Radici fascistissime della nostra Repubblica Anti-Fascista. Sofri elogia il perdonismo di Bergoglio

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EDITORIALE

di Matteo Castagna per https://www.marcotosatti.com/2024/12/30/radici-fascistissime-della-repubblica-anti-fascista-sofri-elogia-il-perdonismo-di-bergoglio-matteo-castagna/  Stilum Curiae è il sito del vaticanista Marco Tosatti per cui Castagna scrive con cadenza settimanale (Matteo Castagna, Comunicatore Pubblico, tessera n. 2343 ex L.4/2013, fa parte della Redazioni di: Stilum Curiae, Affaritaliani.it, InFormazioneCattolica.it e Il2diPicche.news)

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Matteo castagna, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste riflessioni sulle radici fascistissime della nostra Repubblica antifascista, Sofri e Bergoglio. Buona lettura e diffusione.

di Matteo Castagna
 
Viviamo in un’Italia che non vuole fare i conti col suo passato. O, almeno, che continua a considerare la storia come una lotta tra chi è stato dalla parte giusta e da chi dalla sbagliata. Lo sforzo di grandi scrittori e docenti, come Renzo De Felice, Indro Montanelli, Marcello Veneziani, Giampaolo Pansa, e altri coraggiosi, mirato a descrivere la verità dei fatti del dopoguerra, ma anche della guerra civile 43′-45′, e le ragioni dei vinti, è stato censurato dai soloni del pensiero unico, in una maniera, a mio avviso, brutale, irrispettosa, isterica, manichea e intollerante.
Già leggendo il testo del 1976 “Camerata, dove sei?”, ristampato da pochi anni, da Angelo Paratico, della Gingko Edizioni di Verona, vide nella democratica, pluralista e difficile repubblica democristiana, una censura tale da indurre lo scrivente a usare lo pseudonimo di “Anonimo Nero” e a celare la casa editrice, per timor di ritorsioni. Perché lungi dalla probabile ideologia dell’autore, ciò che vi era scritto era vero e ben documentato, al punto da mettere in serio imbarazzo l’establishment dell’epoca.
La tristezza è che la nostra Costituzione e la nostra Repubblica arrivano dalle mani di molti voltagabbana. Un Benigno Zaccagnini, con l’aspetto “benigno” del curato di campagna, ma che scriveva di razza e di sangue, come fosse l’Himmler de noantri? No, non lo credevo possibile. Un Davide Lajolo che gioiva  per l’entrata in guerra. Un Aldo Moro che poneva la razza prima e la religione cattolica quarta nella scala delle priorità. Un Giovanni Spadolini che gioiva per le uscite aggressive del Duce, perché ci teneva al proprio posto di lavoro…
Tutti i celebri personaggi che vengono passati in rassegna, devoti e fidati fascisti durante il ventennio, erano ancora in posizioni apicali di potere nel 1976 e dunque ben in grado di reagire con violenza al disvelamento dei propri trascorsi.
Giulio Andreotti, Michelangelo Antonioni, Domenico Bartoli, Arrigo BenedettiRosario Bentivegna, Carlo Bernari, Libero Bigiaretti, Giacinto Bosco, Paolo Bufalini, Felice Chilanti, Danilo De’ Cocci, Galvano Della Volpe, Antigono Donati, Amintore Fanfani, Mario Ferrari Aggradi, Massimo Franciosa, Fidia Gambetti, Alfonso Gatto, Giovanni Battista Gianquinto, Vittorio Gorresio, Luigi Gui, Renato Guttuso, Ugo Indrio, Pietro Ingrao, Davide Lajolo, Carlo Lizzani, Carlo Mazzarella, Milena Milani, Alberto MondadoriElsa MoranteAldo Moro, Pietro Nenni, Ruggero Orlando, Ferruccio ParriPier Paolo Pasolini, Mariano Pintus, Luigi Preti, Giorgio Prosperi, Ludovico Quaroni Tullia Romagnoli Carettoni, Edilio RusconiEugenio Scalfari, Giovanni Spadolini, Gaetano Stammati, Paolo Sylos Labini, Paolo Emilio Taviani, Arturo Tofanelli, Palmiro Togliatti, Marcello Venturoli, Benigno ZaccagniniCesare Zavattini erano tutti riusciti a passare indenni attraverso la guerra, che loro stessi avevano provocato (ciascuno per la sua parte) evocato e applaudito, ma poi si erano riciclati a sinistra e al centro, dando spesso contro ai vecchi camerati e negando di esserlo mai stati.
A loro aggiungiamo i fascistissimi Cesare PaveseGiorgio BoccaGiaime Pintor e l’ex presidente del Tribunale della Razza, poi diventato ministro e assistente di Togliatti, Gaetano Azzariti. Il loro problema fu che scrissero su giornali e riviste, usando il proprio nome, per questo motivo la loro militanza fascista resta innegabile.
In fondo, tutti quanti avrebbero dovuto essere esclusi da cariche pubbliche nella Repubblica Italiana, in quanto profittatori del regime, ma le cose sono andate altrimenti, come ben sappiamo. E proprio per questo peccato originale stiamo ancora scontando il prezzo.
Oltre ai voltagabbana, l’Italia si distingue per aver messo in cattedra i “cattivi maestri” quali Renato Curcio e Adriano Sofri, che negli anni hanno spiegato ai giovani la politica e scritto editoriali sui giornali, anche stavolta coi loro nomi e cognomi, mentre altri, d’opposta fazione, hanno trovato minimo spazio su qualche quotidiano, sotto pseudonimo.
Ebbene, il 27 dicembre, Il Foglio, che non è certo nuovo a certe firme, offre ai lettori una perla di Adriano Sofri, ex leader del movimento extraparlamentare marxista armato Lotta Continua, condannato a ventidue anni di carcere quale mandante, assieme a Giorgio Pietrostefani dell’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi, avvenuto nel 1972, mentre come esecutori materiali furono condannati i due militanti di Lotta Continua Leonardo Marino e Ovidio Bompressi.

Arrestato nel 1988 e poco dopo rinviato a giudizio, fu condannato e incarcerato per il reato di concorso morale in omicidio, dapprima nel 1990 e poi in via definitiva nel gennaio 1997. Scontò la pena dal 2005 in regime di semilibertà e dal 2006 di detenzione domiciliare, a causa di problemi di salute, venendo scarcerato nel gennaio 2012 per decorrenza della pena, che era stata ridotta a 15 anni per effetto dei benefici di legge. 

Eppure, Sofri scrisse in un editoriale del 18/05/1972, che non fu sufficiente ad un ergastolo da scontare in galera: «L’omicidio politico non è l’arma decisiva per l’emancipazione delle masse, anche se questo non può indurci a deplorare l’uccisione di Calabresi, atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia».

La perla de Il Foglio, a firma Sofri, si intitola: “Le parole di un Papa con cui simpatizzo perché dice tutto e il contrario di tutto”.  L’ex terrorista rosso scrive che “all’Angelus, ha detto con un estremo vigore che Dio “perdona tutto, perdona a tutti”. Non è vero, perdona ai puri di cuore, sinceramente pentiti e ravveduti, che hanno riparato al mal fatto. Ma a Sofri piace il buonismo perché, probabilmente, gli dà una speranza che va oltre il pentimento e lo conferma nell’errore.

“E’ andato ad aprire “la basilica di Rebibbia”, ci è entrato tirandosi su in piedi, ha esortato a spalancare porte e braccia e cuori, il senso del Giubileo, e all’uscita, dal finestrino aperto della sua utilitaria, ha detto che in galera ci sono i pesci piccoli, soprattutto i pesci piccoli, e che i pesci grossi hanno l’astuzia di rimanerne fuori, che è una bella idea a Buenos Aires e nel resto del mondo, e avrà fatto bestemmiare qualche grosso peccatore dentro e fuori. Ha detto: “Dobbiamo accompagnare i detenuti e Gesù dice che il giorno del giudizio saremo giudicati su questo: ero in carcere e mi hai visitato”. 

Che poi, non vengano proposti il totale pentimento, la necessità della contrizione, il ravvedimento, poco importa a Bergoglio e pure a Sofri, che ne approfitta. Ma che entrambi siano sostanzialmente d’accordo sul perdono universale senza merito dovrebbe preoccupare più di qualcuno…

 

 

Il giustificazionismo di matrice protestante avanza

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Il Direttore del giornale online www.informazionecattolica.it ci ha comunicato oggi il successo di questi editoriali settimanali, che vengono pubblicati ogni lunedì, da circa un anno e mezzo. Hanno picchi di 38.000 visite sul sito, mentre la pagina Facebook del quotidiano ha superato le 160.000 persone raggiunte. “Si tratta di un risultato molto importante per me – ha detto e scritto Matteo Castagnae soprattutto per i contenuti, non sempre facili ed intuitivi, che esprimo coi miei articoli a carattere teologico e metapolitico. Non mi aspettavo un simile successo, che mi stimola a fare sempre di più per i miei lettori, che sono gli unici miei editori, essendo il mio giornalismo un’opera di apostolato cattolico. Ringrazio il Direttore, che ha sempre riposto fiducia nel mio operato e sono lieto che anche i numeri gli diano ragione”. 

L’EDITORIALE del LUNEDI per InFormazione Cattolica

di Matteo Castagna

NELLA NOSTRA SOCIETA’ MANCA IL SENSO DEL PECCATO

La secolarizzazione porta con sé il fatto grave per cui le autorità, gli opinionisti, i filosofi cattolici sembrerebbero aver dimenticato il senso del peccato. Il giustificazionismo di matrice protestante pare avere avvolto anche i migliori, come la nebbia addormenta, in un certo qual modo, i sensi.

Se la Fede senza le opere è morta – come scrive San Giacomo – è, altresì vero che non basta la sola fede per salvarsi. Occorre, in via ordinaria, morire in grazia di Dio, ovvero riconciliati, attraverso il sacramento della confessione, con il nostro Creatore, che è immensa bontà e, altrettanto, somma Giustizia. Non sarebbe buono se non fosse, parimenti, giusto. E’ ovvio che nessuno può sostituirsi a Dio nel giudizio, così come mettere in discussione la Sua infinita misericordia, tanto quanto non ci si può far scudo di essa per peccare fortemente, con pieno assenso e deliberato consenso, in materia grave. Dove starebbe, altrimenti, il merito per la salvezza eterna? Per questo, possiamo ritenere come il colpo da maestro di Satana non solo il fatto di esser riuscito a far credere al mondo che egli non esista, ma soprattutto aver suscitato nella mente di alcuni e, de facto, nella prassi di molte persone, la facoltà di vivere come se anche il peccato non esistesse, o, comunque, fosse un qualcosa di superabile, perché perdonato, in automatico, dal Signore.

Non vi è nulla di più pernicioso per le anime di non riconoscersi peccatrici. Vediamo perché il peccato vada riconosciuto, accusato, perché siano indispensabili una contrizione perfetta nei suoi confronti, il proponimento serio e sincero di non commetterlo più, ed il pieno ravvedimento. Esso è un atto umano contro la Legge divina, che si esprime in pensieri, parole, azioni o omissioni. Trattandosi di atto umano esso presuppone sempre la cognizione e la libertà del soggetto, e quindi sempre qualche grado di malizia. La legge divina è naturale o positiva. Oltre ai peccati mortali e veniali che differiscono per gravità e livello di malizia, vi sono i peccati di specie morale, che sono gli atti che si oppongono alle virtù, in modo contrario oppure diverso.

Il peccato capitale è quello al quale la natura decaduta dell’uomo è molto proclive, e diviene sorgente di molte altre mancanze, senza che questo appellativo significhi che ciascuno di tali peccati sia necessariamente una colpa mortale. Anche le tendenze ai peccati, per cui conviene, in tal senso, parlare di difetti o vizi capitali. San Gregorio Magno rese comune l’uso di annoverare sette peccati capitali: la superbia, l’avarizia, la lussuria, l’invidia, la gola, l’ira e l’accidia. S. Tommaso (S. Theol., I-II, q.84, a. 3 e 4) giustifica questo numero tenendo conto dei beni a cui l’uomo decaduto maggiormente tende, e dei mali da cui più rifugge. Tre, infatti, sono i beni creati ai quali la natura umana, dopo il peccato, è più proclive: la propria eccellenza, donde la superbia; i piaceri dei sensi, donde la gola e la lussuria; le ricchezze, donde l’avarizia. Due sono, d’altra parte, i mali dai quali maggiormente rifugge la natura decaduta: la diminuzione della propria eccellenza, donde l’invidia; la privazione della propria quiete e il dolore, donde l’accidia e l’ira. Nella Sacra Scrittura (Eccle. 9,15), la superbia è detta principio di tutti gli altri peccati; è stato, infatti, il peccato degli Angeli decaduti e di Adamo e, per natura sua, può condurre a qualunque peccato. La lotta contro i peccati capitali e le tendenze ad essi dà una pace profonda perché ristabilisce in noi l’ordine infranto dal peccato. Come sarebbe utile sentir predicare in tutte le chiese queste verità, indispensabili alla vita soprannaturale ed allo stato di grazia!

Ci sono, poi, i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, quelli contro lo Spirito Santo e quelli che rendono l’uomo un pubblico peccatore. Dal sec. XVI invalse l’uso di includere nella prima categoria le colpe che infrangono gravemente l’ordine sociale, e delle quali è detto espressamente nelle Sacre Scritture che gridano al cospetto del Signore, ossia invocano il castigo di Dio su coloro che li commettono. Sono quattro: l’omicidio (Gen. 4,10); la sodomia (Gen. 19,13); l’oppressione delle vedove e degli orfani (Es. 22,22 ss.); il negare la mercede dovuta agli operai (Deut. 24, 14 ss: Giac. 5,4); (Tratto da: B. Markelbach, Summa theol. mor., I, Parisiis 1938, n. 445). Nella seconda categoria, l’espressione peccati contro lo Spirito Santo deriva da testi scritturistici (Matt. 12,31; Marc. 3,29; Luc. 12,10). Si intendeva la sistematica opposizione a qualunque influsso della grazia, da parte dei Farisei, i quali, per malizia, attribuivano al diavolo le opere miracolose fatte da Cristo per confermare la sua divina missione a salvare gli uomini. I Padri e gli Scolastici estesero in questa categoria tutti i peccati che consistono nel disprezzo e repulsione, per cattiva volontà, dei mezzi concessi dalla divina bontà all’uomo, al fine di ritrarlo dal peccato e salvarlo: una tale repulsione è un’offesa tutta particolare allo Spirito Santo, cui vengono attribuite le opere divine di santificazione. Essi sono: la disperazione della propria salvezza; la presunzione di conseguire l’eterna beatitudine senza meriti e penitenza; l’impugnazione ossia la negazione della verità cristiana, conosciuta come rivelata da Dio; l’invidia del bene soprannaturale del prossimo; l’ostinazione nel male, ossia la volontà di persistere nel peccato; il proposito di non pentirsi, ossia il resistere fino alla morte agli impulsi della grazia. Infine, peccatori pubblici sono coloro il cui stato di permanenza nella colpa grave è reso noto per mezzo di una sentenza di condanna, o è, di fatto, conosciuta da una gran parte degli abitanti di un luogo o dei membri di una comunità. Fra i pubblici peccatori si devono, dunque, annoverare, tra gli altri: coloro che danno grave scandalo con la loro condotta contraria alle Leggi di Dio, con ubriachezze e bestemmie; i nominalmente scomunicati o interdetti; i manifestatamente infami; i concubinari e le donne pubbliche, da molti conosciute come tali; coloro i quali notoriamente esercitano una professione illecita, o liberamente e pubblicamente fanno parte di una associazione proibita, ad esempio alla Massoneria, al partito comunista, o altre società dello stesso genere. A tali soggetti sono proibiti la Comunione, il Viatico e l’Estrema Unzione, laddove essi non siano pentiti sinceramente e abbiano dimostrato sincera volontà di riparare, nella misura del possibile, allo scandalo dato. (tratto da: B. Merkelbach, Summa Theologiae moralis, III, Parisiis 1939, n. 89, 277, 705, 871; M. Pruemmer, Manuale theologiae moralis, III, Frigurgi B. 1940, n. 79, 503. Cfr pure tutti gli altri testi di teologia morale e di diritto canonico nei trattati de Eucharistia, de sepoltura ecclesiastica. Contenuti presenti nel Dizionario di Teologia Morale, vol. II, pag. 319 – 322 Card. Roberti – Mons. Palazzini, Ed. Effedieffe 2019, da Edizione Studium, 1955).

Gesù non ha mai detto che essere cristiani sia facile. Occorre meritarsi la corona di Gloria, teniamolo sempre a mente, anche se queste eterne verità vengono sottaciute, deformate o, addirittura negate.

Fonte: https://www.informazionecattolica.it/2021/10/11/il-giustificazionismo-di-matrice-protestante-avanza/

Dio è buono perché punisce e manda all’Inferno…altrimenti sarebbe cattivo

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

Invece per l’eresia buonista tutti gli uomini sono concepiti immacolati, in quanto, come diceva Rousseau ciò che rende cattivo l’uomo è la società in cui vive
di Pierfrancesco Nardini

In un precedente articolo abbiamo parlato di un atteggiamento sempre più diffuso: quello di prendersela con Dio per le cose negative della vita e mai ringraziarlo per quelle belle [leggi: A DIO PUOI CHIEDERE TUTTO, MA NON PUOI PRETENDERE NULLA, clicca qui, N.d.BB].
A questo si collega un altro pensiero, molto spesso come critica che viene rivolta al mondo della Tradizione: Dio non è cattivo, quindi non punisce, non manda all’Inferno. Questo sottintende (ma a volte lo dicono proprio) che chi parla di peccato mortale, Inferno e cose affini è il solito retrogrado duro di cuore con i paraocchi, che non ha capito nulla di Dio.
Perché si collega al prendersela con Dio?
Sono due lati della stessa medaglia. Da un lato si bestemmia Dio, attribuendoGli cattiveria, dall’altro Gli si attribuisce una sdolcinata accondiscendenza ad ogni disobbedienza alla sua Legge. In ambedue i casi si nega a Dio una sua qualità: la Bontà infinita da un lato, la Giustizia perfetta dall’altro.
Torniamo all’argomento attuale. Dov’è il problema in questo ragionamento (Dio non punisce, Dio non manda all’Inferno, ecc…)? In primis sta in quel che sottintende.
Nei casi di cui parliamo infatti è chiaro che non si dice solo “Dio è buono”, letteralmente (fosse solo questo, sarebbe corretto). Si sottintende invece contrapposizione a una cattiveria erroneamente collegata al giudicare i peccatori. In parole povere si dice che Dio non giudica e non manda all’inferno perché non è cattivo. Lui ama e basta…
Si nota come questo sia una deriva di quel buonismo che ha oramai invaso la Chiesa con evidenti conseguenze sul modo di intendere la dottrina e non solo.

DIO NON È CATTIVO
“Ma Dio non è Bontà infinita?” mi potrebbe eccepire qualcuno. “Che c’è di male nel dire che non è cattivo?”.
Nulla di male, ovviamente, a dire che Dio non è cattivo. Ribadiamo che dirlo sarebbe una contraddizione in termini. C’è però differenza tra l’essere buono e l’essere buonista (leggi nota in fondo all’articolo).
Quel “mica Dio è cattivo”, poi, non è solo e semplicemente un ribadire l’ovvio, ma, detto con un certo senso, diventa una riduzione di Dio alla sola Bontà, intesa come un restringimento dell’azione divina ad una stucchevole salvezza per tutti che renderebbe inutile il Sacrificio di Cristo… (a proposito, fa pensare qualcosa il “per tutti” della Messa Novus Ordo rispetto al “pro multis” di quella Vetus Ordo?).
In effetti non è Dio che manda all’Inferno, non è Cristo che si diverte nel giudizio particolare a decidere della nostra gioia o dannazione eterna.
I versetti del Siracide ci ricordano che siamo noi a decidere quel che ci toccherà dopo la morte, che «a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà».
È l’uomo che, peccando gravemente, si mette da solo nella condizione di finire all’Inferno. Non è Cristo a deciderlo nel giudizio particolare.
Le suddette eccezioni fanno anche a volte perdere la pazienza perché, neanche troppo sottilmente, accusano di pensare che Cristo, nel giudizio particolare, a priori (ossia senza valutare la vita di chi subisce quel giudizio), decida arbitrariamente chi va dove…
L’errore invece è esattamente il contrario ed è di chi queste eccezioni le solleva.
Come abbiamo detto, proprio perché Dio è Bontà infinita, Amore perfetto, non è Lui che manda all’Inferno, nel senso letterale, ma è l’uomo a “mandarcisi” con il suo peccato.

DIO NON È SOLAMENTE BUONO, È ANCHE GIUSTO
Nel giudizio particolare la sentenza sarà semplicemente “dichiarativa” e non “costitutiva”, come si dice nel gergo del diritto. In sostanza, Gesù non costituirà una situazione nuova (stato di dannazione eterna dal nulla), ma si limiterà ad accertare lo status dell’anima (esistenza o meno del peccato grave) e a dichiarare la conseguenza di quello stato.
«Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà».
Dio non è solamente buono, è anche giusto!
Dire che Dio è giusto non significa in alcun modo che Dio è cattivo. L’essere giusto è l’esatto opposto dell’essere cattivo. L’essere giusto non è alternativo o in contrapposizione con l’essere buono.
Se ci si dice invece che Dio è buono e che non è cattivo, ponendo in essere quella contrapposizione, si cade nel gravissimo errore di non riconoscerGli una qualità: la Giustizia.
Provate a chiedere: «ma quindi secondo te Dio non è giusto?», la risposta sarà sicuramente «certo che lo è!». Allora si cala il carico e si risponde «e ti sembra giusto Dio che è solo buono e non manda nessuno all’Inferno, così da dare il premio del Paradiso sia a chi è in stato di grazia sia a chi è in peccato mortale?». O, per essere ancora più chiari: «riterresti giusto il Signore se andassi in Paradiso e vicino a te trovassi chi sai per certo essere in peccato mortale e non aver fatto nulla per uscirne?».
Proprio questo è il problema di questo modo di pensare.
Dire che Dio è (solo) buono nel senso evidenziato non significa dire che non è anche giusto?
Rileggiamo il Catechismo di San Pio X e ricordiamo che «Dio è l’essere perfettissimo» (n. 2), ossia che in Lui «è ogni perfezione, senza difetti e senza limiti» (n. 3). “Ogni perfezione”: quindi anche la Giustizia perfetta.

Nota di BastaBugie: Corrado Gnerre nell’articolo seguente dal titolo “Ti spieghiamo perché il buonismo è il contrario della bontà” spiega la differenza tra il perdono e la pena.
Ecco l’articolo completo pubblicato su I Tre Sentieri il 21 settembre 2021:

Per buonismo s’intende quell’atteggiamento secondo cui bisognerebbe evitare di castigare e di punire.
Si sa però che le deformazioni estremizzate della realtà si traducono sempre in una negazione della realtà stessa; così come l’estremizzazione di una cosa buona si traduce sempre nel suo contrario, cioè in una cosa cattiva.
Lo stesso vale per la bontà; infatti il buonismo è il maggior nemico della bontà. Essere buoni a tutti i costi, dimenticando la punizione e la pena, significa diventare cattivi e ingiusti.
Quando succede qualcosa di tragico, per esempio un pirata della strada che uccide investendo un bambino, oppure un rapinatore che uccide un padre di famiglia, ecc… i giornalisti spesso chiedono ai familiari delle vittime: siete pronti a perdonare? Domanda che nelle intenzioni di chi intervista ha un significato ben preciso: confondere il perdono con la volontà di non infierire, di non pretendere che il colpevole paghi, per la serie: non pretenderai mica che chi è colpevole sconti chissà che cosa…
La dottrina cattolica, invece, ci presenta una differenza importante, quella tra perdono e pena.
Il perdono è il perdono; ma questo non esclude la pena, anzi. Il Sacramento della Riconciliazione (la Confessione) assolve il peccatore, ma non toglie totalmente la pena che deve essere scontata in questa vita o, se non basta questa vita, in Purgatorio.
Dunque, Dio stesso, che è amore e giusto giudice, quando perdona e assolve non elimina la pena. Non è cristiano, quindi, confondere perdono con il fatto che il colpevole non debba “pagare”; né tantomeno può essere accusato di essere vendicativo chi pretende che il colpevole sconti la sua pena.
Ma qual è l’origine del buonismo? La risposta non è facile. Se ne può però individuare un’origine filosofica. Basterebbe fare riferimento al pensiero di Jean Jacques Rousseau. Questi disse che l’uomo nascerebbe buono e che ciò che lo renderebbe cattivo sarebbero le condizioni sociali, quali un certo tipo di progresso. Pertanto, le cause della cattiveria umana non sarebbero da ricercare nell’uomo e nella sua libertà, quanto in ciò che è al di fuori di lui: società, ambiente, educazione, ecc. Insomma, una vera e propria immacolata concezione dell’uomo. Tra parentesi: questa antropologia è stata fatta propria da tutte le dottrine progressiste e materialiste e quindi anche dal positivismo filosofico. Fu così che nella seconda metà dell’Ottocento (anno 1858) la Vergine apparve a Lourdes (dunque in Francia, patria del positivismo) confermando la solenne definizione della sua Immacolata Concezione, proprio per ricordare che, tranne Lei, ogni uomo nasce con il peccato di origine.

Titolo originale: Se Dio non è anche giusto… vuol dire che è cattivo
Fonte: I Tre Sentieri, 5 novembre 2020

La confessione del tunisino appena sbarcato: ha ragione Salvini “siamo ex detenuti”

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di Maurizio Blondet

Scontro tra Salvini e il governo tunisino sulle parole del ministro dell’Interno.

Peccato siano gli stessi clandestini tunisini a confessare di essere ex detenuti ‘graziati’ e caricati sui barconi:

I detenuti tunisini pagano 1.000 euro per imbarcarsi verlo l’Italia. Lo racconta un giovane testimone che da Ventimiglia sta aspettando un passeur che lo porti in Francia. Perché sono già a Ventimiglia.

All’inviato di Matrix mostra i video del suo viaggio, poi quelli della nave inglese che l’ha salvato e portato a Messina. Alla domanda se sia vera la storia dell’indulto che ha aperto le carceri nel suo Paese permettendo a molti criminali di arrivare in Italia, risponde di sì. Almeno 2700 i detenuti scarcerati negli ultimi tre mesi in Tunisia. Continua a leggere