Salvini faccia sintesi nel Sovranismo italiano!

Condividi su:

di Matteo Castagna (pubblicato su Informazione Cattolica di oggi)

I globalisti, ovvero le sinistre hanno brindato alla vittoria delle elezioni regionali. Eppure, se si vanno a vedere i numeri non sembrerebbe che per i partiti che si riconoscono nel “deep State” la situazione sia propriamente quella prospettata da Di Maio e Zingaretti. Il fronte sovranista, infatti, governa 14 Regioni su 20 e centinaia di comuni, confermandosi largamente maggioritario nel Paese.

Fa tenerezza vedere i grillini esaltarsi della vittoria del “sì” al referendum costituzionale quando il consenso è stato, per loro, impietoso, relegandoli ad avere, quasi sostanzialmente, una rappresentanza parlamentare che, però, risale alle elezioni del 2018.

Mario Mieli, sul Corriere della Sera, ha osservato che la destra in Italia è viva e vegeta nonché che dispone del partito di maggioranza relativa e di un leader che, piaccia o non piaccia, è l’artefice principale di questa fiducia da parte degli italiani. Non possiamo nascondere che vi siano dei problemi, che non vanno osservati ma affrontati. Un grande partito, con degli alleati, deve sapersi assumere l’onere e l’onore dell’esercizio del potere di decidere cosa va e cosa non va, nonché quali persone siano le migliori a dover interpretare il prossimo futuro, sapendo che si vince in squadra.

Un cambio di passo in senso pragmatico verso l’Europa è auspicabile, come auspicato da Giancarlo Giorgetti, laddove questo non significhi mandare a finire in quel che fu Fiuggi per Fini un sovranismo ancora in fase embrionale. Significa, semmai, due cose: andare a definire almeno nei suoi tratti fondamentali, questo benedetto sovranismo e renderlo credibile a governare il Paese, soprattutto attraverso una classe dirigente preparata, nel rispetto delle diverse anime e identità. A Salvini l’arduo compito di fare la sintesi, non certo di farsi da parte, come qualche sprovveduto o rosicone desidererebbe, facendo il gioco, più o meno consapevole, dei globalisti. Sarebbe auspicabile che si comprendesse che il fondamento su cui costruire trova solidità autentica e duratura solo attorno a principi fondamentali e addirittura, ancestrali, post-ideologici che in Occidente, ed in particolare in italia vedono nella cristianità la base di partenza. E’ proprio perché “non possiamo non dirci cristiani” che questa frase è stata fatta propria anche da autorevoli atei ed è la base da riconoscere anche e soprattutto da parte di chi non è cattolico, ma intellettualmente e culturalmente onesto. Le nostre radici classico-cristiane non sono contestabili. Basta guardarsi attorno per capire che sono, oggettivamente, la nostra primaria Identità. Partire da qui sarebbe importante per un processo fondativo da costruire tra uomini e donne che sono certamente peccatori, ma non per forza debbono essere impenitenti. Continua a leggere

Vaticano verso un settembre molto “caldo”?

Condividi su:

Insolitamente, nelle stanze vaticane si parla di “successione”, si fanno strani discorsi, congetture, pare di essere arrivati ad un capolinea. Qualcuno, tra coloro che mormorano ai e tra i potenti prevede un mese di settembre molto caldo Oltretevere, e forse ne avvertiamo le avvisaglie…(n.d.r.)

di Francesco Boezi

In Vaticano ragionano sul futuro della Chiesa. Già da adesso può iniziare la partita per il dopo Bergoglio

Parlare del prossimo Papa con Jorge Mario Bergoglio ancora regnante può essere percepito come un esercizio privo di senso, ma di questi tempi alcune case editrici stanno pubblicando alcuni libri che trattano proprio del “Next Pope”, del consacrato che sarà chiamato a regnare sul soglio di Pietro.

“Perché?”, ci si potrebbe chiedere. Le ragioni possono essere soprattutto due: c’è chi evidenzia che i cardinali non si conoscano tra di loro e quindi abbiano bisogno in anticipo dei profili degli altri porporati per scegliere in futuro, ma c’è anche chi pensa che papa Francesco possa persino dimettersi. Joseph Ratzinger ha aperto una breccia nella storia.

Benedetto XVI ha creato una figura nuova, il pontefice emerito. E nessuno, a ben vedere, può dare per scontato che Joseph Ratzinger rimanga l’unico papa ad optare per quella scelta dopo la rinuncia del 2013.

Quando abbiamo intervistato il vaticanista del National Catholic Register per Inside Over, Edward Pentin ci ha detto che la scelta di lavorare alla sua ultima fatica, “The Next Pope” appunto, è dipesa pure dal fatto che “Ii un conclave, di solito, non è solo il pubblico ad avere poca o nessuna conoscenza del futuro Papa. Forse, sorprendentemente, nemmeno i cardinali che stanno votando per lui. Nell’ultimo conclave del 2013, un cardinale ha dichiarato in modo memorabile di aver trovato confuse le informazioni ricevute e altri si sono lamentati della mancanza di informazioni su chi votavano”. Questa è una delle spiegazioni che riguardano la ratio di una delle pubblicazioni comparse sul prossimo vescovo di Roma. Continua a leggere

La linea di “Christus Rex-Traditio” e gli Ordini Sacri

Condividi su:

Risultati immagini per 5 antipapi

di Matteo Castagna

Anche se pochi, a volte divisi o disorganici per miserie umane, forse perché il Diavolo colpisce laddove vi è l’integrità della Fede e, quindi, mette la coda tra i difetti e le mancanze dei figli della Luce, la Tradizione Cattolica è più viva che mai, perché non può morire, perché è militante e presente nel mondo.

Gli attacchi anacronistici, un po’ grossolani, di certo ridicoli ma duri delle sinistre e degli storici nemici di Gesù e della Sua Chiesa, che si stanno concentrando contro di noi ed i nostri amici, proprio in questi giorni, dimostrano come la forza della Verità, testimoniata pubblicamente (e non relegata alla coscienza individuale o nascosta negli oratori) sia dirompente e stia facendo impazzire la bile di atei, liberali, anticlericali, genderisti, figliocci di Stalin.

Come scrivo nel mio libro, anche oggi si deve prendere posizione. Si deve sapere da che parte stare, senza rinchiudersi nell’inutile intellettualismo di chi teme l’azione, nella pavidità del quieto vivere, nell’alienazione dalla realtà, nel calduccio del proprio orticello ben recintato, nella confusione ecumenista, nell’illusione del primato dei numeri sull’unità nella Verità, nel personalismo, nell’egoismo, nella chiusura mentale, nel brandire spade spuntate dall’ambiguità dottrinale o, addirittura, morale. Teosofia ed esoterismo, di ogni ordine e grado sono corpi estranei alla Tradizione, un grave danno per le anime, che ogni integrista ha l’obbligo di non professare né divulgare.

Ieri, come oggi, siamo Cattolici Apostolici Romani Integrali, ovvero integralmente Cattolici. Siamo integristi, come lo voleva la “linea piana” del “Sodalitium Pianum” di Mons. Umberto Benigni, seppur attualizzato dalle mutate circostanze. (trovate il programma del “Sodalitium Pianum” al bottone del sito: “CHI SIAMO”)

Siamo eredi politici di chi, nel XX secolo, si pose a difesa della tradizione (con tutti i dovuti e doverosi distinguo) favorendo la Chiesa Cattolica, costruendo argini al comunismo materialista, all’ateismo, all’americanismo tecnicista, al liberalismo, alla massoneria, ai poteri occulti, all’ “internazionale bianca”, in tutte le sue sfaccettature, all’antifascismo preconcetto o radicale, che oggi si esprimono nel “globalismo europeista”. Continua a leggere

Guareschi, del ’68 se ne fece un baffo

Condividi su:

di Marcello Veneziani

Come oggi (ieri per chi legge, n.d.r.), cinquant’anni fa, nel fatidico ’68, se ne andò all’altro mondo Giovannino Guareschi. Lasciò il mondo piccolo che aveva descritto come pochi, per raggiungere il mondo grande, quello dove abitava quel Signore che nella sua Casa dava consigli a un suo focoso dipendente in terra, don Camillo. Così almeno racconta Guareschi.

Se ne andò presto, Giovannino, a 60 anni, dopo una vita travagliata, tra campo di concentramento, carcere sotto il fascismo e sotto l’antifascismo, più una caterva di libri tradotti in tutto il mondo, di film assai popolari che rappresentarono quell’Italia favolosa del dopoguerra, e di avventure a mezzo stampa, come il suo impertinente Candido che ebbe un ruolo decisivo nella disfatta del fronte popolare socialcomunista alle elezioni del ’48.

Giovannino morì il 22 luglio del ’68 ma fece in tempo a scrivere il suo ultimo don Camillo dedicato ai giovani d’oggi. Il libro uscì postumo e segnava lo stridente contrasto tra il vecchio comunista Peppone (che l’anticomunista Guareschi aveva reso simpatico con la sua prorompente umanità), il coriaceo don Camillo e un giovane contestatore zazzeruto, che viaggiava in moto con borse borchiate e sfrangiate e un giubbotto nero con teschio e scritta “Veleno”. Che diventa per Guareschi il soprannome del ragazzo e anche la metafora della Contestazione. Giungono in paese a Brescello anche “i cinesi” che sconvolgono le geometrie ideologiche dell’italo-stalinista Peppone e spiazzano pure quelle religiose del parroco. Guareschi collega la contestazione all’avvento della società dei consumi. Per lui l’antagonismo tra i due fenomeni è solo occasionale, apparente, non sostanziale. Il consumismo divora il piccolo mondo antico e le vecchie fedi, ma cattura Peppone che lascia la bici e gira in spider rossa. Il consumismo è l’habitat del sessantotto. Continua a leggere

Bannon vuole conquistare la Ue con The Movement

Condividi su:

Avviso ai naviganti. Bannon vuole conquistare la Ue con The Movement

di Francesco Bechis

L’ex capo stratega di Donald Trump confida a The Daily Beast i dettagli del nuovo partito populista europeo. Dentro Le Pen e Farage, ma un posto d’onore è riservato a Matteo Salvini

Un’armata populista in marcia verso Bruxelles per ottenere la maggioranza all’Europarlamento e sconfiggere una volta per tutte “il partito di Davos”. Una Fondazione per i populisti, che dia linfa alla campagna elettorale per le elezioni europee del 2019 e metta insieme la crème de la crème dell’antiestablishment italiano, austriaco, tedesco, francese, britannico. Un’organizzazione che sfidi a colpi di fioretto Open Society, la fondazione pro-migranti del miliardario George Soros, l’Idra a sei teste per gli amanti di congiure e complotti. Il sogno di Steve Bannon comincia a prendere forma. Dopo aver espugnato la Casa Bianca l’ex capo stratega di Trump, allontanato con disonore dal Tycoon, si è messo al lavoro 24H per ripetere l’esperimento in Europa. E se un diffuso clichè vuole che il sequel di un film difficilmente ottenga lo stesso successo dell’originale, la sfida europea di Sloppy Steve può essere l’eccezione che conferma la regola.

The Daily Beast, dopo aver sentito Bannon, ha rivelato i primi dettagli. Si chiamerà The Movement, sarà un partito di destra (ma non disprezzerà l’apporto di voci diverse, purché il nemico resti lo stesso: le èlites europee), avrà il suo quartier generale a Bruxelles e sta già cercando staff per dare il via alle danze. I soldi non saranno un problema. Bannon non se ne cura più di tanto, è ancora incredulo che la campagna del Leave per la Brexit abbia raggiunto l’obiettivo con un budget di 7 milioni di sterline: “Quando mi hanno detto che il tetto di spesa era di 7 milioni gli ho detto ma intendete 70 milioni?? Con 7 milioni non ci compri nulla. Non ci compri i dati Facebook, non ci compri la pubblicità, niente”.

A Londra, nel lussuoso hotel Mayfair, l’incontro che ha siglato l’inizio della nuova avventura politica. Assieme a Bannon e Raheem Kassam, ex capo staff di Nigel Farage e direttore di Breitbart, si è presentata una nutrita delegazione dei movimenti antiestablishment europei. C’era lo stesso Farage, Jerome Rivière del Rassemblement National (Ex Front National), Filip Dewinter del fiammingo Vlaams Belang, il congressman repubblicano Paul Gosar (inviato del potentissimo Freedom Caucus, gruppo di conservatori pro-Trump che Bannon vuole avere dalla sua).

E poi volti non proprio rassicuranti, esponenti di spicco di partiti di ultra destra come Sweden Democrats e True Finns che inizialmente dovevano restarne fuori ma in extremis Bannon ha fatto rientrare perché “perfetti per il ruolo”. Non ci sono notizie di un coinvolgimento della Lega nella riunione londinese. Ci sono poche chances però che lo stratega più odiato d’America non imbandisca la tavola con il piatto più prelibato, la Lega di Matteo Salvini che sta scalando i sondaggi e conquista ogni giorno i riflettori a suon di respingimenti in mare. Bannon nutre una vera ammirazione per il ministro dell’Interno italiano. E se un posto nella dirigenza del Movement per Le Pen e Farage è giá blindato, difficile che rimanga fuori il segretario leghista, che al momento ha un peso specifico ben diverso e un po’ conosce le dinamiche di Strasburgo. A dissipare i dubbi ci pensano le parole di Matteo Salvini in una recentissima intervista al Washington Post, cui ha detto di voler “mettere insieme un gruppo che ottenga la maggioranza al Parlamento Europeo”.

I tempi sono maturi già da un po’. La debacle del Front National, il movimento di ultra destra guidato da Marine Le Penin cui Bannon aveva riposto tante speranze, sembrava aver allontanato una volta per tutte il pericolo di un’internazionale populista pronta a espugnare Bruxelles. Ma in poco meno di un anno l’ascesa delle forze euroscettiche in Austria, Olanda e Germania e il clamoroso exploit di Lega e Cinque Stelle del 4 marzo hanno riaperto la partita. Nel frattempo Bannon ha perso due lavori (alla Casa Bianca e a Breitbart news, l’emittente all news cara al far -right che lui stesso ha fondato) e ne ha guadagnato uno nuovo, non meno redditizio: mettere tempo, denaro e expertise al servizio di un nuovo movimento populista europeo.

Ne avevamo avuto sentore due mesi fa, quando ha fatto tappa a Roma in un tour europeo degno di una rockstar, esplodendo in un entusiasmo irrefrenabile per l’imminente nascita di un governo gialloverde, coronamento di un sogno che Bannon avrebbe voluto realizzare oltreoceano, per sua stessa ammissione, unendo all’irruenza di Donald Trump il carisma di Bernie Sanders. Poco male, la vita gli ha offerto un’altra occasione, e anche questa volta il vento tira a suo favore. Tic-tac, le lancette corrono, le europee si avvicinano e gli euroscettici hanno un jolly dalla loro parte. Chi vuole un’Europa diversa, liberale, moderata è avvisato: per fermare il ciclone Bannon servirà qualcosa di più di qualche bandiera blustellata per le strade di Bruxelles.

Continua a leggere

Radical-chic e ignoranti-pop

Condividi su:

di Marcello Veneziani

Lunedì scorso è morto in America Tom Wolfe e io vorrei dire qualcosa sui radical chic, di cui lui fu scopritore e brillante stroncatore. Li critico anch’io da quando li conobbi, lessi da ragazzo il libro di Wolfe contro di loro che aveva pubblicato Alfredo Cattabiani nel ’73 da Rusconi. Anzi, prima dei radical-chic conobbi il loro antenato, lo snob di cui sparlava Panfilo Gentile, notando che snob sta per sine nobilitate, finto nobile che si atteggia a tale. Oltre che supponenti, i radical chic e gli snob diventano detestabili quando si fanno intolleranti verso chi non appartiene alla loro razza.

Ma non mi piace per nulla neanche il loro rovescio, la rozza ignoranza pop. Quella di chi detesta ogni lettura e disprezza tutto ciò che odora d’arte, pensiero e cultura, quella di chi spara giudizi sprezzanti quanto dementi in rete senza capire, senza sapere; quella di chi odia il mondo ed erutta e scoreggia contro l’universo e ogni grandezza nel nome della libertà e dei diritti. Quella di chi soffre d’invidia egualitaria, vuol far patire chi sta meglio di loro e far loro confiscare quel che hanno meritato e conquistato. Insomma quelli che fanno valere la loro ignoranza enciclopedica come un diritto e una virtù. A volte è gente anche di destra, anche se di solito l’homunculus-tipo è al di sotto della destra e della sinistra. Non saprei dire quale sia peggio tra i radical-chic e i cafonal-pop. O meglio, saprei: i peggiori sono quelli che fanno ricadere sugli altri la loro spocchia o la loro ignoranza. Continua a leggere

1 2