Tassa sugli extraprofitti a rischio di incostituzionalità

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Segnalazione Wall Street Italia

di Valentina Magri
11 Settembre 2023 12:26

Si apre una settimana clou per la tassa sugli extraprofitti. A partire da domani, 12 settembre, inizieranno le audizioni in Parlamento per discutere eventuali modifiche alla tassa, contenuta nel decreto legge asset di agosto. Facciamo il punto.

Le audizioni sulla tassa sugli extraprofitti

Innanzitutto, ci saranno numerose audizioni alle Commissioni Ambiente e Industria del Senato nell’ambito dell’esame del decreto asset, a partire da mezzogiorno di domani. Sulla tassa sugli extraproditti interverranno Abi, Assopopolari e Federcasse. Tra gli auditi anche Ance, Asstra, Agens, Anav, Confetra, Confartigianato, Cna e i sindacati Cgil, Cisl, Uil e Ugl.

La corsa agli emendamenti

Come annunciato da Giancarlo Giorgetti agli imprenditori riuniti a Cernobbio una settimana fa, la tassa sugli extraprofitti “migliorerà” e i cambiamenti sono già in via di definizione. Sempre questa settimana scadrà il termine per gli emendamenti al decreto asset.

Sul tavolo la proposta di Forza Italia, di cui si è fatto portavoce il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Quest’ultimo a fine agosto ha fatto notare che, per come è stata strutturata, la tassa sugli extraprofitti colpirà anche i rendimenti delle obbligazioni, comprese pertanto quelle governative. L’imposta indeducibile del 40% si aggiunge alla preesistente imposta del 26% sugli strumenti finanziari, che sono così soggetti a una doppia tassazione. In questo modo, lo Stato Italiano scoraggia le banche dall’acquistare i suoi titoli di Stato e comprende nella definizione di “extraprofitti” anche la remunerazione ai sottoscrittori delle sue obbligazioni, lasciando intendere che li paga troppo, quando quelli acquistati tempo fa, con i tassi vicini allo zero, avevano rendimenti molto bassi. Il ministro Tajani, intervistato sempre da “Il Sole 24 Ore”, si era detto preoccupato e aveva auspicato:

“Bisogna scrivere bene la norma affinché produca un effetto positivo sui conti dello Stato senza creare problemi al nostro sistema economico-finanziario e al bilancio dello Stato”.

In sostanza, Forza Italia punta a specificare chiaramente che la tassa sugli extraprofitti è una misura una tantum e non replicabile in futuro. Inoltre, intende escludere dalla tassazione i titoli di Stato nei portafogli delle banche e rendere deducibile la tassa al 50%. Infine, vuole che la tassa tenga conto delle specificità delle banche più piccole, che rischiano di essere penalizzate rispetto ai grandi colossi bancari.

I rischi di incostituzionalità della tassa sugli extraprofitti

Vi sono poi i dubbi dei tecnici del Senato su possibili rischi di costituzionalità, “in particolare con gli articoli 3 e 53, qualora non si tenga adeguatamente conto della effettiva capacità contributiva dei soggetti passivi del prelievo o si creino distorsioni fiscali irragionevoli”.

Inoltre, i tecnici di Palazzo Madama mettono in dubbio se il margine d’interesse delle banche tassato sia un “idoneo indice di effettiva capacità contributiva”, paventando altresì il rischio di un’alterazione del nesso fra imposizione fiscale e capacità contributiva, fra l’altro nell’ambito della medesima categoria di contribuenti, con possibile sindacato negativo di costituzionalità”.

Qualora la norma che introduce la tassa sugli extraprofitti fosse dichiarata incostituzionale dopo che il Governo ha incassato e speso il relativo gettito, dovrebbe restituire i soldi alle banche, peggiorando i saldi.

Nessun problema lato costituzionalità invece per il carattere “straordinario” della tassa; la presenza di “circostanze che possono esser considerate eccezionali”; la “temporaneità” e la “finalità solidaristica” del prelievo che giustificherebbero una imposizione “soggettivamente differenziata”.

Infine, i tecnici mettono in guardia da un possibile effetto boomerang della tassazione sugli extraprofitti, per cui le banche potrebbero rivedere la loro politica dei tassi d’interesse per ridurre l’imposizione fiscale a loro carico, peggiorando sia il loro conto economico, che le entrate fiscali per lo Stato Italiano.

L’ombra sinistra che lega il Covid e la crisi energetica

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di Claudio Romiti

Se ne parla assai poco o non se ne parla affatto. Tuttavia, a mio modesto parere, c’è una sinistra linea di continuità tra l’emergenza Covid, enfatizzata oltre ogni misura in Italia, e l’emergenza energetica, colossale problema che non potrà certamente essere affrontato con la nostra tipica improvvisazione. E per comprendere in estrema sintesi l’assunto, è sufficiente un rapido raffronto basato sui numeri, che come è noto hanno la testa sempre maledettamente dura. Nel maggio nel 2021 per comprare un euro ci voleva circa 1 dollaro e 22, mentre ora bastano appena 96/97 centesimi. Una perdita assai rilevante in appena 18 mesi, che i keynesioti fanatici della svalutazione competitiva tenderanno a considerare assai vantaggiosa.

Tuttavia, a beneficio di chi invoca scorciatoie di tipo monetario, ricordo che una tale svalutazione impatta in modo diretto sui prezzi delle materie prime, petrolio e gas in primis, e sui cosiddetti semilavorati, i quali vengono acquistati in molte parti del mondo e pagati essenzialmente in dollari. Tant’è che l’Italia, basata su una economia di trasformazione, importa una quantità enorme degli stessi semilavorati e in buona parte da Paesi extracomunitari.

Ed ecco che comincia a intravedersi l’ombra sinistra di una manipolazione monetaria, in sostanza una inondazione di liquidità operata dalla Bce e resasi necessaria dalla catastrofe economica determinata dalle restrizioni sanitarie. In soldoni, è accaduto che vuoi attraverso la via indiretta di un forsennato riacquisto dei titoli di Stato sul mercato secondario e vuoi con il trasferimento diretto di ingenti risorse monetarie create dal nulla ai membri della zona euro, con grande prodigalità nei riguardi proprio dell’Italia, il valore della moneta unica è sceso ad un livello che non si vedeva da molti anni.

E dal momento che la moneta non è altro che un titolo di debito, questa colossale operazione di rifinanziamento realizzata attraverso i computer della Banca centrale europea, tra le altre cose, ha determinato almeno due evidenti contraccolpi:

1. ha implicitamente distrutto ogni barriera di salvaguardia sul piano della disciplina di bilancio, consentendo al Belpaese di raggiungere un livello di indebitamento prima d’ora impensabile e, per questo, esponendoci al rischio di non riuscire più a sostenere un tale, mostruoso indebitamento;

2. al netto delle conseguenze scaturite dalla guerra in Ucraina e dal deciso rialzo, precedente all’attacco Russo, nei prezzi di molte materie prima, di fatto la debolezza dell’euro sta importando una forte dose addizionale di inflazione, causando una spirale di rincari a cascata che stanno scuotendo dalle fondamenta l’intera economia europea.

Da qui la decisione, non più rinviabile, presa dalla Bce di interrompere gli acquisti di nuovi titoli di debito dei Paesi membri lanciati con la pandemia, limitandosi a sottoscrivere quelli in scadenza. Ciò significa che l’Italia, se vorrà sostenere le bollette di imprese e famiglie, evitando una catastrofe economica senza precedenti, dovrà far ricorso agli odiati mercati finanziari, a meno di improbabili tagli draconiani alla spesa pubblica.

Solo che questa volta, con un debito sovrano che sfiora il 155% del Pil e nel bel mezzo di una drammatica stagflazione, la tanto bistrattata disciplina di bilancio sarà assolutamente necessaria per garantire a chi ci presta i quattrini che saremmo sempre in grado di pagargli quanto meno gli interessi.

Pertanto, il nuovo governo, che si sta per insediare nella peggiore situazione possibile, non potrà in alcun modo prendere in considerazione le ben note sirene del nostro ben noto teatrino politico-sindacale, su cui spicca sempre sul piano della facile demagogia la Cgil di Maurizio Landini. Non è questo proprio il tempo di ascoltare le irresponsabili pretese di chi vorrebbe far aumentare i salari a prescindere dalla condizione drammatica che stiamo vivendo, all’interno di una cornice con più welfare e meno tasse.

Claudio Romiti, 10 ottobre 2022

Fonte: https://www.nicolaporro.it/lombra-sinistra-che-lega-il-covid-e-la-crisi-energetica/

Draghi molla il tavolo con i sindacati: rottura sulle pensioni, verso lo sciopero

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di Adolfo Spezzaferro

Roma, 27 ott – E’ rottura sulle pensioni, con il premier Mario Draghi che lascia il tavolo con i sindacati: “Ho un altro impegno, indietro non si torna“. Cgil, Cisl e Uil, che chiedevano una trattativa, verso la mobilitazione: “Nessuna risposta, troppo poco per gli ammortizzatori“. Draghi dunque tira dritto sulle pensioni: “Transizione graduale verso la normalità”, ossia il ritorno alla legge Fornero. E’ quella – secondo il premier – l’unica riforma possibile, quella peraltro imposta dalla Ue.

Pensioni, rottura governo-sindacati. Draghi respinge le richieste di Cgil, Cisl e Uil

Il premier non ascolta i sindacati sul fronte delle pensioni. “Possiamo discutere di quota 101, 102 o anche 102,5, ma il percorso progressivo verso il sistema contributivo non cambia. Indietro non torniamo, perché il sistema previdenziale retributivo ha creato delle vulnerabilità che tutti anche all’estero ci rimproverano“. Dopo un incontro di quasi tre ore, è rottura con i sindacati, che chiedevano una riforma complessiva delle pensioni. E Draghi prende e se ne va, ha un altro impegno “programmato”. Circa la riunione, il premier non nasconde l’irritazione: “Non mi aspettavo un intervento tanto polemico, con 3 miliardi sugli ammortizzatori sociali e 8 sulla riduzione delle tasse, mi sarei aspettato un atteggiamento diverso. La manovra è un pacchetto corposo di misure”. E’ la prima rottura tra governo e parti sociali. Ora i sindacati valuteranno la mobilitazione e un possibile sciopero generale.

Sindacati pronti allo sciopero generale

“Se il governo va avanti in questa direzione valuteremo il da farsi. Noi siamo pronti al confronto. Se il governo ci ascolterà nei prossimi giorni bene, altrimenti adotteremo le iniziative di mobilitazione più adatte con Cisl e Uil“. Così il segretario della Cgil Maurizio Landini a margine dell’incontro con Draghi a Palazzo Chigi, giudicato “insoddisfacente”. Luigi Sbarra della Cisl parla di “grandi insufficienze e squilibri, per effetto del mancato dialogo con le parti sociali“. Le misure sono “largamente insufficienti sia per le pensioni, che per gli ammortizzatori sociali e per la non autosufficienza“, aggiunge. Non bastano soli 600 milioni, sottolinea Pierpaolo Bombardieri della Uil: “Non è una riforma degna di questo nome. Noi ci battiamo per garantire pensioni dignitose ai giovani e alle donne“. Tutto dipenderà dunque da cosa deciderà domani il Cdm con il varo della legge di Bilancio. Sabato al più tardi i sindacati faranno sapere come intendono muoversi.

Il premier deve trovare la quadra anche con la Lega

Il superamento di Quota 100, misura di bandiera della Lega, è un problema anche interno alla maggioranza, con Salvini che vuole strappare un compromesso per potersi intestare la non sconfitta. L’ultima opzione all’esame dei tecnici è stata costruita attorno al requisito fisso dei 41 anni di contributi, sulla falsariga di quella Quota 41 cara alla Lega. Ossia la possibilità di uscita al raggiungimento appunto del 41esimo anno di contribuzione, con un’età minima di 62 anni. Misura che però non avrebbe le coperture necessarie.

Draghi tira dritto perché i saldi sono decisi e la legge di Bilancio in sostanza sarà approvata così com’è, anche perché è convinto che con la Lega troverà un accordo. Allo stato attuale dunque il premier non sembra preoccupato all’idea di uno sciopero dei sindacati.

Fonte: https://www.ilprimatonazionale.it/politica/draghi-molla-tavolo-sindacati-rottura-pensioni-verso-sciopero-212304/

Saltato tutto

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di Alfio Krancic

Nella Cabina di Regia, presenti le massime istituzioni, il PdC, insieme ai militari, ai servizi italiani e stranieri oltre ai suoi più fedeli ministri, consiglieri e stretti collaboratori, stava buttando giù piani per la soluzione finale del problema portuali e novax. Sarebbe stato il colpo mortale per sistemare una volta per tutte i pazzi che si rifiutavano di essere pungiuti. All’uopo erano stati mobilitati circa 2000 Black Bloc che avrebbero dovuto mettere a ferro e a fuoco la città di Trieste. Molti di loro si sarebbero travestiti da portuali e da neofascisti di Forza Nuova. Gli atti provocatori sarebbero dovuti iniziare poco prima della manifestazione.
Il copione prevedeva due coppie di gay che sarebbero state pestate e mandate all’ospedale (naturalmente si sarebbe trattato di attori). L’aggressione sarebbe dovuta avvenire davanti alle telecamere di Piazza Pulita e a quelle di Fan Page. Sarebbe seguito il pestaggio da parte dei neofascisti black bloc di una anziana signora antifascista che, messasi a protestare contro le violenze nere, avrebbe dovuto essere gettata a mare. (ovviamente salvata) e dichiarata morta dispersa dai media. Subito dopo i falsi portuali avrebbero assaltato le forze dell’ordine con bottiglie molotov e usando delle armi. La scena del portuale che spara contro la polizia sarebbe stata ripresa, secondo i piani, da una troupe del Tg di Mentana. Da quel momento sarebbe iniziata la guerra. Macchine incendiate, palazzi dati alle fiamme, barricate. assalti alle sedi dei partiti e alla sede della CGIL. Il tutto documentato e commentato in dirette e in speciali tv nei quali si sarebbe addossata la responsabilità del disastro ai portuali, ai no vax e ai fascisti.
Tutto era pronto e preparato nei minimi dettagli, quando un giornalista di Formigli entrò nella sala urlando: “Hanno annullato la manifestazione. Puzzer ha invitato tutti a restare a casa!” Si sentì un solitario “Mortacci loro!”. A nulla valsero le invocazioni a Satana. Tutto era saltato.

Fonte: https://alfiokrancic.com/2021/10/22/saltato-tutto/

Assedio alla Cgil, le 3 bugie della Lamorgese

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di Redazione www.nicolaporro.it 

Un’autodifesa a spada tratta. Ieri pomeriggio Luciana Lamorgese si è presentata in Parlamento per spiegare come sia potuto succedere che un gruppuscolo di neofascisti mettesse a ferro e fuoco la sede della Cgil a Roma. Ha ammesso alcuni errori, il ministro. Ha respinto la “strategia della tensione” evocata da Giorgia Meloni solo qualche giorno fa. Ma ha anche negativamente sorpreso per la tranquillità con cui ha parlato di quella che, in realtà, può configurarsi come una vera e propria debacle nella gestione dell’ordine pubblico.

Gli errori di valutazione

Scopriamo, ad esempio, che in piazza a controllare la massa di no green pass c’erano poche forze dell’ordine. Troppe poche. Il motivo? Il Viminale non c’aveva capito una mazza. O meglio: ci si è fidati dell’ipotesi formulata dagli organizzatori della manifestazione (“avevano indicato in mille persone il numero orientativo”), si è ipotizzato che potessero essere un pochino di più (“le autorità hanno ritenuto che l’affluenza effettiva si andasse ad attestare sulle 3-4mila unità”) per poi ritrovarsi in Piazza del Popolo tra le 10 e le 12mila personeEvidente la “sproporzione” tra agenti e manifestanti. La questura di Roma aveva messo in campo appena 590 elementi, cui si sono sommati 250 operatori tra Arma e Finanza. In totale solo “840 unità effettive, da ritenersi pienamente adeguato” rispetto “alle stime previsionali”, ma di fatto un’inezia vista la reale affluenza in corteo. Da qui le prime due domande: possibile che “il sistema informativo” abbia cannato così tanto l’analisi? E possibile che non si sia riusciti a rimediare in corso d’opera?

Le bugie sull’assedio alla Cgil

Non torna invece il resoconto del ministro sull’ultimo atto di quel sabato nero. Ovvero il momento in cui un gruppo di manifestanti prende la via che porta alla sede della Cgil e la trasforma in un bivacco di manipoli. Di fronte ai deputati, Lamorgese ha negato che il corteo verso la camera del lavoro fosse stato autorizzato dalle forze dell’ordine, nonostante una nota della questura romana, rivelata dalla Verità, dica esattamente il contrario. Ma il ministro ha anche detto qualcosa di ancor più incredibile. Avete presente il video, mostrato da Quarta Repubblica, in cui si sente Giuliano Castellino, leader di FN, dire alla folla che a breve avrebbero “messo sotto assedio” il sindacato? Ecco: per difendersi dalle accuse di non essersi preparati in tempo, nonostante l’annuncio criminoso, Lamorgese sostiene che no, non fu un “il frutto estemporaneo dell’incitamento di Castellino”, ma ritiene che l’idea “fosse emersa già prima”, quando cioè Luigi Aronica ne aveva fatto esplicita richiesta ai responsabili della sicurezza. Il che è molto peggio. La volontà di dirigersi verso la Cgil era chiara da almeno 15 minuti prima del discorso di Castellino: perché allora non sono state inviati rinforzi alla Cgil? E perché ci si è fidati degli esponenti di Forza Nuova quando hanno assicurato che sotto la sede di Landini si sarebbero limitati a “scandire slogan di protesta e disapprovazione”?

Il resto è storia nota. Circa 3mila partono in corteo, sorprendono le forze dell’ordine, superano il dispositivo in piazza del Brasile e s’avventano sulla Cgil. Vista “l’evidente sproporzione tra la massa dei manifestanti e le Forze dell’ordine in campo”, ammessa dal ministro, fanno ciò che vogliono. Distruggendo i locali del sindacato.

Il mistero Castellino

C’è poi da chiarire un ultimo punto. Per quale motivo Giuliano Castellino, vicesegretario nazionale di Forza Nuova, destinatario di un Daspo, con divieto di partecipare alle manifestazioni sportive, “noto alle forze dell’ordine per i suoi trascorsi delinquenziali”, sottoposto a “sorveglianza speciale di pubblica sicurezza” e con obbligo di soggiorno, s’è presentato come se nulla fosse al sit-in dei no green pass? Una settimana fa Lamorgese aveva detto che l’arresto sul posto è stato evitato per non creare ulteriori tensioni, e già la scusa era sembrata deboluccia. Ma perché non è stato impedito che arrivasse in piazza del Popolo? Per Lamorgese è questione di lana caprina. Roba da costituzionalisti. Giuristi di grido. Insomma pare che la giurisprudenza, quella della Cedu e della Corte costituzionale, non permetta l’arresto della persona soggetta a sorveglianza speciale. “Solo la ricorrenza, nel pomeriggio del 9 ottobre, di altri validi motivi di legge, ne hanno potuto giustificare, a diverso titolo, l’arresto”. Non prima. E va detto: fa specie sentirselo dire dopo che per oltre un anno il governo ha imposto lockdown, restrizioni e chiusure. Per l’Italia “stato di emergenza” perenne, per Castellino tutte le garanzie del mondo. Per il forzanovista la Costituzione vale e per gli altri no?

Infine, giusto come ciliegina sulla torta di una relazione decisamente discutibile, va forse sottolineata la spiegazione data per quell’agente che in diversi video si vede “presente all’azione di alcuni esagitati”. Si era ipotizzato si trattasse di un infiltrato, “inquietante retroscena” escluso da Lamorgese. Si trattava però di un poliziotto in borghese della Digos (cosa cambia?) “con compiti di osservazione e monitoraggio e di mediazione con i manifestanti”, lo stesso che poi è stato ripreso mentre reagisce in maniera scomposta nei confronti di un manifestante. Bene. Che ci faceva in quel filmato insieme ad altra gente che cercava di “provocare il ribaltamento di un furgone della polizia”? Per il ministro “quell’operatore stava verificando anche la forza ondulatoria scaricata sul mezzo e che non riuscisse ad essere effettivamente concluso”. Suvvia: “valutare la forza ondulatoria”? Siamo seri? Allora, così, vale tutto.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/assedio-alla-cgil-le-3-bugie-della-lamorgese/

Lamorgese era accondiscendente all’assalto alla CGIL

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La ministro Lamorgese ha affermato che a Roma non c’è stata trattativa con i manifestanti violenti che hanno assaltato la CGIL. Tutto sarebbe avvenuto contro la volontà della polizia e del ministro. Peccato che esista ampia documentazione che dimostra l’esatto contrario: la marcia verso la CGIL di Forza Nuova è avvenuta con l’accordo della Polizia.

Ecco la cronologia confermata dai documenti trovati da Fuori dal Coro:

  • 15.30 Castellino annuncia l’assalto alla CGIL
  • 17.30 Il documento della questura, dice che viene permesso “Un percorso dinamico” verso la CGIL , su richiesta dei manifestanti, Il tutto confermato nelle carte dell’arresto di Roberto Fiore;
  • 17.30 Sempre da un altro documento si attesta che “Si è tenuta una mediazione”.
  • La Lamorgese non è intervenuta sulla piazza di fronte alla CGIL perché la “Situazione rischiava di degenerare”. Quindi se sei violento fai quello che vuoi, se sei non violento e ti metti a pregare davanti alla Polizia ti riempio di botte.

Quindi la trattativa fra Forza Nuova e la Questura c’è stata  e l’assalto verso la CGIL è stato permesso dalla polizia.

Poi c’è il famoso caso dell’agente, supposto infiltrato, appoggiato al furgone della polizia con gli altri agenti, che “Stava verificando la forza ondulatoria”, secondo la Lamorgese… Lo ha detto davvero!

 

 

Per non parlare di Castellino, uno dei leader di Forza Nuova a Roma, che delinque impunito dal 1996, su ammissione delle stesse forze dell’ordine. Tre Daspo, ha iniziato un percorso delinquenziale da quando aveva meno di 20 anni e che ha sempre mostrato un totale disprezzo delle leggi. Una persona del genere era “Ignota alle forze dell’ordine”? Solo nell’ultimo anno è stato denunciato ben tre volte. Tra l’altro ha una bella fedina, con anche spaccio di droga e truffa. Nessuno lo ha notato.

Ecco la testimonianza video dal programma:

Pacificazione ieri e oggi: quando Mussolini voleva governare con la Cgil

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Segnalato e pubblicato su https://www.ilmiogiornale.net/pacificazione-ieri-e-oggi-quando-mussolini-voleva-governare-con-la-cgil/

di Ferdinando Bergamaschi

Pacificazione: questa parola è tornata di moda dopo l’assalto dei dimostranti di Forza Nuova alla sede romana della Cgil e in vista della manifestazione nazionale a sostegno del sindacato di domani. Gli atti di violenza del 9 ottobre hanno imposto all’opinione pubblica il dilemma su quale sia la matrice politica che ha mosso i contestatori. Alla luce della Storia c’è poco da dire: sono molti i casi in cui lo squadrismo fascista giusto cent’anni fa, dal 1920 al 1922, è stato protagonista di assalti alle sedi della Cgl (la Cgil di allora), di sindacati bianchi, camere del lavoro, sedi del Partito socialista. E al di là dei principi ai quali oggi si ispirano gli accoliti di Forza Nuova – principi assai confusi e privi di ogni consapevolezza – è pertanto pertinente definire l’ignobile azione dello scorso sabato un’azione di squadrismo fascista.

Come pensare allora a una pacificazione nel clima odierno? È sempre la Storia a correre in nostro aiuto cambiando prospettiva. Se con fascismo si intende anche la strategia politica che nasce dal pensiero e dalla volontà di Benito Mussolini, dalla sua visione e dal suo progetto politico iniziale, le cose stanno infatti diversamente. E forse al riguardo, anche per incentivare una riflessione che rassereni gli animi, vale la pena fare un po’ di chiarezza, come ho cercato di proporre nel mio libro “Tentativi di pacificazione tra fascisti e antifascisti”.

L’occupazione delle fabbriche nel 1920

Partiamo dal primo incontro rilevante che Mussolini ha con Bruno Buozzi, nelle rispettive vesti di capo del movimento fascista e di segretario generale della Fiom, datato 10 settembre 1920. In quei giorni gli operai metallurgici, di fronte alla decisione degli industriali di proclamare la serrata, si mobilitano per occupare gli stabilimenti di Milano e di tutta Italia. In questo contesto Mussolini incontra Buozzi, vero organizzatore della grande mobilitazione. Nell’occasione il capo fascista assicura al segretario generale della Fiom che se la lotta metallurgica fosse rimasta sul terreno sindacale, i fascisti non l’avrebbero in nessun modo “avversata perché a noi poco importa che gli industriali siano sostituiti dagli operai”.

Lo stesso giorno Mussolini pubblica un articolo su Il popolo d’Italia dove scrive: “Non si può pretendere oggi, dopo tutto quello che è avvenuto, che gli operai abbandonino le fabbriche senza garanzie. Non può bastare una promessa di trattare; bisogna anche promettere di concedere e fissare un minimum delle concessioni. Se gli operai avranno queste garanzie, usciranno dalle fabbriche nell’attesa – che deve essere possibilmente breve – di riprendere regolarmente il lavoro”. 

L’occupazione delle fabbriche non porta a nessuno sbocco rivoluzionario; soprattutto per l’incapacità del Partito Socialista di prendere qualsiasi iniziativa, delegando ogni decisione al sindacato che però è privo di forza politica. Le fabbriche vengono sgomberate e riconsegnate al controllo degli industriali. E Mussolini loda il presidente del Consiglio Giolitti per non aver stroncato il movimento con la forza. 

I patti di pacificazione

I rapporti del capo fascista con la Cgl proseguono, benché nei mesi successivi il peso degli intransigenti aumenti all’interno del movimento di Mussolini. Gli intransigenti non vedono di buon occhio l’accordo con la Cgl e con i socialisti che il capo fascista vuole perseguire. Ma Mussolini è deciso a continuare sulla strada di un ricongiungimento con i suoi ex compagni di partito, partendo proprio da un accordo con i sindacalisti confederali e con quei socialisti disposti a seguirlo.

Il 3 agosto 1921 di fronte al Presidente della Camera De Nicola viene firmato il patto di pacificazione fra fascisti da una parte e Cgl e socialisti dall’altra. L’accordo si propone anzitutto di chiudere la tremenda guerra civile (come ormai gli storici sono concordi nel considerare il fratricidio in Italia tra il 1919 e il 1922), che ogni giorno miete vittime di una parte e dell’altra.

Il patto di pacificazione ha anche un importante valore strategico. Questo accordo infatti è una chiara indicazione di come Mussolini vuole indirizzare la sua politica verso sinistra. Infine, vi sono importanti ragioni tattiche: Mussolini in un colpo solo avrebbe dato scacco al trasformismo giolittiano e messo all’angolo i fascisti intransigenti. 

Un partito laburista

L’obbiettivo politico di Mussolini è quello di creare un partito laburista nazionale, che oggi potremmo anche chiamare un partito di centrosinistra. E per questo lavora appena insediatosi al governo, cercando di collegarsi con la Cgl e con quei socialisti che avessero capito e condiviso questa strategia. Mussolini propone così a uno dei capi della Cgl, Gino Baldesi, il ministero del Lavoro. E vuole far entrare nella compagine governativa anche Buozzi, oltre a un esponente del Partito Socialista. Ma tra il 29 e il 30 ottobre 1922, appena trapela questa notizia, i fascisti intransigenti e i nazionalisti alzano gli scudi. Il capo fascista non può indebolirsi ulteriormente e quindi deve desistere. 

Il tentativo del 1924

Renzo De Felice ci spiegherà come questa strategia – vera antesignana del compromesso storico – Mussolini la perseguirà fino al delitto Matteotti, avvenimento che rappresenta la pietra tombale dell’operazione. E che non a caso sarà compiuto materialmente da un gruppo di squadristi intransigenti che vuole impedire al presidente del Consiglio di governare con i socialisti. 

Mussolini all’epoca ha già dato vita a un Esecutivo di larghe intese che va dalla destra al centrosinistra. In questo Governo, oltre a ministri e sottosegretari fascisti ci sono ministri e sottosegretari popolari, democratici, democratico-sociali, liberali, nazionalisti. 

Tuttavia Mussolini insiste per portare al Governo anche la sinistra socialista e i sindacalisti della Cgl. Se i fascisti intransigenti e i nazionalisti non avessero accettato, avrebbe fatto a meno di loro. E stavolta è nelle condizioni di affrontare questa svolta. La lista dei ministri che ha pronta nel 1924 comprende ancora importanti personalità del socialismo italiano (da D’Aragona a Caldara, a Casalini) e della Cgl (da Baldesi a Buozzi, a Rigola). Ma la storia, a causa del delitto Matteotti, purtroppo ha preso un altro corso.

È una lezione, quella che arriva dai fatti di cento anni fa, che merita di essere meditata, per costruire un futuro dove la parola pacificazione tra destra e sinistra possa finalmente ritrovare un significato vero. E questo, anche oggi, nell’interesse dell’intero Paese.  

GUARDA IL VIDEO:

Green pass ok, l’Italia di Mario Draghi non si è fermata

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di Antonello Barone

L’Italia di Mario Draghi non si ferma. Non si è fermata. Ieri gli italiani hanno lavorato, si sono spostati, hanno studiato, sono andati nei ristoranti, negli uffici, in vacanza, nei cinema, nelle biblioteche. Le merci hanno viaggiato e sono entrate e uscite dai porti. I servizi essenziali hanno funzionato: mobilità pubblica, ospedali e scuole non hanno subito significativi inconvenienti. Gli sportelli della pubblica amministrazione hanno riaperto al pubblico, tutti insieme.

Chi non si è ancora vaccinato, chi non ha potuto dimostrare con il tampone rapido o molecolare di essere negativo al Covid, non ha bloccato il sistema. Semplicemente è rimasto a casa, in aspettativa non retribuita. L’Italia è green. Semaforo verde per la stragrande maggioranza di lavoratori che sono potuti entrare regolarmente a lavoro.

Un’Italia vaccinata e sempre meno contagiata. Fiduciosa grazie al proprio senso civico e alla fiducia nella scienza che la pandemia sarà presto alle nostre spalle. Pronta a seguire le regole, severe, ma di buonsenso di un governo che ha deciso di non scendere a compromessi con chicchessia sulla salute dei propri cittadini, per mera paura del dissenso.

Il governo ha tenuto fede al principio democratico della forza della maggioranza. Perché il popolo dei novax, degli indecisi, degli ipocriti del “mi vaccino dopo perché non mi fido, vediamo prima cosa capita agli altri”, degli approfittatori che vogliono destabilizzare il quadro democratico è davvero una piccola minoranza. Chiassosa ed eterogenea, in alcune componenti anche pericolosa, ma pur sempre una minoranza. E come tale va trattata.

Con rispetto, ascoltandone le ragioni e le motivazioni quando espresse nell’alveo delle regole democratiche, ma senza assecondare la loro sindrome di Aristotele. Chi pretende di voler avere sempre ragione e si sente superiore, in realtà è affetto narcisisticamente da una propensione a non avere il dubbio di poter essere nel torto. Ma chi pretende che la propria presunta ragione prevalga sulla maggioranza delle opinioni contrarie, sulla fattualità dei dati, sulle evidenze empiriche è un pericolo per la democrazia.

Occorre stare all’erta soprattutto quando l’ego di queste persone viene solleticato dai cinici che ne cavalcano le posizioni per averne un ritorno meramente utilitaristico. Cosa pensare di chi protesta legittimamente convito delle proprie ragioni, protetto dal diritto costituzionale della libertà di pensiero, consente che altri dal passato oscuro si impadroniscano della sua rivendicazione per spargere violenza, odio, sedizione?

Le scene della devastazione della sede della CGIL sono state il 6 gennaio italiano. Come l’attacco al Congresso americano, anche la distruzione furiosa e il bivacco inscenato nella sede di Corso d’Italia, ci riporta all’evidenza dell’insensatezza di gesti collettivi compiuti da persone ignare realmente di quello che stanno compiendo. Come i topi nella fiaba del pifferaio magico, le masse a volte vengono soggiogate dalla flautata propaganda di pochi. La reazioni del sistema istituzionale e la vicinanza delle istituzioni al sindacato è stata un balsamo, ma resta l’evidenza che non tutti i partiti siano disposti a rinunciare al consenso di questa parte minoritaria dell’elettorato.

Così in un filo rosso che lega le scene di solidarietà alla CGIL del governo per l’attacco subito e la decisione dello stesso governo di non assecondarne le ultime richieste sul green pass unisce plasticamente la forza del rispetto per tutti gli attori democratici e il coraggio dell’autonomia nel svolgere il ruolo esecutivo che consiste in ultima analisi nel prendere decisioni e attuarle

In un Paese abituato al rinvio dell’ultimo secondo, alla certezza confortata dall’abitudine reiterata in ogni circostanza che i limiti temporali previsti dalle norme siano solo orizzonti mobili facilmente rinviabili ogni qualvolta si giunga nei loro pressi, deve essere stata una sorpresa il fermo no di Draghi posto ai sindacati alla loro richiesta di rinvio dell’efficacia nel green pass per i lavoratori.

Il governo ha mantenuto il punto, non ha sconfessato la propria strategia neanche cedendo sul tema dei tamponi gratuiti. Saper tenere fede per coerenza ad una posizione ritenuta fondamentale può apparire evento consueto nelle democrazie mature, ma non è un cosa che abbiamo spesso visto fare ai governi italiani.

La spinta gentile del green pass ha funzionato. I tempi sono stati adatti per consentire ai ritardatari di rimediare alla loro titubanza. Oltre l‘85,26% degli italiani ha fatto almeno la prima dose del vaccino. Nell’ultima settimana l’incremento rispetto a quella precedente è stato del +34%. Il sistema ha retto. Molti indecisi e i riottosi sono stati convinti e sospinti alla vaccinazione.

Gli ultimi probabilmente non lo saranno. Ma è stato dimostrato, grazie alla fermezza dell’esecutivo, pronto a verificare la giustezza della propria decisione che i novax non hanno la forza per fermare il sistema. L’Italia corre verso la fine del tunnel della pandemia e si avvia a una stagione di ripresa economica.

Scienza e democrazia sono gli artefici di questa condizione. E anche Aristotele ne converrebbe. 

Fonte: https://www.nicolaporro.it/economia-finanza/economia/green-pass-ok-litalia-di-mario-draghi-non-si-e-fermata/?utm_source=nicolaporro.it&utm_medium=link&utm_campaign=economiafinanza

Violenza manifestazione No Green Pass, “sembrava preordinata”: cosa non torna

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di Redazione

Da sabato, anziché parlare dell’oggetto della manifestazione, ovvero le motivazioni di protesta contro questo utilizzo del Green Pass, l’attenzione generale è stata deviata su un presunto 2pericolo fascista2 che non esiste nell’Italia di oggi. A fascismo morto da 76 anni, viene riesumata l’ammuffita e bolsa retorica “fascismo-antifascismo”, che fa il gioco della Sinistra e produce solamente un effetto: l’inasprimento della repressione di Stato nei confronti di tutti e la predisposizione di un decreto che limiti le manifestazioni è già pronto. Osserviamo come, da un lato vi sia un’azione “intellettuale” portata avanti, solitamente, da personaggi in cerca d’autore, visibilità o vendita di prodotti editoriali che soffiano sul fuoco della protesta e dall’altro un braccio “movimentista”, in parte sicuramente in buona fede, che non ha capito cosa sia effettivamente il Sistema e quanto potente possa essere e diventare la sospensione dei diritti costituzionali, durante il periodo di emergenza, soprattutto se oggetto di continue provocazioni. Certo, 10.000 persone e più possono apparire tante, in Piazza del Popolo, e fanno notizia e rumore, ma la realtà è che oltre l’80% degli italiani si è vaccinato e la maggioranza della popolazione italiana è d’accordo con le misure prese dal governo e col decisionismo di Draghi. Premesso questo, ci appare interessante il pezzo sottostante, con foto e video correlati, inoltratoci da Antonio Amorosi.

Scritto e segnalato da Antonio Amorosi

Quella di sabato scorso, 9 ottobre a Roma, contro il Green Pass può essere derubricata a manifestazione violenta o fascista ma c’è qualcosa ce non torna nella gestione dell’ordine pubblico. Con tutto il rispetto per chi doveva farlo rispettare, colpiscono le incongruenze di troppi eventi, così come le immagini singolari riprese dai videomaker del gruppo Local Team e dai manifestanti.

Primo fra tutti la posizione di uno dei leader di Forza Nuova, Giuliano Castellino, tra gli arrestati il giorno dopo l’assalto alla sede della Cgil in Corso Italia.

Il 30 gennaio di quest’anno Castellino finisce su tutti i giornali perché diventa un sorvegliato speciale, in seguito alla degenerazione delle manifestazioni in Italia contro la gestione della pandemia. Il Tribunale, nell’applicare la misura di prevenzione per 2 anni con l’obbligo di soggiorno nel Comune di residenza, gli impone il divieto di partecipare a pubbliche riunioni senza il preventivo assenso dell’autorità competente. I sorvegliati speciali si ritrovano i diritti politici principali sospesi eppure Castellino era sul palco nella manifestazione di sabato scorso, a parlare, sotto gli occhi di tutti, e di fianco (fatto ancora più grave per un sorvegliato speciale) davanti all’ingresso della Cgil, poi invasa, anche ad altri pregiudicati (come Roberto Fiori e Luigi Aronica anche loro poi arrestati). Sono state emesse misure preventive per evitare la sua partecipazione alle manifestazioni o la si è consentita? E perché? Come è possibile sia accaduto, con tutta l’organizzazione dell’evento che si è mossa? Chi ne ha la responsabilità?

Secondo. In una delle riprese trasmesse si vede distintamente un infiltrato delle forze dell’ordine o presunto tale che partecipa al “blocco” di un blindato della polizia, in transito tra i manifestanti. O almeno non si oppone al “blocco” (è un uomo alto, calvo, con una maglia grigia e occhiali neri). Poco dopo, forse in seguito ad una caduta perché colpito, picchia a terra con brutalità un manifestante o presunto tale. Il manifestante viene portato via anche da altri agenti, tra cui una con una camicia a quadrettoni bianchi e neri (si scoprirà dopo essere un’agente donna).

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Il manifestante trattenuto da più poliziotti scompare dietro dei blindati. In serata lo stesso manifestante, lo stesso volto, gli stessi vestiti, le stesse scarpe, rispunta nella folla e viene fermato una seconda volta dalla stessa agente con la camicia a quadrettoni bianchi e neri (se ne sente la voce). I due accadimenti avvengono a distanza di 100 metri. E’ improbabile che un manifestante fermato con tanta brutalità venga immediatamente rilasciato e rifermato dallo stesso agente poco dopo. Inspiegabile ma va così.

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Terzo. Si vedono diverse aggressioni a manifestanti inermi, colpiti anche alle spalle, che scatenano arresti o di punto in bianco risse che improvvisamente alzano la tensione su una piazza in quei momenti pacifica. Poi ci sono altre immagini di manifestanti o presunti tali che armati di mazze inseguono persone nella folla e poi ritornano in mezzo a questa, circondati da altri personaggi muscolosi e “palestrati”. Tutti eventi che apparentemente sembrano non avere senso ma che sicuramente alzano la tensione, inscenano o scatenano scontri.

 

 

Quarto. Diversi manifestanti con i quali abbiamo parlato descrivono i fatti relativi alla Cgil in modo diverso da quanto si sostiene sui media mainstream.

Dopo il concentramento in Piazza del Popolo parte una lunga trattativa con le forze dell’ordine. Ai manifestanti veniva impedito di uscire dalla piazza. Poi cambia il quadro. Una parte dei manifestanti si muove e arriva fin sotto la sede della Cgil in Corso Italia, dopo aver superato un cordone dei carabinieri che la presiedeva. Chiedono a chi è lì un incontro con il segretario Maurizio Landini che essendo sabato pomeriggio non è in sede. La richiesta dei manifestanti, tra provocazione e rivendicazione simbolica è di far annunciare alla Cgil lo sciopero generale contro il Green Pass. Improvvisamente mentre questi eventi si sviluppavano alcuni dei presenti, senza apparente motivo, rompono le finestre ed entrano nella struttura, aprendo le porte alla folla. La Cgil verrà poi invasa e sottoposta a danneggiamenti.

Chi sabato è venuto a Roma per protestare contro il Green Pass, aveva in mente un’altra capitale, Washington, ha scritto qualche giornale, adombrando un rifacimento dell’assalto a Capitol Hill negli Usa. Ma parlando con alcuni manifestanti la ricostruzione sembra del tutto deformata e pro governativa. I responsabili dell’ordine pubblico hanno più volte detto che si aspettavano a Roma solo un migliaio di manifestanti quando anche da una superficiale navigazione in rete si capiva che ne sarebbero arrivati almeno 10 o 20 volte tanti.

Tra questi Silvana Adami, una impiegata con due figli della provincia di Verona, che ha accettato di testimoniare quanto accaduto. Adami: “Non ho mai partecipato a manifestazioni in vita mia ma quello che ho visto a Roma è indescrivibile. Prima siamo stati presi in ostaggio dalla polizia in Piazza del Popolo. Non ci facevano uscire. Ma c’erano famiglie con bambini nei passeggini, persone anziane, donne inermi. Gli scalmanati sono ovunque ma non erano lì con noi. Se vuoi fare delle violenze non ti porti i bambini nei passeggini. Ho visto lacrimogeni sparati contro mamme spaventate che stringevano i loro bambini o contro anziani. Poteva succedere l’irreparabile e le persone calpestarsi. Purtroppo era impossibile trasmettere in diretta video e foto perché non partivano, forse per eccesso di persone collegate o per un qualche blocco della rete. Eravamo pacifici. Se tutte quelle persone fossero state violente ci sarebbero stati danni immani. Non era così. Siamo stati ripetutamente aggrediti, senza motivo in varie zone della città. Era come se tutto fosse preordinato ad alzare lo scontro. I manifestanti No Green Pass non sono violenti. Il racconto fatto dai media è totalmente deformato”.

Come mai il Viminale, dopo chiusure di ogni tipo, ha permesso al corteo di assaltare i blindati della polizia, le irrazionali aggressioni di piazza e di arrivare anche alla sede della Cgil? Che potessero prendere le redini della manifestazioni i pochi di Forza Nuova non è una novità ma come mai ci sono riusciti così facilmente su una massa di persone tanto estesa, senza che le forze dell’ordine abbiano fatto nulla per impedirlo?

I quesiti restano aperti.

Qualche anno fa nella sua sottile strategia di disvelamento del funzionamento del potere l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga spiegò come andavano gestite le manifestazioni più pericolose“La gente deve odiare i manifestanti”. Bisogna cioè creare situazioni in cui cresca fra la gente “la paura dei manifestanti e con la paura l’odio verso di essi e i loro mandanti”. “Per il consenso serve la paura… Un’efficace politica dell’ordine pubblico deve basarsi su un vasto consenso popolare e il consenso si forma sulla paura, non verso le forze di polizia, ma verso i manifestanti”.

“L’ideale sarebbe che di queste manifestazioni fosse vittima un passante, meglio un vecchio, una donna o un bambino, rimanendo ferito da qualche colpo di arma da fuoco sparato dai dimostranti: basterebbe una ferita lieve, ma meglio sarebbe se fosse grave, ma senza pericolo per la vita”. Come “vittima” o trappola predestinata la sede della Cgil sembra un obiettivo perfetto.

Acquistano un valore rilevante, nella condanna all’assalto alla Cgil e per le immediate critiche al Viminale nella gestione dell’ordine pubblico, le parole della leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni: “È sicuramente violenza e squadrismo poi la matrice non la conosco. Sarà fascista, non sarà fascista non è questo il punto. Il punto è che è violenza, è squadrismo e questa roba va combattuta sempre”.

Fonte: https://www.affaritaliani.it/politica/roma-cosa-non-torna-nelle-violenze-della-manifestazione-no-green-pass-761712.html

La strategia della distorsione di chi invoca “scioglimenti” e caccia alle streghe

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di Eugenio Palazzini

Roma, 10 ott – “Sciogliere Forza Nuova e le formazioni che si richiamano al fascismo”. A sinistra è il leitmotiv delle ultime ore, dopo l’assalto – chiaramente condannato da tutte le forze politiche – alla sede della Cgil a Roma. Un mantra ripetuto fino alla nausea e copiato dallo stesso spartito tirato fuori a ogni piè sospinto, come una letargica litania. Potremmo chiamarla strategia della distorsione, dei fatti e degli intenti reali. Perché questa rinnovata campagna antifascista sarebbe utilissima a compattare il fronte di certa sinistra sul solito tema del pericolo nero, se quest’ultimo non fosse fantascienza.

La strategia della distorsione

A chi invoca la pericolosa avanzata del fascismo va riconosciuta d’altronde una fervida immaginazione, maturata da un punto di osservazione ben distante dalla piazza in cui si muove la contestazione. La stragrande maggioranza delle migliaia di persone che hanno manifestato ieri contro il green pass, molto semplicemente non ha nulla a che fare neppure con movimenti etichettati da omnia media come di estrema destra. Anzi, a giudicare da certi striscioni e slogan ricorrenti, è probabile che una parte dei manifestanti fosse pure dichiaratamente antifascista.

D’un tratto però ecco che qualcuno ha deciso di offrire su un piatto d’argento il pretesto per far invocare la più cruda repressione a chi già la pretendeva quando Salvini era al governo e semmai venivano assaltati i gazebo della Lega. Davvero a questo pensa il sindacalismo che ha abdicato da tempo al proprio ruolo precipuo, consistente nella difesa dei lavoratori? Rabbia e rivendicazioni di chi ieri è sceso in piazza vengono così del tutto ignorate. Come affatto considerate – da tempo immemore – sono crisi sociale, disoccupazione, sicurezza sul lavoro. Non si indicono allora manifestazioni nazionali per gridare a gran voce “basta morti bianche”, altresì ci si mobilita per ripetere a pappagallo un vetusto “mai più fascismi”. Il tutto apparirebbe surreale, non fosse che davvero certuni sono convinti di ridestarsi – risultando credibili dopo aver perso totalmente la propria credibilità – muovendosi in tal modo.

Una triste pantomima

Si procede così sul piano del fantastico, chiedendo lo scioglimento di movimenti che sulla carta si sono già sciolti da soli – come Forza Nuova – e buttando nello stesso calderone dell’inverosimile illegalità altri movimenti che ieri neppure erano in piazza (ad esempio CasaPound). Si passa poi dalla pura irrealtà alla grottesca lettura del reale nel momento in cui si ritiene sensato eliminare formalmente un’organizzazione politica, senza mettere in conto che i componenti della stessa potrebbero tranquillamente riformarne un’altra sulla carta edulcorata. Suvvia, anche la distrazione di massa può avere una sua logica. Nel caso di specie siamo però di fronte alla mera pantomima.

Fonte: https://www.ilprimatonazionale.it/politica/strategia-distorsione-di-chi-invoca-scioglimenti-caccia-alle-streghe-210286/

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