Cina: Xi si prepara al conto alla rovescia finale

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di Pepe Escobar

19.10.2022

Ciò che spinge la Cina e la Russia è che prima o poi saranno loro a governare l’Heartland.

Il discorso del Presidente Xi Jinping, durato 1h45min, all’apertura del 20° Congresso del Partito Comunista Cinese (CPC) presso la Grande Sala del Popolo di Pechino, è stato un coinvolgente esercizio di informazione del passato recente sul futuro prossimo. Tutta l’Asia e tutto il Sud globale dovrebbero esaminarlo attentamente.

La Sala Grande era sontuosamente addobbata con striscioni rosso vivo. Uno slogan gigante appeso in fondo alla sala recitava: “Lunga vita al nostro grande, glorioso e corretto partito”.

Un altro, in basso, fungeva da riassunto dell’intera relazione:

“Tenere alta la grande bandiera del socialismo con caratteristiche cinesi, attuare pienamente il Pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era, portare avanti il grande spirito fondatore del partito, unirsi e lottare per costruire pienamente un Paese socialista moderno e promuovere pienamente il grande ringiovanimento della nazione cinese”.

Fedele alla tradizione, il rapporto ha delineato i risultati ottenuti dal PCC negli ultimi 5 anni e la strategia della Cina per i prossimi 5 – e oltre. Xi prevede “feroci tempeste” in arrivo, interne ed estere. Il rapporto è stato altrettanto significativo per ciò che non è stato detto o lasciato sottilmente intendere.

Tutti i membri del Comitato centrale del PCC erano già stati informati del rapporto – e lo avevano approvato. Trascorreranno questa settimana a Pechino per studiare i dettagli e sabato voteranno per l’adozione. A quel punto verrà annunciato un nuovo Comitato Centrale del PCC e verrà formalmente approvato un nuovo Comitato Permanente del Politburo, i sette che governano davvero.

Questo nuovo schieramento di leadership chiarirà i volti della nuova generazione che lavoreranno a stretto contatto con Xi, oltre a chi succederà a Li Keqiang come nuovo Primo Ministro: quest’ultimo ha terminato i suoi due mandati e, secondo la Costituzione, deve dimettersi.

Nella Sala Grande sono presenti anche 2.296 delegati che rappresentano gli oltre 96 milioni di membri del PCC. Non sono semplici spettatori: durante la sessione plenaria che si è conclusa la scorsa settimana, hanno analizzato in profondità ogni questione importante e si sono preparati per il Congresso nazionale. Votano le risoluzioni del partito, anche se queste vengono decise dai vertici del partito a porte chiuse.

I punti chiave

Xi sostiene che negli ultimi 5 anni il PCC ha fatto progredire strategicamente la Cina, rispondendo “correttamente” (terminologia del Partito) a tutte le sfide estere. In particolare, i risultati chiave includono la riduzione della povertà, la normalizzazione di Hong Kong e i progressi nella diplomazia e nella difesa nazionale.

È significativo che il ministro degli Esteri Wang Yi, seduto in seconda fila, dietro ai membri del Comitato permanente in carica, non abbia mai staccato gli occhi da Xi, mentre gli altri leggevano una copia del rapporto sulla loro scrivania.

Rispetto ai risultati ottenuti, il successo della politica “Zero-Covid” ordinata da Xi rimane molto discutibile. Xi ha sottolineato che ha protetto la vita delle persone. Ciò che non ha potuto dire è che la premessa della sua politica è trattare il Covid e le sue varianti come un’arma biologica statunitense diretta contro la Cina. Ovvero, una seria questione di sicurezza nazionale che ha la meglio su qualsiasi altra considerazione, persino sull’economia cinese.

Il Covid zero ha colpito duramente la produzione e il mercato del lavoro e ha praticamente isolato la Cina dal mondo esterno. Un esempio lampante: I governi distrettuali di Shanghai stanno ancora pianificando l’azzeramento del Covid in un arco di tempo di due anni. Lo zero-Covid non sparirà presto.

Una grave conseguenza è che l’economia cinese crescerà sicuramente quest’anno meno del 3% – ben al di sotto dell’obiettivo ufficiale di “circa il 5,5%”.

Vediamo ora alcuni dei punti salienti del rapporto Xi.

Taiwan: Pechino ha iniziato “una grande lotta contro il separatismo e le interferenze straniere” a Taiwan.

Hong Kong: è ora “amministrata da patrioti, che la rendono un posto migliore”. A Hong Kong c’è stata “una grande transizione dal caos all’ordine”. Corretto: la rivoluzione dei colori del 2019 ha quasi distrutto un importante centro commerciale/finanziario globale.

Riduzione della povertà: Xi l’ha salutata come uno dei tre “grandi eventi” dell’ultimo decennio insieme al centenario del PCC e al socialismo con caratteristiche cinesi che entra in una “nuova era”. La riduzione della povertà è al centro di uno dei “due obiettivi del centenario” del PCC.

Apertura: La Cina è diventata “un importante partner commerciale e una destinazione importante per gli investimenti stranieri”. Xi confuta l’idea che la Cina sia diventata più autarchica. La Cina non si impegnerà in alcun tipo di “espansionismo” durante l’apertura al mondo esterno. La politica statale di base rimane: la globalizzazione economica. Ma – non l’ha detto – “con caratteristiche cinesi”.

“Auto-rivoluzione”: Xi ha introdotto un nuovo concetto. L’”auto-rivoluzione” permetterà alla Cina di sfuggire a un ciclo storico che porta a una recessione. E “questo assicura che il partito non cambierà mai”. Quindi, o il PCC o il fallimento.

Il marxismo: rimane sicuramente uno dei principi guida fondamentali. Xi ha sottolineato: “Dobbiamo il successo del nostro partito e del socialismo con caratteristiche cinesi al marxismo e a come la Cina è riuscita ad adattarlo”.

Rischi: questo è stato il tema ricorrente del discorso. I rischi continueranno a interferire con i “due obiettivi centenari”. L’obiettivo numero uno è stato raggiunto l’anno scorso, in occasione del centenario del PCC, quando la Cina ha raggiunto lo status di “società moderatamente prospera” sotto tutti i punti di vista (xiaokang, in cinese). L’obiettivo numero due dovrebbe essere raggiunto al centenario della Repubblica Popolare Cinese, nel 2049: “costruire un Paese socialista moderno che sia prospero, forte, democratico, culturalmente avanzato e armonioso”.

Sviluppo: l’attenzione si concentrerà sullo “sviluppo di alta qualità”, compresa la resilienza delle catene di approvvigionamento e la strategia economica della “doppia circolazione”: l’espansione della domanda interna in parallelo agli investimenti esteri (per lo più incentrati sui progetti BRI). Questa sarà la priorità assoluta della Cina. Quindi, in teoria, qualsiasi riforma privilegerà una combinazione di “economia socialista di mercato” e apertura di alto livello, mescolando la creazione di una maggiore domanda interna con una riforma strutturale dal lato dell’offerta. Traduzione: “Doppia circolazione” con gli steroidi.

“Democrazia a processo completo”: è l’altro nuovo concetto introdotto da Xi. Si traduce come “democrazia che funziona”, come il ringiovanimento della nazione cinese sotto – che altro – la guida assoluta del PCC: “Dobbiamo garantire che il popolo possa esercitare i propri poteri attraverso il sistema del Congresso del popolo”.

Cultura socialista: Xi ha detto che è assolutamente necessario “influenzare i giovani”. Il PCC deve esercitare un controllo ideologico e assicurarsi che i media favoriscano una generazione di giovani “che siano influenzati dalla cultura tradizionale, dal patriottismo e dal socialismo”, a vantaggio della “stabilità sociale”. La “storia della Cina” deve arrivare ovunque, presentando una Cina “credibile e rispettabile”. Questo vale certamente per la diplomazia cinese, anche per i “Guerrieri del Lupo”.

“Sinicizzare la religione”: Pechino continuerà la sua azione di “sinicizzazione della religione”, ovvero di adattamento “proattivo” della “religione e della società socialista”. Questa campagna è stata introdotta nel 2015, e significa ad esempio che l’Islam e il Cristianesimo devono essere sotto il controllo del PCC e in linea con la cultura cinese.

La promessa di Taiwan

Arriviamo ora ai temi che ossessionano completamente l’egemone in declino: il legame tra gli interessi nazionali della Cina e il modo in cui questi influenzano il ruolo dello Stato-civiltà nelle relazioni internazionali.

Sicurezza nazionale: “La sicurezza nazionale è il fondamento del ringiovanimento nazionale e la stabilità sociale è un prerequisito della forza nazionale”.

Le forze armate: l’equipaggiamento, la tecnologia e la capacità strategica del PLA saranno rafforzati. Va da sé che ciò significa un controllo totale del PCC sulle forze armate.

“Un Paese, due sistemi”: Si è dimostrato “il miglior meccanismo istituzionale per Hong Kong e Macao e deve essere rispettato a lungo termine”. Entrambi “godono di un’elevata autonomia” e sono “amministrati da patrioti”. Xi ha promesso di integrare meglio entrambi nelle strategie nazionali.

Riunificazione di Taiwan: Xi si è impegnato a completare la riunificazione della Cina. Traduzione: restituire Taiwan alla madrepatria. Il discorso è stato accolto da un fiume di applausi, che hanno portato al messaggio chiave, rivolto contemporaneamente alla nazione cinese e alle forze di “interferenza straniera”: “Non rinunceremo all’uso della forza e prenderemo tutte le misure necessarie per fermare tutti i movimenti separatisti”. Il punto cruciale: “La risoluzione della questione di Taiwan è una questione che riguarda il popolo cinese stesso, che deve essere decisa dal popolo cinese”.

È anche significativo che Xi non abbia nemmeno menzionato lo Xinjiang per nome: solo implicitamente, quando ha sottolineato che la Cina deve rafforzare l’unità di tutti i gruppi etnici. Lo Xinjiang per Xi e la leadership significa industrializzazione dell’Estremo Occidente e nodo cruciale della BRI: non l’oggetto di una campagna di demonizzazione imperiale. Sanno che le tattiche di destabilizzazione della CIA utilizzate in Tibet per decenni non hanno funzionato nello Xinjiang.

Al riparo dalla tempesta

Vediamo ora di analizzare alcune variabili che incidono sugli anni molto difficili che attendono il PCC.

Quando Xi ha parlato di “tempeste feroci in arrivo”, è quello che pensa 24 ore su 24: Xi è convinto che l’URSS sia crollata perché l’egemone ha fatto di tutto per indebolirla. Non permetterà che un processo simile faccia deragliare la Cina.

A breve termine, la “tempesta” potrebbe riferirsi all’ultimo round della guerra americana senza esclusione di colpi alla tecnologia cinese – per non parlare del libero scambio: tagliare alla Cina l’acquisto o la produzione di chip e componenti per supercomputer.

È lecito pensare che Pechino mantenga l’attenzione a lungo termine, scommettendo sul fatto che la maggior parte del mondo, soprattutto il Sud globale, si allontanerà dalla catena di approvvigionamento high tech degli Stati Uniti e preferirà il mercato cinese. Man mano che i cinesi diventeranno sempre più autosufficienti, le aziende tecnologiche statunitensi finiranno per perdere mercati mondiali, economie di scala e competitività.

Xi non ha nemmeno menzionato gli Stati Uniti per nome. Tutti i membri della leadership – soprattutto il nuovo Politburo – sono consapevoli di come Washington voglia “sganciarsi” dalla Cina in tutti i modi possibili e continuerà a dispiegare provocatoriamente ogni possibile filone di guerra ibrida.

Xi non è entrato nei dettagli durante il suo discorso, ma è chiaro che la forza trainante in futuro sarà l’innovazione tecnologica legata a una visione globale. Ed è qui che entra in gioco la BRI, ancora una volta, come campo di applicazione privilegiato per queste scoperte tecnologiche.

Solo così possiamo capire come Zhu Guangyao, ex vice ministro delle Finanze, possa essere sicuro che il PIL pro capite in Cina nel 2035 sarebbe almeno raddoppiato rispetto a quello del 2019 e avrebbe raggiunto i 20.000 dollari.

La sfida per Xi e il nuovo Politburo è quella di risolvere subito lo squilibrio economico strutturale della Cina. E pompare di nuovo gli “investimenti” finanziati dal debito non funzionerà.

Si può quindi scommettere che il terzo mandato di Xi – che sarà confermato alla fine di questa settimana – dovrà concentrarsi su una pianificazione rigorosa e sul monitoraggio dell’attuazione, molto più di quanto non sia avvenuto durante i suoi precedenti anni audaci, ambiziosi, abrasivi ma talvolta scollegati. Il Politburo dovrà prestare molta più attenzione alle considerazioni tecniche. Xi dovrà delegare una maggiore autonomia politica a un gruppo di tecnocrati competenti.

Altrimenti, torneremo alla sorprendente osservazione dell’allora premier Wen Jiabao nel 2007: L’economia cinese è “instabile, squilibrata, scoordinata e in definitiva insostenibile”. Questo è esattamente il punto in cui l’egemone vuole che sia.

Allo stato attuale, la situazione è tutt’altro che cupa. La Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma afferma che, rispetto al resto del mondo, l’inflazione al consumo in Cina è solo “marginale”, il mercato del lavoro è stabile e i pagamenti internazionali sono stabili.BRI,

Il rapporto di lavoro e gli impegni di Xi possono anche essere visti come un capovolgimento dei soliti sospetti geopolitici anglo-americani – Mackinder, Mahan, Spykman, Brzezinski -.

Il partenariato strategico Cina-Russia non ha tempo da perdere con i giochi egemonici globali; ciò che li spinge è che prima o poi governeranno l’Heartland – l’isola del mondo – e oltre, con alleati dal Rimland, dall’Africa all’America Latina, tutti partecipanti a una nuova forma di globalizzazione. Certamente con caratteristiche cinesi, ma soprattutto con caratteristiche pan-eurasiatiche. Il conto alla rovescia finale è già iniziato.

Pubblicato su Strategic Culture

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/cina-xi-si-prepara-al-conto-alla-rovescia-finale

Posizione strategica e basi militari statunitensi: i rischi per l’Italia

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di Mario Porrini

Fonte: Italicum

La vittoria elettorale della coalizione di centro-destra prefigura, salvo imprevisti da non escludere a priori, la formazione di un governo a trazione Fratelli d’Italia. Questa eventualità, ha suscitato timori e fatto nascere speranze di cambiamenti radicali, sia nel campo economico che della politica estera. Naturalmente timori e speranze sono del tutto fuori luogo perché nulla cambierà, a parte qualche intervento di facciata.

Uno dei punti cardine cui il nuovo esecutivo dovrà dimostrarsi affidabile riguarda la posizione italiana sullo scenario internazionale e Giorgia Meloni, che presumibilmente avrà l’incarico da Mattarella, si è subito preoccupata di tranquillizzare gli americani sulla fedeltà alle vecchie alleanze, anche perché deve farsi perdonare dall’attuale amministrazione USA, gli attestati di stima che aveva rivolto a Trump, in occasione della sua elezione alla Casa Bianca. Per cercare di accreditarsi come fedele alleata deve inoltre cercare di tenere a badai suoi alleati Salvini e Berlusconi, frenando le loro esternazioni filo-Putin. I suoi tentativi di “captatio benevolentiae” nei confronti di Biden, l’aveva spinta, già in campagna elettorale ad affermare che, la Destra è lì, salda, dal dopoguerra nella sua adesione all’Alleanza Atlantica; che avrebbe continuato a sostenere l’Ucraina sia economicamente che con l’invio di armi; che avrebbe mantenuto le sanzioni alla Russia. La Meloni cerca di mascherare il suo atlantismo di ferro dietro la retorica dell’Europa, sostenendo che la Nato dovrebbe essere composta, da due colonne, una americana ed una europea e per cercare di giustificare la sua intenzione di aumentare le spese militari, come richiesto espressamente da Washington, ha aggiunto una spruzzatina di sovranismo spicciolo, dichiarando che queste spese rappresentano “il costo della libertà. Vogliamo essere alleati, non sudditi ma essere alleati e non sudditi ha un costo”.

In realtà lo status dell’Italia appare sostanzialmente quello di un paese suddito, sottoposto ad una vera e propria occupazione militare che dura dal 1943. Il nostro paese “ospita” ben 120 basi Nato ufficiali e 20 segrete ed almeno in due di queste, Aviano, presso Pordenone e Ghedi in provincia di Brescia sono stoccate circa 70 testate nucleari. A Sigonella  nella piana di Catania, si trova il principale hub dell’Aviazione di Marina Usa, oltre ad essere la più attrezzata base logistica in appoggio alla sesta Flotta americana nel Mediterraneo. In questo sito, sono dislocati i famosi droni spia “Global Hawk” essenziali per le missioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione e sempre da questa base partono i droni d’attacco “Reaper”. A Napoli,dal 2013, si trova la sede dell’Allied Joint Force Command, che rappresenta uno dei due comandi strategici operativi assieme all’Allied Joint Force CommandBrunssum, dipendente direttamente dall’AlliedCommand Operations del “Supreme Headquarters AlliedPowers Europe”, il quartier generale supremo delle potenze alleate in Europa.Il comandante ha la responsabilità anche della VI flotta della Marina statunitense, che oltre alle basi di Sigonella e, appunto, Napoli, dispone di un attracco nel porto di Gaeta. A Mondragone, in provincia di Caserta, c’è invece il sotterraneo antiatomico per il comando americano e Nato da utilizzare in caso di guerra. A Vicenza, nella caserma Carlo Ederle c’è la base dell’Esercito Usa, con il 173esimo Airborne Brigade Combat Team e lo United States Army Africae dal  2013 un altro campo ha affiancato l’Ederle, il Camp Del Din. A seguire, a Motta di Livenza a Treviso, nella caserma Mario Fiore, è di stanza il “Multinational Cimic Group”, reparto multinazionale interforze. La Spezia ospita il “Centre for maritimeresearch and experimentation”, specializzato in ricerche di tipo scientifico e tecnologico.  In quel di Poggio Recanatico, a Ferrara, c’è il “Deployable Air Command and Control Xentre” all’interno della base. Nel porto di Taranto si trova il comando delle forze navali e anfibie concesso dall’Italia alla Nato.

Soltanto scorrendo questo elenco che a taluno potrà sembrare anche noioso, comprendente comunque solo una minima parte degli oltre 120 siti, si capisce come nel nostra paese ci sia una presenza spropositata di basi e caserme americane che ha pochi eguali nel mondo. Vero e proprio esercito di occupazione e come tale si comporta, potendo godere di uno speciale status tipico del conquistatore: i militari americani infatti, di fatto, non rispondono alla giustizia italiana dei reati commessi in Italia. Dalla terribile strage del Cermis alla recente uccisione di un ragazzo di 15 anni a Pordenone, investito da una macchina guidata da una soldatessa statunitense ubriaca, i responsabili godono di una sostanziale immunità alle leggi italiane e sono soggetti soltanto alla giurisdizione americana. Il nostro paese è tornato ad essere una semplice espressione geografica la cui posizione al centro del Mediterraneo, la rende strategicamente troppo importante.

Lucio Caracciolo, direttore di Limes, in un articolo pubblicato su “La Stampa”, facendo il paragone con lo scontro tra Washington e Pechino sulle rotte dell’Indo-Pacifico sostiene che “siamo la Taiwan del Mediterraneo”. “Il centro di quel mare è Taiwan, del nostro l’Italia” dice che “rispettate le proporzioni, la sfida fra Stati Uniti, Cina e Russia si deciderà sul controllo dello Stretto di Taiwan e di quello di Sicilia. Perni delle rotte oceaniche che legano Cina e America via Eurafrica”.”Nel contesto bellico in espansione, visto dal mare”, puntualizza Caracciolo, “il Belpaese è boccone grosso, gustoso, disponibile”. E a questo proposito il direttore propone un piccolo esercizio che dovrebbe costringerci a guardare in faccia la realtà. Chiede infatti dove dovrebbe trovarsi sulla mappa dell’Euro – mediterraneo una potenza marittima che volesse dominarlo? La risposta è scontata: “In Italia, diamine!”. Qual è questa potenza? “Risposta: l’America, dal 1945”. Questa posizione di straordinaria importanza strategica e la presenza sul nostro territorio di un così alto numero di basi militari americane, espone la nostra penisola a rischi altissimi. Le possibilità di un attacco nucleare tattico da parte della Russia non appaiono più così remote e l’Italia rappresenta un potenziale obiettivo di primaria importanza. Ci troviamo in prima linea rischiando di combattere una guerra che non è la nostra.

 

 

La Russia è di fronte ad un passaggio determinante

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di Gennaro Scala

Fonte: Gennaro Scala

La strategia della Russia è entrata in crisi ed ha dovuto proclamare la mobilitazione parziale dei riservisti dell’esercito. A causa dell’impossibilità di controllare i territori conquistati con l'”operazione speciale”, ovvero con l’utilizzo dei soli professionisti dell’esercito di fronte agli Ucraini che fin dall’inizio hanno decretato la coscrizione obbligatoria e che godono del sostegno dell’intero occidente. Questo è un passaggio molto importante, che ha causato una crisi. Da come verrà risolta dipende l’esito futuro del conflitto.
In un articolo su Ria Novosti si affrontava senza reticenze il fenomeno “massiccio” di coloro che sono fuggiti dalla Russia per evitare la chiamata alle armi. Tra le varie cause il commentatore (se il traduttore automatico ci restituisce bene il senso delle sue parole) individuava la cultura occidentale che ha fatto preso sulla Russia, ma anche le ingiustizie del sistema liberal-nazionale su cui si è attestata la Russia, merito alle quali il commentatore stesso ammette che c’è del vero. “Perché dobbiamo andare a combattere per lo Yacht di Abramovic?” La Russia ha affrontato difficoltà indicibili con le truppe naziste sul proprio territorio, tuttavia anche questa volta si trova ad affrontare un nemico molto insidioso. Il contatto e il rapporto con l’Occidente di questi anni, soprattutto con l’Europa, hanno avuto come contropartita la penetrazione del veleno ideologico occidentale soprattutto quello sviluppatosi quando gli Usa seppero diabolicamente trasformare la “controcultura” sviluppatasi durante la contestazione alla guerra in Vietnam in un veleno ideologico con cui infettare le nazioni, diffondendo un individualismo anti-comunitario, in cui vince la superiore capacità di corruzione.
La Russia è di fronte ad un passaggio, ogni passaggio comporta una crisi. Questo passaggio comporta anche la necessità di abbandonare il sistema liberal-nazionale. Il gruppo dirigente con Putin ha deciso di superare la crisi in avanti, rilanciando la lotta contro l’Occidente. Bisogna vedere se la società russa nel suo complesso seguirà il suo gruppo dirigente. Da ciò dipende la vittoria o la sconfitta della civiltà russa e della civiltà in generale.

B-(RICS)

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di Pierluigi Fagan

Fonte: Pierluigi Fagan

Il 2 ottobre si vota per le presidenziali in Brasile. Lo scontro è polarizzato tra il presidente Bolsonaro e lo sfidante Lula. Nessun sondaggio dà vincente Bolsonaro e chi invece dà vincente Lula lo fa con diversi margini di scarto, allego il poll of polls (media di tutti i sondaggi).
Se Lula vincerà anche di un solo voto oltre il 50% diventerà presidente, altrimenti si andrà al secondo turno a fine ottobre. Anche lì Bolsonaro ha poche speranze di veder confluire la preferenza ad altri candidati, molti voterebbero Lula sebbene con il mesto giudizio di “male minore”. C’è però una certa apprensione per questa eventuale seconda fase. Lo scontro tra i due ovvero tra i due blocchi sociali e di interesse, promette di diventare molto aspro. Esercito, evangelici e capitalismo fazendero che supportano apertamente Bolsonaro, potrebbero tentar di rovesciare il tavolo. Litanie preventive su manipolazioni del voto, da parte di Bolsonaro stile Trump, sono già di ampio volume.
Il Brasile è dato da IMF’22 come 10° economia del mondo, di pochissimo dopo l’Italia. Piccola differenza con resilienza dell’economia brasiliana fondata per lo più su un cospicuo tesoro di materie prime e annunciata recessione italiana dentro quella europea dentro quella occidentale, fanno prevedere che l’anno prossimo il Brasile ci sorpasserà. Del resto, le previsioni a medio periodo danno il Brasile ancora più su, quindi è solo questione di tempo. Quest’anno, IMF ha rivisto ad aprile le previsioni per il Brasile, raddoppiando la stima di crescita (a 1.7%).
A quel punto, già l’anno prossimo, si dovrebbe avere una fotografia già perfettamente multipolare delle principali ricchezze delle nazioni. Tre asiatiche (India, Cina, Giappone con le prime due in crescita), tre europee (Germania, Francia, Italia tutte e tre in declino non episodico) due nordamericane (USA e Canada), una sudamericana (Brasile), più l’UK che è in una tempesta valutaria ed economica, in parte autoprocurata dall’intrepida Liz Truss che, pare, non avrà un gran futuro davanti a sé. Dopo seguono la Russia che avrà una battuta d’arresto, la Corea del Sud in crescita, l’Iran, Il Messico, l’Indonesia in crescita. Così va il mondo.
Primo partner commerciale del Brasile è la Cina (dati 2020 OEC-MIT), per un 32% dell’export ed un 23% dell’import. Ma l’export, più in generale, è legato all’economia asiatica per un 53% quindi beneficia del locomotore più potente dell’economia mondo, oggi, domani e dopodomani. Del resto, come detto, il Brasile è principe nelle materie prime: soia, ferro, petrolio, mais, zucchero, carne etc.
Detto ciò, cosa possiamo aspettarci in termini geopolitici dal nuovo Brasile-Lula 2.0 sempre che vada tutto secondo previsioni e non ci siano sussulti extra-elettorali (il che non è scontato)?
Nulla di più o di meno dal Lula 1.0, ma in nuovo contesto. Bolsonaro stesso, a parte una sbandata per gli USA ai tempi di Trump ma anche in ragione della composizione dell’élite fazendera che lo supportava, non ha tolto il Brasile dai BRICS, anche per l’ovvia ragione fotografata dall’analisi dei flussi commerciali prima riportata. Lula però era tra i fondatori del forum BRICS. Ma da Lula ci si può aspettare anche un rinforzo della cooperazione tra paesi sud e centro-americani, cosa che per altro segnò già la sua prima presidenza (2003-2011). Nei fatti, il Brasile è il polo naturale dell’area e di gran lunga ed a Lula è noto l’andamento verso la formazione di sistemi macroregionali, la sua stessa consistenza economica, quindi geopolitica, oltreché sui volumi economici propri, si basa sull’essere nodo di rete di un sistema più ampio che conta circa una volta e mezzo l’UE (666 milioni dati UN ’22).
L’America Latina si prefigura quindi come un partner ideale per l’Asia e financo un possibile modello per il problematico sviluppo africano. Naturalmente tutto ciò “in prospettiva”. All’oggi l’America Latina è un sistema ancora pieno di problemi, ma è in flusso crescente e quindi ha agio di poterli affrontare.
E gli USA? Sappiamo della storica posizione da tutore non richiesto che gli americani del Nord hanno avuto e continuano ad avere verso quelli del Centro e del Sud. Negli ultimi anni però, non si nota una grande presenza o capacità di sovversione come è stato in passato. Il tempo passa, gli US hanno i loro problemi interni e ne hanno sempre più di esterni oggi monopolizzati dalla crisi ucro-russa-europea mentre sappiamo che quella poi più importante è volta alla Cina-Asia, con grovigli lì dove il groviglio geopolitico ha la sua apoteosi ovvero in Medio Oriente. Nonché col problema del ritiro degli europei dall’Africa e subentro di cinesi, indiani, coreani, russi et varia. Il Centro e Sud America sono comunque legati da forti e naturali interessi economici con gli US, lo stesso Brasile ha gli US come secondo partner per il proprio import dopo la Cina; quindi, fino a che il “business as usual” va avanti, sul resto dovranno accontentarsi. Del resto, realisticamente, non sono più gli anni ’60 e ’70, ripeto, i legami economici sono strutturali (stanno sullo stesso continente), quindi garantiti oggi, domani e dopodomani.
Dopo l’improvvisata Guaidò in Venezuela finita a risate ed il fallimento completo del “Vertice degli americani” che Biden ha organizzato a Los Angeles quest’anno, nonché il passaggio a sinistra dello storico pied-à-terre colombiano, a Washington forse qualcuno avrà cominciato a capire che i tempi non sono più quelli di una volta. Realisticamente, certe cose non si possono più fare e tocca adattarsi al cambiamento quando questo ha linee di fondo irreversibili. Se poi i dollari continuano a girare, si farà di necessità virtù. Ma per cautela, tutto ciò potrebbe gettare qualche sospetto su quello che potrebbe succedere nel mese di campagna elettorale se Lula non avrà la maggioranza al primo turno. Non è un mistero che esercito, evangelici e capitalismo fazendero alla base di Bolsonaro, hanno forti legami con gli US e che gli US, di questi tempi, sono assai nervosetti. Vedremo.

Il laboratorio di Wuhan ha scoperto un nuovo virus

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Nell’imminenza di un autunno che si prospetta particolarmente caldo sul piano della bolletta energetica, il famigerato laboratorio di Wuhan si porta avanti col lavoro, se così vogliamo dire.  Sembra infatti che gli studiosi di questo più che controverso centro di ricerca abbiano scoperto un virus nuovo di zecca, così da allietare i prossimi mesi freddi di quella numerosa componente della popolazione affetta da paranoia virale, tanto da sentirsi ancora protetta dalle sempre più inutili mascherine.

L’agente patogeno in oggetto – nome in codice LsPyV KY187 – è stato rilevato in un topo. Esso, da quanto pubblicato dalla rivista cinese Virologica Sinica, appartiene a una famiglia di poliomavirus che infettano milioni di bambini ogni anno ma con conseguenze usualmente estremamente lievi. Gli stessi scienziati hanno fatto la scoperta dopo aver testato centinaia di roditori in Kenya nel 2016 e nel 2019. I campioni sono stati quindi inviati per l’analisi presso la struttura di ricerca biochimica di Wuhan, la città epicentro della pandemia di Covid.

Quindi, non si tratta di una ricerca molto recente, visto che l’ultimo test è stato realizzato prima della pandemia di Sars-Cov-2. Ma, come recita un vecchio detto del nostro Paese, impara l’arte e mettila da parte, c’è sempre tempo per usarla nel migliore dei modi. Hai visto mai che si riesca a duplicare il colpaccio di un panico diffuso in Occidente, con tutti i danni che ben conosciamo, per un virus banale, presentato come la peste del terzo millennio? Tanto è vero che nello studio si legge che, non essendo questo virus strettamente correlato a nessun patogeno noto, “il suo effetto sulle persone non è chiaro e deve essere ulteriormente valutato.”

Esattamente ciò che ci hanno ripetuto fino alle sfinimento i virologi del terrore a proposito del coronavirus, raccontando la favola nera di un agente patogeno dai poteri devastanti quasi illimitati. D’altro canto, sebbene il modello cinese è stato adottato come punto di riferimento dal nostro imbarazzante ministro della Salute, appoggiato a mo’ di falange dalle principali autorità sanitarie del Paese, dopo il caos che abbiamo vissuto, e di cui ancora non è stata fatta sufficiente chiarezza, tutto ciò che proviene dai laboratori scientifici del colosso asiatico direi che sia assolutamente da prendere con le pinze. Errare è umano, ma perseverare sarebbe veramente diabolico.

Claudio Romiti, 1° settembre 2022

https://www.nicolaporro.it/il-laboratorio-di-wuhan-ha-scoperto-un-nuovo-virus/

Ecco come la Russia aggira le sanzioni sul gas

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Segnalazione di Wall Street Italia

di Leopoldo Gasbarro

“Certi amori non finiscono. Fanno dei giri immensi e poi ritornano”, cantava Antonello Venditti in “Amici mai”Lo stesso vale per il gas e per Vladimir Putin, alludendo ai giri immensi del gas, che porta nelle casse del capo di stato russo una quantità indicibile di miliardi, nonostante le sanzioni. Ma vediamo i numeri e le considerazioni sul “raggiro” della Russia anche da parte del “Financial Times”.

Secondo i dati doganali cinesi, nei primi sei mesi del 2022 la Cina ha comprato dalla Russia 2,35 milioni di tonnellate di gas naturale liquefatto (Gnl), per un valore di 2,16 miliardi di dollari. In questo modo, la Russia ha superato l’Indonesia e gli Stati Uniti ed è diventato il quarto fornitore cinese di Gnl per quest’anno.

A questo dato va aggiunto il gas che Gazprom fornisce giornalmente alla Cina attraverso il gasdotto Power of Siberia, che aveva raggiunto un nuovo massimo storico, con un balzo del 63,4% nella prima metà del 2022.

Il vero motivo dietro l’impennata del Gnl dalla Russia

La Cina ha tranquillamente rivenduto il Gnl russo agli unici che ne hanno un disperato bisogno: i Paesi europei. A caro presso, ovviamente. Come dal “Financial Times”, “i timori dell’Europa di una carenza di gas verso l’inverno potrebbero essere stati aggirati, grazie a un inaspettato cavaliere bianco: la Cina”. Non si tratta di surplus di Gnl dalla Cina. Il Gnl che sta vendendo all’Europa è russo.

Secondo la società di ricerca Kepler, le importazioni europee di Gnl sono aumentate del 60% anno su anno nei primi sei mesi del 2022. Il gruppo cinese Jovo, un grande commerciante di Gnl, ha recentemente rivelato di aver rivenduto un carico di Gnl a un acquirente europeo. Un trader di future a Shanghai ha dichiarato che il profitto ottenuto da tale transazione potrebbe aggirarsi attorno a decine, se non centinaia, di milioni di dollari. La più grande raffineria di petrolio cinese, Sinopec Group, ha ammesso ad aprile di aver incanalato l’eccesso di Gnl nel mercato internazionale.

I media cinesi hanno affermato che la sola Sinopec ha venduto 45 carichi di Gnl, ovvero circa 3,15 milioni di tonnellate. La quantità totale di Gnl cinese che è stata rivenduta è probabilmente superiore a 4 milioni di tonnellate, equivalenti al 7% delle importazioni di gas dall’Europa nel semestre fino alla fine di giugno.

La buona notizia è che i 53 milioni di tonnellate hanno permesso all’Europa di arrivare fino al 77% di riserve. Se continua così, è probabile che il Vecchio Continente raggiunga l’obiettivo dichiarato di riempire l’80% dei i suoi impianti di stoccaggio del gas entro novembre. E a quel punto non ci saranno più rischi di blocco per l’inverno.

L’Europa ora diventando dipendente dalla Cina per il gas, solo che questa volta passa per le importazioni dalla Cina, che così diventa il centro di un percorso del gas che indebolisce un po’, tutti visto che l’Europa paga un prezzo anche 3 volte più alto di quello ufficiale. Ma anche la Russia si indebolisce perché, come sottolinea il “Financial Times”:

“Se la Russia finirà per esportare più gas in Cina come mezzo per punire l’Europa, la Cina avrà più capacità di rivendere il gas in eccesso al mercato, aiutando indirettamente l’Europa”.

Ironia della sorte, l’Europa che cerca di affrancarsi dalla sua dipendenza dalla Russia per l’energia, sta diventando sempre più dipendente dalla Cina.

Alleanza franco mongola come possibile percorso per il futuro

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Riceviamo e pubblichiamo questa lettera del lettore

di Fabio Foresi

I tempi radicali richiedono scelte radicali e di polso; voglio proporre un’occasione mancata che poteva essere fondamentale per la cristianità.

L’alleanza franco mongola ovvero un’accordo tra la cristianità e l’impero mongolo che avrebbe cambiato le sorti del mondo e molto probabilmente in meglio, oserei dire; durante la 5 crociata iniziarono I contatti a circolare le voci dell’avanzata mongola, all’inizio si pensava fossero le forze del Prete Gianni venute dall’oriente a salvare la Terra Santa.

Durante la settima crociata cominciarono I contatti veri e propri, soprattutto le prime missive, I Papi chiedevano la conversione al cattolicesimo ed I Khan chiedevano la sottomissione dei governanti europei.

Il punto di questo articolo è cosa può insegnarci questa gigantesca occasione mancata?

Il nuovo blocco russo-cinese che si sta formando nell’emisfero orientale è praticamente l’impero di Gengis Khan rinato, I popoli dell’Asia stanno costruendo un loro sistema alternativo al sistema unipolare americano-occidentale.

Questo nuovo paradigma che si crea non è quello della Santa Romana Chiesa ma può essere un’aiuto in forma inaspettata; la Russia rappresenta il tentativo modero che più si avvicina al principe cristiano ( con tutti I distinguo ed gli errori umani) ma l’ostacolo per molti cattolici è l’avvicinamento di Putin alla Cina; intanto questo avvicinamento è stato dettato dalle condizioni e dalle sanzioni ( come l’avvicinamento dell’Italia Fascista a Hitler è stato dettato dalle sanzioni inglesi) ma forse il nostro odio e sospetto verso la Cina non è forse frutto della stessa propaganda che ci vuole far odiare Putin?

Intendiamoci la Cina è comunista e perseguita la Chiesa Cattolica Clandestina e lungi da me difendere il massacro abortista compiuto da loro govenro fino ad oggi ( sempre però infinitesimale rispetto a quello americanista liberale) ma attualmente sono uno dei pochi alleati su cui I sovranisti possono contare insieme alla Russia, il loro sistema economico gli ha portati a diventare in 30 anni la seconda potenza economica al mondo, perchè li vige il sacro primato della politica sull’economia, anche se la politica è più o meno comunista.

La Cina ha tutto l’interesse ad avere un governo italiano a loro vicino in politica estera, quindi non baderanno molto se esso sia cristiano o rosso, ed questo potrebbe girare a nostro vantaggio; per quanto riguarda la Chiesa clandestina il vero problema è questa specie di riedizione moderna della lotta delle investiture, è che il PCC vede la Chiesa come alleata con le potenze occidentali ed al NWO (come dargli torto vedendo l’antipapa Bergoglio), quindi forse una forza cattolica integrale ma non schierata a prescindere contro di loro potrebbe esercitare leva per una fine o almeno distensione della persecuzione.

Per concludere come l’opportunità di sconfiggere l’islam proposta dal Khan al Papa del tempo non venne colta per inconprensioni reciproche, non possiamo difronte alle forze sataniche permetterci lo stesso errore.

Che il Sacro Cuore di Gesù ci protegga

La Cina oltrepassa il confine. Così ora circonda Taiwan

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Le tensioni tra Cina e Taiwan

Nella notte, la Cina ha superato la linea mediana dello Stretto di Taiwan. E arriva la risposta di Nancy Pelosi dal Giappone

 

Proseguono le tensioni del Pacifico tra Taiwan e Cina. In queste ultime ore, anche il Giappone è stato interessato dal lancio di cinque missili balistici del Dragone, nella sua Zona Economica Esclusiva. Immediata è stata la risposta delle istituzioni: il primo ministro parla di “grave problema che influisce sulla sicurezza nazionale“, schierandosi a sostegno della causa di Taipei, e confermando ancora una volta l’alleanza con gli Stati Uniti. Il lancio è avvenuto dopo che l’ambasciatore cinese in Giappone ha esortato Tokyo a dissociarsi dal sostegno a Taiwan ed alla visita di Nancy Pelosi a Taipei.

In queste ore, il primo ministro del Sol Levante, Fumio Kishida, ha ricevuto la presidente del Congresso americana, proprio per discutere delle tensioni tra Pechino e l’isola di Formosa. Pelosi cerca di smarcarsi, affermando come “la modifica dello status quo non fosse nelle sue intenzioni”. Allo stesso tempo, però, ricorda come gli Usa “non permetteranno l’isolamento di Taiwan”.

Insomma, in caso di invasione cinese, il messaggio implicito sembra chiaro: gli Stati Uniti saranno pronti ad agire direttamente a fianco di Taipei. E questa è anche la posizione del presidente Biden e del segretario di Stato, Anthony Blinken. Quest’ultimo, infatti, direttamente dall’East Asia Summit in Cambogia, ha parlato di “azione palesemente provocatoria” di Pechino, rimarcando il ruolo degli Stati Uniti “a fianco dei loro alleati e partner”.

La Cina continua a far paura

Il rischio di escalation rimane tremendamente alto. Nelle prime ore di questa mattina, esattamente alle 5 italiane, la Cina ha superato la linea mediana dello Stretto di Taiwan, con “aerei e navi da guerra”, così come riferito dal ministro della Difesa taiwanese. L’azione provocatoria si instaura all’interno di un’isolamento totale dell’isola, da parte delle forze navali del Dragone, in sette punti differenti. E questo status, insieme alle quotidiane violazioni dello spazio aereo di Taipei, durerà almeno fino al 7 agosto, data in cui Pechino ha dichiarato la cessazione delle esercitazioni militari. Di sotto, ecco il posizionamento delle forze militari del Dragone, intorno alla “provincia cinese ribelle”.

Nel frattempo, sempre in queste ore notturne, Singapore ha disposto la cancellazione di tutti i voli da e per Taiwan, proprio a causa “della crescente restrizione dello spazio aereo”. E ancora: “La sicurezza del nostro staff e dei passeggeri sono la nostra priorità”, ha dichiarato il portavoce della compagnia aerea Airlines.

Matteo Milanesi, 5 agosto 2022

Lettera aperta ad un giovane Russo dimorante in Italia. Terza ed ultima parte

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Riceviamo e pubblichiamo la terza ed ultima parte della lettera aperta dell’Avv. Luigi Bellazzi

Caro ragazzo di Russia, 

potresti aver finito il liceo e aver cominciato a gioire dell’estate. O essere già sotto le armi per l'”operazione speciale” in Ucraìna ( “dulce et decorum est pro Patria mori“). In questo Ti stupirai che – dall’Italia nemica dichiarata tra 1941 e 1943 e nemica di fatto tra 1947 e 1989, un Vecchio mai visto Ti scriva come fosse nonno che parli a nipote.

E’ in base alla mia esperienza di vita che giudico la campagna di odio e mistificazione in corso contro la Russia negli ultimi quattro mesi così intensa e ignobile da far impallidire quella  nei quarant’anni di Guerra fredda… Chi da allora ha imposto alla Russia una morsa armistiziale sempre più stretta, ora accusa la Russia di volersi espandere, perché difende i confini che sono all’incirca quelli che aveva nel 1921, non quelli del 1945. Usa e Ue parlano di tribunali penali internazionali( per gli Altri) da presiedere, di criminali( sempre gli Altri) da giudicare, di militari da assassinare, di oligarchi da espropriare… Vogliono trattare la Russia come cercarono di trattare la Germania nel 1919, riuscendoci però solo nel 1945, complici, caro il mio Ragazzo, proprio i sovietici di allora, alleati belligeranti della Germania contro la Polonia nel settembre 1939, quando ancora il Re d’Italia sperava di ripetere ai danni dell’Austria- Ungheria e della Germania la sua capriola diplomatica dell’aprile 1915…

Quanto ho sentito discettare di aggrediti e aggressori, di buoni e cattivi, da Coloro che stanno sempre con la ragione( anche se nel loro diario portano i massacri di Abu Gharaib, le torture di Guantanamo, Iraq, VietNam e mille ancor più mille) e mai col torto. Costoro sono propagandisti, non analisti. Così come le controversie personali si risolvono nei tribunali, i conflitti statali si risolvono sui campi di battaglia. Le categorie giusto/sbagliato, colpevole/innocente appartengono al lessico del diritto. Ma è l’interesse nazionale che conta “quando il gioco si fa duro e i duri cominciano a giocare“.

L’interesse nazionale non comprende solo la convenienza economica, ma anche il complesso di valori che dovrebbero permeare una comunità. Resta che le materie prime, specie le risorse energetiche, hanno la parte del leone nel conflitto in Ucraìna. Ma esse non sono tutto. Ci sono anche le ragioni storiche, che affondano nella Terza Roma, e le ragioni geopolitiche. “Chi parla di umanità ti vuole fregare”, ricorda Carl Schmitt. E quanto se ne parla; se ne parla, eccome se ne parla…Se ne parla solo, perchè nessun italiano rinuncerebbe( giustissimamente) ad un solo grado di fresco o ad un solo grado di caldo per sostenere l’Ucraìna.

Personaggi principali della vicenda, in ordine di importanza, sono: Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia, Germania. A quest’ultima in Italia ora si fa poco caso, se non per il differenziale c.d. “spread“, ma è la Germania, quasi quanto la Russia, il bersaglio della guerra per procura dove gli ucraini muoiono per un un progetto egemonico più Britannico che Russo.

Usa e G.B., combattono la loro guerra contro la Russia fino all’ultimo Ucraìno e fino all’ultimo Europeo ( purchè non British). Brexit è solo lo pseudonimo dell’intento di restaurazione del Commonwealth a egemonia bianca: Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda. Ben lo sanno e molto lo temono non solo la Cina, ma anche la Turchia, l’Iran, l’Indonesia e l’India…

Che cosa fanno gli europei, oltre a prosternarsi, talora a fingere di prosternarsi, alla logica Nato? Già cuore europeo della Nato, la Germania sa bene di essere, con la Russia, il nemico principale degli anglosassoni in questa fase neocoloniale che ha come meta finale la Cina, prima che essa scavalchi il Pil degli Usa.

La guerra in Ucraina ha due antecedenti determinanti: il primo lungamente e apertamente (ricordate film come The Queen nel 2006 e quelli venuti dopo come Il discorso del Re, Dunkirk, le serie tv Downton Abbey e The Crown? Non sono venute a caso)ha preparato la Brexit; il secondo è il Covid, di cui si sa tutto e il contrario di tutto, ma almeno di una cosa si è certi: che in ogni Paese è stato colto dai militari e dai loro scienziati, anche in Italia fin dall’estate 2019, come un episodio di guerra batteriologica, seppur ufficialmente di incerta origine( personalmente riterrei probabile l’origine Cinese).

E’ nell’estate 2019 che è cominciato il ricalco degli “errori” che portarono alla prima fase di guerra civile europea e di connessa guerra mondiale nell’estate 1914 e alla seconda fase nell’estate 1939. Se si va a vedere dove si sono sprigionate le prime scintille, ieri come oggi, si nota che scaturiscono sempre nell’Europa centro-orientale, tra Mar Baltico e Mar Nero. C’è un terreno fertile in questo senso, ma gli Incendiari( USA e G.B. danno fuoco alle casa degli altri, non alla propria). Fuor di metafora, chi ha basato la sua egemonia terrestre pur essendo una potenza marittima e senza disporre di una grande esercito, ma contando sulle rivalità altrui? La Gran Bretagna. Nessuno come gli inglesi è urtato dall’unificazione – perfino la peggiore delle unificazioni – dell’Europa. Perciò De Gaulle non li voleva nel Mercato Comune. Perciò l’Italia ce li voleva, sapendo che Berlino non avrebbe condiviso l’egemonia continentale con Roma, se poteva condividere, alla lunga, l’egemonia mondiale con Londra e Parigi.

Questi piani sono tramontati. La Germania uscirà dal conflitto ucraino ridimensionata nella sua vera forza.

Diventa sempre più urgente ed ineludibile, affrancare l’Europa dalla Camicia di Nesso impostale dall’Entità Sionista che quotidianamente massacra l’Eroico Popolo Palestinese sotto gli occhi indifferenti degli Europei col complesso della immaginifica colpa olocaustica. Abbiamo con la Russia lo stesso problema dell’Inverno demografico e la necessità di mantenere una identità religiosa e razziale. Avremo poi nei decenni a venire un Nemico comune con la Russia, la Cina che con i suoi mille500 milioni di abitanti, deve sostituire gli USA sul gradino più alto del Pianeta. Ripresa Taiwan, la Cina controllerà il bene della vita nel Mondoquei microprocessori la cui produzione ad oggi è spartita tra USA e Formosa.Piuttosto di diventare domani schiavi dei Cinesi, è preferibile oggi essere alleati dei Russi.

luigi bellazzi

P.S.Il Male Americano oggi contro la Russia apre  un  altro fronte servendosi dei Paesi Baltici. USA e G.B. pur di combattere la Russia, ci consentiranno di ricordare che Kaliningrad era Konigsberg( fino al ’45). Ma per Te Giovane Russo, oggi, domani e sempre sarà solo Kaliningrad. Anche se con la saudade rivolta a Konigsberg, oggi l’interesse Nazionale dell’Italia e dell’Europa ci vuole a Kaliningrad. A Konigsberg ci penseremo sempre, senza parlarne mai.

l.b.

L’Europa, dunque, è la grande perdente

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di Daniele Perra

Fonte: Daniele Perra

Ai primi di giugno, il Center for Strategic and International Studies di Washington (Think Tank assai vicino al Dipartimento della Difesa USA ed all’industria statunitense degli armamenti dal quale viene copiosamente finanziato) ha pubblicato un articolo, a firma Antony H. Cordesman e dal titolo “The longer-term impact of the Ukraine conflict and the growing importance of the civil side of the war”, che ben descrive il nuovo approccio nordamericano al conflitto nell’Europa orientale.
In esso si legge: “sembra ora possibile che l’Ucraina non riconquisterà i suoi territori nell’est e che non otterrà rapidamente gli aiuti di cui ha bisogno per la ricostruzione”. Aiuti che sarebbero stati stimati, molto ottimisticamente, in 500 miliardi di dollari (cifra che non tiene in considerazione la perdita territoriale della sua regione più ricca). Inoltre, l’Ucraina dovrà fare i conti con una continua minaccia russa che limiterà la sua capacità di ricostruzione delle aree industrializzate e che, soprattutto in considerazione delle suddette perdite territoriali, comporterà non pochi problemi in termini di commercio marittimo (il rischio che la Russia, una volta terminate le operazioni in Donbass, possa dirigersi verso Odessa escludendo completamente Kiev dal Mar Nero rimane reale).

L’articolo riporta anche come il conflitto abbia evidenziato, da parte russa, un utilizzo coordinato ed assai flessibile di mezzi militari, politici ed economici al confronto del quale, il mero ricorso alla guerra di propaganda ed al regime sanzionatorio da parte occidentale è sembrato sostanzialmente inefficace. Fattore che, in un modo o nell’altro, ridisegnerà il sistema globale visto che l’eventuale fine dei combattimenti non significherà la fine dei suoi impatti economici e geopolitici di lungo periodo. Senza considerare che Russia e Cina stanno sviluppando una notevole capacità di attirare verso il proprio lato i Paesi africani ed asiatici (il caso recente del Mali che ha optato per l’espulsione dei contingenti francese ed italiano, in questo senso, è emblematico).
Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla propaganda occidentale fino ad oggi, Cordesman afferma che solo una “minuscola porzione” (tiny portion) delle azioni russe in Ucraina possono essere formalmente definite come “crimini di guerra” nonostante il loro impatto sulla popolazione civile.
Ora, a prescindere dalle considerazioni dell’Emeritus Chief in Strategy del Think Tank nordamericano (con le quali si può essere in accordo o meno), ciò che appare evidente è il cambio di paradigma nel racconto del conflitto da parte del centro di comando dell’Occidente.

Gli Stati Uniti (quelli che, secondo Kissinger, hanno solo interessi e non alleati) non sono nuovi a simili operazioni di abbandono dell’“amico” quando hanno raggiunto il loro scopo o non lo ritengono più utile (dal Vietnam all’Afghanistan, passando per Panama  e Iraq, la storia è piena di esempi simili). Resta da valutare se gli Stati Uniti abbiano realmente raggiunto i loro obiettivi per ciò che concerne il conflitto in Ucraina o se questo cambio di paradigma possa essere interpretato come una “ritirata strategica”.
In precedenza si è sottolineato come il conflitto in Ucraina stia portando a cambiamenti profondi nella struttura economica, finanziaria e geopolitica esistente a livello mondiale. Si può parlare di evoluzione verso un sistema multipolare? La rispostà è sì, anche se gli stessi Stati Uniti stanno cercando di rallentarla. Come? Oggi sono tre (in futuro potrebbero essere quattro con l’India) le principali potenze globali: Stati Uniti, Russia e Cina (considerate come potenze revisioniste del sistema unipolare). Tuttavia, il principale concorrente del dollaro sul piano globale è l’euro. Ergo, l’obiettivo nordamericano, per guadagnare tempo nella parabola discendente dell’impero nordamericano, è il suo costante indebolimento. Oltre l’Ucraina, chi è la grande sconfitta del conflitto in corso nell’Europa orientale? L’Unione Europea. L’obiettivo USA, almeno dal 1999 in poi, è quello di rendere artificialmente competitiva la propria industria distruggendo quella europea mantendo, al contempo, il Vecchio Continente in una condizione di cattività geopolitica. Questo l’élite politica europea lo sa bene ma è troppo impegnata a seguire i suoi interessi di portafoglio.

Si prenda ad esempio il caso limite dell’Italia la cui strategia energetica di lungo periodo è andata a farsi benedire con l’aggressione NATO alla Libia. Da quel momento in poi, i governi Monti, Letta e Renzi sono stati i principali responsabili della quasi totale subordinazione della politica energetica italiana al gas russo. Oggi, gli stessi Partiti che hanno sostenuto prima la necessità dell’intervento in Libia e poi i governi successivi a quello Berlusconi (responsabile del tradimento nei confronti di Tripoli) sono gli stessi che chiedono e plaudono all’embargo alle importazioni di idrocarburi dalla Russia, ancora una volta in totale spregio dell’interesse nazionale italiano. In questo contesto, l’unica soluzione per l’Italia non può che essere quella di liberarsi il prima possibile dal draghismo.
L’Europa, dunque, è la grande perdente sul piano economico e geopolitico. L’eventualità di una crisi alimentare in Africa e nel Vicino Oriente a causa del protrarsi del conflitto e, di conseguenza, della riduzione delle esportazioni di grano russe ed ucraine in queste regioni potrebbe causare nuove ondate migratorie che investiranno direttamente un’Europa in cui il problema delle forniture energetiche determinerà un’inflazione sempre più alta, una crisi economica strutturale ed un relativo abbassamento della qualità generale della vita.

Da non sottovalutare, infine, il fatto che l’àncora di salvezza per l’Europa (almeno nel breve periodo, visto che la diversificazione via Africa e Israele appare assai lontana nel tempo) sarebbe dovuto essere il gas naturale liquefatto nordamericano. Bene, una strana esplosione ha recentemente messo fuori uso l’HUB della Freeport LNG in Texas da dove partono le navi che portano il gas in Europa. L’infrastruttura sarà nuovamente operativa a partire dalla fine del 2022. Il tutto mentre Gazprom taglia le sue esportazioni in Europa come rappresaglia nei confronti dell’approvazione dell’ennesimo pacchetto suicida di sanzioni.

Si veda:
The longer-term impact of the Ukraine conflict and the growing importance of the civil side of the war, www.csis.org.
L’utopia di chi spera nel GNL di USA, Africa e Israele, www.ilsussidiario.net.
L’UE ed il suo settore energetico, www.eurasia-rivista.com.

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