Il “male minore” non significa compromesso

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di Matteo Castagna per www.informazionecattolica.it

I grandi maestri della tradizione cattolica S. Tommaso d’Aquino, S. Agostino, S. Alfonso hanno insegnato un aspetto della teologia morale che è il “male minore”. L’assolutismo morale di altri, in ambito cattolico, non appartiene al concetto classico stabilito dai Dottori della Chiesa.
Chi ignora la dottrina tomista inerente l’analogia, non riesce a cogliere la definizione di male come assenza di bene, in tutte le sue implicazioni.
“Un artefice sapiente produce un male minore per evitarne uno maggiore: come il medico taglia un membro perché l’intero corpo non perisca” (S. Tommaso, Summa Teologica I, q. 48, art. 6).
Saggiamente, il ricercatore e scrittore, dottore in Scienze religiose, Prof. Fabrizio Cannone, nel suo “Per una resistenza cattolica” (Ed. Solfanelli, 2016) afferma che in certa pubblicistica cattolica, poco accorta nella pratica, si è consolidata “l’idea peregrina” secondo cui il male minore non esisterebbe o, comunque da evitare, perché indice di compromesso.
Invece, infinite volte, la Chiesa, i Santi, i Pontefici e i prìncipi cattolici ne hanno fatto ricorso, optando, nello stato di necessità, per qualcosa che non era esente dal male, che lo rendeva privo di qualche o molte perfezioni.
L’intera questione 49 della prima parte della Summa Teologica è dedicata alle cause del male, con la premessa della questione 48 sull’esistenza di due mali: quello della colpa e quello della pena. Quest’ultimo è anche un bene, e senza alcuna contraddizione. Chi non comprende l’analogia intesa dell’Angelico non valuterà mai il fatto che il male minore possa essere, altresì, il bene maggiore che si può praticare in un determinato momento storico.
Il male, in quanto assenza di Bene, più che una realtà positiva, è una privazione di giustizia, di carità, di purezza, di fede, di umiltà, di moralità, di continenza, di potere e ricchezze leciti ecc., che viene da ciò che già esiste, come la natura o l’uomo. Così, paradossalmente, il male deriva dal bene. S. Agostino scrive, infatti, che “non c’è altra sorgente che il bene da cui possa derivare il male”.  Ovviamente lo è accidentalmente e indirettamente. S. Tommaso stabilisce che dio non è causa del male morale, ma può essere causa del male (analogico) , della corruzione o distruzione di una cosa. Infatti, il Signore “fa morire e fa vivere” (1, Sam 2,6).
Ad esempio, sul tema dell’aborto, sappiamo tutti che la legge 194 è male e andrebbe abolita. Inserirla come “diritto universale” è ancor peggio. Perciò il legislatore che si opponesse ad esso e che favorisse la presenza dei cattolici nei consultori, salverebbe moltissime vite. Questa opzione per il male minore, che produce il maggior bene possibile, è assolutamente conforme alla morale cattolica, così come concepita dal tomismo. Questo atteggiamento non va visto come compromissorio, ma come prudente e, soprattutto, metafisicamente fondato.
Ammettiamo che vi siano dei candidati (democraticamente) alle elezioni, che nella loro storia personale e politica si siano distinti più di altri nel rispetto dei princìpi cristiani, sebbene in altre occasioni, per vari motivi, abbiano sbagliato e optato per il male. Altri, invece, si sono sempre comportati da anti-cristiani, amorali, immorali, oppressori del popolo, giungendo perfino al satanismo, proponendo disvalori che gridano vendetta al cospetto di Dio.
Dovrei – si chiede p. Eriberto Jone, OFM, nel suo “Compendio di Teologia morale”, dotato di imprimatur, sotto il Pontificato di Pio XII (Ed. Marietti, 1955) – astenermi dal votare il candidato migliore, poiché comunque non buono in tanti aspetti, rischiando di contribuire all’elezione del candidato nettamente peggiore, come fanno quelli che non votano mai, non essendoci attualmente alcun partito conforme alla dottrina sociale della Chiesa? Evidentemente no. E’ doverosa la scelta del “male minore”, suffragata dalle risposte di S. Tommaso d’Aquino, del Magistero e della prassi secolare della Chiesa. Padre Dragone, nella sua “Spiegazione del catechismo di San Pio X”, Sodalitium, 2009, pag. 296-297, che dispone di imprimatur, dice: “Dio è padrone della vita. Non è quindi lecito uccidere. eccetto in tre casi: in guerra, per legittima difesa, per decisione dell’autorità competente. Ci sono, dunque, delle “eccezioni” in casi particolari.
“La cooperazione nell’approvazione di una legge cattiva è peccato. Si fa eccezione soltanto quando i deputati, con la loro cooperazione possono impedire qualche male peggiore” – continua p. Dragone (pag. 155, n. 295). Il massimalismo moralista, dunque, non è mai appartenuto alla storia ed alla dottrina cattolica, quanto è molto presente nella dimensione protestante e puritana, di cui non abbiamo bisogno, soprattutto in questi tempi in cui i veri cattolici non sono molti e vengono messi in un angolo dalla secolarizzazione.

 

Natale è ogni giorno Gesù Bambino nell’Eucarestia

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di Matteo Castagna*

A Natale si fa il Presepio per ricordare che nell’Eucarestia c’è sempre – vivo e vero – il Bambino Gesù.

Mons. Giuseppe Angrisani (1894 – 1978) fu il vescovo di Casale Monferrato dal 1940 al 1971. Riunì, nel 1956, in un volume “Regem Venturun Dominum”…(meritoriamente ripubblicato dalla Casa Editrice Sodalitium, Verrua Savoia, 2022 eu.16,00) prediche e meditazioni per la Novena di Natale, che ebbero immediato imprimaur ecclestico per la loro Fede autentica che ci dona tesori spirituali di attuale ed eterno valore.

Se non vi fosse stato il rigido inverno conciliare (1962-1965), è probabile che molti elementi dottrinali sarebbero conosciuti, almeno dalla maggioranza del clero. Il quale non si potrebbe permettere le blasfemie che, ogni anno, purtroppo sconvolgono i credenti e provocano il ghigno del Demonio, come quello dei tanti “anticristi” di svariate ideologie o semplicemente atei. Sua Eccellenza osserva , in uuna di queste omelie, che “non soltanto in un unico luogo della terra, non soltanto una volta all’anno, ma ogni giorno, ogni ora, il vero Bambino Gesù, in carne ed ossa, rinasce e dimora, dovunque vi sia un altare sul quale il Sacerdote celebri la Santa Messa”. E poi prosegue: “E’ verità di fede che nel Sacramento dell’Eucarestia vive lo stesso Gesù che nacque in terra da Maria Vergine”.

“Visus, tactus, gustus, in Te fallitur” canta S. Tommaso d’Aquino. I nostri sensi e la nostra ragione non riescono a comprendere pienamente. La scienza, chiamata in causa, lo ignora, anzi compatisce chi crede.

Su cosa, dunque, posso fondare la mia fede? Mons. Angrisani prende in mano il Vangelo di S. Giovanni e legge il miracolo della motiplicazione dei pani e dei pesci per le cinquemila persone che seguivano Gesù. Non solo ci fu da mangiare per tutti, ma coi soli avanzi si riempirono dodici ceste. “Questo miracolo era così sbalorditivo e potente che gli uomini, lì per lì, si accordarono di nominare Gesù loro Re”. Il mattino seguente, non vedendo più Gesù tra loro, si misero a cercarlo e lo trovarono dall’altra parte del lago, nei pressi di Cafarnao. Il Messia fece un discorso che va meditato molto attentamente: “Mi cercate perché ieri vi ho dato da mangiare. Ma ora vi dico: Non accontentatevi di questo pane che si tritura e che si consuma. Cercate, invece, il pane che può darvi la vita eterna. E prosegue: “Io sono il pane di vita. Chi viene a me non avrà più fame, e chi crede in me non avrà più sete” (35). (…) “io sono il pane vico venuto dal cielo. Se qualcuno mangerà di questo pane, vivrà eternamente, e il pane che darò è la mia carne, che sarà offerta per la vita eterna” (47-52).

Quello che Cristo aveva promesso a Cafarnao, lo mantiene e lo dà all’Ultima Cena, il giovedì Santo. San Paolo, che è stato il primo a parlare della Divina eucarestia, scrive così: “Fratelli, quello che ho detto a voi io l’ho ricevuto dal Signore, che la notte in cui fu tradito, prese il pane e dopo aver reso grazie a Dio, lo spezzò e disse;” Prendete e mangiate: questo è il mio corpo che sarà immolato per voi. Fate questo in mio ricordo. e parimenti, dopo cenato, prese il calice dicendo: “questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, e tutte le volte che ne berrete, voi ricorderete la morte del Signore fino a che egli venga” (I, Cor. XI,24).

Lo stesso infelice apostata Lutero, che osava definire la Santa Messa “l’impostura abominevole di Babilonia” scriveva, in un momento di sincerità, al suo amico Melantone: “E’ inutile! Quelle parole sono troppo chiare. Non posso credere che abbiano soltanto un valore simbolico”.

Il Modernismo, in linea con la somma di tutte le eresie, ha scritto il Novus Ordo Missae assieme a sei pastori protestanti, fra i quali Max Thurian della Comunità di Taizé, che dichiarò: «Uno dei frutti del nuovo Ordo sarà forse che le comunità non cattoliche potranno celebrare la Santa Cena con le stesse preghiere della Chiesa cattolica. Teologicamente è possibile» (La Croix, 30 maggio 1969). Immediatamente i Card. Ottaviani e Bacci inviarono a Montini il “Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae” scritto dal teologo domenicano Michél Guerard de Lauriers. Teologicamente, si faceva presente che la riforma aveva ridotto il sacrificio eucaristico a semplice “memoriale” della morte di Gesù, rendendo la reale presenza di Cristo nel pane e nel vino una presenza solo simbolica. 

Di qui, si susseguirono decenni di “messe” invalide in tutto il mondo. La riforma dei riti di consacrazione episcopale del 1968 rese assolutamente invalidi e certamente nulli “i nuovi vescovi” e, per conseguenza, “i nuovi preti”. La formula essenziale del vero vescovo, così come infallibilmente sancito da Papa Pio XII nella “Sacramentum Ordinis” del 30/11/1947 omette molte frasi del rito tradizionale. In particolare sbianchetta la frase: “Un vescovo giudica, interpreta, consacra, ordina, offre, battezza e conferma” per lasciare il posto ad un vago “Spirito governante”, che non implica inequivocabilmente i poteri dell’episcopato.

Il castigo per i peccati del mondo, soprattutto contro il Primo e Secondo Comandamento è stato il Vaticano II, che ha trasformato la Chiesa cattolica in una Onlus ecumenista e mondialista, con laici che non possono consacrare validamente, a presiedere le loro funzioni.

Questa drastica riduzione della dimensione visibile della Chiesa, che non verrà mai meno per il dogma dell’indefettibilità, riduce le Messe e l’Eucarestia valide e legittime. Potrebbe essere questa drastica riduzione del Santo Sacrificio dell’Altare ad aver scatenato le forze del male e inebetito quelle del bene, privandole della Grazia santificante della sicura Presenza Reale, consacrata da un vero prete. E non esiste, di fronte alla nullità degli Ordini post 1968 alcun “ex opere, operato”  poiché nessun laico può validamente consacrare l’Ostia e il vino.

Serve, dunque, molta Fede, preghiera e azione degna del Cattolico nel cercare vescovi e sacerdoti certi, che in Italia non mancano. Sia tutto ciò spunto di riflessione per questo Santo natale, in vista di un 2024 che ci deve vedere pronti, realmente santificati, desiderosi di combattere per la Buona Battaglia.

 

 

*Responsabile Nazionale del Circolo Christus Rex-Traditio, Comunicatore Pubblico e Istituzionale

La verità su Galileo Galilei

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Tratto da Pensare la storia, Ed. Paoline, Vittorio Messori, 1992, cap. 178-180, pp. 383-397.

Stando a un’inchiesta dei Consiglio d’Europa tra gli studenti di scienze in tutti i Paesi della Comunità, quasi il 30 per cento è convinto che Galileo Galilei sia stato arso vivo dalla Chiesa sul rogo. La quasi totalità (il 97 per cento) è comunque convinta che sia stato sottoposto a tortura. Coloro – non molti, in verità – che sono in grado di dire qualcosa di più sullo scienziato pisano, ricordano, come frase “sicuramente storica”, un suo “Eppur si muove!”, fieramente lanciato in faccia, dopo la lettura della sentenza, agli inquisitori convinti di fermare il moto della Terra con gli anatemi teologici. Quegli studenti sarebbero sorpresi se qualcuno dicesse loro che siamo, qui, nella fortunata situazione di poter datare esattamente almeno quest’ultimo falso: la “frase storica” fu inventata a Londra, nel 1757, da quel brillante quanto spesso inattendibile giornalista che fu Giuseppe Baretti.

Il 22 giugno del 1633, nel convento romano di Santa Maria sopra Minerva tenuto dai domenicani, udita la sentenza, il Galileo “vero” (non quello del mito) sembra mormorasse un ringraziamento per i dieci cardinali – tre dei quali avevano votato perché fosse prosciolto – per la mitezza della pena. Anche perché era consapevole di aver fatto di tutto per indisporre il tribunale, cercando per di più di prendere in giro quei giudici – tra i quali c’erano uomini di scienza non inferiore alla sua – assicurando che, nel libro contestatogli (e che era uscito con una approvazione ecclesiastica estorta con ambigui sotterfugi), aveva in realtà sostenuto il contrario di quanto si poteva credere.

Di più: nei quattro giorni di discussione, ad appoggio della sua certezza che la Terra girasse attorno al Sole aveva portato un solo argomento. Ed era sbagliato. Sosteneva, infatti, che le maree erano dovute allo “scuotimento” delle acque provocato dal moto terrestre. Tesi risibile, alla quale i suoi giudici-colleghi ne opponevano un’altra che Galileo giudicava “da imbecilli”: era, invece, quella giusta. L’alzarsi e l’abbassarsi dell’acqua dei mari, cioè, è dovuta all’attrazione della Luna. Come dicevano, appunto, quegli inquisitori insultati sprezzantemente dal Pisano.
Altri argomenti sperimentali, verificabili, sulla centralità del Sole e sul moto terrestre, oltre a questa ragione fasulla, Galileo non seppe portare. Né c’è da stupirsi: il Sant’Uffizio non si opponeva affatto all’evidenza scientifica in nome di un oscurantismo teologico. La prima prova sperimentale, indubitabile, della rotazione della Terra è del 1748, oltre un secolo dopo. E per vederla quella rotazione, bisognerà aspettare il 1851, con quel pendolo di Foucault caro a Umberto Eco.
In quel 1633 del processo a Galileo, sistema tolemaico (Sole e pianeti ruotano attorno alla Terra) e sistema copernicano difeso dal Galilei (Terra e pianeti ruotano attorno al Sole) non erano che due ipotesi quasi in parità, su cui scommettere senza prove decisive. E molti religiosi cattolici stessi stavano pacificamente per il “novatore” Copernico, condannato invece da Lutero.

Del resto, Galileo non solo sbagliava tirando in campo le maree, ma già era incorso in un altro grave infortunio scientifico quando, nel 1618, erano apparse in cielo delle comete. Per certi apriorismi legati appunto alla sua “scommessa” copernicana,si era ostinato a dire che si trattava solo di illusioni ottiche e aveva duramente attaccato gli astronomi gesuiti della Specola romana che invece – e giustamente – sostenevano che quelle comete erano oggetti celesti reali. Si sarebbe visto poi che sbagliava ancora, sostenendo il moto della Terra e la fissità assoluta del Sole, mentre in realtà anche questo
è in movimento e ruota attorno al centro della Galassia.
Niente frasi “titaniche” (il troppo celebre “Eppur si muove!”) comunque, se non nelle menzogne degli illuministi e poi dei marxisti – vedasi Bertolt Brecht – che crearono a tavolino un “caso” che faceva (e fa ancora) molto comodo per una propaganda volta a dimostrare l’incompatibilità tra scienza e fede.

Torture? carceri dell’Inquisizione? addirittura rogo? Anche qui, gli studenti europei del sondaggio avrebbero qualche sorpresa. Galileo non fece un solo giorno di carcere, né fu sottoposto ad alcuna violenza fisica. Anzi, convocato a Roma per il processo, si sistemò (a spese e cura della Santa Sede), in un alloggio di cinque stanze con vista sui giardini vaticani e cameriere personale. Dopo la sentenza, fu alloggiato nella splendida villa dei Medici al Pincio. Da lì, il “condannato” si trasferì come ospite nel palazzo dell’arcivescovo di Siena, uno dei tanti ecclesiastici insigni che gli volevano bene, che lo avevano aiutato e incoraggiato e ai quali aveva dedicato le sue opere. Infine, si sistemò nella sua confortevole villa di Arcetri, dal nome significativo “Il gioiello”.

Non perdette né la stima né l’amicizia di vescovi e scienziati, spesso religiosi. Non gli era mai stato impedito di continuare il suo lavoro e ne approfittò difatti, continuando gli studi e pubblicando un libro – Discorsi e dimostrazioni sopra  due nuove scienze che è il suo capolavoro scientifico. Né gli era stato vietato di ricevere visite, così che i migliori colleghi d’Europa passarono a discutere con lui. Presto gli era stato tolto anche il divieto di muoversi come voleva dalla sua villa. Gli rimase un solo obbligo: quello di recitare una volta la settimana i sette salmi penitenziali. Questa “pena”, in realtà, era anch’essa scaduta dopo tre anni, ma fu continuata liberamente da un credente come lui, da un uomo che per gran parte della sua vita era stato il beniamino dei Papi stessi; e che, ben lungi dall’ergersi come difensore della ragione contro l’oscurantismo clericale, come vuole la leggenda posteriore, poté scrivere con verità alla fine della vita: “In tutte le opere mie, non sarà chi trovar possa pur minima ombra di cosa che declini dalla pietà e dalla riverenza di Santa Chiesa“. Morì a 78 anni, nel suo letto, munito dell’indulgenza plenaria e della benedizione del papa. Era l’8 gennaio 1642, nove anni dopo la “condanna” e dopo 78 di vita. Una delle due figlie suore raccolse la sua ultima parola. Fu: “Gesù!“. I suoi guai, del resto, più che da parte “clericale” gli erano sempre venuti dai “laici”: dai suoi colleghi universitari, cioè, che per invidia o per conservatorismo, brandendo Aristotele più che la Bibbia, fecero di tutto per toglierlo di mezzo e ridurlo al silenzio. La difesa gli venne dalla Chiesa, l’offesa dall’Università.

In occasione della recente visita del papa a Pisa, un illustre scienziato, su un cosiddetto “grande” quotidiano, ha deplorato che Giovanni Paolo II “non abbia fatto ulteriore, doverosa ammenda dell’inumano trattamento usato dalla Chiesa contro Galileo“. Se, per gli studenti del sondaggio da cui siamo partiti, si deve parlare di ignoranza, per studiosi di questa levatura il sospetto è la malafede. Quella stessa malafede, del resto, che continua dai tempi di Voltaire e che tanti complessi di colpa ha creato in cattolici disinformati. Eppure, non solo le cose non andarono per niente come vuole la secolare propaganda; ma proprio oggi ci sono nuovi motivi per riflettere sulle non ignobili ragioni della Chiesa. Il “caso” è troppo importante, per non parlarne ancora.

Il Galilei – alla pari, del resto, di un altro cattolico fervente come Cristoforo Colombo – convisse apertamente more uxorio con una donna che non volle sposare, ma dalla quale ebbe un figlio maschio e due femmine. Lasciata Padova per ritornare in Toscana, dove gli era stata promessa maggior possibilità di far carriera, abbandonò in modo spiccio (da qualcuno, anzi, sospettato di brutalità) la fedele compagna, la veneziana Marina Gamba, togliendole anche tutti i figli. “Provvisoriamente, mise le figliuole in casa del cognato, ma doveva pensare a una loro sistemazione definitiva: cosa non facile perché, data la nascita illegittima, non era probabile un futuro matrimonio. Galileo pensò allora di monacarle. Sennonché le leggi ecclesiastiche non permettevano che fanciulle così giovani facessero i voti, e allora Galileo si raccomandò ad alti prelati per poterle fare entrare egualmente in convento: così, nel 1613, le due fanciulle – una di 13 e
l’altra di 12 anni – entravano nel monastero di San Matteo d’Arcetri e dopo poco vestirono l’abito. Virginia, che prese il nome di suor Maria Celeste, riuscì a portare cristianamente la sua croce, visse con profonda pietà e in attiva carità verso le sue consorelle. Livia, divenuta suor Arcangela, soccombette invece al peso della violenza subita e visse nevrastenica e malaticcia
” (Sofia Vanni Rovighi).

Sul piano personale, dunque, sarebbe stato vulnerabile.

“Sarebbe”, diciamo, perché, grazie a Dio, quella Chiesa che pure lo convocò davanti al Sant’Uffizio, quella Chiesa accusata di un moralismo spietato, si guardò bene dal cadere nella facile meschineria di mescolare il piano privato, le scelte personali del grande scienziato, con il piano delle sue idee, le sole che fossero in discussione. “Nessun ecclesiastico gli rinfaccerà mai la sua situazione familiare. Ben diversa sarebbe stata la sua sorte nella Ginevra di Calvino, dove i “concubini” come lui venivano decapitati” (Rino Canimilleri).

È un’osservazione che apre uno spiraglio su una situazione poco conosciuta. Ha scritto Georges Bené, uno dei maggiori conoscitori di questa vicenda: “Da due secoli, Galileo e il suo caso interessano, più che come fine, come mezzo polemico contro la Chiesa cattolica e contro il suo “oscurantismo” che avrebbe bloccato la ricerca scientifica”. Lo stesso Joseph Lortz, cattolico rigoroso e certo ancora lontano da quello spirito di autoflagellazione di tanta attuale storiografia clericale, autore di uno dei più diffusi manuali di storia della Chiesa, cita, condividendola, l’affermazione di un altro studioso, il Dessauer: “Il nuovo mondo sorge essenzialmente al di fuori della Chiesa cattolica perché questa, con Galileo, ha cacciato gli scienziati“.
Questo non risponde affatto alla verità. Il temporaneo divieto (che giunge peraltro, lo vedremo meglio, dopo una lunga simpatia) di insegnare pubblicamente la teoria eliocentrica copernicana, è un fatto del tutto isolato: né prima né dopo la Chiesa scenderà mai (ripetiamo: mai) in campo per intralciare in qualche modo la ricerca scientifica, portata avanti tra l’altro quasi sempre da membri di ordini religiosi. Lo stesso Galileo è convocato solo per non avere rispettato i patti:
l’approvazione ecclesiastica per il libro “incriminato”, i Dialoghi sopra i massimi sistemi, gli era stata concessa purché trasformasse in ipotesi (come del resto esigevano le stesse ancora incerte conoscenze scientifiche del tempo) la teoria copernicana che egli invece dava ormai come sicura. Il che non era ancora. Promise di adeguarsi: non solo non lo fece, dando alle stampe il manoscritto così com’era, ma addirittura mise in bocca allo sciocco dei Dialoghi, dal nome esemplare di Simplicio, i consigli di moderazione datigli dal papa che pur gli era amico e lo ammirava.

Galileo, quando è convocato per scolparsi, si sta occupando di molti altri progetti di ricerca, non solo di quello sul movimento della Terra o del Sole. Era giunto quasi ai settant’anni avendo avuto onori e aiuti da parte di tutti gli ambienti religiosi, a parte un platonico ammonimento del 1616, ma non diretto a lui personalmente; subito dopo la condanna potrà riprendere in pieno le ricerche, attorniato da giovani discepoli che formeranno una scuola. E potrà condensare il meglio della sua vita di studio negli anni che gli restano, in quei Discorsi sopra due nuove scienze che è il vertice del suo pensiero scientifico.
Dei resto, proprio nell’astronomia e proprio a partire da quegli anni la Specola Vaticana – ancor oggi in attività, fondata e sempre diretta da gesuiti – consolida la sua fama di istituto scientifico tra i più prestigiosi e rigorosi nel mondo. Tanto che, quando gli italiani giungono a Roma, nel 1870, si affrettano a fare un’eccezione al loro programma di cacciare i religiosi, quelli della Compagnia di Gesù innanzitutto.

Il governo dell’Italia anticlericale e massonica fa votare così dal Parlamento una legge speciale per mantenere come direttore a vita dell’Osservatorio già papale il padre Angelo Secchi, uno dei maggiori studiosi del secolo, tra i fondatori dell’astrofisica, uomo la cui fama è talmente universale che petizioni giungono da tutto il mondo civile per ammonire i responsabili della “nuova Italia” che non intralcino un lavoro giudicato prezioso per tutti.

Se la scienza sembra emigrare, a partire dal Seicento, prima nel Nord Europa e poi oltre Atlantico – fuori, cioè, dall’orbita di regioni cattoliche – le cause sono legate al diverso corso assunto dalla scienza stessa. Innanzitutto, i nuovi, costosi strumenti (dei quali proprio Galileo è tra i pionieri) esigono fondi e laboratori che solo i Paesi economicamente sulla cresta dell’onda possono permettersi, non certo l’Italia occupata dagli stranieri o la Spagna in declino, rovinata dal suo stesso trionfo.

La scienza moderna, poi, a differenza di quella antica, si lega direttamente alla tecnologia, cioè alla sua utilizzazione diretta e concreta. Gli antichi coltivavano gli studi scientifici per se stessi, per gusto della conoscenza gratuita, pura. 1 greci, ad esempio, conoscevano le possibilità del vapore di trasformarsi in energia ma, se non adattarono a macchina da lavoro quella conoscenza, è perché non avrebbero considerato degno di un uomo libero, di un “filosofo” come era anche lo
scienziato, darsi a simili attività “utilitarie”. (Un atteggiamento che contrassegna del resto tutte le società tradizionali: i cinesi, che da tempi antichissimi fabbricavano la polvere nera, non la trasformarono mai in polvere da sparo per cannoni e fucili, come fecero poi gli europei del Rinascimento, ma l’impiegarono solo per fini estetici, per fare festa con i fuochi artificiali. E gli antichi egizi riservavano le loro straordinarie tecniche edilizie solo a templi e tombe, non per edifici “profani”).

È chiaro che, da quando la scienza si mette al servizio della tecnologia, essa può svilupparsi soprattutto tra popoli, come quelli nordici, che conoscono una primissima rivoluzione industriale; che hanno – come gli olandesi o gli inglesi – grandi flotte da costruire e da utilizzare; che abbisognano di equipaggiamento moderno per gli eserciti, di infrastrutture territoriali, e così via. Mentre, cioè, prima, la scienza era legata solo all’intelligenza, alla cultura, alla filosofia, all’arte stessa, a partire dall’epoca moderna è legata al commercio, all’industria, alla guerra. Al denaro, insomma.


È un’osservazione che apre uno spiraglio su una situazione poco conosciuta. Ha scritto Georges Bené, uno dei maggiori conoscitori di questa vicenda: “Da due secoli, Galileo e il suo caso interessano, più che come fine, come mezzo polemico contro la Chiesa cattolica e contro il suo “oscurantismo” che avrebbe bloccato la ricerca scientifica”. Lo stesso Joseph Lortz, cattolico rigoroso e certo ancora lontano da quello spirito di autoflagellazione di tanta attuale storiografia clericale, autore di uno dei più diffusi manuali di storia della Chiesa, cita, condividendola, l’affermazione di un altro studioso, il Dessauer: “Il nuovo mondo sorge essenzialmente al di fuori della Chiesa cattolica perché questa, con Galileo, ha cacciato gli scienziati“.
Questo non risponde affatto alla verità. Il temporaneo divieto (che giunge peraltro, lo vedremo meglio, dopo una lunga simpatia) di insegnare pubblicamente la teoria eliocentrica copernicana, è un fatto del tutto isolato: né prima né dopo la Chiesa scenderà mai (ripetiamo: mai) in campo per intralciare in qualche modo la ricerca scientifica, portata avanti tra l’altro quasi sempre da membri di ordini religiosi. Lo stesso Galileo è convocato solo per non avere rispettato i patti:
l’approvazione ecclesiastica per il libro “incriminato”, i Dialoghi sopra i massimi sistemi, gli era stata concessa purché trasformasse in ipotesi (come del resto esigevano le stesse ancora incerte conoscenze scientifiche del tempo) la teoria copernicana che egli invece dava ormai come sicura. Il che non era ancora. Promise di adeguarsi: non solo non lo fece, dando alle stampe il manoscritto così com’era, ma addirittura mise in bocca allo sciocco dei Dialoghi, dal nome esemplare di Simplicio, i consigli di moderazione datigli dal papa che pur gli era amico e lo ammirava.

Galileo, quando è convocato per scolparsi, si sta occupando di molti altri progetti di ricerca, non solo di quello sul movimento della Terra o del Sole. Era giunto quasi ai settant’anni avendo avuto onori e aiuti da parte di tutti gli ambienti religiosi, a parte un platonico ammonimento del 1616, ma non diretto a lui personalmente; subito dopo la condanna potrà riprendere in pieno le ricerche, attorniato da giovani discepoli che formeranno una scuola. E potrà condensare il meglio della sua vita di studio negli anni che gli restano, in quei Discorsi sopra due nuove scienze che è il vertice del suo pensiero scientifico.
Dei resto, proprio nell’astronomia e proprio a partire da quegli anni la Specola Vaticana – ancor oggi in attività, fondata e sempre diretta da gesuiti – consolida la sua fama di istituto scientifico tra i più prestigiosi e rigorosi nel mondo. Tanto che, quando gli italiani giungono a Roma, nel 1870, si affrettano a fare un’eccezione al loro programma di cacciare i religiosi, quelli della Compagnia di Gesù innanzitutto.

Il governo dell’Italia anticlericale e massonica fa votare così dal Parlamento una legge speciale per mantenere come direttore a vita dell’Osservatorio già papale il padre Angelo Secchi, uno dei maggiori studiosi del secolo, tra i fondatori dell’astrofisica, uomo la cui fama è talmente universale che petizioni giungono da tutto il mondo civile per ammonire i responsabili della “nuova Italia” che non intralcino un lavoro giudicato prezioso per tutti.

Se la scienza sembra emigrare, a partire dal Seicento, prima nel Nord Europa e poi oltre Atlantico – fuori, cioè, dall’orbita di regioni cattoliche – le cause sono legate al diverso corso assunto dalla scienza stessa. Innanzitutto, i nuovi, costosi strumenti (dei quali proprio Galileo è tra i pionieri) esigono fondi e laboratori che solo i Paesi economicamente sulla cresta dell’onda possono permettersi, non certo l’Italia occupata dagli stranieri o la Spagna in declino, rovinata dal suo stesso trionfo.

La scienza moderna, poi, a differenza di quella antica, si lega direttamente alla tecnologia, cioè alla sua utilizzazione diretta e concreta. Gli antichi coltivavano gli studi scientifici per se stessi, per gusto della conoscenza gratuita, pura. 1 greci, ad esempio, conoscevano le possibilità del vapore di trasformarsi in energia ma, se non adattarono a macchina da lavoro quella conoscenza, è perché non avrebbero considerato degno di un uomo libero, di un “filosofo” come era anche lo
scienziato, darsi a simili attività “utilitarie”. (Un atteggiamento che contrassegna del resto tutte le società tradizionali: i cinesi, che da tempi antichissimi fabbricavano la polvere nera, non la trasformarono mai in polvere da sparo per cannoni e fucili, come fecero poi gli europei del Rinascimento, ma l’impiegarono solo per fini estetici, per fare festa con i fuochi artificiali. E gli antichi egizi riservavano le loro straordinarie tecniche edilizie solo a templi e tombe, non per edifici “profani”).

È chiaro che, da quando la scienza si mette al servizio della tecnologia, essa può svilupparsi soprattutto tra popoli, come quelli nordici, che conoscono una primissima rivoluzione industriale; che hanno – come gli olandesi o gli inglesi – grandi flotte da costruire e da utilizzare; che abbisognano di equipaggiamento moderno per gli eserciti, di infrastrutture territoriali, e così via. Mentre, cioè, prima, la scienza era legata solo all’intelligenza, alla cultura, alla filosofia, all’arte stessa, a partire dall’epoca moderna è legata al commercio, all’industria, alla guerra. Al denaro, insomma.

Che questa – e non la pretesa “persecuzione cattolica” di cui, l’abbiamo visto, parlano anche storici cattolici – sia la causa della relativa inferiorità scientifica dei popoli restati legati a Roma, lo dimostra anche l’intolleranza protestante di cui quasi mai si parla e che è invece massiccia e precoce. Copernico, da cui tutto inizia (e nel cui nome Galileo sarebbe stato “perseguitato”) è un cattolicissimo polacco. Anzi, è addirittura un canonico che installa il suo rudimentale osservatorio su un torrione della cattedrale di Frauenburg. L’opera fondamentale che pubblica nel 1543 – La rotazione dei corpi
celesti 
– è dedicata al papa Paolo III, anch’egli, tra l’altro, appassionato astronomo. L’imprimatur è concesso da un cardinale proveniente da quei domenicani nel cui monastero romano Galileo ascolterà la condanna. Il libro del canonico polacco ha però una singolarità: la prefazione è di un protestante che prende le distanze da Copernico, precisando che si tratta solo di ipotesi, preoccupato com’è di possibili conseguenze per la Scrittura. Il primo allarme non è dunque di parte cattolica: anzi, sino al dramma finale di Galileo, si succedono ben undici papi che non solo non disapprovano la teoria “eliocentrica” copernicana, ma spesso l’incoraggiano. Lo scienziato pisano stesso è trionfalmente accolto a Roma e fatto membro dell’Accademia pontificia anche dopo le sue prime opere favorevoli al sistema eliocentrico.

Ecco, invece, la reazione testuale di Lutero alle prime notizie sulle tesi di Copernico: “La gente presta orecchio a un astrologo improvvisato che cerca in tutti i modi di dimostrare che è la Terra a girare e non il Cielo. Chi vuol far sfoggio di intelligenza deve inventare qualcosa e spacciarlo come giusto. Questo Copernico, nella sua follia, vuol buttare all’aria tutti i princìpi dell’astronomia“. E Melantone, il maggior collaboratore teologico di fra Martino, uomo in genere piuttosto equilibrato, qui si mostra inflessibile: “Simili fantasie da noi non saranno tollerate“.
Non si trattava di minacce a vuoto: il protestante Keplero, fautore del sistema copernicano, per sfuggire ai suoi correligionari che lo giudicano blasfemo perché parteggia per una teoria creduta contraria alla Bibbia, deve scappare dalla Germania e rifugiarsi a Praga, dopo essere stato espulso dal collegio teologico di Tubinga. Ed è significativo quanto ignorato (come, del resto, sono ignorate troppe cose in questa vicenda) che giunga al “copernicano” e riformato Keplero un invito per insegnare proprio nei territori pontifici, nella prestigiosissima università di Bologna.

Sempre Lutero ripeté più volte: “Si porrebbe fuori del cristianesimo chi affermasse che la Terra ha più di seimila anni“. Questo “letteralismo”, questo “fondamentalismo” che tratta la Bibbia come una sorta di Corano (non soggetta, dunque a interpretazione) contrassegna tutta la storia del protestantesimo ed è del resto ancora in pieno vigore, difeso com’è dall’ala in grande espansione – negli Usa e altrove – di Chiese e nuove religioni che si rifanno alla Riforma.
A proposito di università (e di “oscurantismo”): ci sarà pure una ragione se, all’inizio del Seicento, proprio quando Galileo è sulla quarantina, nel pieno del vigore della ricerca, di università – questa tipica creazione del Medio Evo cattolico – ce ne sono 108 in Europa, alcune altre nelle Americhe spagnole e portoghesi e nessuna nei territori non cristiani. E ci sarà pure una ragione se le opere matematiche e geometriche degli antichi (prima fra tutte quelle di Euclide) che costituirono la base fondamentale per lo sviluppo della scienza moderna, giunsero a noi soltanto perché ricopiate dai monaci benedettini e, appena inventata la tipografia, stampate sempre a cura di religiosi. Qualcuno ha addirittura rilevato che, proprio in quell’inizio del Seicento, è un Grande Inquisitore di Spagna che fonda a Salamanca la facoltà di scienze naturali dove si insegna con favore la teoria copernicana…

Storia complessa, come si vede. Ben più complessa di come abitualmente ce la raccontino. Bisognerà parlarne ancora.
Qualcuno ha fatto notare un paradosso: è infatti più volte successo che la Chiesa sia stata giudicata attardata, non al passo con i tempi. Ma il prosieguo della storia ha finito col dimostrare che, se sembrava anacronistica, è perché aveva avuto ragione troppo presto.

È successo, ad esempio, con la diffidenza per il mito entusiastico della “modernità”, e del conseguente “progresso”, per tutto il XIX secolo e per buona parte del XX. Adesso, uno storico come Émile Poulat può dire: “Pio IX e gli altri papi  “reazionari” erano in ritardo sul loro tempo ma sono divenuti dei profeti per il nostro. Avevano forse torto per il loro oggi e il loro domani: ma avevano visto giusto per il loro dopodomani, che è poi questo nostro tempo postmoderno che
scopre l’altro volto, quello oscuro, della modernità e del progresso
“.
È successo, per fare un altro esempio, con Pio XI e Pio XII, le cui condanne del comunismo ateo erano sino a ieri sprezzate come “conservatrici”, “superate”, mentre ora quelle cose le dicono gli stessi comunisti pentiti (quando hannosufficiente onestà per riconoscerlo) e rivelano che quegli “attardati” di papi avevano una vista che nessun altro ebbe così acuta. Sta succedendo, per fare un altro esempio, con Paolo VI, il cui documento che appare e apparirà sempre più profetico è anche quello che fu considerato il più “reazionario”: l’Humanae Vitae.

Oggi siamo forse in grado di scorgere che il paradosso si è verificato anche per quel “caso Galileo” che ci ha tenuti impegnati per i due frammenti precedenti.

Certo, ci si sbagliò nel mescolare Bibbia e nascente scienza sperimentale. Ma facile è giudicare con il senno di poi: come si è visto, i protestanti furono qui assai meno lucidi; anzi, assai più intolleranti dei cattolici. E certo che in terra  luterana o calvinista Galileo sarebbe finito non in villa, ospite di gerarchi ecclesiastici, ma sul patibolo.

Dai tempi dell’antichità classica sino ad allora, in tutto l’Occidente, la filosofia comprendeva tutto lo scibile umano, scienze naturali comprese: oggi ci è agevole distinguere, ma a quei tempi non era affatto così; la distinzione cominciava a farsi strada tra lacerazioni ed errori.
D’altro canto, Galileo suscitava qualche sospetto perché aveva già mostrato di sbagliare (sulle comete, ad esempio) e proprio su quel suo prediletto piano sperimentale; non aveva prove a favore di Copernico, la sola che portava era del tutto erronea. Un santo e un dotto della levatura di Roberto Bellarmino si diceva pronto – e con lui un’altra figura di altissima statura come il cardinale Baronio – a dare alla Scrittura (la cui lettera sembrava più in sintonia col tradizionale sistema tolemaico) un senso metaforico, almeno nelle espressioni che apparivano messe in crisi dalle nuove ipotesi astronomiche;
ma soltanto se i copernicani fossero stati in grado di dare prove scientifiche irrefutabili. E quelle prove non vennero se non un secolo dopo.

Uno studioso come Georges Bené pensa addirittura che il ritiro deciso dal Sant’Uffizio del libro di Galileo fosse non solo legittimo ma doveroso, e proprio sul piano scientifico: “Un po’ come il rifiuto di un articolo inesatto e senza prove da parte della direzione di una moderna rivista scientifica“. D’altro canto, lo stesso Galileo mostrò come, malgrado alcuni giusti princìpi da lui intuiti, il rapporto scienza-fede non fosse chiaro neppure per lui. Non era sua, ma del cardinal Baronio (e questo riconferma l’apertura degli ambienti ecclesiastici) la formula celebre: L’intento dello Spirito Santo, nell’ispirare la Bibbia, era insegnarci come si va al Cielo, non come va il cielo“.
Ma tra le cose che abitualmente si tacciono è la sua contraddizione, l’essersi anch’egli impelagato nel “concordismo biblico”: davanti al celebre versetto di Giosuè che ferma il Sole non ipotizzava per niente un linguaggio metaforico, restava anch’egli sul vecchio piano della lettura letterale, sostenendo che Copernico poteva dare a quella “fermata” una migliore spiegazione che Tolomeo. Mettendosi sullo stesso piano dei suoi giudici, Galileo conferma quanto fosse ancora incerta la distinzione tra il piano teologico e filosofico e quello della scienza sperimentale.

Ma è forse altrove che la Chiesa apparve per secoli arretrata, perché era talmente in anticipo sui tempi che soltanto ora cominciamo a intuirlo. In effetti – al di là degli errori in cui possono essere caduti quei dieci giudici, tutti prestigiosi scienziati e teologi, nel convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva, e forse al di là di quanto essi stessi coscientemente avvertivano – giudicando una certa baldanza (se non arroganza) di Galileo, stabilirono una volta per sempre che la scienza non era né poteva divenire una nuova religione; che non si lavorava per il bene dell’uomo e neppure per la Verità, creando nuovi dogmi basati sulla “Ragione- al posto di quelli basati sulla Rivelazione. “La condanna temporanea (donec corrigatur, fino a quando non sia corretta, diceva la formula) della dottrina eliocentrica, che dai suoi paladini era presentata come verità assoluta, salvaguardava il principio fondamentale che le teorie scientifiche esprimono verità ipotetiche, vere ex suppositione, per ipotesi e non in modo assoluto“. Così uno storico d’oggi. Dopo oltre tre secoli di quella infatuazione scientifica, di quel terrorismo razionalista che ben conosciamo, c’è voluto un pensatore come Karl Popper per ricordarci che inquisitori e Galileo erano, malgrado le apparenze, sullo stesso piano. Entrambi, infatti, accettavano per fede dei presupposti fondamentali sulla cui base costruivano i loro sistemi. Gli inquisitori accettavano come autorità indiscutibili (anche sul piano delle scienze naturali) la Bibbia e la Tradizione nel loro senso più letterale.

Ma anche Galileo e, dopo di lui, tutta la serie infinita degli scientisti, dei razionalisti, degli illuministi, dei positivisti – accettava in modo indiscusso, come nuova Rivelazione, l’autorità del ragionare umano e dell’esperienza dei nostri sensi.
Ma chi ha detto (e la domanda è di un laico agnostico come Popper) – se non un’altra specie di fideismo – che ragione ed esperienza, che testa e sensi ci comunichino il “vero”? Come provare che non si tratta di illusioni, così come molti considerano illusioni le convinzioni su cui si basa la fede religiosa? Soltanto adesso, dopo tanta venerazione e soggezione, diveniamo consapevoli che anche le cosiddette “verità scientifiche” non sono affatto “verità” indiscutibili a priori, ma sempre e solo ipotesi provvisorie, anche se ben fondate (e la storia in effetti è lì a mostrare come ragione ed esperienza non abbiano preservato gli scienziati da infinite, clamorose cantonate, malgrado la conclamata “oggettività e infallibilità della Scienza”).

Questi non sono arzigogoli apologetici, sono dati ben fondati sui documenti: sino a quando Copernico e tutti i copernicani (numerosi, lo abbiamo visto, anche tra i cardinali, magari tra i papi stessi) restarono sul piano delle ipotesi, nessuno ebbe da ridire, il Sant’Uffizio si guardò bene dal bloccare una libera discussione sui dati sperimentali che via via venivano messi in campo.
L’irrigidimento avviene soltanto quando dall’ipotesi si vuol passare al dogma, quando si sospetta che il nuovo metodo sperimentale in realtà tenda a diventare religione, quello “scientismo” in cui in effetti degenererà. “In fondo, la Chiesa non gli chiedeva altro che questo: tempo, tempo per maturare, per riflettere quando, per bocca dei suoi teologi più illuminati, come il santo cardinale Bellarmino, domandava al Galilei di difendere la dottrina copernicana ma solo come ipotesi e quando, nel 1616, metteva all’Indice il De revolutionibus di Copernico solo donec corrigatur, e cioè finché non si fosse data forma ipotetica ai passi che affermavano il moto della Terra in forma assoluta. Questo consigliava Bellarmino:
raccogliete i materiali per la vostra scienza sperimentale senza preoccuparvi, voi, se e come possa organizzarsi nel corpus aristotelico. Siate scienziati, non vogliate fare i teologi!
” (Agostino Gemelli).

Galileo non fu condannato per le cose che diceva; fu condannato per come le diceva. Le diceva, cioè, con
un’intolleranza fideistica, da missionario del nuovo Verbo che spesso superava quella dei suoi antagonisti, pur considerati “intolleranti” per definizione. La stima per lo scienziato e l’affetto per l’uomo non impediscono di rilevare quei due aspetti della sua personalità che il cardinale Paul Poupard ha definito come “arroganza e vanità spesso assai vive“. Nel contraddittorio, il Pisano aveva di fronte a sé astronomi come quei gesuiti del Collegio Romano dai quali tanto aveva imparato, dai quali tanti onori aveva ricevuto e che la ricerca recente ha mostrato nel loro valore di grandi, moderni scienziati anch’essi “sperimentali”.

Poiché non aveva prove oggettive, è solo in base a una specie di nuovo dogmatismo, di una nuova religione della Scienza che poteva scagliare contro quei colleghi espressioni come quelle che usò nelle lettere private: chi non accettava subito e tutto il sistema copernicano era (testualmente) “un imbecille con la testa tra le nuvole“, uno “appena degno di essere chiamato uomo“, “una macchia sull’onore del genere umano“, uno “rimasto alla fanciullaggine“; e via insultando.

In fondo, la presunzione di essere infallibile sembra più dalla sua parte che da quella dell’autorità ecclesiastica. Non si dimentichi, poi, che, precorrendo anche in questo la tentazione tipica dell’intellettuale moderno, fu quella sua “vanità”, quel gusto di popolarità che lo portò a mettere in piazza, davanti a tutti (con sprezzo, tra l’altro della fede dei semplici), dibattiti che proprio perché non chiariti dovevano ancora svolgersi, e a lungo, tra dotti. Da qui, tra l’altro, il suo rifiuto del latino: “Galileo scriveva in volgare per scavalcare volutamente i teologi e gli altri scienziati e indirizzarsi all’uomo comune. Ma portare questioni così delicate e ancora dubbie immediatamente a livello popolare era scorretto o, almeno, era una grave leggerezza” (Rino Cammilleri).
Di recente, l`erede” degli inquisitori, il Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, cardinale Ratzinger, ha raccontato di una giornalista tedesca – una firma famosa di un periodico laicissimo, espressione di una cultura “progressista” – che gli chiese un colloquio proprio sul riesame del caso-Galileo. Naturalmente, il cardinale si aspettava le solite geremiadi sull’oscurantismo e dogmatismo cattolici. Invece, era il contrario: quella giornalista voleva sapere “perché la Chiesa non avesse fermato Galileo, non gli avesse impedito di continuare un lavoro che è all’origine del terrorismo degli scienziati, dell’autoritarismo dei nuovi inquisitori: i tecnologi, gli esperti…“. Ratzinger aggiungeva di non essersi troppo stupito:
semplicemente quella redattrice era una persona aggiornata, era passata dal culto tutto “moderno” della Scienza alla consapevolezza “postmoderna” che scienziato non può essere sinonimo di sacerdote di una nuova fede totalitaria.

Sulla strumentalizzazione propagandistica che è stata fatta di Galileo, trasformato – da uomo con umanissimi limiti, come tutti, quale era – in un titano del libero pensiero, in un profeta senza macchia e senza paura, ha scritto cose non trascurabili la filosofa cattolica (uno dei pochi nomi femminili di questa disciplina) Sofia Vanni Rovighi. Sentiamo:
Non è storicamente esatto vedere in Galileo un martire della verità, che alla verità sacrifica tutto, che non si contamina con nessun altro interesse, che non adopera nessun mezzo extra-teorico per farla trionfare, e dall’altra parte uomini che per la verità non hanno alcun interesse, che mirano al potere, che adoperano solo il potere per trionfare su Galileo. In realtà ci sono invece due parti, Galileo e i suoi avversari, l’una e l’altra convinte della verità della loro opinione, l’una e l’altra in buona fede ma che adoperano l’una e l’altra anche mezzi extra-teorici per far trionfare la tesi che ritengono vera. Né bisogna dimenticare che, nel 1616, l’autorità ecclesiastica fu particolarmente benevola con Galileo e non lo nominò neppure nel decreto di condanna e nel 1633, sebbene sembrasse procedere con severità, gli concesse

ogni possibile agevolazione materiale. Secondo il diritto di allora, prima, durante e, se condannato, dopo la procedura, Galileo avrebbe  dovuto essere in carcerato; e invece non solo in carcere non fu neanche per un’ora, non solo non subì alcun maltrattamento, ma fu alloggiato e trattato con ogni conforto“.

Ma continua la Vanni Rovighi, quasi con particolare sensibilità femminile verso le povere figlie del grande scienziato:
Non è poi equo operare con due pesi e due misure e parlare di delitto contro lo spirito quando si allude alla condanna di Galileo, ma non battere ciglio quando si narra della monacazione forzata che egli impose alle sue due figliuole giovinette, facendo di tutto per eludere le savie leggi ecclesiastiche che tutelavano la dignità e libertà personale delle giovani avviate alla vita religiosa, col fissare un limite minimo di età per i voti. Si osserverà che quell’azione di Galileo va giudicata tenendo presente l’epoca storica, che Galileo cercò di rimediare, di farsi perdonare quella violenza, usando gran e bontà soprattutto verso Virginia, divenuta suor Maria Celeste; e noi troviamo giustissime queste considerazioni, ma domandiamo che egual metro di comprensione storica e psicologica venga usato anche quando si giudicano gli avversari
di Galileo
“.
Prosegue la studiosa: “Occorrerà anche tenere presente questo: quando si condanna severamente l’autorità che giudicò Galileo ci si mette da un punto di vista morale (da un punto di vista intellettuale, infatti, è pacifico che ci fu errore nei giudici; ma l’errore non è delitto e non si dimentichi mai che ciò non riguarda affatto la fede: sia il giudizio del 1616 che quello del 1633 sono decreti di una Congregazione romana approvati dal papa in forma communi e come tali non cadono sotto la categoria delle affermazioni nelle quali la Chiesa è infallibile; si tratta di decreti di uomini di Chiesa, non certo di dogmi della Chiesa). Se ci si pone, dunque, a un punto di vista morale, non bisogna confondere questo valore con il successo. Tanto vale il tormento dello spirito del grande Galileo quanto il tormento dello spirito sconvolto
della povera suor Arcangela, monacata a forza dal padre a 12 anni. E se poi si osserva che – diamine! – Galileo è Galileo, mentre suor Arcangela non è che un’oscura donnetta, per concludere almeno implicitamente che tormentare l’uno è colpa ben più grave che tormentare l’altra, ci si lascia affascinare dal potere e dal successo. Ma da questo punto di vista non ha più senso parlare di spirito: né per stigmatizzare i delitti compiuti contro di esso né per esaltarne le vittorie
“.
Nella “Lettera alla Granduchessa Cristina”, Galileo si fece giudice ed esegeta “scientifico” della Bibbia, dicendo – in merito all’arresto del sole e della luna al comando di Giosuè – che “coll’aiuto del sistema Copernicano noi abbiamo il senso facile, letterale e chiaro del comando”.
Inoltre,

“[…] Galileo aveva scritto che alcune volte le Scritture “oscurano” il loro proprio significato. Nella copia mandata a Roma la parola “oscurano” era cambiata in “pervertono”. Questa e l’altra parola contraffatta, “falso”, furono le uniche due criticate dal consultore del Santo Uffizio al quale la lettera era stata sottoposta. La lettera nell’insieme fu trovata in accordo con l’insegnamento cattolico” (cit. in James Brodrick s.j., S. Roberto Bellarmino, Ancora, Milano 1965, p. 431-432 e 436).

La crisi della Chiesa

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Abbiamo pensato, su richiesta di molte persone che ci contattano, di riunire in un unico articolo, i numerosi articoli importanti sulla crisi della Chiesa, che sono tutti consultabili sul sito www.crisidellachiesa.it  rimandando ad esso per ogni ulteriore approfondimento, fotografia, o altro. Il sito fa riferimento all’Istituto Mater Boni Consilii di Verrua Savoia (TO): www.sodalitium.biz

«Abbiamo deciso lo Spirito Santo e noi…» (At 1528).

tu es petrus

– Articoli sulla crisi nella Chiesa

– Articoli sulla liturgia

– Articoli sullecumenismo

– Articoli sulle eresie

– Articoli sui movimenti ecclesiali

– Articoli sul problema dell’Autorità

– Articoli sulle apparizioni

 Articoli sul Concilio Vaticano II

– Articoli su Chiesa e Massoneria

– Articoli su Chiesa ed ebraismo

– Articoli su Chiesa e islam

 

In questa pagina è possibile visualizzare diverse immagini che documentano visivamente gli effetti devastanti della rivoluzione conciliare sulla componente umana della Chiesa cattolica.

 

In questa pagina sono disponibili le omelie domenicali o festive dei sacerdoti dell’Istituto Mater Boni Consilii predicate nella chiesa di Albarea (Ferrara).

apostasia postconciliare

 

rudolf steiner - concilio vaticano II

abbé paul roca e il concilio

 

 

vergine addolorata

Perseveriamo nel dedicare il santo Rosario a questa unica intenzione:

riparare alle orribili colpe commesse contro Dio dagli ecclesiastici.

ratzinger o bergoglio?

Di fronte agli atti, alle omissioni e ai discorsi  farneticanti di Jorge Mario Bergoglio, un certo numero di persone (da annoverare tra i cosiddetti «conservatori») ha iniziato a rimpiangere la presunta ortodossia del «papa emerito» Joseph Ratzinger, contrapponendo il suo insegnamento a quello di Francesco. Alcuni sono giunti addirittura ad affermare che Bergoglio non sarebbe il vero papa, ma lo sarebbe Benedetto XVI. Alle «vedove» ratzingerine riproponiamo la lettura di un articolo molto interessante di qualche anno fa (2013) sulla figura dell’ex professore di Teologia dogmatica presso l’università di Tubinga (leggi l’articolo).

la nuova cresima è valida?

 

francesco

«Marco Pannella è una persona […] di cui non si poteva non apprezzare l’impegno totale e disinteressato per nobili cause […]. Lo ricordo con stima e simpatia. Pensando che ci lascia un’eredità umana e spirituale importante».

marco pannella

– Padre Federico Lombardi, portavoce di Francesco I, Radio Vaticana, 19 maggio 2016.

le nobili cause di marco pannella

Sopra: le «nobili cause» per cui Marco Pannella si è battuto per tutta la vita: la legge sul divorzio, la liberalizzazione della droga e l’aborto libero. Davvero «un’eredità umana e spirituale importante»!

 

sincretismo di bergoglio

Il 6 gennaio scorso 2016 è stato diffuso nel mondo intero, in lingua spagnola con sottotitoli in varie lingue, tra le quali l’italiano, un video, detto «video del Papa», come «inziativa globale sostenuta dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa (Apostolato della Preghiera) per collaborare alla diffusione delle intenzioni mensili del Santo Padre sulle sfide dell’umanità». Ecco un commento a questo filmato… (leggi).

Sito online da martedì 6 ottobre 2010

Ultimo aggiornamento: martedì 25 luglio 2017

QUESTO SITO È FORT

 

 

titolo articoli sulla crisi nella chiesa cattolica

SITO È FORTEMENTE SCONSIGLIATO

A CHI HA PAURA A GUARDARE INo FACCIA ALLA VERITÀ

EMENTE SCONSIGLIATO

A CHI HA PAURA A GUARDARE IN FACCIA ALLA VERITÀ

 

“Famiglia e bullismo”

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Cinzia Notaro intervista Gianfranco Amato

“Famiglia e Bullismo”. Un incontro tenutosi di recente presso l’Abbazia di Santa Scolastica in Bari. Emarginazione, umiliazione pubblica, violenze fisiche, psicologiche e verbali, bullismo, cyberbullismo.

Ne sono succubi  secondo gli ultimi dati resi noti da “Terre des Hommes” soprattutto i giovani in età adolescenziale, che finiscono col soffrire nella maggior parte dei casi di ansia sociale, attacchi di panico, disturbi alimentari, depressione, autolesionismo.

Utero in affitto, identità di genere gli altri temi affrontati nel corso del dibattito.

Sono intervenuti: Enzo Fortunato Presidente Europa Benedettina , Manuela Antonacci di ProVita e FamigliaPaolo Scagliarini direttore de “La Fiaccola”, Samuele Lella di Gioventù Nazionale Bari, Michele Picaro Consigliere regionale di Fratelli d’Italia e l’avv. Gianfranco Amato che abbiamo avuto l’onore d’intervistare, Presidente dell’Associazione Giuristi per la Vita,  nominato il 26 giungo 2023 Direttore del Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio permanente sulle Famiglie della Regione Siciliana, con decreto assessoriale 103 del 27 giugno 2023: “Ho  ricevuto questa nomina conferitami con decreto dell’assessore regionale alla famiglia, alle politiche sociali e al lavoro – ha specificato – per un ruolo riservato ad “esperti” di comprovata esperienza, competenza e professionalità. Si tratta certamente di un gratificante riconoscimento del lavoro svolto in questi ultimi quindici anni, ma soprattutto di una grande responsabilità. Ho deciso di accettare questa sfida perché sono convinto che la Sicilia possa diventare un laboratorio di politiche volte a valorizzare la famiglia a livello non solo italiano ma anche europeo. L’idea è quella di partire da una legge approvata esattamente venti anni fa – mi riferisco alla legge regionale 10 del 31 luglio 2023 – che aveva proprio come oggetto quello della «valorizzazione e tutela della famiglia». Si tratta di una legge avveniristica per l’epoca in cui fu approvata, e dovuta sostanzialmente alla particolare sensibilità sul tema della famiglia dell’allora presidente della regione Totò Cuffaro. Il punto è che non fu mai pienamente attuata. Credo che oggi ci siano le condizioni politiche a livello regionale e nazionale, per dimostrare che la famiglia non deve essere considerata una sorta di “corpo moribondo” da sostenere con sussidi, sovvenzioni, bonus, ecc., ma una vera e propria risorsa economico-sociale. Bisogna passare dalla logica dell’accanimento terapeutico, che guarda alla famiglia come ad un “peso sociale” da sostenere finanziariamente, alla logica della valorizzazione, che considera la famiglia nella prospettiva indicata dall’art.1 della Legge regionale 10/2003, ovvero quella di un «soggetto sociale di primario riferimento» per le politiche regionali.  La Sicilia può diventare un interessante laboratorio per sperimentare politiche familiari innovative  – ha dichiarato –  e introdurre iniziative volte a tutelare e valorizzare la famiglia, grazie anche all’amplia autonomia legislativa regionale e alle possibilità concesse da una legge avveniristica (L.R. 10/2003) che, dopo vent’anni di congelamento, ora potrà finalmente vedere la sua integrale applicazione. Ci aspetta un grande lavoro”.

Venendo ai temi dell’incontro, l’utero in affitto, rappresenta  un vero e proprio sfruttamento della donna che diventa un mezzo per avere un figlio a tutti i costi ed è pagata per questo, come in qualunque altro rapporto commerciale. Il bambino le viene letteralmente strappato, come se lei fosse solo un contenitore servito alla realizzazione dell’opera. Il mondo delle tenebre non finisce mai di sorprenderci !

L’ho definita una “barbara pratica”. Da giurista, è inconcepibile il fatto che un essere umano possa essere considerato oggetto di un contratto commerciale. Per trovare un precedente simile nella Storia del Diritto occorre ricorrere all’istituto della schiavitù. Non mi sembra un gran precedente. E nemmeno un gran progresso. In realtà le donne sfruttate sono due. Da una si ottengono gli ovociti contenenti il prezioso DNA, mentre l’altra viene semplicemente utilizzata come un contenitore. Infatti, normalmente gli ovociti vengono scelti accuratamente: di solito si tratta di una giovane donna di razza caucasica, bionda, con occhi azzurri, quoziente intellettivo alto, ecc. Mentre il contenitore lo si fa fare ad una donna del terzo mondo. In India esiste un disgustoso traffico di donne che hanno disperatamente bisogno di soldi e si prestano a questa vergogna. I committenti maschi non utilizzano una sola donna – sarebbe più semplice ed economico – perché in questo caso la donna rischierebbe di sentire come proprio il figlio e potrebbe rifiutarsi di farselo strappare via. Così, è preferibile sfruttarne due di donne, senza che nessuna delle due si affezioni troppo all’oggetto del contratto. Alcune femministe balbettano qualche critica, ma quel mondo, soprattutto il mondo omosessualista, è fermamente a sostegno di questa barbara pratica.

Occorre far prevalere il concetto che avere un figlio non è un diritto. Non esiste un diritto al bambino, ma c’è il diritto alla vita riconosciuto dalla Corte Costituzionale, il diritto di conoscere le proprie origini. Seguono poi i diritti ad essere educato dai propri genitori, alle relazioni familiari, e alla sua famiglia. Si può affermare che con la pratica dell’utero in affitto il nascituro è privato dei suoi diritti fondamentali?

Ci sono  importanti documenti a livello internazionale che riconoscono il diritto di un bambino a crescere in un contesto che favorisca il suo sviluppo armonico attraverso l’educazione complementare di un individuo biologico di sesso maschile, il padre, e un individuo biologico di sesso femminile, la madre. Questo è un dato oggettivo derivato dalla natura. Privare un bimbo di una madre o di un padre, è  una forma crudele e spietata di egoismo da parte di due adulti. Nessun bambino vuole nascere orfano. Semmai dobbiamo chiederci che tipo di civiltà è quella che tra il diritto sacrosanto di un essere debole e indifeso, quale  è un bambino, e il desiderio o il capriccio di due adulti, opta per quest’ultimo. È una civiltà dove vige la legge della giungla, in cui prevale il più forte e il più ricco. Qualcosa di molto  diverso dal modello che  per secoli ha caratterizzato  la civiltà occidentale cristiana.

Tornando all’incontro a cui ha partecipato recentemente presso l’Abbazia di S. Scolastica a Bari, la famiglia odierna si prende cura dei propri componenti? Li accompagna a scoprire i propri talenti ? Li porta a riconoscere i veri valori della vita? I genitori danno buon esempio ai propri figli? Ci si rispetta a vicenda? O ci sono muri di silenzio, incomprensioni, mancanza di dialogo? La Tv e i social network  hanno preso il suo posto?

Oggi sembra essere smarrito, non solo nella famiglia ma anche nella scuola, il concetto stesso di educazione. Che cosa significa educare? Tre verbi latini mi pare rendano bene l’idea di questa delicatissima funzione: educĕre/tradĕre/introducĕre. Se, infatti, la stessa derivazione etimologica del termine offre l’idea di “tirar fuori” ed estrarre le potenzialità di un figlio o di uno studente (educĕre), questa idea non può prescindere da altri due aspetti fondamentali.

Il primo è legato alla tradizione (tradĕre), ovvero al compito di “consegnare”, “trasmettere” il patrimonio di sapienza e di fede ricevuto dagli avi. E’ proprio il legame con la tradizione a costituire uno dei fattori originali delle dinamiche dell’evento educativo. La tradizione rappresenta il cuore dell’identità di un individuo, al punto che il suo disconoscimento non solo lo priva di un’origine, ma, scollegandolo dalle generazioni che lo hanno preceduto, lo immerge in un micidiale cocktail fatto di individualismo relativista, di cinico scetticismo e di squallido edonismo. A volte teleguidato da Tv e social network. L’assurdo ripudio della tradizione – falsamente immaginato come emancipazione in funzione di progresso – ha fatto dilagare tale micidiale cocktail nell’attuale sistema educativo e persino nella famiglia, dove insegnanti e genitori, succubi del pensiero unico dominante, hanno timore e addirittura vergogna di tradĕre l’eredità culturale fatta di principi, valori e ideali ricevuti dalle generazioni precedenti. Solo il legame con la Tradizione  può consentire oggi ad un giovane di acquisire un giudizio critico capace di osservare la realtà senza il paraocchi del pregiudizio ideologico e di guardare al di là delle false apparenze. Solo così un giovane può essere veramente libero e far fallire i tentativi di manipolazione che il Potere ininterrottamente mette  in atto – anche attraverso la distruzione della famiglia – per arrivare ad avere davanti a sé un uomo isolato, un pezzo di materia, un cittadino anonimo e privo del senso del destino. Il secondo aspetto concerne la funzione ultima della stessa educazione, ossia quella di introdurre (introducĕre) alla realtà nella totalità dei suoi fattori, proprio perché è insita nel cuore dell’uomo la domanda di senso totale, che non potrà mai trovare risposta in una ragione dimostrativa o scientifica. Ma chi oggi educa più in famiglia al riconoscimento di queste domande fondamentali dell’uomo?

L’istituzione della famiglia e del matrimonio sono stati istituiti prima del cristianesimo, vero?

La prima immagine che noi abbiamo di una famiglia, senza aggettivi (naturale, tradizionale, ecc.), è quella di una semplice famiglia fatta di madre, padre, figli, punto, risalente al periodo preistorico. Nel 2005 ad Eulau, in Germania, gli archeologi hanno scoperto alcune tombe del periodo  neolitico superiore. In una di esse hanno trovato i resti di quattro esseri umani: un uomo, una donna, e due bambini. Attraverso l’esame del DNA è stato dimostrato che si trattava di una famiglia: padre, madre e figli. Li avevano sepolti abbracciati tra di loro, e ciò fa intendere che sarebbero morti nello stesso momento. Gli scienziati hanno ricostruito attraverso un disegno i membri di quella famiglia, un’immagine molto commovente, ma che ci dice qualcosa di molto importante: in quell’epoca non esisteva nessuno Stato, nessun Parlamento, nessuna legge, nessuna Chiesa. Esisteva la famiglia, elemento naturale che precede tutte queste istituzioni. Per questo si dice che la famiglia è un elemento pre-politico e pre-giuridico. Nessuna istituzione umana e nessuna religione ha dato origine alla famiglia.

E che la famiglia fosse ritenuta una cellula della società risale alle più antiche civiltà, così come ha ripetuto più volte durante il suo intervento.

Uno dei primi a teorizzare in maniera “scientifica” questo concetto fu Aristotele nella sua opera Politica. Ci furono, poi, anche altri grandi pensatori del passato, come per esempio Cicerone che nel De Officiis spiega, appunto, che «prima societas ipso coniugio est», la famiglia è la cellula della società. Sempre in quell’opera, Cicerone riteneva la stessa famiglia come «principium urbis», fondamento della società e «seminarium rei publicae» un vivaio dello stato. Il concetto è poi passato nei grandi pensatori della Tradizione cristiana. Pensiamo, per esempio, a Sant’Agostino che ha espressamente definito la famiglia «particula civitatis», ovvero «la cellula della società e il suo principio» (De Civitate Dei, XIX 16). E così tutti gli altri grandi filosofi e teologi del cristianesimo. Sempre Sant’Agostino insegnava che «il primo naturale legame della società è quello tra uomo e donna (De bono coniugali, I, 1), e che «il matrimonio si chiamò così dalla radice etimologica mater» (Contra Faustum manichaeum, XIX 26). Per questo le  unioni contro natura tra persone dello stesso sesso non possono essere qualificate come matrimonio e quindi dare vita ad una famiglia. Del resto lo dice anche la nostra Costituzione all’art. 29, il quale recita che «La Repubblica riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». È interessante anche il verbo utilizzato in quell’articolo : «riconosce». Riconosce significa semplicemente prende atto di una realtà naturale che preesiste allo Stato. Non si dice la Repubblica istituisce la famiglia e ne disciplina le modalità di costituzione ed estinzione. La famiglia naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, ripeto, non è una creazione dello Stato e, quindi, non può essere modificata dallo stesso. Ancora più assurda ritengo la pretesa avanzata da alcuni movimenti omosessualisti di celebrare “nozze” tra persone dello stesso sesso nelle chiese. La libertà religiosa – che ricordiamo è un diritto fondamentale dell’uomo – non può essere conculcato in nome di un desiderio, o meglio di un capriccio di due persone che hanno un particolare orientamento sessuale.

Si può dire che c’è un piano infernale contro la famiglia, contro la fede, contro l’Europa cristiana?

Io ho avuto la grazia e il privilegio di conoscere personalmente, e frequentarlo negli ultimi anni della sua vita, il compianto cardinal Carlo Caffarra. Lui era stato incaricato nel 1981 dall’allora Pontefice di fondare l’Istituto per gli studi sul matrimonio e la famiglia. Caffarra ricordava spesso dalle mani di Suor Lucia di Fatima, una lettera in cui la veggente profetizzava che lo scontro finale tra Satana e il Regno di Cristo sarebbe avvenuto proprio sulla famiglia. Il Nemico dell’uomo non potendo attaccare direttamente il Creatore avrebbe attaccato la creatura, colpendo innanzitutto il luogo in cui essa nasce, cresce, si educa e si sviluppa. Chi ha fede crede a questa chiave di lettura. Non v’è dubbio, poi, che vi sia in atto una vera e propria guerra ideologica e cultura contro le radici cristiane dell’Europa. Basti pensare che lo stesso riferimento a tali radici è stato tolto dal preambolo della bozza della Costituzione europea.

Il fine di questa cultura della morte è annientare l’unica forma di difesa dell’uomo, la famiglia, e  spingerlo all’individualismo per farne un essere debole e fragile, facilmente plagiabile?

La famiglia è l’ultimo, piccolo, angusto spazio di libertà tra la persona e il Potere. Per questo il Potere vuole eliminarlo. Il Potere vuole un uomo solo, isolato, senza un luogo d’appartenenza, senza radici, fragile, indifeso. Un individuo perfettamente manipolabile. Come diceva il grande scritto inglese Chesterton la famiglia è un «test of freedom», un test di libertà, perché «è l’unica cosa che un uomo libero fa da sé e per sé».  Mons. Luigi Giussani, che è stato il mio Maestro, già trent’anni fa insegnava che l’interesse del potere a distruggere la famiglia è duplice: 1) distruggendo questa primordiale unità-compagnia dell’uomo, il potere riesce ad avere davanti a sé un uomo isolato che senza forza, resta un pezzo di materia, un cittadino anonimo, privo del senso del destino, privo del senso della sua ultima responsabilità e che si piega facilmente al dettato delle convenienze. La famiglia è attaccata per far sì che l’uomo sia più solo, privo di tradizioni che gli consentano di veicolare responsabilmente qualcosa che possa esser scomodo per il potere o che non nasca dal potere; 2) distruggendo la famiglia si demolisce  l’ultimo e più forte baluardo che resiste naturalmente alla concezione culturale che il potere introduce, dando spazio ad una realtà in cui il bene sia l’istinto o il piacere, o meglio ancora il calcolo.

A proposito  dell’identità di genere, il relativismo morale impera: un uomo vuole diventare donna, e viceversa. E quello che è più triste è che sono arrivati a provocare disagio anche nei bambini facendogli sorgere dubbi sulla propria identità sessuale. Vogliono distruggere la purezza dei piccoli. Il gender propagato nelle scuole… i piccoli vengono corrotti  ancor prima che prendano consapevolezza della gravità di certi insegnamenti! Non pensa che sarebbe bene far frequentare ai propri figli per difenderli dal male scuole parentali cristiane?

È un tema molto complesso che non può essere liquidato con una risposta da intervista. Quello che posso dire è che la cosiddetta ideologia gender più che una forma di relativismo morale integra un vero e proprio relativismo materiale. Si nega la realtà. È una sorta di delirio collettivo che rischia di distruggere la società, e certamente svuota la base antropologica della famiglia. La cosa più grave è che spesso si assiste ad un indottrinamento ideologico nelle scuole, partendo proprio dai più piccoli, i soggetti più facilmente plasmabili. Del resto ogni regime totalitario utilizza l’indottrinamento scolastico, e l’attuale dittatura del pensiero unico in cui stiamo vivendo non fa eccezione. Ritengo che l’opzione delle scuole parentali sia da prendere in seria considerazione. Continuo a conoscere esperienze disseminate in tutta Italia, davvero edificanti e che aprono una luce di speranza. Avessi dei figli in età scolare, opterei senza dubbio per questa soluzione rispetto all’alternativa di un campo di rieducazione dove giovani sono costretti all’indottrinamento dell’ideologia woke, del politicamente corretto, della cancel culture, della prospettiva omosessualista.

L’era sessantottina ha portato al caos. Da qui la mancanza di rispetto dei figli nei riguardi dei genitori, degli alunni riguardo gli insegnanti, della moglie rispetto al marito. Questa rivoluzione è stata graduale e lentamente ha provocato un vero disastro, quello che vediamo adesso? Com’era la famiglia  decenni fa e com’è oggi? La donna che responsabilità ha nel degrado morale e spirituale attuale? Il suo lavoro fuori casa le impedisce di avere cura del focolare domestico e di svolgere il ruolo fondamentale che Dio le ha affidato nel far crescere in età e grazia i propri figli e di essere accanto al proprio marito per aiutarlo e sostenerlo: Il Signore disse: «Non è bene che l’uomo sia solo, facciamogli un aiuto simile a lui», Gen 2,18.

Su che cosa abbia significato l’esperienza storica che va sotto il nome di “Sessantotto” e su quali siano stati gli effetti esiziali che ancora oggi perdurano, rinvio all’interessante saggio di un mio carissimo e fraterno amico: Giovanni Formicola. Credo che il suo libro intitolato “Sessantotto Macerie e Speranza” sia uno dei testi più illuminanti ed utili per comprendere in profondità quel fenomeno. Senza dubbio una vera rivoluzione che ha preso di mira anche l’istituto della famiglia quale cellula della società, in un’ottica ideologicamente distruttiva.

Assistiamo anche ad una certa manipolazione linguistica: la contraccezione viene descritta come “controllo del proprio corpo”; l’aborto (uccisione del nascituro) come “interruzione volontaria della gravidanza”; gli assassini degli innocenti sono chiamati “pro-scelta” e gli omosessuali “gay”, ovvero gaudenti. Ne consegue che l’arte, la musica sono state stravolte da cambiamenti culturali, che si allontanano da qualsiasi cosa che assomigli alla moralità cristiana.

Anche il regime totalitario in cui viviamo, come tutti i regimi totalitari che si rispettino, utilizza la manipolazione linguistica. Basta ricordare la celebre “neolingua” ipotizzata dallo scrittore George Orwell nel suo romanzo di fantascienza distopica 1984. Agli esempi che ha fatto Lei potremmo aggiungere anche “maternità di sostegno” per indicare la barbara pratica dell’utero in affitto, o la “procreazione medicalmente assistita” per indicare la procreazione artificiale. Cercano sempre di dare una valenza positiva a cose che, in realtà, sono sempre contro natura e contro l’uomo. Vittime dell’imperante totalitarismo ideologico e culturale in atto certamente anche la Storia, l’Arte, la Musica, basti pensare all’inquietante fenomeno noto come “cancel culture”.

Da cosa nasce la disgregazione familiare a livello giuridico, e la Chiesa cattolica è ancora davvero convinta dell’indissolubilità del matrimonio?

È stato il divorzio a rendere le relazioni umane e la società molto più liquide, e la solubilità del matrimonio ha incrinato la stessa stabilità della convivenza civile. Questo lo si deve onestamente ammettere, prescindendo da qualunque valutazione di carattere religioso, sacramentale, teologico. È possibile, infatti, parlare di matrimonio indissolubile anche da un punto di vista squisitamente laico. Se la famiglia è la cellula della società, uno Stato ha interesse a che la cellula sia solida. Una cellula liquida, infatti, rende liquida tutta la società. Non serve la fede, del resto, per comprendere anche la necessità del matrimonio indissolubile per il destino dei figli, il loro sostentamento e la loro educazione. Come ricordava il grande filosofo francese Gustave Thibon, se prima di sposarsi un individuo è consapevole dell’irrevocabilità del matrimonio, è anche indotto a non avventurarsi alla leggera in quel vicolo cieco che ha il muro di chiusura alle spalle; come il conquistatore che brucia i suoi vascelli per togliersi prima della battaglia ogni possibilità di ritirata, i fidanzati che acconsentono a legarsi l’uno all’altro fino alla morte, si procurano da questa “idea-forza” una garanzia preliminare contro tutti gli eventi del destino che minacceranno il loro amore. Al contrario, la sola idea del divorzio possibile prende dimora tacitamente nel profondo dell’anima, come un verme deposto da una mosca in un frutto in formazione e che ne divorerà un giorno la sostanza. L’esperienza ha più volte dimostrato, infatti, che in alcune circostanze, specie quando si tratta di grandi prove, è sufficiente considerare una cosa come possibile perché essa divenga necessaria. Si tratta di un dato psicologico elementare che da solo basta a sfatare, tra l’altro, il mito del cosiddetto “matrimonio di prova”.

Per questo resto basito quando mi riferiscono che ad alcuni “corsi prematrimoniali” è lo stesso parroco a spiegare ai nubendi, che, in fondo in fondo, se poi le cose vanno male, resta sempre aperta l’opzione del divorzio. Non mi addentro in tutte le polemiche sull’interpretazione dell’enciclica “Amoris Laetitia”, e neppure nella triste vicenda dei legittimi “dubia” sollevati da quattro cardinali della Chiesa cattolica (rimasti peraltro senza risposta), ma credo che l’orientamento attuale della Sacra Rota sia sempre più, diciamo, permissivo. È lo spirito del mondo che aleggia dentro la Chiesa.

Fonte: https://www.lafiaccola.it/wp/famiglia-e-bullismo/

In morte di Silvio Berlusconi

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L’EDITORIALE

di Matteo Castagna

Si è trattato di una sostanziale celebrazione. Mi riferisco alla morte di Silvio Berlusconi, dovuta ad una leucemia di cui soffriva da almeno 5 anni.

Con lui se ne va un pezzo di storia d’Italia durato circa trent’anni, nel bene e nel male.

Silvio è stato, per lungo tempo, l’uomo più invidiato d’Italia, per le sue possibilità economiche. La sinistra si è scagliata contro di lui come da tempo non si vedeva. probabilmente Berlusconi è stato il politico più perseguitato d’Italia, dalla Magistratura e dagli avversari. Ha vinto quasi tutti i processi, ha vinto come grande imprenditore, ha dato lavoro a moltissime persone, spaziando dall’editoria alla televisione privata, dai supermercati allo sport. Certa sinistra è riuscita a vomitare il suo odio nei suoi confronti anche dopo la sua dipartita, in maniera davvero squallida. Quel pezzo di sinistra radical chic, certamente lontana da un signore, quale si dimostrò Enrico Berlinguer, ora ha perso il motivo d’esistere: l’antiberlusconismo militante e giustizialista, manettaro e schifosamente ipocrita , malato dell’ignobile “sindrome da Piazzale Loreto” ha dato dimostrazione che chi si considera “buono” è davvero molto perfido e maligno. Su di lui è stata fatta “satira da frustrati” – ha scritto il vignettista Beppe Fantin sul blog di Nicola Porro – continuando, ragionevolmente: “È vero che la satira è “protetta” dalla libertà di espressione, ma con le cattiverie questa libertà viene meno e andrebbe denunciata. Ma dove vogliamo arrivare? Ma davvero pensiamo che il nostro paese abbia un futuro? Un paese in cui si gode per la morte di un leader e si lotta per la liberazione di un delinquente rinchiuso al 41 bis reo di aver commesso delle atrocità; un paese in cui la famiglia tradizionale è condannata perché colpevole di pretendere che la normalità sia padre, madre e figli; un paese dove la normalità sono i genitori gay e l’utero in affitto; un paese dove il delinquente è tutelato e chi è stato aggredito condannato; un paese dove chi uccide viene trattato come una star del cinema, condannato e rilasciato dopo qualche anno” […]

Berlusconi non ha mai delocalizzato le sue aziende, dimostrando di voler credere nell’Italia. La sua ironia, anche in contesti formalissimi internazionali, resterà nella storia. Così come i suoi 3336 giorni complessivi da Presidente del Consiglio, record assoluto dal dopoguerra.

Su Berlusconi politico potremmo discutere a lungo. Io non l’ho mai votato. Moderati e liberali non mi sono mai piaciuti. Era un uomo generoso. Non mancava mai di aiutare chi riteneva in autentica difficoltà.

Marco Travaglio, orfano inconsolabile di un antiberlusconismo viscerale sul quale ha costruito la sua fortuna, è stato capace di esprimere nel salotto televisivo di Lilli Gruber un condensato di velenosità post-mortem, se così vogliamo dire, da far impallidire un serpente a sonagli. In estrema sintesi, per il direttore del Fatto Quotidiano il Cavaliere per antonomasia avrebbe incarnato le peggiori attitudini presenti nella cultura del Paese, attraendo sostanzialmente la componente più corrotta o corruttibile della popolazione. claudio romiti ha aggiunto: “Tutto questo, come ha giustamente colto Alessandro Sallusti durante la citata trasmissione, veicola qualcosa che va ben al di là di una semplice avversione politica per un personaggio che ha fatto guadagnare molti soldini a tanti odiatori di professione come è per l’appunto Travaglio. In realtà, come si è ben capito dal risolino nervoso di quest’ultimo quando Sallusti lo ha definito “vedovo inconsolabile”, la scomparsa dell’uomo di Arcore rappresenta quasi una tragedia per chi aveva trovato un “cattivone” buono per tutte le stagioni su cui raccogliere i frustati e gli invidiosi di questo disgraziato Paese”.

Nel suo diario del 1994 (raccolto poi nel libro “Come si manda in rovina un paese – Rizzoli 1995), Sergio Ricossa annota alcuni appunti sulla novità politica costituita dalla vittoria di Silvio Berlusconi e aggiunge considerazioni di una preveggenza che, in alcuni casi, sono da brividi. Ne riportiamo qualcuna come ricordo di Berlusconi, in questi giorni di cordoglio e di riflessione.

<<Mi guardo bene dal pretendere un governo Berlusconi liberista. Mi basterebbe un governo che durasse e fosse amico dei consumatori. Ma come si fa ad esserlo, se questo governo ha ereditato dai precedenti due milioni di miliardi (ndr di lire) di debito pubblico? […] Due milioni di miliardi, forse di più. Una sentenza della Corte costituzionale scopre, non senza un pizzico di perfidia, un nuovo debito per le pensioni, che era nascosto ed è in scadenza. Per il governo, è più probabile saltare in aria che sminare il terreno>> – ricorda Fabrizio Bonali, sempre sul blog di Porro.

Leggi anche:

Berlusconi, colpo basso della Schlein: cosa ha detto sul lutto nazionale

Marcello Veneziani ha scritto su La Verità di ieri: “Berlusconi amava la vita, rifuggiva la morte, e anche all’anima voleva organizzare una festa con la banda…”. 

Quanto all’invenzione della cosiddetta “televisione spazzatura”, che lui prendeva come una burla per far riposare gli italiani, va detto ai moralisti che ci sono sempre stati milioni di “cassonetti” che hanno aperto il coperchio. Pensate alle innumerevoli edizioni del vituperato Grande Fratello. Pensate ai successi di Verissimo e di Barbara D’Urso. E nel 1985, il Drive In batteva tutti i record di share. Ha costruito una televisione di basso livello, scollacciata e, talvolta volgare, per un popolo che voleva e meritava quello.

La critica all’uomo, oramai l’ha già fatta il Giudice Supremo. Non ci permetteremmo mai di sostituirci a Lui. Silvio Berlusconi non ha dato l’esempio di un comportamento da buon cristiano. Scandali, più o meno montati sono stati sì un grimaldello politico e giudiziario contro di lui, ma anche uno scandalo lussurioso verso il popolo di Dio, che, coi due matrimoni e le convivenze, le “cene galanti” l’hanno reso un pubblico peccatore mai pentito, anche se ci  auguriamo un atto di contrizione personale, prima di morire. Per questi motivi, per la mancanza di trasparenza, le opacità e i sospetti sulla sua gestione politica e degli affari, con personaggi border line anche al capezzale era indiscutibilmente un pubblico peccatore. La Chiesa Cattolica, nel Codice di Diritto Canonico (1917) vieta i funerali ai pubblici peccatori. I divorziati, ovverosia i concubini, sono considerati ipso facto infames (can.2356) e publice indigni (can. 855 §1), cioè pubblici peccatori. Appartenne alla loggia massonica di Licio Gelli, P2 e a chissà quale altra osservanza col grembiulino, condannata dalla Chiesa. Perciò era scomunicato ipso facto e si sarebbe dovute avere spiegazioni in merito alla simbologia dal sapore esoterico, presente nel mausoleo. Ecco i video della tomba di famiglia:

e poi: https://www.fanpage.it/milano/come-fatto-il-mausoleo-di-villa-san-martino-ad-arcore-dove-potrebbe-essere-sepolto-berlusconi-dopo-i-funerali/

La cremazione venne condannata formalmente dalla Chiesa cattolica (can.1203, Codice 1917), e contro coloro che l’avessero disposta per il proprio cadavere fu comminata la privazione dei sacramenti e delle esequie ecclesiastiche (can. 1240, 1, n. 5, Codice 1917). Alcuni media hanno riportato che B., per sua volontà, sarebbe stato cremato.

Infine, informa LaPresse dell’esistenza di «Volta celeste». Questo il nome del mausoleo voluto da Silvio Berlusconi nel parco di villa San Martino, ad Arcore, e realizzato dall’amico scultore Pietro Cascella. Cento tonnellate di pietra e tre anni di lavoro per quella che Silvio Berlusconi fece costruire come tomba di famiglia per sé e per la «gens Berlusconiana». Di questa imponente opera circolano molte leggende e poche immagini, tra queste quelle del progetto spiegate dallo stesso artista nel documentario «Quando c’era Silvio – Storia del periodo berlusconiano». «Lui mi disse: non farmi una cosa mortuaria, con le falci, le morti, i teschi, gli scheletri, quell’armamentario cimiteriale – ricordava Cascella –. E allora io dissi: pensiamo all’alto, al cielo. E allora ho fatto questa cosa che si chiama Volta celeste».

Funerali di Stato celebrati da un “arcivescovo” in Duomo in forma solenne, omelia priva di qualsiasi riferimento a Cristo, ai Santi, alla S. Vergine Maria, avrebbe potuto leggerla tranquillamente Fedele Confalonieri. La Chiesa nata con il Conciliabolo Vaticano II ha dimostrato, per l’ennesima volta, di aver abbandonato nella sostanza e nella forma la Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana. Noi ne siamo profondamente rattristati perché questi comportamenti non hanno nulla a che fare con la vera carità, che non è buonismo o ossequio incondizionato ai grandi personaggi, ma è adeguamento alle regole e prassi anti-cristiche del mondo moderno (e della massoneria?)

Ecco il testamento di Berlusconi:

https://quifinanza.it/editoriali/video/berlusconi-testamento-chi-come-divisa-eredita/722578/

 

 

 

Catechismo Maggiore di San Pio X – Delle domeniche di Settuagesima, Sessagesima e Quinquagesima (nel 2023: 5, 12 e 19 febbraio)

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29 D. Quali sotto le domeniche che si chiamano di settuagesima, sessagesima e quinquagesima?

R. Si chiamano domeniche di settuagesima, sessagesima e quinquagesima la settima, sesta e quinta domenica avanti quella di Passione.

30 D. Per qual ragione la Chiesa dalla domenica di settuagesima fino al sabato santo tralascia nei divini uffici l’Alleluia, ed usa paramenti di color violaceo?

R. La Chiesa dalla domenica di settuagesima fino al sabato santo tralascia nei divini uffici l’Alleluia, che èvoce di allegrezza, ed usa paramenti di color violaceo, che é color di mestizia, per allontanare con questi segni di tristezza i fedeli dalle vane allegrezze del mondo ed insinuare ad essi Io spirito di penitenza.

31 D. Quali cose ci propone la Chiesa a considerare nei divini uffici delle settimane di settuagesima, sessagesima e quinquagesima?

R. Nei divini uffici della settimana di settuagesima la Chiesa ci rappresenta la caduta dei nostri progenitori, e il loro giusto castigo; in quelli della settimana di sessagesima ci rappresenta il diluvio universale mandato da Dio per castigo dei peccatori; in quelli poi dei primi tre giorni della settimana di quinquagesima ci rappresenta la vocazione di Abramo, e il premio dato da Dio alla sua obbedienza e alla sua fede.

32 D. Donde viene che, malgrado le intenzioni della Chiesa, nel tempo di settuagesima, sessagesima e quinquagesima, più che in qualunque altro, si vedono tanti disordini in una parte di cristiani?

R. In questo tempo più che in qualunque altro, si vedono tanti disordini in una parte di cristiani per malignità del demonio, il quale volendo contrariare i disegni della Chiesa, fa i maggiori suoi sforzi per indurre i cristiani a vivere secondo i dettami del mondo e della carne.

33 D. Che cosa dobbiamo fare per conformarci ai disegni della Chiesa nel tempo di carnevale?

R. Per conformarci ai disegni della Chiesa in tempo di carnevale bisogna star lontani dagli spettacoli e dai divertimenti pericolosi, e attendere con maggior diligenza all’orazione e alla mortificazione, facendo qualche visita straordinaria al Santissimo Sacramento, massime quando sta esposto alla pubblica adorazione; e ciò per riparare a tanti disordini, coi quali Iddio in questo tempo viene offeso.

34 D. Se vi fosse necessità di trovarsi a qualche pericoloso divertimento del carnevale, che cosa deve farsi?

R. Chi per necessità si trovasse a qualche pericoloso divertimento del carnevale, deve prima implorare l’aiuto della divina grazia per evitare ogni peccato; poi recarvisi con grande modestia e ritenutezza, e dopo, raccogliere lo spirito colla considerazione di qualche massima del vangelo.

Fonte: https://www.sodalitium.biz/catechismo-maggiore-di-san-pio-x-delle-domeniche-di-settuagesima-sessagesima-e-quinquagesima/

Il Sedevacantismo è l’unica posizione logica, prevista dal Magistero della Chiesa

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di Matteo Castagna

Noi sedevacantisti siamo i più papisti di tutti, perché per amore del papato romano siamo costretti a constatare la Vacanza della Sede Apostolica per onorare la figura del Vicario di Cristo.

Chi, dopo sessant’anni di “chiesa conciliare” non vuole constatare la sede vacante, o è ignorante in materia teologica o è in mala fede. Oppure, entrambe messe assieme. L’animo candido e puro, che conosce le verità e non ha freni mondani di qualsiasi tipo è sedevacantista, anche solo nell’approccio e nell’atteggiamento, senza affermare pubblicamente di esserlo. Infatti, chi critica il Vicario di Cristo in materia di Fede e/o Morale, contravviene al dogma dell’infallibilità pontificia, si erge al disopra del Papa, con atteggiamento fallibilista e gallicano.

Al fine di una comprensione che vada oltre gli slogan dei difensori dell’eresia vaticano secondista e, quindi, dei loro massimi pastori, ritengo molto utile comprendere il Magistero ecclesiastico in materia di legittimità del Sommo sovrano Pontefice. Così si arriverà a comprendere che, nella situazione attuale, il cattolico papista è paradossalmente il sedevacantista, mentre il cattolico con approssimazione, che giunge all’eresia, è il papolatra, che, generalmente per motivi di comodo, diffonde una dottrina erronea sul papato romano, creando confusione e pericolo per le anime.

Il canone 188,4 del Codice di Diritto Canonico del 1917 è chiarissimo: “Esistono certe cause che influiscono sulla tacita dimissione di un ufficio, la quale dimissione è accettata in anteprima mediante un’operazione della legge, essendo dunque effettiva senza alcuna dichiarazione. Queste cause sono… 4) ove l’eretico fosse caduto pubblicamente lontano dalla Fede.” [124]

Papa Vigilio, Concilio di Costantinopoli II, 553 DC: “… Noi teniamo a mente ciò che fu promesso circa la Santa Chiesa e Colui Che affermò: ‘I cancelli dell’Inferno non prevarranno contro di essa.’, per essi noi comprendiamo le lingue trattanti di morte degli eretici, … ” [1]  L’indefettibilità non significa che la Chiesa Cattolica non venga ridotta ad un rimanente, siccome accaduto durante la crisi Ariana, e siccome predetto accadere alla fine. Essa non significa che degli Antipapi non regnino da Roma, Italia, siccome accaduto, o che non esista un periodo senza un Papa. Gli eretici sono definiti essere dai Papi i cancelli dell’Inferno. Sono coloro i quali asseriscono che gli eretici possono essere Papi a proclamare che i cancelli dell’Inferno sono prevalsi sulla Chiesa Cattolica. Esiste nessun singolo dogma citabile contraddicente la situazione di una Chiesa Cattolica contraffatta, capeggiata da Antipapi, opponentesi alla vera Chiesa Cattolica ridotta ad un rimanente

L’autorità è il dogma Cattolico. Asserire che l’utilizzo di un dogma sia un’interpretazione privata è un’azione condannata da Papa San Pio X. Il Concilio di Trento insegna che i dogmi sono regole infallibili di Fede Universale intese per tutti i fedeli, onde distinguere la verità dall’errore ed i Cattolici dagli eretici. La Chiesa Cattolica esistette centinaia di volte senza un Papa, per anni. La risposta include una citazione proveniente da un teologo risaputo, avente scritto dopo il Concilio Vaticano I, il quale affermò che la Chiesa Cattolica può esistere per decenni senza un Papa. Le definizioni del Concilio Vaticano I non contraddicono in modo alcuno la posizione di coloro rigettanti gli Antipapi del Vaticano II; sono offerte delle risposte alle citazioni di passaggi specifici. Infatti, solamente coloro rigettanti Antipapa Francesco possono professare fedelmente i dogmi del Concilio Vaticano I, giacché egli li rigetta completamente. È precisamente perciocché si crede nel Concilio Vaticano I e nelle di esso definizioni circa l’Ufficio Papale che occorre rigettare gli Antipapi del Vaticano II, i quali le reputavano e reputano insignificanti.

La Santa Sede ha scandito che nessun eretico può occuparla. Negare ciò equivale a giudicare la Santa Sede. Il significato originale della frase si riferisce al rendere soggetto un vero Vescovo di Roma ad un processo, avente nulla a che vedere con il riconoscere che un eretico manifesto non può essere Papa. Papa Paolo IV distrusse tale obiezione citando tale esatto insegnamento nell’esatta bolla Papale Cum ex Apostolatus Officio dichiarante l’impossibilità di accettare un eretico come il Papa. San Roberto Bellarmino detta che un eretico manifesto non può essere il Papa. Nel passaggio reso dall’obiezione egli discute di un Papa malvagio, non di un eretico manifesto. Inoltre, i sedevacantisti non depongono un Papa. Essi riconoscono che un eretico manifesto si è deposto da solo.

È un fatto dogmatico che un eretico non può essere il capo della Chiesa Cattolica, giacché è un dogma che un eretico non è un membro della stessa. Un “cardinale sotto scomunica” presuppone che la scomunica non sia avvenuta per eresia, dacché un eretico non è più un cardinale. Vi sono numerose motivazioni per cui un cardinale venga scomunicato e rimanga un cardinale Cattolico: la distinzione tra scomuniche maggiori e minori. Ciò è reso chiaro dal fatto per cui Papa Pio XII discute di punizioni Ecclesiastiche. Gli eretici sono sbarrati dal Papato non meramente per legge Ecclesiastica bensì per Legge Divina. Papa Pio XII discute di Cattolici sotto impedimenti Ecclesiastici, non di eretici. Anche se si concedesse, per scopi argomentativi, che Papa Pio XII avesse legiferato che gli eretici possano essere eletti, cosa che egli non fece, egli affermò che la scomunica di un cardinale viene sospesa solamente per lo scopo dell’elezione, tornando in vigore subito dopo. Ciò significherebbe, quando anche si concedesse per scopi argomentativi che l’obiezione sia corretta, che l’eletto eretico perderebbe il suo ufficio immediatamente dopo l’elezione.

Se la questione non importasse allora la “nuova” messa non importerebbe, l’acattolicesimo della setta del Vaticano II non importerebbe e così via. In aggiunta, se si accettassero Antipapa Francesco, Antipapa Benedetto XVI, Antipapa Giovanni Paolo II e così via come validi Papi allora si potrebbe neanche presentare la Fede Cattolica come vincolante ad un Protestante. Ciò è illustrato nel Dilemma devastante.

Il dilemma devastante dimostra che si potrebbe neppure tentare di convertire in maniera consistente un Protestante qualora si accettassero i “Papi” del Vaticano II !!!!!

Papa Paolo IV insegnò esplicitamente che non è possibile accettare come valida l’elezione di un eretico come Papa, anche se essa accadesse con il consenso di tutti i presunti cardinali, dimostrando che ciò sia una possibilità. All’inizio del Grande Scisma di Occidente tutti gli apparenti cardinali rigettarono Papa Urbano VI ed accettarono Antipapa Clemente VII.

La gente male interpreta in che cosa consista la visibilità della Chiesa Cattolica. Essa non esclude la possibilità donde la Chiesa Cattolica venga ridotta ad un piccolo rimanente alla fine, essente precisamente ciò che è predetto accadere dalla profezia Cattolica e dalla Sacra Scrittura e ciò che fu osservato durante la fase dell’eresia Ariana. La gerarchia permane assieme al minuto clero rimanente fedele alla pienezza della Fede Cattolica. La setta del Vaticano II non può essere la visibile Chiesa Universale del Cristo; infatti, una delle sue eresie è la di essa negazione della visibilità della Chiesa Cattolica. Importante, dunque, è ricordare bene che l’eresia pubblica depone un chierico dall’ufficio senza alcuna dichiarazione ex Codex 1917.

Fonte: Libro completo: La verità su ciò che è realmente accaduto alla Chiesa Cattolica dopo il Vaticano II [PDF] redatto da Fratello Michele Dimond, O.S.B., e Fratello Pietro Dimond, O.S.B.

 

 

Tabella dei contenuti

Glossario di termini e principii

PARTE I

1. La grande apostasia ed una Chiesa Cattolica contraffatta predette nel Nuovo Testamento e nelle profezie Cattoliche

2. L’orazione originale di Papa Leone XIII a San Michele: una profezia circa la futura apostasia a Roma, Italia

3. Il messaggio di Fatima, Portogallo: un segno Celeste marcante l’inizio degli ultimi tempi ed una predizione dell’apostasia dalla Chiesa Cattolica

4. Una lista completa degli Antipapi nella storia

5. Il Grande Scisma di Occidente (1378-1417) e ciò che esso insegna circa l’apostasia post-Vaticano II

6. La Chiesa Cattolica insegna che un eretico cesserebbe di essere il Papa e che un eretico non potrebbe essere una Papa validamente eletto

7. I nemici della Chiesa Cattolica, i comunisti ed i frammassoni, operarono uno sforzo organizzato di infiltrazione nella Chiesa Cattolica

8. La rivoluzione del Vaticano II (1962-1965)

9. La rivoluzione “liturgica”: una nuova “messa”

10. Il nuovo rito di “ordinazione”

11. Il nuovo rito di “consacrazione episcopale”

12. I nuovi “Sacramenti”: i tentati cambiamenti agli altri Sacramenti

13. Gli scandali e le eresie di Antipapa Giovanni XXIII

14. Le eresie di Antipapa Paolo VI (1963-1978), l’uomo il quale diede al mondo la nuova “messa” e gli insegnamenti del Vaticano II

15. Gli scandali e le eresie di Antipapa Giovanni Paolo I

16. Le eresie di Antipapa Giovanni Paolo II, l’uomo più viaggiante della storia e forse il più eretico

17. La rivoluzione Protestante della setta del Vaticano II: la dichiarazione congiunta del 1999 con i Luterani sulla giustificazione

18. La setta del Vaticano II contro la Chiesa Cattolica sulla partecipazione all’adorazione acattolica

19. La setta del Vaticano II contro la Chiesa Cattolica sulla ricezione della Santa Comunione da parte degli acattolici

20. Le eresie di Antipapa Benedetto XVI (2005-2013)

20 bis. Le eresie di Antipapa Francesco (2013-   )

Per concludere, è necessario e indispensabile chiarire che l’unica Messa Cattolica è stata codificata da S. Pio V e dispone di indulto perpetuo, ex Bolla Quo Primum Tempore, che infligge l’anatema a chiunque intenda modificarne anche un solo iota. Il Novus Ordo Missae, già ampiamente criticato dai cardinali Ottaviani e Bacci nel “Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae” (1969) non è cattolico ma figlio delle eresie ecumeniste conciliari.

Veniamo, infine, all’ “una cum”. 

del Rev. Abbé Hervé Belmont

Nel canone della Santa Messa, nella prima preghiera Te Igitur, il sacerdote celebrante, parlando del Sacrificio di cui è in corso l’offerta, pronuncia le seguenti parole:

… in primis, quæ tibi offérimus pro Ecclésia tua sancta catholica : quam pacifiquere, custodíre, adunáre et régere dignéris toto orbe terrárum : una cum fámulo tuo Papa nostro N. et Antístite nostro N. et ómnibus orthodóxis…

La lettera N. significa nomen e quindi indica che va sostituita con il nome del Sommo Pontefice, poi quello del Vescovo diocesano.

Il Ritus servandus in Celebratione Missæ posto all’inizio del Messale Romano detta (VIII, 2): «Ubi dicit : una cum famulo tuo Papa nostro N., exprimit nomen Papae : Sede autem vacante verba prædicta omittuntur».

In caso di posto vacante nella Santa Sede, le prime parole devono essere omesse (che sono ovviamente le sei parole che il Ritus servandus ha stampato in rosso): di queste parole soppresse, dunque, appartiene la frase una cum. È, quindi, che una cum si riferisce solo al nome del Papa, e non si riferisce al vescovo del luogo, né eventualmente al Re, né ad altri (vescovi) di buona dottrina e di unità cattolica.

Ciò non dovrebbe sorprendere, poiché qui è in questione la Chiesa militante nella sua interezza (… catholica… toto orbe terrarum…).

Una cum significa quindi in comunione con il Sommo Pontefice.

2. Fin dall’antichità la menzione del Papa nei dittici è stata considerata come appartenente all’unità della Chiesa e condizionante l’appartenenza alla Chiesa; ci troviamo nell’ordine teologico (e non solo morale e tanto meno amministrativo). Questa menzione non è una semplice intenzione di preghiera, comporta fedeltà e una certa collaborazione da parte dei presenti.

Quando, nell’anno 449, il Patriarca di Alessandria Dioscoro osò togliere il nome di San Leone papa dai dittici delle messe, la sua audacia suscitò la generale disapprovazione.

Iceforo riferisce che nel V secolo il Patriarca di Costantinopoli Acacio († 489) escluse dai dittici il nome di papa Felice II († 492). L’imperatore Costantino Pogonat andò immediatamente dal Papa per spiegare la sua resistenza a questo istigatore dello scisma. Più tardi, quando il Patriarca di Costantinopoli Fozio provocò il dissenso della Chiesa greca (858), i nomi dei Papi furono cancellati dalla liturgia scismatica.

In Occidente, il Concilio di Vaison (529), convocato da San Cesareo d’Arles, prescriveva di citare nella Messa il nome del Papa che presiede la Sede Apostolica: «Et hoc nobis justum visum est ut nomen domini Papae quicumque Sedi apostolicæ præfuerit in nostris ecclesiis recitetur” (canone 4). E ci è sembrato giusto che nelle nostre chiese si recitasse il nome del Signor Papa che sarà stato a capo della Sede Apostolica.

Papa Pelagio II (579–590) ha insegnato che omettere il nome del Papa dal canone della Messa significa separarsi dalla Chiesa universale.

Quindi non ci sono dubbi: si tratta di una cosa seria che ha conseguenze importanti che non possono essere ignorate subito.

3. Una cum Papa nostro è per il celebrante edificazione ed espressione della comunione con il Sommo Pontefice. In questo caso non si tratta di una comunione qualsiasi, ma della comunione più profonda.

Ecco l’insegnamento di Papa Benedetto XIV: «La commemorazione del Romano Pontefice durante la Messa, così come le preghiere da lui offerte durante il Sacrificio, sono — nella testimonianza e nella realtà — un segno sicuro con il quale si dichiara di riconoscere questo stesso Pontefice come Capo della Chiesa, Vicario di Gesù Cristo e Successore di San Pietro; così si fa professione di spirito e di cuore aderendo fermamente all’unità cattolica; come ben indica anche Christian Lupus, scrivendo sui Concili (volume IV, edizione Bruxelles, p. 422): Questa commemorazione è la più alta e onorevole forma di comunione». (Lettre Ex quo primum tempore, 1 er mars 1756, § 12. Benedicti Papae XIV Bullarium, Malines 1827, tomo iv, vol. 11, p. 299)

Questa effettiva dichiarazione di comunione non è fatta a beneficio di alcun membro della Chiesa; è indirizzata a colui che è riconosciuto come sommo Pontefice, Vicario di Gesù Cristo, come regola vivente della fede, come titolare della giurisdizione sovrana e immediata su ciascuno dei cattolici, come punto di riferimento per l’unità dei la Chiesa. È, quindi, una comunione di fedeltà e di subordinazione: una comunione di intelligenza e di intenti.

4. Per la Chiesa cattolica, l’espressione una cum assume una nuova gravità. Questo perché, come avremo notato, queste due parole e ciò che esse comandano (la menzione del Papa) si riferiscono direttamente alla Santa Chiesa. È lei che, in sacrificio, si unisce a quella nominata. Ora la Chiesa è doppiamente coinvolta nel Santo Sacrificio della Messa:

A. Come beneficiario. Questo è ciò che esprime la preghiera del Te Igitur. La Messa vivifica la Chiesa: pacifica, custodisce, unifica e guida; la Messa fa tutto questo perché la Chiesa sia una e perché la Chiesa è una con il Sommo Pontefice qui nominato; la Messa lo fa in e mediante la sua unione con il Capo visibile della Chiesa, Vicario di Gesù Cristo e Sovrano dei suoi membri.

L’unità della Chiesa è il fine proprio e primario del sacramento dell’Eucaristia. Questo è l’insegnamento di san Tommaso d’Aquino: “La grazia prodotta da questo sacramento è l’unità del Corpo mistico, senza la quale non può esserci salvezza”. [Suma Theologica, IIIa, q. LXIII,a.3]

Questa è anche la dottrina del Concilio di Trento: «[Gesù Cristo, nell’istituire il sacramento della Santissima Eucaristia] volle che fosse garanzia della nostra gloria futura e della nostra felicità eterna, insieme simbolo di questa singolare Corpo di cui egli stesso è il capo e al quale ha voluto che noi, come sue membra, fossimo legati dai più stretti vincoli di fede, speranza e carità, perché tutti professiamo la stessa cosa e non ci siano fra noi scismi. ” (Sessione XIII, De Eucharistia, c. 2, Denzinger 875)

B. Come offerente. La presenza e il primato della Chiesa come beneficiaria dell’offerta della Messa hanno un significato che ci spiega san Tommaso d’Aquino (Suma teologica, IIIa, q. XLVIII, a.3) facendo proprio un testo di sant’Agostino: “ L’unico e vero mediatore [Gesù Cristo] che ci riconcilia con Dio mediante il sacrificio della pace deve rimanere uno con colui al quale ha offerto questo sacrificio, per rendere uno in lui coloro per i quali l’ha offerto (unum in se faceret pro quibus offerebat ), per essere tutt’uno ciò che ha offerto e ciò che ha offerto”.

Coloro per i quali Gesù Cristo offre il suo Sacrificio, beneficiando della virtù santificante del sacrificio, diventano tutt’uno con il sacerdote nell’atto stesso dell’offerta. Per questo il Concilio di Trento afferma che è la Chiesa che offre la Santa Messa: “Dio, Nostro Signore […], per mezzo dei sacerdoti) sotto segni visibili” (Sess. XXII, c. 1).

Non solo il Papa è associato come capo all’essere della Chiesa, ma è associato al fine del sacrificio (che è l’unità della Chiesa) e anche all’offerta sacrificale stessa, che è offerta dalla Chiesa, dice il Concilio di Trento. È difficile diventare più intimi, più coinvolti.

5. Il canone della Messa è immacolato: tale è l’insegnamento del Concilio di Trento nella sua XXII sessione, rafforzato da un canone che rifiuta chi professa diversamente.

“La Chiesa cattolica ha istituito, molti secoli fa, il santo canone così puro da ogni errore, che non vi è nulla in esso che non respiri grande santità e pietà, e non elevi lo spirito di coloro che lo offrono a Dio”. (Denzinger 942)

“Se qualcuno dice che il Canone della Messa contiene errori e va revocato: sia anatema”. (Denzinger 953)

Coinvolgere il nome di Jorge-Bergoglio-Francesco-I non significa negare in un atto solenne questo solenne insegnamento del Concilio di Trento?

L’erede e l’aggravante del Vaticano II, assumendo e prolungando la diffusa distruzione della fede teologale che vi ebbe luogo, hanno il loro posto nel cuore del Mysterium fidei?

È possibile allearsi con lui – partecipando attivamente all’efficienza sacramentale – quando è necessario sottrarsi alla sua giurisdizione (al suo governo) se si vuole conservare la fede e salvare la propria anima?

Il nome di un profeta dell’ecumenismo, che promuove il dissenso nella fede e cerca di dissolvere l’unità della Chiesa, non deflora un’azione così santa il cui scopo è proprio l’unità della Chiesa?

Chi è intrappolato in un “sistema sacramentale” ispirato al protestantesimo, il cui fiore all’occhiello (!) è la “Messa di Lutero”, può essere nominato capo e identificatore della Chiesa cattolica che offre il Sacrificio di Gesù Cristo?

Porsi queste domande significa rispondere. Se, come abbiamo visto, è difficile fare di più intimo e più coinvolgente dell’unione di Chiesa e Papa nel Santo Sacrificio della Messa, sarebbe difficile fare di più empio e di più oltraggioso alla Chiesa di Gesù Cristo, se fosse nominato un falso papa, falsa regola di fede, e quel che è peggio, regola di falsa fede.

Si noti bene che non si tratta qui della scienza, della virtù o dello zelo di coloro che occupano la Sede Apostolica. Se gravi colpe in queste materie hanno conseguenze disastrose per il bene della Chiesa, esse non sono in alcun modo incompatibili né con l’autorità apostolica né con la loro menzione nel canone della Messa.

Dopo i disastrosi proclami e le riforme del Vaticano II, ci troviamo in presenza di carenze fondamentali, ufficiali, permanenti: riguardano la regola della fede, l’ordine sacramentale, l’offerta del Sacrificio, l’unità della Chiesa. Riguardano sia la Messa che la Chiesa, che, insegna san Tommaso d’Aquino, è costituita dalla fede e dai sacramenti della fede (IIIa, q. LIV, a. 2, ad 3).

Non è quindi per leggerezza o per spirito di opposizione all’unità della Chiesa che rifiutiamo di nominare Jorge-Bergoglio-Francisco-I nel Te Igitur: è testimonianza della fede cattolica, è richiesta di la dottrina e l’unità della Chiesa. Perché nominarlo implica necessariamente — pena la negazione della dottrina più certa — accogliere il suo insegnamento senza finzioni, sottomettersi alla sua regola senza vacillare, dare e ricevere i sacramenti sotto la sua egida… in altri errori è separarsi altrimenti dall’unità della Chiesa.

6. Anche per gli assistenti (fedeli) si pone il problema. Sono membri della Chiesa, battezzati e cresimati, deputati ad offrire con il sacerdote per il loro carattere sacramentale che è “partecipazione al sacerdozio di Cristo, derivato da Cristo stesso” (San Tommaso, Summa Theologica, IIIa, q. LXIII , a .5, c). Già san Pietro diceva: “Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale” (I Pietro II, 9).

Solo il sacerdote offre sacramentalmente, ma i fedeli si uniscono a Gesù Cristo in questo stesso sacrificio, per offrire il sacrificio della Chiesa. «Questa oblazione che viene dalla consacrazione è una certa affermazione (testificatio) che tutta la Chiesa concorda (consentiat), concorda con l’oblazione fatta da Cristo e la offre insieme con lui» (San Roberto Bellarmino, De missa, II, v. 4, citato da Pio XII, Mediator Dei, 20 novembre 1947).

Sebbene i fedeli stessi non pronuncino questa una cum così ferita dalla santità della Messa, vi sono comunque associati. Con la loro presenza, con la loro azione, portano collaborazione al meum ac vestrum sacrificium che il sacerdote celebra all’altare. Per discernere la moralità di questa presenza, dobbiamo fare riferimento ai principi che regolano la cooperazione al male.

Qualsiasi cooperazione formale deve essere respinta senza esitazione. Chi deliberatamente sceglie di assistere alla Messa una cum, coopera formalmente alla grave distorsione che essa comporta in relazione alla santità della Messa, in relazione all’unità della fede e della Chiesa. E abbiamo scelto ogni volta che potevamo fare diversamente, anche se dovevamo fare uno sforzo significativo (distanza, tempo, ecc.).

È anche impossibile realizzare un’immediata cooperazione materiale, come sarebbe realizzata dall’ufficio di diacono o suddiacono.

È vietata anche la collaborazione materiale, stretta oa distanza, a meno che non sussista un grave motivo per annullarla: a meno che, quindi, non sia possibile fare diversamente. Questa grave ragione deve essere proporzionata; è necessario evitare lo scandalo e combattere gli effetti negativi su di sé — perché non ci devono essere illusioni: la fedeltà, anche indiretta e odiata, a Francesco Bergoglio, a cui ci si abitua, lascia tracce profonde nell’anima e nell’integrità della fede cattolica , pur avendolo. Inoltre, se si assiste a una Messa “falsata”, si deve protestare interiormente contro la distorsione per evitare una collaborazione formale.

Quanto più stretta e abituale è la collaborazione, tanto più grave deve essere il motivo. Ci possono essere differenze di apprezzamento in questa materia, e ognuno deve decidere davanti a Dio per se stesso e per coloro di cui ha la responsabilità con molta purezza di intenzione e fede illuminata. Quanto più stretta e abituale è la cooperazione, tanto più sarà necessario cercare di sottrarsi ad essa. Quanto più stretta e abituale è la cooperazione, tanto più necessario è odiare interiormente e, di tanto in tanto, assistere esteriormente a questo disaccordo. Quanto prima e abituale sarà la cooperazione, tanto più bisognerà fare di tutto per non abituarsi ad essa (perché l’abitudine modifica il giudizio), tanto più sarà necessario educarsi a non lasciarsi trascinare in le false dottrine alla base dell’una cum Francesco.

7. La posta in gioco in una cum consiste anche in questo: la menzione di Francesco Bergoglio nel canone della Santa Messa è un male, ma è ben lungi dall’essere l’unico male esistente o possibile; non risolviamo tutto una volta che lo omettiamo. Sarebbe una grave illusione immaginare di poterci poi liberare dall’osservanza della giustizia e della carità verso il prossimo, dalla prudenza e dalla fermezza nel fare il bene, dalla lotta contro il peccato e contro l’occasione del peccato.

Sarebbe ancora e sempre un’illusione mortale credersi esenti dall’amore della verità; lo studio della dottrina cattolica in tutta la sua ampiezza; l’acquisizione e il mantenimento della naturale rettitudine dell’intelligenza, rettitudine di giudizio; doveri verso il bene comune della Città e delle diverse società di cui essa fa parte.

Peggio ancora sarebbe trovare nel rifiuto dell’una cum un pretesto per ricorrere, direttamente o indirettamente, a consacrazioni episcopali senza mandato apostolico, ovvero a quanto segue: sarebbe cercare di combattere il male con il male, sarebbe voler evitare una ferita profonda all’unità della Chiesa ricorrendo ad un attacco all’unità della Chiesa (e, in questo caso, ad un’azione più abbondante e più direttamente condannata dall’autorità della Santa Chiesa).

Lasciamo a Gesù Cristo ciò che è oggetto di una sua solenne promessa, e che quindi è sua esclusiva competenza: la perpetuazione della sua Chiesa militante fino al suo ritorno nella gloria. Intanto: «Gli uomini ci considerino ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora ciò che si richiede agli amministratori è che siano trovati fedeli”. (I Cor. IV, 1-2)

Fonte: https://medium.com/@veritatis_catholicus/lenjeu-de-l-una-cum-o-problema-da-una-cum-a436579c2c0e

 

 

Il Natale di Cristo è stato necessario

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI per https://www.informazionecattolica.it/2022/12/26/il-natale-di-cristo-e-stato-necessario/

di Matteo Castagna

“L’OFFESA FATTA A DIO COL PECCATO È INFINITA, SOTTO TUTTI I PUNTI DI VISTA, PERCHÉ RIBELLIONE DELLA CREATURA VERSO IL CREATORE E, PERCIÒ SE NON FOSSE UNA PERSONA INFINITA A RIPARARE, NON POTREBBE ESSERCI PERFETTA RIPARAZIONE”

Molti sono gli usi folkroristici del giorno di Natale, particolarmente nei Paesi nordici. Così l’uso dei dei doni natalizi, perché l’Eterno Padre ci ha dato in grande dono il Suo Figlio, Seconda Persona della Santissima Trinità e Messia profetizzato ed atteso da secoli. Per questo anche gli uomini vogliono darsi un dono. Poi c’è l’albero di Natale, da origine pagana, ma preso come simbolo di Cristo, vero albero di vita, il quale con la sua venuta ha illuminato tutto il mondo.

Le tante luci accese in questo periodo, nonostante la crisi energetica, sono l’emblema della Luce di Cristo sulle tenebre del peccato. La Sua Luce non conosce crisi, nonostante il mondo secolarizzato si inventi di tutto per deviare l’attenzione dal fatto che ha cambiato la storia: la Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, per la nostra redenzione. Tutti i soloni del luciferino “non serviam” solitamente tacciono, in questo periodo, o perché ingrassano il loro Vitello d’Oro o perché possono godersi delle mondane vacanze, tra feste e lussuria.

Il Bambino che nasce ogni anno per ricordarci Chi sia l’unica Via di salvezza, trova sempre chi non ha una stanza da prestargli o un animo in cui dimorare. Per questo nasce sempre in una stalla, nella semplicità e nell’umiltà, facendosi adorare sinceramente solo da chi ha il cuore puro e comprende la regalità dell’Incarnazione.

La festa è introdotta fra il 243 e il 336 ed è di origine occidentale e più precisamente è una istituzione romana. La celebrazione nel giorno del 25 dicembre fu fissata anche per opporre una festa cristiana al natale del dio sole invitto (Natalis Solis invicti) stabilito ai tempi dell’imperatore Aureliano (270-275) come festa pagana dell’Impero, e che veniva celebrata con solennità dai numerosi cultori di Mitra. Alla scelta di tale data però poté infine contribuire il simbolismo naturale; il pensiero, cioè, di festeggiare nei giorni in cui la luce comincia a ricrescere (dopo il solstizio invernale), il natale del Sole di giustizia.

“Con la ricorrenza del Natale del Redentore, sembra quasi ricondurci alla grotta di Betlemme (dall’aramaico: “casa del pane”), perché vi impariamo che è assolutamente necessario nascere di nuovo e riformarci radicalmente; il che è possibile soltanto quando ci uniamo intimamente e vitalmente al Verbo di Dio fatto uomo, e siamo partecipi della sua divina natura alla quale veniamo elevati” (Pio XII, Litterae Encyclicae Mediator Dei, 20/11/1947).

Appare giusto, in tempi di particolare apostasia ed ignoranza religiosa, rispondere ad una domanda fondamentale: il Natale del Salvatore è stato una necessità assoluta o di necessità ipotetica e relativa? “E’ teologicamente certo che la necessità dell’Incarnazione non è assoluta, ma solo conveniente, anche supposta la volontà divina di riparare il genere umano” (Somma di Teologia Dogmatica, Giuseppe Casali, Ed. Signum Christi, Lucca, 1955, con imprimatur ecclesiastico del 11/02/1964). Dio, infatti, avrebbe potuto distruggere il genere umano decaduto col peccato originale, così come avrebbe potuto riparare in altri modi, come condonando gratuitamente, esigendo una riparazione imperfetta da ciascun uomo oppure affidando ad un semplice uomo , pieno di grazia e virtù, il compito di soddisfare per tutti, sebbene imperfettamente. “Dio è libero in tutte le sue operazioni (…) ma dopo il peccato, posto che Dio esigesse una soddisfazione equivalente era necessaria l’Incarnazione di una Persona divina”.

San Leone Magno, nel sermone della Natività 81,2) afferma: “Se non fosse vero dio, non porterebbe rimedio” in linea con quanto già affermato precedentemente da S. Agostino, S. Basilio e dai Padri della Chiesa, che riferendosi alla Scrittura, danno testimonianza in questo senso.

La spiegazione tomista, che è propria di chi ha la mia formazione teologica, ritiene questo: “l’offesa fatta a Dio col peccato è infinita, sotto tutti i punti di vista, perché ribellione della creatura verso il Creatore e, perciò se non fosse una Persona infinita a riparare, non potrebbe esserci perfetta riparazione”. Poiché Dio ha decretato l’Incarnazione liberamente, ha voluto manifestare le sue perfezioni ossia la sua gloria esterna. Avrebbe potuto volere l’Incarnazione, anche indipendentemente dal peccato, o da qualsiasi altra ipotesi.

I Tomisti rispondono che nella presente economia divina l’Incarnazione è talmente ordinata alla redenzione degli uomini, che se Adamo non avesse peccato, l’Incarnazione non ci sarebbe stata. Troviamo la prova nella Scrittura, almeno in tre passi evangelici: Luca, 19,10, Giovanni, 3,17: I Tim. 1,15 così come in tanti altri passi leggiamo il motivo della venuta di Gesù per la salvezza degli uomini. Poi anche nella Tradizione: I Padri S. Ireneo, S. Atanasio, S. Agostino sostengono tale unica tesi. Nel Simbolo Niceno-Costantiniano troviamo come unico motivo dell’Incarnazione “Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal Cielo”.

Nella Liturgia del Sabato santo si legge: “O certamente necessario peccato di Adamo che è stato cancellato con la morte di Cristo. O felice colpa che meritò di avere un tale e sì grande Redentore”. Nella ragionevolezza, di fatto, il decreto della divina Volontà stabilì che il Verbo si incarnasse nella carne passibile e non ha decretato niente riguardo all’ipotesi di Adamo innocente, che in realtà non ha conservato l’innocenza. La Chiesa non obbliga a credere a questa o all’altra tesi.

Intervista a Matteo Castagna, Responsabile Nazionale del Circolo Cattolico Christus Rex

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LA GAZZETTA DELL’EMILIA, 27/12/22 IN EVIDENZA

Di Matteo Pio Impagnatiello Pilastro di Langhirano, 26 dicembre 2022 –

  • Può parlarci del Circolo Christus Rex che lei ha fondato? Quando è nato e di cosa si occupa?

Il Circolo Christus Rex viene fondato ufficialmente il primo gennaio del 2007, ma era già attivo un gruppo con il nome di Avanguardia Scaligera già dal 2003. L’attività cattolico-tradizionalista-militante parte nel 1999. Il Circolo si occupa fondamentalmente di tre cose: la formazione cattolica tradizionale sul catechismo di San Pio X e sulla storia della dottrina sociale della Chiesa di mons. Umberto Benigni ogni primo mercoledì del mese (on line per raggiungere tutti), gli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, predicati secondo il metodo di padre Vallet dai sacerdoti dell’Istituto Mater Boni Consilii di Verrua Savoia (To); informazione, poiché l’uomo è essere sociale ed ha diritto di conoscere la Verità di ciò che lo circonda, senza le fesserie del politicamente corretto/pensiero unico; azione militante, al fine della trasmissione pubblica della Fede attraverso l’esempio della vita di un cattolico fedele alla Tradizione, quindi conforme ai dieci comandamenti ed ai precetti della Chiesa. Evidentemente, tutto questo riceve una grande grazia dal Cielo attraverso una vita sacramentale costante, composta da una confessione frequente e dall’assistenza all’unica santa Messa cattolica tradizionale, non in comunione con gli eresiarchi conciliari. Per coloro che fossero interessati, tali celebrazioni sono in tutta Italia e consultabili nei luoghi e negli orari sul sito www.sodalitium.biz

All’interno del Circolo vi sono più persone con ruoli ed ambiti ben precisi, per l’apostolato cattolico-tradizionale, tra cui l’avvocato Gianfranco Amato, Presidente dei Giuristi per la Vita, il professor Giovanni Perez, l’ingegner Raffaele Amato, l’avvocato Andrea Sartori ecc…

  • I cattolici e il loro impegno nell’agone politico italiano ed europeo: qual è o quale dovrebbe essere il loro compito nella società odierna?

E’ una grande delusione per noi vedere che troppi politici, a livello soprattutto europeo, non applicano ciò in cui  dicono di credere. Ad esempio, ricordo che nel 2008 un eurodeputato che non è mai stato cattolicissimo, come l’onorevole Mario Borghezio, ha voluto costruire con noi  un presepio nel Parlamento europeo. Questo fatto destò più paura e timore nei confronti dei cosiddetti deputati cattolici rispetto a coloro che non lo erano, suscitando in noi stupore e anche tanto apprezzamento, fino al punto che, nonostante i mugugni, l’allora presidente del Parlamento europeo si complimentò pubblicamente in Aula per l’iniziativa e ci ringraziò. Noi pensammo che, a differenza di quanto si vociferava, il presepe non era considerato divisivo per nessuno.

  • A settembre di quest’anno è stata pubblicato il suo ultimo lavoro editoriale, libro scritto insieme all’avvocato Gianfranco Amato. Vuole illustrarcelo?

“Patria e Identità” è il mio terzo libro, scritto con l’amico di tante battaglie, Gianfranco Amato, con il quale condividiamo innanzitutto la fede, la necessità della preghiera e dell’azione militante, per mantenere viva la Tradizione cattolica, alla faccia di quei modernisti che vorrebbero cancellarla, ridurla o adeguarla, a seconda dei loro comodi. Dunque, questo libro nasce dalla volontà di far pensare chiunque, credente e non credente, nei confronti della Patria e dell’Identità. Abbiamo voluto, avendo sensibilità differenti nell’approccio al prossimo, firmare ciascun capitolo con il proprio nome e cognome all’interno di tre parti: “Uno sguardo sulla politica”, “Un’occhiata sulla società”, “Una sbirciata sulla Chiesa”.

  • Si è già fatta un’idea sull’Esecutivo in carica? Cosa ne pensa?

Noi elettori abbiamo votato, fondamentalmente, per due partiti, secondo quello che la legge elettorale prevede. Pertanto, la x l’abbiamo messa su Fratelli d’Italia, ma nel nostro contesto lo stesso voto andava sia alla Camera sia al Senato a candidati della Lega e, nello specifico, a Lorenzo Fontana per la Camera (poi divenuto presidente della medesima e mio amico personale, dal 1996) nonché al Senato, a Paolo Tosato. Nell’uninominale abbiamo votato per Fratelli d’Italia. Possiamo dire, nella pratica, che la legge elettorale ci ha fatto quindi votare sia Fratelli d’Italia sia la Lega, dai quali, data la vicinanza e l’amicizia che ci lega da tanti anni, ci aspettiamo una coerenza in merito ai principi morali cristiani, che sempre con noi hanno sostenuto.

  • La società – italiana ed europea – si trova all’interno di una crisi che non è solamente socio-economica, ma soprattutto valoriale. Può la Chiesa contribuire ad “invertire la rotta”, per realizzare un modello alternativo di società?

Oggi la Chiesa ufficiale ha preso la posizione globalista, pseudo-pacifista, politicamente del deep state. Dunque noi cattolici dobbiamo stare attenti, come lo siamo dal Concilio Vaticano II (1962-1965), a quanto affermano le presunte Autorità ecclesiastiche. Ci tengo, in modo  particolare,  a dare un messaggio di speranza: “Le porte degli inferi non prevarranno”. Nessuno disperi, ma compia la volontà di Dio e la salvezza eterna sarà pronta per lui. Viva Cristo Re e Maria Regina. Sub Christi vexilli regis militare gloriamur!

  • “Dio, Patria, Famiglia”: possono insieme rappresentare un manifesto d’amore, anche al giorno d’oggi?

Questo trinomio è l’identificazione dell’Amore, anche da un punto di vista cronologico. Prima dobbiamo amore, adorazione e culto a Cristo, seconda Persona della Santissima Trinità e Figlio di Dio, il quale ha voluto che i popoli fossero distinti in diverse Patrie, che dobbiamo amare, perché dono di Lui. Nelle famiglie, composte unicamente per volontà divina e naturale, da una mamma e un papà uniti nel sacro vincolo del matrimonio. Ciò che ci viene propinato in questo tempo è solo sovversione dell’ordine naturale, in odio a Cristo ed alla Verità.

Fonte https://www.gazzettadellemilia.it/politica/item/39737-intervista-a-matteo-castagna,-responsabile-nazionale-del-circolo-cattolico-christus-rex&ct=ga&cd=CAEYACoTNjI1OTU5OTkyMDk5MjI2MjE2MzIZNGVlYTFkNmIzZjM2MmY0YTppdDppdDpJVA&usg=AOvVaw1UMwP98VwKtqgBXzB0–Bm

 

L’Articolo è stato ripreso anche sul Quotidianoweb: https://www.quotidianoweb.it/costume-e-societa/intervista-a-matteo-castagna-responsabile-nazionale-del-circolo-cattolico-christus-rex/

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