno prima e che sarebbe tornato al mattino, alla luce del sole. La perpetua dalla finestra lo dice all’uomo rimasto ad attendere.
 
Come si assassina un prete
Segue un lungo silenzio nella calda notte d’estate. Quindi si sentono strani rumori lungo i muri della casa. Gli uomini presenti, partigiani comunisti, (sono almeno in quattro) servendosi di una scala a piuoli, riescono a entrare in canonica attraverso la finestra del ballatoio, rimasta aperta, all’altezza di 7 metri da terra.
Sono mascherati e, appena entrati, terrorizzano la perpetua, la quale fugge in una casa vicina, dopo aver riconosciuto uno di quei figuri. Frattanto risuonano nella notte lenti rintocchi della campana a martello, come un gemito, un grido di aiuto.
Don Luigi, compreso il pericolo, è sceso al piano terra ed è risalito subito sul pianerottolo del campanile e ha dato di piglio alla corda della campana. A quel suono, si scatena sul piazzale della chiesa una sparatoria infernale a scopo intimidatorio: guai a chi fosse sopraggiunto!
I briganti, introdottisi in canonica, sono assai, pratici dei. luoghi e, scendendo la scala interna, si portano in chiesa e sparano diversi colpi, quindi salgono sul pianerottolo del campanile, dove trovano don Luigi. Lo afferrano – quattro contro uno, buon affare, vero? – e lo strappano via dal luogo santo con brutale sacrilega violenza.
Nel tragitto dalla chiesa verso la morte ormai sicura, don Luigi vive il suo calvario. Gli assassini infieriscono su di lui con sevizie ed efferata crudeltà. Vogliono costringerlo a bestemmiare il suo Dio, quel Dio che lo ha elevato alla dignità più alta sulla terra: “alter Christus”.
Giunto nella vigna a mezzo chilometro dalla chiesa, con il corpo orribilmente straziato, il parroco viene finito con un colpo alla nuca, quindi viene “semisepolto” sotto poca terra, intrisa del suo sangue. I senza-Dio, peggiori di Attila, fuggono “a capolavoro compiuto”.
L’odio a Cristo e alla sua Chiesa, li ha condotti a un delitto, contro uno dei suoi Ministri. È notte fonda, notte nera, sulla campagna di Crocette e ancor più in quei fanatici chiusi alla luce.
Il povero corpo di don Luigi è ritrovato da alcuni contadini una settimana dopo, il 27 luglio 1945, nella vigna, lungo la scorciatoia che conduce a Pavullo. I suoi funerali, in mezzo al rimpianto e alle lacrime degli onesti, vengono celebrati nella sua chiesa di Crocette dal Vicario foraneo di Pavullo, don Giuseppe Passini.
La tomba del martire – perché di un martire vero si tratta – nel cimitero parrocchiale, è subito meta di pellegrinaggi e luogo di preghiera: indimenticabile buon pastore che ha dato la vita per Gesù e per le anime a lui affidate.
 
Apostolo di Gesù
Luigi Lenzini era nato a Fiumalbo il 28 maggio 1881, figlio del dottor Angelo e di Silvia Lenzini, in via Bassa Costa, N. 74. Cresce in famiglia agiata e soprattutto profondamente cristiana. Fin dall’infanzia, Gesù è il suo primo Amico. Una fanciullezza segnata dalla devozione a Gesù Eucaristico e alla Madonna. Sente presto che Gesù lo chiama a farsi sacerdote.
Compie gli studi ginnasiali nel Seminario di Fiumalbo (Modena). Nel 1898, 17enne, a Natale veste l’abito talare, come chierico della diocesi di Modena. E’ molto contento della scelta compiuta e intraprende con slancio e profitto gli studi di filosofia e teologia. Si radica nella Verità della santa Dottrina Cattolica, alla luce del Magistero di Leone XIII che all’inizio del secolo XX, indica con autorità Gesù Cristo come Via, Verità e Vita per l’umanità (enciclica Tametsi futura), e del santo Pontefice Pio X, che inaugurando il suo pontificato, nell’agosto 1903, si propone di “ricapitolare tutte le cose in Cristo” (“instaurare omnia in Christo”).
A 23 anni, ricco del vero spirito religioso e sacerdotale che vuole stabilire davvero tutto in Gesù Cristo e che non può sopportare che qualcosa o qualcuno sia fuori di Lui, Luigi Lenzini viene ordinato sacerdote il 19 marzo 1904, festa di S. Giuseppe, dall’Arcivescovo di Modena, Mons. Natale Bruni.
Celebrata la prima S. Messa a Fiumalbo tra la gioia dei suoi cari e dei concittadini, viene mandato vice-parroco prima a Casinalbo, quindi a Finale Emilia, dove resterà sei anni. È un giovane prete colmo di amore a Dio che lo spinge ogni giorno di più a essere apostolo del Redentore in mezzo, ai fratelli. In Italia, in particolare in Emilia, in questi anni, dilaga il socialismo, ateo e materialista, che si propone di sradicare la Fede cattolica e, a parole, di promuovere i ceti più umili: ecco dove sta l’inganno.
A Finale, una delibera del consiglio comunale del 1882 aveva abolito il Crocifisso e l’insegnamento della Religione dalle scuole, che però era stato subito ripristinato da un decreto del prefetto. All’inizio del secolo, il socialista Gregorio Agnini organizza a Finale e dintorni la penetrazione del socialismo, recandosi a ‘predicare’ anche sulla piazza della chiesa. Don Luigi, appena 30enn, scende in piazza con competenza e coraggio a controbattere baldanzosamente il “compagno” Agnini, con la Luce della Verità del Vangelo di Cristo.
Prima e dopo, prega davanti a Gesù Eucaristico, acquistando per suo dono una parola franca e luminosa che confuta gli errori e custodisce molte anime nella Fede.
Dal 1912 al 1921, è rettore della parrocchia di Roncoscaglia, quindi viene nominato parroco di Montecuccolo, dove rimarrà fino al 1937. Sente in profondità come un assillo pungente la responsabilità di essere parroco e di portare le anime che gli sono affidate a Gesù, in questa vita nella fuga dal peccato e nella Grazia santificante, quindi nell’al-di-là in Paradiso. Vuole giungere a ogni anima, nessuno escluso.
Nella piccola biografia che abbiamo tra mano, leggiamo di lui: “Mattiniero e puntuale all’orario della Messa, si preoccupava dell’istruzione religiosa (e non solo) dei suoi parrocchiani: con il catechismo ai ragazzi, agli aspiranti dell’Azione Cattolica, riuniti nel circolo dei “Lorenzini” (dal loro protettore S. Lorenzo, diacono e martire), alle madri di famiglia, ai giovani, ai capifamiglia, raggruppati in confraternite. Aveva istituito una piccola biblioteca circolante con libri di formazione, vite di santi, romanzi buoni. Era sempre disponibile al confessionale e alla direzione spirituale” (da: G. Lenzini, Don Luigi Lenzini, martire di un atroce odio anti-clericale, pro manuscripto, Modena, 2009).
In una parola, è attento a tutte le necessità della parrocchia dove è amato come il buon pastore a immagine di Gesù, come l’apostolo di Gesù, che vive per Gesù solo e per donargli tutte le anime. Il suo più grande amore è il Santo Sacrificio della Messa, Gesù Eucaristico. Ogni domenica guida i suoi parrocchiani in un’ora di adorazione eucaristica.
 
Presto santo!
Alla fine del 1937, don Luigi si sente chiamato a farsi religioso redentorista a Roma. Lascia Montecuccolo, ma a Roma non resiste a causa dell’età non più giovanile: così nel 1939 ritorna in diocesi a Modena. Per 2 an ni è cappellano nella casa di cura di Gaiato, servendo Gesù nei malati con la delicatezza di un padre. Intanto ha la gioia, di vedere due giovani già suoi parrocchiani, da lui guidati, salire l’altare come sacerdoti di Gesù.
Il 26 gennaio 1941, a 60 anni, è nominato parroco di Crocette, 700 abitanti, nel comune di Pavullo (Modena). Un’altra volta, è tutto dedito al suo ministero: sacerdote della Verità che annuncia e fa amare Gesù, uomo di sconfinata carità che soccorre e consola i suoi nelle difficoltà enormi della guerra. E’ subito benvoluto e stimato da molti, quelli che amano la Verità.
Nessuno può accusarlo di simpatie fasciste, anzi aiuta anche i partigiani e nasconde in canonica alcuni ricercati. La sua preoccupazione è “salvare” chiunque abbia bisogno. Non usa il pulpito per fare propaganda politica per qualche partito, ma esprime con chiarezza, in chiesa e fuori, il suo timore per il diffondersi di ideologie avverse al Cristianesimo: “Se il comunismo ateo avesse a prevalere – afferma con coraggio nelle sue omelie – un giorno sarà anche impedito alle famiglie di battezzare i loro bambini”.
Bastano parole come queste a renderlo inviso, a trasformarlo in bersaglio da colpire e da eliminare. A una riunione a metà giugno 1945, interviene un propagandista comunista per chiedere in tono minaccioso “dove si trovi il parroco a cui intende insegnare come deve parlare in chiesa”. Queste minacce arrivano a don Luigi che non se ne cura, anche quando qualcuno viene di persona a intimidirlo in casa sua ritiene suo dovere grave mettere in guardia i giovani e tutti i suoi parrocchiani contro i nemici della Fede e della libertà.
Don Luigi sa che nelle circolari a uso dei propagandisti comunisti a Modena, nel Nord-Italia e nell’Est Europeo, sta scritto: “Il nostro compito è bolscevizzare il paese, cioè liberare l’umanità dalla schiavitù che secoli di barbarie cristiana hanno creato, liberare l’umanità dal concetto di religione, distruggere la morale, non aver paura del sangue”. (Ecco, questo è il comunismo!). Davanti a tutto questo, egli risponde predicando con la tenacia degli antichi profeti e con la pubblicazione di due volumetti, “Pensate” e “Ragioniamo un poco”. Più volte alla domenica, dice al suo popolo: “Mi hanno imposto di tacere, mi vogliono uccidere, ma il mio dovere debbo farlo anche a costo della vita”.
Davvero diverse da don Abbondio di manzoniana memoria. Si arriva così alla notte del 21 luglio 1945, segnata dal sangue del martirio del buon pastore per la Verità, per Gesù-Verità e Amore, così come abbiamo narrato all’inizio. Il Paradiso di Dio si spalanca ad accogliere nella Luce eterna il Sacerdote martire caduto come altre decine di confratelli sacerdoti e seminaristi, il più piccolo è Rolando Rivi (1931-1945) – di soli 14 anni – in quel periodo sotto il piombo dei senza-Dio con falce e martello. (…)
 
 

 

Vignola (MO), 8/10/2022: “Viva Cristo Re”: le consegne ai militanti

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di Redazione

Non tutti possono camminare assieme. Le istruzioni di don Francesco Ricossa saranno particolarmente importanti per la nostra formazione, soprattutto per i nuovi arrivati, al fine di comprendere come si diventa dei buoni militanti cattolici.

 

Segnalazione del Centro Studi Federici

Sabato 8 ottobre 2022 presso l’hotel La Cartiera di Vignola (MO), Via Sega 2, si svolgerà la XVI edizione della giornata per la regalità sociale di Cristo, col seminario di studi tenuto don Francesco Ricossa, direttore della rivista “Sodalitium”, dal tema:
 
“Viva Cristo Re”: le consegne ai militanti. Principi e azione per il regno sociale di Cristo.
 
Programma
 
ore 10,00 Arrivo dei partecipanti e apertura dell’esposizione di libri e riviste.
 
ore 10,45 Inizio dei lavori.
 
ore 11,00 Prima lezione: Il regno sociale di Cristo e l’impero della Chiesa.
 
ore 12,30 Pausa pranzo (quota a persona 25,00 euro, prenotazione obbligatoria entro il 5/10/2022 sino a esaurimento dei posti).
 
ore 14,30 Seconda lezione: La vita cristiana indispensabile per la militanza 
cattolica.
 
ore 16,00 Terza lezione: Il regno di Cristo e i “maestri” acattolici: “camminare non insieme”! (*)
 
ore 17,30 Conclusione dei lavori.
 
(*) L’8/12/1971 il card. Michele Pellegrino di Torino scrisse la lettera pastorale “Camminare insieme”, rivolta ai cattolici nei confronti dei comunisti. Ovviamente i comunisti rimasero tali mentre molti cattolici divennero marxisti.
 
Non è permessa la distribuzione di materiale informativo senza l’autorizzazione dell’organizzazione.
 
Come raggiungere l’hotel la Cartiera a Vignola (MO)
 
– Per chi arriva da Firenze/Padova/Bologna in autostrada: uscita al casello di Valsamoggia, poi prendere la Via Bazzzanese/SP569 in direzione di Vignola (dal casello: 12,9 km).
 
– Per chi arriva da Piacenza/Milano/Verona in autostrada: uscita al casello di Modena-Sud, poi prendere la strada provinciale SP623 in direzione Spilamberto – Vignola (dal casello: 9,8 km).
 
Per informazioni e iscrizioni: info.casasanpiox@gmail.com
 

2 giugno: i grembiulini ricordano Garibaldi e la repubblica

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Per festeggiare l’anniversario della repubblica italiana, nata dai brogli del referendum del 2 giugno 1946, il sito del Grande Oriente d’Italia ha pubblicato il ‘curriculum’ massonico di Giuseppe Garibaldi, che morì il 2 giugno 1882. Del resto la costituzione atea della repubblica affonda le sue radici nell’affiliazione massonica dei principali protagonisti del “risorgimento”.
 
Buona festa della Repubblica dal Gran Maestro Stefano Bisi nel segno di Giuseppe Garibaldi che moriva il 2 giugno di 140 anni fa
 
Buona festa della Repubblica dal Gran Maestro Stefano Bisi nel segno di Giuseppe Garibaldi che il 2 giugno di 140 anni fa a Caprera Giuseppe Garibaldi dopo aver combattuto tutta la vita per la Libertà, l’ Uguaglianza e la Fratellanza di tutti cercando di unificare questa nostra Italia.
 
L’eroe dei due mondi, che era nato a Nizza nel 1807, fu iniziato nel 1844 a Montevideo in una loggia indipendente denominata “L’Asilo de la virtud” per passare di lí a poco nella officina “les Amis de la Patrie”, che operava nella capitale dell’Uruguay all’obbedienza del Grande Oriente di Francia. Nel 1850 Garibaldi frequentó a New York i lavori dei fratelli americani, e lo stesso fece a Londra, nel 1854.
 
Arrivato Palermo fu consacrato al grado di maestro massone e sempre nel capoluogo siciliano nel 1862 fu elevato dal quarto al trentatreesimo grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato, assumendo la guida del Supremo Consiglio scozzesista palermitano.
 
Due anni più tardi, nel 1864 verrá eletto Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, la cui sede era stata trasferita da Torino a Firenze, e prezioso fu il suo “diretto intervento per attribuire alla massoneria unità e potere determinante nella vita del paese tra il 1864 ed il 1869″. Si dimise dalla carica alcuni mesi dopo per assumere il titolo di Gran Maestro Onorario.
 
 

Le glorie di Maria Ausiliatrice

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Maria Ausiliatrice: l’affresco della Basilica
 
Ogni mattone di questo santuario ricorda una grazia della Madonna. La cupola potrebbe rivendicare il primato della serie. Per almeno due motivi.
 
Don Bosco era povero. Lo fu per tutta la vita. Ma la mancanza di mezzi gli provocò giorni di trepidazione e di pena, soprattutto quando, nel corso dei lavori per la costruzione della Basilica di Maria Ausiliatrice, si vide quasi costretto a sospendere l’innalzamento della cupola progettata dall’architetto Spezia. Un giorno, aveva deciso di rinunciare, sostituendola con una semplice volta; ne diede in realtà ordine al suo economo e al capomastro. Questi, dolorosamente sorpresi, disubbidirono. Don Bosco non insistette; taceva e pregava. 

La Madonna intervenne. Un riccone in fin di vita fece chiamare don Bosco per gli ultimi conforti religiosi. Don Bosco andò e, al termine della visita, disse all’infermo: «Che cosa farebbe se Maria Ausiliatrice le ottenesse la grazia di guarire?». «Prometto, rispose l’infermo, di fare per sei mesi consecutivi una generosa offerta per la chiesa in Valdocco». Don Bosco accettò la promessa; pregò, benedisse l’infermo e ritornò al suo Oratorio. Tre giorni dopo, gli fu annunziata la visita d’un vecchio signore. Era il banchiere Antonio Cotta, Senatore del Regno, di anni ottantatré, perfettamente guarito dopo la promessa fatta e la benedizione ricevuta da don Bosco. «Sono qui, disse lieto e sorridente: la Madonna mi ha guarito contro l’aspettazione di tutti, con stupore e gioia della mia famiglia. Ecco la prima offerta per questo mese». 
E la cupola fu innalzata e coronata dalla grande statua di Maria, solennemente benedetta il 21 novembre 1867 dal nuovo Arcivescovo di Torino monsignor Riccardi di Netro, successo a monsignor Fransoni. Don Bosco avrebbe tanto desiderato, prima di morire, vedere decorato tutto il santuario e particolarmente la cupola. Non fu possibile. Ma la Madonna intervenne di nuovo. 

Alla morte di don Bosco, don Michele Rua, vedendo sorgere gravi difficoltà per ottenere dalle autorità civili il permesso di seppellire don Bosco presso qualcuno degli Istituti salesiani, e temendo di vederlo portato nel cimitero comune, promise che se Maria Ausiliatrice avesse concesso la grazia di poter conservare la tomba di don Bosco a Valdocco, o almeno nel vicino Collegio di Valsalice, si sarebbero subito iniziati i lavori di decorazione del santuario, come ringraziamento del favore ottenuto. 
Neanche a farlo apposta era Capo del Governo il ministro Crispi, che, mentre era esule a Torino, era stato aiutato da don Bosco, e la salma poté essere sepolta nel Collegio di Valsalice. I lavori di decorazione furono iniziati l’anno dopo e inaugurati l’8 dicembre 1891, nella ricorrenza del primo cinquantenario dell’Opera salesiana. 

Il grandioso affresco della cupola è opera del pittore Giuseppe Rollini che, da ragazzo, era stato allievo di don Bosco. Egli lasciò nella chiesa dell’Ausiliatrice un artistico e splendido documento della sua riconoscenza verso don Bosco e la gloriosa Regina del Cielo. Ecco una sintesi dell’opera. 
 
La gloria dell’Ausiliatrice in cielo e l’opera di don Bosco in terra
Per osservare le principali figure di questo gran quadro, bisogna collocarsi a giusta distanza, e guardare innanzi tutto la parte della cupola che è verso l’altar maggiore. È tutta una visione luminosa di Paradiso. 
Nel centro, l’Ausiliatrice, Regina del cielo, siede sul suo trono e tiene ritto sulle ginocchia il Bambino che ha le braccia aperte in atto di richiamo. Sopra il capo della Vergine, la figura maestosa dell’Eterno Padre ha sul petto splendente una candida colomba, simbolo dello Spirito Santo. Intorno alla Vergine si librano a volo e fanno corona angeli e arcangeli; Gabriele inginocchiato e chino presso il trono, come lo pensiamo nell’umile casa di Nazareth il giorno memorando dell’Annunciazione quando rivolse alla Vergine il saluto Ave, gratia plena; Michele in alto, sfolgorante con la spada e con la bilancia. In piedi, con il bastone fiorito in mano, san Giuseppe alla destra di Maria. 
Sotto i cumuli delle bianche nubi si apre un lembo di terra, dove la cara e sorridente figura di don Bosco ci appare in mezzo ai suoi figli, con le opere del suo apostolato nei paesi civili e tra i popoli selvaggi. Monsignor G. Cagliero, Vicario Apostolico della Patagonia, presenta a don Bosco un gruppo di Patagoni, alcuni inginocchiati, uno, di statura gigantesca, in piedi con le braccia aperte in atteggiamento di stupore, di gioia, di riconoscenza verso colui che mandò i Missionari per la loro redenzione. Accanto sono due Suore delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che nelle scuole, negli ospizi, negli asili, negli ospedali compiono la loro santa missione fra le povere donne e le fanciulle della Patagonia. 
Più in alto, sopra le Suore, è collocato un gruppo di Santi cari a don Bosco: san Francesco di Sales, san Filippo Neri, san Luigi Gonzaga e dinanzi a loro, inginocchiato, san Carlo Borromeo. Più in alto ancora sono riconoscibili san Giovanni Battista, santa Teresa con la freccia in mano, e, seduti, san Pietro con le chiavi e san Paolo con la spada. 
A destra delle Suore, due Missionari salesiani. A sinistra di don Bosco, sono raffigurati i Salesiani con le loro scuole. 

 
Gli ordini religiosi dei Trinitari e dei Mercedari
Più a sinistra sono raffigurati gli ordini religiosi dei Trinitari e dei Mercedari, che operarono per la liberazione dei cristiani caduti schiavi dei Musulmani. La figura che è più in alto, inginocchiata sulle nubi, con la croce sul petto, le braccia aperte, rapita nella contemplazione della Vergine, è quella di san Giovanni di Matha, che fondò nel 1198 l’Ordine della SS. Trinità, con san Felice di Valois, rappresentato più in basso mentre invita gli schiavi liberati a rivolgere le loro preghiere di ringraziamento alla Madonna. Tra san Giovanni di Matha e san Felice di Valois è collocato san Pietro Nolasco, che nel 1218 fondò l’Ordine dei Mercedari. II personaggio che è più a sinistra, con un povero schiavo inginocchiato ai suoi piedi e nell’atto di pagare la mercede per riscattare alcuni poveri cristiani fatti schiavi e incatenati, è san Raimondo Nonnato, che fu il secondo generale dell’Ordine della Mercede. 
Presso l’Arabo che riceve i soldi, c’è un cartello con la firma del pittore e la data dell’anno in cui fu terminato il lavoro: G. Rollini, 1891. 
 
La battaglia di Lepanto
Nella parte della cupola che è di fronte al trono della Vergine Ausiliatrice, un gruppo di Angeli con le ali spiegate, di mirabile finezza e perfezione, sostiene un grande arazzo sul quale è rappresentata la scena della battaglia di Lepanto, che decise dei destini d’Asia e d’Europa. 
Accanto, a destra, il papa Pio V col braccio teso indica la Vergine Ausiliatrice, per il cui materno intervento fu ottenuta la vittoria. 
A ricordo di questa insigne vittoria, il papa Pio V, fissò nel giorno 7 ottobre la festa del santo Rosario. 
 
I vincitori di Lepanto
A destra della grandiosa rappresentazione della battaglia, il pittore Rollini ritrasse accanto al pontefice san Pio V, i principi cristiani che contribuirono con le loro armate e con il loro braccio, ad ottenere la vittoria di Lepanto. È un gruppo di dieci slanciate figure di cavalieri sfarzosamente vestiti secondo il costume del tempo, raccolti intorno al re di Spagna, Filippo II. 
 
Sobieski e la liberazione di Vienna dall’assedio dei Turchi
Procedendo sempre verso sinistra si presenta sul bianco destriero, il re di Polonia Giovanni Sobieski che liberò Vienna dall’assedio dei turchi. Al suo fianco un altro cavaliere abbassa a terra, in segno di omaggio alla Vergine, la grande bandiera del profeta, strappata ai Turchi. 

 
Pio VII e la festa di Maria Aiuto dei Cristiani
L’ultimo gruppo che completa la decorazione e chiude l’anello del quadro grandioso dipinto dal Rollini nella cupola, rappresenta il Pontefice Pio VII solennemente vestito degli abiti pontificali e con la tiara in capo. Tiene in mano un foglio che è la Bolla con cui egli istituì la festa di Maria Auxilium Christianorum, nel 1815, proprio l’anno in cui nacque don Bosco. Una colonna tronca gli sta accanto con la data «1815», a ricordo dell’avvenimento; da essa pendono le spezzate catene della tirannide napoleonica. 
Il papa Pio VII istituì la festa di Maria Ausiliatrice da celebrarsi il 24 maggio. 
 
 

I libri di don Anthony Cekada (1951-2020) sulla riforma liturgica di Paolo VI

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Segnalazione del Centro Studi Federici

I libri di don Anthony Cekada (1951-2020) sulla riforma liturgica di Paolo VI, tradotti e pubblicati dal Centro Librario Sodalitium: da leggere e mettere in pratica.
Non si prega più come prima… Le preghiere della Nuova Messa. I problemi che pongono ai cattolici
Frutto del lavoro dell’uomo. Una critica teologica alla messa di Paolo VI
 “Del tutto invalido e assolutamente nullo” 

 

 

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