Saulo, perché mi perseguiti?

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Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 12/23 del 25 gennaio 2023, Conversione di San Paolo

“Saulo, perché mi perseguiti?”

 25 Gennaio, Conversione di San Paolo (1)

Abbiamo visto la Gentilità, rappresentata ai piedi dell’Emmanuele dai Re Magi, offrire i suoi mistici doni e ricevere in cambio i doni preziosi della fede, della speranza e della carità. La messe dei popoli è ormai matura; è tempo che il mietitore vi ponga la falce. Ma chi sarà questo operaio di Dio? Gli Apostoli di Cristo non hanno ancora lasciata la Giudea. Tutti hanno la missione di annunciare la salvezza fino agli estremi confini del mondo, ma nessuno fra loro ha ancora ricevuto il carattere speciale di Apostolo dei Gentili. Pietro, l’Apostolo della Circoncisione, è destinato particolarmente, al pari di Cristo, alle pecore smarrite della casa d’Israele (Mt 15,24). Tuttavia siccome è il capo e il fondamento, spetta a lui aprire la porta della Chiesa ai Gentili, e lo fa solennemente, conferendo il Battesimo al centurione romano Cornelio.

Intanto la Chiesa si prepara: il sangue del Martire Stefano e la sua ultima preghiera otterranno un nuovo Apostolo: l’Apostolo delle Genti. Saulo, cittadino di Tarso, non ha visto Cristo nella sua vita mortale e soltanto Cristo può fare un Apostolo. Dall’alto dei cieli dove regna impassibile e glorificato, Gesù chiamerà Saulo alla sua scuola, come chiamò negli anni della sua predicazione a seguire i suoi passi e ad ascoltare la sua dottrina i pescatori del lago di Genezareth. Il Figlio di Dio rapirà Paolo fino al terzo cielo, e gli rivelerà tutti i suoi misteri; e quando Saulo avrà avuto modo, come egli narra, di vedere Pietro (Gal 1,18) e di paragonare con il suo il proprio Vangelo, potrà dire: “Io non sono meno apostolo degli altri Apostoli”.

È appunto nel giorno della Conversione di Saulo che ha ini­zio questa grande opera. È oggi che risuona quella voce che spezza i cedri del Libano (Sal 28,5), e la cui immensa forza fa del Giudeo persecutore innanzitutto un cristiano, nell’attesa di farne un Apostolo. Questa meravigliosa trasformazione era stata vaticinata da Giacobbe allorché sul letto di morte svelava l’avvenire di ciascuno dei suoi figli, nelle tribù che dovevano uscire da essi. Giuda ebbe i più alti onori: dalla sua stirpe regale doveva nascere il Redentore, l’atteso delle genti. Beniamino fu annunciato a sua volta sotto caratteristiche più umili, ma pure gloriose: sarà l’avo di Paolo, e Paolo l’Apostolo delle genti.

Il santo vegliardo aveva detto: “Beniamino è un lupo rapace: al mattino si prende la preda; ma alla sera distribuisce il bottino” (Gen 49,27). Colui che nell’ardore della sua adolescenza si scaglia come un lupo spirante minaccia e strage all’inseguimento delle pecore di Cristo, non è forse – come dice sant’Agostino (Disc. 278) – Saulo sulla via di Damasco, portatore ed esecutore degli ordini dei pontefici del Tempio e tutto ricoperto del sangue di Stefano che egli ha lapidato con le mani di coloro ai quali custodiva le vesti? Colui che, alla sera, non rapisce più le spoglie del giusto, ma con mano caritatevole e pacifica distribuisce agli affamati il cibo vivificante, non è forse Paolo, Apostolo di Gesù Cristo, bruciante d’amore per i suoi fratelli, e che si fa tutto a tutti, fino a desiderare di essere anatema per essi?

Questa è la forza vittoriosa dell’Emmanuele, forza sempre crescente e alla quale nulla può resistere. Se egli vuole come primo omaggio la visita dei pastori, li fa chiamare dai suoi angeli le cui dolci note sono bastate per condurre quei cuori semplici alla mangiatoia dove giace sotto poveri panni la speranza d’Israele. Se desidera l’omaggio dei principi della Gentilità, fa spuntare in cielo una stella simbolica, la cui apparizione, aiutata dall’intimo moto dello Spirito Santo, fa decidere quegli uomini a venire dal lontano Oriente a deporre ai piedi d’un bambino i loro doni e i loro cuori. Quando è giunto il momento di formare il Collegio Apostolico, cammina sulle rive del mar di Tiberiade, e basta la sola parola: Seguitemi, per legare a lui gli uomini che ha scelti. In mezzo alle umiliazioni della sua Passione, un suo sguardo cambia il cuore del discepolo infedele. Oggi, dall’alto dei Cieli, compiuti tutti i misteri, volendo mostrare che egli solo è maestro dell’Apostolato e che la sua alleanza con i Gentili è consumata, si manifesta a quel Fariseo che vorrebbe distruggere la Chiesa; spezza quel cuore di Giudeo e crea con la sua grazia un nuovo cuore d’Apostolo, un vaso di elezione, quel Paolo che dirà d’ora in poi: “Vivo, ma non son già io, bensì Cristo che vive in me” (Gal 11,20).

Ma era giusto che la commemorazione di quel grande evento venisse a porsi non lontano dal giorno in cui la Chiesa celebra il trionfò del Protomartire. Paolo è la conquista di Stefano. Se l’anniversario del suo martirio s’incontra in un altro periodo dell’anno (29 giugno), non poteva fare a meno di apparire accanto alla culla dell’Emmanuele, come il più splendido trofeo del Protomartire; i Magi esigevano anche il conquistatore della Gentilità di cui formavano le primizie.

Infine, per completare la corte del nostro grande Re, era giusto che si elevassero ai lati della mangiatoia le due potenti colonne della Chiesa, l’Apostolo dei Giudei e l’Apostolo dei Gentili: Pietro con le chiavi e Paolo con la spada. Betlemme ci sembra allora ancor più l’immagine della Chiesa, e le ricchezze della liturgia in questa stagione ci appaiono più belle che mai.

Noi ti rendiamo grazie, o Gesù, perché hai oggi abbattuto il tuo nemico con la tua potenza, e l’hai risollevato con la tua misericordia. Tu sei veramente il Dio forte, e meriti che ogni creatura celebri le tue vittorie. Come son meravigliosi i tuoi piani per la salvezza del mondo! Tu associ gli uomini all’opera della predicazione della tua parola e alla dispensa dei tuoi misteri; e per rendere Paolo degno di tale onore, usi tutte le risorse della grazia. Ti compiaci di fare dell’assassino di Stefano un Apostolo, perché il tuo potere si mostri a t’urti gli occhi, il tuo amore per le anime appaia nella sua più gratuita generosità, e sovrabbondi la grazia dove abbondò il peccato. Visitaci spesso, o Emmanuele, con questa grazia che cambia i cuori, perché noi desideriamo la vita in larga misura, ma sentiamo che il suo principio è così spesso sul punto di sfuggirci. Convertici come hai convertito l’Apostolo e assistici quindi, poiché senza di te noi non possiamo far nulla. Previenici, seguici, accompagnaci, non lasciarci mai, e come ci hai dato il principio, così assicuraci la perseveranza sino alla fine. Concedici di riconoscere, con timore ed amore, quel dono della grazia che nessuna creatura potrebbe meritare, e al quale tuttavia una volontà creata può fare ostacolo. Noi siamo prigionieri: solo tu possiedi lo strumento con l’aiuto del quale possiamo infrangere le nostre catene. Tu lo poni nelle nostre mani, dicendoci di usarlo: sicché la nostra liberazione è opera tua e non nostra, e la nostra prigionia, se continua, si deve attribuire soltanto alla nostra negligenza e alla nostra viltà. Dacci, o Signore, questa grazia; e degnati di ricevere la promessa di associarvi umilmente la nostra cooperazione.

Aiutaci, o san Paolo, a corrispondere ai disegni della misericordia di Dio su di noi; fa’ che siamo soggiogati dalla dolcezza di Gesù. Non udiamo la sua voce, la sua luce non colpisce i nostri occhi, ma leva il suo lamento perché troppo spesso lo perseguitiamo. Ispira ai nostri cuori la tua preghiera: “Signore, che vuoi che io faccia?”. Ci risponderà di essere semplici e bambini come lui, di riconoscere il suo amore, di finirla con il peccato, di combattere le cattive inclinazioni, di progredire nella santità seguendo i suoi esempi. Tu hai detto, o Apostolo: “Chi non ama nostro Signore Gesù Cristo sia anatema!”. Faccelo conoscere sempre più, perché lo amiamo, e questi dolci misteri non diventino, per la nostra ingratitudine, la causa della nostra riprovazione.

Vaso di elezione, converti i peccatori che non pensano a Dio. Sulla terra tu ti sei prodigato interamente per la salvezza delle anime; nel cielo dove ora regni, continua il tuo ministero, e chiedi al Signore, per coloro che perseguitano Gesù nelle sue membra quelle grazie che vincono i più ribelli. Apostolo dei Gentili, volgi gli occhi su tanti popoli che giacciono ancora nell’ombra della morte. Un giorno tu eri combattuto fra due ardenti desideri: quello di essere con Gesù Cristo, e quello di restare sulla terra per lavorare alla salvezza dei popoli. Ora, tu sei per sempre con il Salvatore che hai predicato: non dimenticare quelli che ancora non lo conoscono. Suscita uomini apostolici per continuare la tua opera. Rendi fecondi i loro sudori e il loro sangue. Veglia sulla Sede di Pietro, tuo fratello e tuo capo; sostieni l’autorità della Chiesa di Roma che ha ereditato i tuoi poteri, e che ti considera come la sua seconda colonna. Rivendicala dovunque è misconosciuta; distruggi gli scismi e le eresie; riempi tutti i pastori del tuo spirito, affinché sul tuo esempio non cerchino se stessi, ma unicamente e sempre gli interessi di Gesù Cristo.

(1) Il martirologio geronimiano menziona, alla data del 25 gennaio, una Translatio S. Pauli Apostoli. “A poco a poco, tuttavia l’orientazione storica si spostò, e al concetto di una traslazione materiale delle Reliquie di san Paolo, sostituendosi quello d’una traslazione o mutamento psicologico e spirituale avvenuto nello stesso Apostolo sulla via di Damasco, dalla translatio fisica, si passò così alla mistica Conversio del medesimo” (Liber Sacram. vol. VI, p. 185). Sembra che la festa abbia avuto origine nelle chiese della Gallia e sia passata poi progressivamente, a partire dall’VIII secolo, nei libri romani. I testi dell’Ufficio e della Messa sorpassano l’oggetto storico e preciso della festa. Si tratta non solo della Conversione di san Paolo, ma anche di tutte le sue conseguenze, lo zelo e le tribolazioni dell’Apostolo.

Fonte: http://www.unavoce-ve.it/pg-25gen.htm

Carme di San Damaso (traduzione del card. Schuster)

Iamdudum Saulus, procerum praecepta secutus,
Cum Domino patrias vellet praeponere leges,
Abnueret sanctos Christurn laudasse prophetas,
Caedibus adsiduis cuperet discerpere plebem,
Cum lacerat sanctae matris pia foedera coecus,
Post tenebras verum meruit cognoscere lumen,
Temptatus sensit possit quid gloria Christi.
Auribus ut Domini vocem lucemque recepit,
Composuit mores Christi praecepta secutus.
Mutato placuit postquam de nontine Paulus,
Mira fides rerum ; subito trans aethera vectus,
Noscere promeruit possent quid praemia vitae.
Conscendit raptus martyr penetralia Christi,
Tertia lux caeli tenuit paradisum euntem;
Conloquiis Domini fruitur, secreta reservat,
Gentibus ac populis iussus praedicere vera,
Profundum penetrare maris noctemque diemque
Visere, cui magnum satis est vixisse latentem.
Verbera, vincla, fantem, lapides, rabiemque ferarum,
Carceris inluviem, virgas, tormenta, catenas,
Naufragium, lachrymas, serpentis dira venena,
Stigmata non timuit portare in corpore Christi.
Credentes docuit possent quo vincere mortem.
Dignus amore Dei, vivit per saecla magister,
Versibus his breviter, fateor, sanctissime Doctor
Paule, tuos, Damasus, volui, monstrare triumphos.

Già da gran tempo Saulo andava appresso alle massime dei Seniori,
E alle divine leggi preponeva quello della sua nazione,
Rifiutandosi di riconoscere che i Profeti avevano reso omaggio al Cristo.
Mentre egli con insaziabile crudeltà agognava a sbranare il gregge,
Ed attendeva ciecamente a dilaniare l’unità della Madre Chiesa,
Dopo le tenebre, meritò di conoscere la vera luce,
E seppe a prova quanto fosse più potente di lui la gloria del Cristo.
Non appena però egli ascoltò la voce del Signore, e riacquistò la vista,
Docile ai precetti di Cristo, riformò la propria vita.
Cambiò quindi il proprio nome in quello di Paolo,
E, mirabile a dirsi, ratto tosto in estasi al più alto dei cieli,
Potè pregustare quanto fosse immenso il premio dell’eterna vita.
Il futuro Martire penetra nei penetrali di Cristo,
E nella sua ascensione al paradiso giunge sino al terzo cielo,
Entra in colloquio col Signore, ma ne serba il secreto.
Iddio gli ordina d’annunziare la verità ai Gentili ed alle nazioni,
Di penetrare il profondo del mare e di trascorrervi una notte ed un giorno,
Egli al quale già sarebbe bastato di aver vissuto in quella profonda solitudine.
Egli le percosse, le catene, la fame, le sassate, la rabbia delle fiere,
Lo squallore del carcere, le verghe, le torture, i ceppi,
Il naufragio, le lacrime, il tremendo veleno del serpe,
Le stigmate di Cristo non temè di portare impresse sulle sue membra.
Egli insegnò ai fedeli in che modo potessero vincere la morte.
Degno dell’amore di Dio, maestro insuperato, vive attraverso i secoli.
In questi brevi versi, tel dichiaro, o Dottore santissimo
Paolo, io Damaso ho voluto indicare i tuoi trionfi.

Fonte: Card. A.I. Schuster O.S.B., Liber Sacramentorum, Vol. VI La Chiesa Trionfante. Le Feste dei Santi durante il ciclo Natalizio, Marietti 1941, pagg. 188-189.

 

Russia vs. Anti-Russia: interessi e valori

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L’OPINIONE DELL’IDEOLOGO DI PUTIN

di Aleksandr Dugin

La scala globale del problema ucraino

Il destino dell’ordine mondiale si sta decidendo in Ucraina. Questo non è un conflitto locale tra due potenze che non hanno diviso qualcosa tra loro. È uno spartiacque fondamentale nella storia.

C’è la pratica comune di separare gli interessi e i valori. Gli interessi sono legati all’equilibrio politico e geopolitico del potere, i valori – agli ideali di civiltà. Non ci sono conflitti militari che non abbiano avuto entrambe le dimensioni: la questione del valore e gli obiettivi pragmatici. Nel caso dell’Ucraina, entrambi – interessi e valori – sono di natura globale e riguardano direttamente tutti sul globo. Questo non è un incidente locale.

L’Ucraina ha perso l’occasione di costruire uno Stato

Cosa rappresenta l’Ucraina? A prima vista è il suo Stato nazionale con i suoi interessi (presumibilmente) razionali, i suoi valori e ideali nazionali. L’Ucraina ha avuto la sua opportunità di diventare uno Stato relativamente di recente – come risultato del crollo dell’URSS. Non aveva una storia nazionale. Ecco perché la questione dell’identità era in primo piano. C’erano due popoli sul territorio dell’Ucraina – uno occidentale e uno orientale. Il primo si considerava un ethnos indipendente, mentre il secondo faceva parte del grande mondo russo, tagliato fuori da esso solo per caso. All’Ucraina fu data la possibilità di creare uno Stato, ma solo se teneva conto delle posizioni di entrambi i popoli, entrambi quasi alla pari.

Entrò poi in gioco un fattore esterno: la geopolitica, la Grande Guerra dei Continenti. L’Occidente, da parte sua, ha visto nell’Ucraina indipendente (quasi accidentalmente) un’opportunità per creare una testa di ponte antirussa su questo territorio, al fine di contenere il probabile rafforzamento della Russia dopo l’uscita dallo shock del crollo dell’URSS. Era inevitabile, e l’Occidente si stava preparando per questo.

Quindi, fu l’Occidente che puntò sugli abitanti delle regioni occidentali dell’Ucraina e sulla loro identità e cominciò a sostenere solo loro in ogni modo possibile a nome dell’altra metà, quella                          filorussa.

La genesi geopolitica del nazismo ucraino

Fu allora che si presentò il compito di stabilire un’identità ucraina occidentale come identità pan-ucraina. Per fare questo, era necessario compiere un genocidio culturale e, se necessario, diretto dei popoli dell’Ucraina orientale. Per accelerare la formazione della nazione ucraina, che non era mai esistita nella storia, l’Occidente accettò misure estreme, per creare artificialmente un simulacro di “Una Nazione” e sopprimere i sentimenti filorussi dell’Ucraina orientale, si ricorse all’ideologia nazista. Tuttavia, non è la prima volta – per combattere le influenze sovietiche nel mondo islamico durante la guerra fredda (e più tardi per contrastare la Russia) l’Occidente ha effettivamente creato, sostenuto e pompato armi e denaro nel fondamentalismo islamico (da al-Qaeda all’ISIS).

Il nazismo in Ucraina non è solo quello di singoli partiti e movimenti estremisti, è il principale vettore politico-tecnologico che, con il sostegno dell’Occidente, ha iniziato a prendere forma nei primi anni ’90. Mentre perseguivano il nazismo sul loro territorio, i liberali occidentali – e i più radicali (Soros, Bernard-Henri Levy, ecc.) – fraternizzavano apertamente con i nazisti ucraini. La nazificazione dell’Ucraina era l’unico modo per l’Occidente di creare rapidamente un Anti-Russia sul suo territorio. Altrimenti, se la democrazia, anche se relativa, fosse stata conservata, la voce dell’Est non avrebbe permesso di costruire l’Anti-Russia (almeno alla velocità desiderata).

Fasi del nazismo ucraino

La presa del potere da parte dei nazisti filoccidentali in Ucraina è avvenuta per tappe. Dall’inizio degli anni ’90, cominciarono a formarsi movimenti e partiti nazionalisti, e la propaganda influenzò i giovani, instillando atteggiamenti russofobi nelle loro menti. Allo stesso tempo, l’identità ucraina si trasformò in un Giano bifronte:

– un sorriso liberale all’Occidente

– una smorfia nazista (Bandera, Shukhevich) di odio verso la Russia.

Il nazionalismo ucraino si è dichiarato più distintamente durante la rivoluzione arancione del 2004-2005, quando gli occidentali si sono ribellati alla vittoria del candidato dell’est ucraino. Di conseguenza, l’occidentale Yushchenko è salito al potere, sostenuto da nazionalisti e liberali, ma il suo governo fu un completo fallimento, e fu sostituito da Yanukovich, presumibilmente filorientale.

Tuttavia, durante tutto il tempo il pompaggio del nazismo ucraino continuò. In tutte le fasi, l’Occidente ha continuato a costruire l’Anti-Ucraina.

Un’alleanza dei liberali con i nazisti

Al Maidan nel 2013-1014 c’è stata una svolta finale. Con il sostegno diretto e aperto dell’Occidente, un colpo di stato ha avuto luogo, e un’alleanza russofoba di nazisti e liberali ha preso il potere, fondendosi in qualcosa di indivisibile nel nuovo governo. Gli oligarchi liberali Poroshenko e Kolomoisky hanno contribuito a trasformare l’Ucraina in un perfetto stato nazista. L’Occidente ha chiesto l’antirusso, e Kiev ha seguito rigorosamente questo piano.

La reazione della Russia con la riunificazione con la Crimea, e la rivolta del Donbass filorusso seguirono. La Primavera russa doveva dividere l’Ucraina in Ucraina occidentale e Novorossia sulla linea dei due popoli, due identità, ma è stata scartata per una serie di motivi. Così Kiev ha avuto l’opportunità di iniziare la nazificazione dei territori orientali. Il genocidio dell’Est è iniziato con nuova forza e non solo contro il Donbass resistente, ma contro tutte le zone della Novorossia – sia le parti occupate delle regioni di Donetsk e Lugansk che tutte le altre.

L’Occidente non ha semplicemente chiuso un occhio su questo, ma lo ha promosso in ogni modo possibile. In questo caso possiamo dire che l’Occidente ha compromesso i suoi valori per il bene dei suoi interessi. La geopolitica (atlantismo) questa volta è stata più importante del liberalismo.

L’anti-Russia è stata in tal modo creata.

Allo stesso tempo, idee e norme occidentali come la politica di genere, LGBT+, la circolazione più o meno libera delle droghe, la cultura post-modernista (intesa dagli ucraini come nichilismo totale e cinismo), la cancellazione, il femminismo, il wokeismo e così via sono penetrati attivamente nella società ucraina. Come risultato, nel 2022 l’Ucraina era diventata un’anti-Russia a tutti gli effetti.

I suoi interessi nazionali a questo punto consistevano in:

– riconquistare il Donbass e la Crimea,

– l’adesione alla NATO,

– completare il ciclo completo del genocidio nell’Est,

– ottenere armi nucleari e biologiche da usare contro la Russia,

– inoltre, l’ideologia consisteva in russofobia e nazismo combinati con l’occidentalismo e il liberalismo.

Questo è ciò che Kiev difende oggi a livello di interessi e valori. L’Occidente sostiene pienamente Kiev in tutto tranne che nella sua disponibilità ad entrare in un confronto nucleare con la Russia. L’Occidente ha trasformato l’Ucraina nell’Anti-Russia, e ne ha bisogno solo in questa veste.

La russofobia come nuova ideologia globale

È indicativo che nella situazione critica dell’operazione militare speciale, l’Occidente si è trovato in una posizione difficile: ora deve non solo spiegare i suoi interessi, ma anche giustificare il nazismo ucraino, che non era più possibile nascondere. Prendete la recente fotografia a Odessa di Bernard-Henri Levy, l’ideologo iconico del liberalismo globale e ardente sostenitore del Grande Reset, con apertamente neonazista, ex capo del battaglione punitivo “Aidar” e capo dell’amministrazione militare di Odessa, Maxim Marchenko. Ecco come il liberal-nazismo come ideologia pragmatica dell’Ucraina è diventato per necessità accettato dall’Occidente stesso. Da qui la politica delle reti globali di sostegno al nazismo ucraino e la cancellazione di tutte le voci alternative – Youtube, facebook, twitter, Instagram, Google e così via – che sono state dichiarate recentemente “organizzazioni terroristiche” e vietate nella Federazione Russa. La russofobia è diventata il comune denominatore di questa empia alleanza tra nazisti e liberali globalisti.

L’Occidente ha trovato rapidamente una via d’uscita: equiparando la Russia stessa al “nazismo”, è stata dichiarata una crociata contro di essa, in cui il nazismo anti-russo è stato considerato un alleato completamente accettabile, cioè “non è affatto nazista” – nonostante i suoi simboli, le pratiche criminali, il genocidio dichiarato e attuato, la tortura, gli stupri, il traffico di bambini e di organi, la pulizia etnica, ecc.

Interessi e valori dell’Occidente globale: egemonia, totalitarismo liberale, russofobia

Così è stata costruita la configurazione del confronto tra due campi. Da un lato, abbiamo l’Occidente e i suoi interessi geopolitici – il desiderio

– espandere la NATO,

– preservare il modello unipolare,

– continuare la globalizzazione e il processo di trasformazione dell’umanità in un’unica massa sotto il controllo del governo mondiale (il progetto del Grande Reset),

– per salvare la fatiscente egemonia degli Stati Uniti.

Questo corrisponde ad una diffusione altrettanto totale dell’ideologia –

– liberalismo,

– globalismo,

– individualismo,

– la richiesta di cancellazione di tutti i dissensi,

– LGBT+, femminismo e transgenderismo,

– postmodernismo, distruzione deliberata e derisione dell’eredità culturale classica,

– wokeismo, la volontà di denunciare coloro che contestano il liberalismo (si qualificano come nemici della società aperta e quindi commettono crimini di pensiero),

– postumanesimo, migrazione forzata dell’umanità in una dimensione virtuale (progetto Meta, un’altra organizzazione terroristica vietata nella Federazione Russa),

– e a questo oggi si aggiunge il nazismo russofobico.

L’ideologia liberal-nazista dell’anti-russismo, creata artificialmente in Ucraina, sta penetrando nell’Occidente stesso, dove la russofobia sta diventando una norma obbligatoria, e la sua assenza o il suo disaccordo è oggetto di una persecuzione amministrativa o penale. Così la coda ucraina ha iniziato a scodinzolare il cane di Washington. Oggi, di fronte all’operazione militare speciale della Russia, il liberalismo si è finalmente e inseparabilmente fuso con il nazismo (nella sua versione russofoba).

Gli interessi della Russia: un mondo multipolare

Ora quali sono gli interessi e i valori della Russia in questo conflitto fondamentale?

In primo luogo, gli interessi geopolitici. La Russia rifiuta categoricamente il globalismo, un mondo unipolare e l’egemonia occidentale. In pratica, questo significa una dura resistenza all’espansione verso est della NATO e a tutte le altre forme di pressione occidentale sulla Russia. Mosca sta costruendo un mondo multipolare in cui sta reclamando il suo posto come polo indipendente e sovrano. È sostenuta in questo da Pechino e da un certo numero di paesi islamici e latino-americani. Anche l’India sta andando alla deriva verso un modello di ordine mondiale simile. In seguito, tutti gli altri – compresi i paesi dell’Europa e dell’America – si convinceranno dell’attrattiva, della validità e dell’inevitabilità di una tale costruzione.

Affinché gli interessi geopolitici russi si realizzino, l’anti-Russia non deve esistere sul territorio dell’Ucraina. E visto dal punto di vista dell’Occidente, è proprio il contrario, perché l’Occidente ha creato questo anti-Russia proprio per non farlo accadere. Quindi, abbiamo un conflitto di interessi fondamentale, che la Russia ha cercato di risolvere pacificamente, ma non ha funzionato. Da qui la nuova fase, più dura.

L’atlantismo contro l’eurasiatismo è la battaglia finale nel territorio dell’Ucraina. Questa è una posizione classica della teoria geopolitica da Mackinder a Putin. Come ha detto Brzezinski (piuttosto correttamente) negli anni ’90: “Senza l’Ucraina, la Russia non risorgerà mai più”, e con l’Ucraina lo farà, hanno deciso correttamente gli strateghi di Mosca.

I valori della Russia: Tradizione, Spirito, Uomo

Passiamo ai valori. Oggi, l’Occidente e Kiev stanno lottando per una sintesi patologica (dal punto di vista della teoria politica) di liberalismo e nazismo. Entrambi sono uniti dalla russofobia.

La russofobia dei globalisti liberali si spiega con il loro odio per una Russia sovrana che faccia cadere il mondo unipolare, distrugga i piani dei globalisti e l’egemonia dell’Occidente. La russofobia di Kiev si basa sul fatto che la Russia impedisce il genocidio della popolazione dell’est e la creazione della nazione ucraina. È così che il liberalismo e il nazismo si uniranno in un unico impulso. L’odio per i russi, gli appelli alla distruzione fisica dei russi a partire dal presidente Putin fino ai neonati, alle donne e ai vecchi si fondono con la propaganda LGBT+, la difesa dei matrimoni gay e la cultura postmodernista. Questi sono i valori di una civiltà che ha dichiarato guerra alla Russia.

La Russia difende altri valori. In primo luogo, i valori tradizionali – potere, sovranità, fede, una famiglia normale, umanità, patrimonio culturale. Secondo, la Russia insiste sulla legittima protezione dei russi – concretamente in Ucraina, minacciata dallo sterminio e vittima di genocidio. Terzo, i valori eurasiatici – la Russia stessa è aperta ai diversi popoli e culture e rifiuta categoricamente ogni forma di nazismo e razzismo. La Russia riconosce il diritto degli altri ad andare per la propria strada e a costruire il tipo di società che sarà scelto – ma non a spese della Russia stessa e dei popoli che cercano in Russia – come nell’Arca – la salvezza. Questi sono i fondamenti della moderna Idea Russa contrapposta al liberal-nazismo occidentale e ucraino.

Civiltà russa contro civiltà antirussa

Gli interessi e i valori di noi e loro sono opposti. Gli obiettivi e le conseguenze del conflitto sono globali, riguardano l’intero ordine mondiale, tutti i paesi e i popoli. La scala del conflitto è planetaria.

Due sistemi si scontrano – il campo liberale-nazista dell’Occidente e la Russia, difendendo non solo la loro Idea Russa, ma anche un ordine mondiale multipolare, in cui possono esistere altre idee – cinese, islamica, e la stessa occidentale, ma dove non c’è posto per il nazismo e il liberismo globalista obbligatorio.

Quindi lo scopo dell’operazione militare speciale è la denazificazione. Questo vale direttamente per l’Ucraina, ma indirettamente per tutti gli altri. La Russia non tollererà la russofobia in nessuna forma. Questa è già una questione di principio.

È uno scontro di civiltà: la civiltà russa contro quella antirussa.

Il destino della quinta colonna nella stessa Russia

Ora dovremmo prestare attenzione alla quinta colonna, che ha cercato di ribellarsi all’operazione militare speciale, ma è stata rapidamente fermata e fuggita all’estero nella prima fase, e soprattutto alla sesta colonna, che in precedenza ha imitato con successo per anni, esprimendo fedeltà formale a Putin.

La quinta colonna dei liberali è stata inequivocabilmente dalla parte degli antirussi fin dalla prima campagna cecena. I discorsi e le dichiarazioni della maggior parte degli esponenti liberali dell’opposizione russa sono pieni di odio per la Russia. Molti di loro erano fuggiti dalla Russia anche prima, stabilendosi negli Stati Uniti, in Europa, in Israele e a Kiev. Molti di loro hanno scelto Kiev consapevolmente, come roccaforte dell’Anti-Russia, cioè come loro feudo ideologico; e, naturalmente, non hanno notato il fiorire del nazismo ucraino lì – con esso condividono una russofobia comune per entrambi. Molti dei liberali della quinta colonna russa divennero anche loro nazisti, o almeno i loro apologeti.

Oggi, la quinta colonna in Russia è sotto una stretta interdizione e non rappresenta una grande minaccia. Ma nel complesso, i suoi interessi e valori coincidono con Washington, la CIA, il Pentagono, il blocco NATO e Kiev, che servono. Quindi è un nemico puro.  Non ho bisogno di ricordarvi ancora una volta cosa si fa con un nemico sotto legge marziale.

I liberali sistemici sono tra l’incudine e il martello

La situazione della sesta colonna è molto più complicata. Oggi è proprio questa colonna ad essere al centro dell’attenzione. È composta da quelli che sono stati chiamati “liberali di sistema” come oligarchi, politici, burocrati e figure culturali che condividono l’ideologia liberale (monetarismo, imperialismo del dollaro, currency board, cosmopolitismo, LGBT+, transgender, globalizzazione, digitalizzazione, ecc) ma non si oppongono apertamente a Putin.

Oggi, si trovano in una posizione difficile – tra l’incudine e il martello. È contro la sesta colonna che l’Occidente ha imposto gravi sanzioni economiche, ha portato via i loro yacht e palazzi, ha congelato i loro conti bancari e sequestrato i loro beni immobili. L’obiettivo era lo stesso: farli rovesciare Putin. Ma questo è impossibile e significa un suicidio.

Così la sesta colonna è ora confusa – l’Occidente ha preteso da lei qualcosa di impossibile.  Quindi o devono fuggire dalla Russia e combattere Putin dall’esterno (come hanno fatto Chubais e un certo numero di altre figure iconiche dell’oligarchia russa), o solidificarsi con un’operazione militare speciale, ma questo cancellerebbe la loro posizione in Occidente e li priverebbe del loro bottino ammassato lì. Ed ecco il punto principale: non possono più rimanere liberali – nemmeno sistemici, perché il liberalismo oggi si è fuso con la russofobia su scala globale, è diventato una versione del nazismo, e non si può essere un nazista e allo stesso tempo lottare contro il nazismo, paradosso irrisolvibile.

Si scopre che o la Russia o il liberalismo.

Se i liberali sistemici (la sesta colonna) vogliono rimanere sistemici, devono smettere di essere liberali. Il liberalismo oggi è uguale al nazismo, e la Russia ha lanciato un’operazione di denazificazione senza precedenti. Di conseguenza, i liberali sistemici devono denazificare (cioè de-liberalizzare) se stessi.

Conversione al patriottismo

Molti ex liberali degli anni ’90 avevano già preso la loro decisione nelle fasi precedenti, scegliendo tra la Russia con i suoi valori tradizionali e l’Occidente con i suoi valori liberal-nazisti. Questi hanno scelto la Russia e la tradizione. Ed è una grande e giusta decisione. Nessun problema con loro. Una persona può cambiare idea, può sbagliarsi, può perseguire obiettivi tattici, alla fine può peccare e pentirsi. Nessuno tirerà pietre agli ex-liberali che sono diventati patrioti. Ma un certo rituale di cambiamento dell’ideologia, una sorta di conversione al patriottismo, è comunque utile.

Sarebbe sbagliato convertire, come gli ebrei spagnoli al cattolicesimo, i liberali sistemici al patriottismo con la forza. È una questione di ideologia e di libertà di coscienza. E qui la violenza avrà solo l’effetto contrario. Ma l’élite dirigente della società in un momento così teso e decisivo dovrebbe essere composta da coloro che condividono pienamente gli interessi e i valori del paese che sta combattendo una guerra ontologica contro un avversario forte e potente – per gli interessi e i valori. E se l’élite non condivide i valori, e non capisce gli interessi, allora non ha senso essere un’élite – almeno quella al potere.

Oggi, la guerra tra la Russia e l’Anti-Russia globale è in pieno svolgimento. Sarebbe innaturale mantenere reti nemiche all’interno della Russia. Pertanto, se la sesta colonna sceglie la Russia, non può più essere chiamata “liberali di sistema”, suonando come contraddizione come essere “nazisti di sistema”. Lo stato attuale delle cose non lo permette.

La Russia deve diventare la Russia: la luce russa

La nostra vittoria non dipende solo dalle azioni eroiche del nostro esercito, dai successi della pianificazione militare e strategica, dal supporto materiale dell’operazione, dall’efficace gestione politica e amministrativa dei territori liberati, ecc. Dipende da quanto profondamente e completamente la Russia diventa Russia. Oggi l’appello all’Idea Russa non è un capriccio del potere. Anche i comunisti sovietici, per bocca di Stalin in una difficile situazione critica si appellavano al popolo russo, alla Chiesa ortodossa, alla Tradizione e alla nostra eroica storia. Oggi, nulla si oppone a questo. Tranne i pregiudizi dei liberali sistematici, che, spero, semplicemente non si sono ancora resi conto della gravità della loro situazione.

La gente sia in Russia che in Ucraina sta aspettando che Mosca dica parole vere. Un discorso vero. Un appello sincero al profondo dell’essere della gente. È ora di dire che questa operazione militare speciale appartiene alla categoria del sacro.

Oggi di nuovo un soldato russo e un cittadino russo nelle retrovie, un figlio russo e una madre russa, un prete russo e un poeta russo stanno decidendo il destino dell’umanità.

La Russia in lotta mortale con l’Anti-Russia si erge come una civiltà della Luce. Questo è il nostro interesse e i nostri valori. Portiamo ancora una volta la Luce al mondo, silenziosa, ma inestinguibile tranquilla Luce Russa.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

26 marzo 2022

Fonte: https://www.ideeazione.com/russia-vs-anti-russia-interessi-e-valori/

La conversione di Alphonse Ratisbonne per mezzo della Medaglia Miracolosa

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Nonostante fosse stato educato senza alcuna formazione ebraica, Alphonse era fiero di appartenere ad una famiglia di notabili, essendo suo padre presidente del concistoro di Strasburgo. Disse di se stesso: «Ero ebreo di nome, ecco tutto, poiché non credevo nemmeno in Dio» (Ratisbonne, di Jean Guitton, Wesmael-Charlier, coll. «Conversions célèbres», 1964, p.42). Quando suo fratello maggiore Théodore si convertì nel 1827 e divenne sacerdote nel 1830, i rapporti familiari si deteriorarono e il disprezzo di Alphonse verso la religione cattolica aumentò. Aveva programmato di sposarsi non per convenienza ma per amore a 28 anni, nell’estate del 1842, con sua nipote Flora di 16 anni, ma prima, nel novembre del 1841, volle partire in viaggio, con l’intenzione di visitare Napoli, la Sicilia, Malta e Costantinopoli. Alla fine, dopo essere stato a Napoli e prima di recarsi a Palermo, decise di dirigersi verso Roma, temendo di non avere un’altra occasione per visitarla. Dopo qualche giorno di svago trascorso a Roma, alla vigilia della sua partenza per Palermo datata 15 gennaio 1842, andò a trovare un amico di infanzia, Gustave de Bussières, che era protestante. Non trovandolo, fu ricevuto da suo fratello convertito dal protestantesimo, il barone Théodore de Bussières, fervente cattolico e devoto della Medaglia Miracolosa, strumento di tante conversioni.

Ispirato dalla Santa Vergine, questi sfidò Ratisbonne: «Giacché lei detesta la superstizione e professa dottrine tanto liberali, giacché è uno spirito forte tanto illuminato, avrà il coraggio di sottoporsi a una prova innocente?». Questa prova invitò Ratisbonne ad indossare la Medaglia Miracolosa e a recitare mattino e sera il Memorare, il «Ricordatevi» che san Bernardo compose in onore della Vergine Maria, una preghiera molto efficace: «Ricordatevi, o piissima Vergine Maria, che non s’è inteso mai che alcuno che è ricorso alla vostra protezione, che ha implorato il vostro patrocinio e chiesto la vostra protezione, sia rimasto abbandonato. Animato io da tale confidenza, vengo, o Vergine delle Vergini a gettarmi nelle vostre braccia e gemendo sotto il peso delle mie colpe mi prostro ai vostri piedi. O Madre del Verbo, non disdegnate le mie preghiere ma benignamente ascoltatele e degnatevi di esaudirle». Ratisbonne accettò: «Oh! Non importa, esclamò, scoppiando a ridere; voglio quantomeno provarvi che si fa torto agli ebrei accusandoli di ostinazione e di testardaggine insormontabile» (Ratisbonne, di J. Guitton, op. cit., p.22). Promise dunque al barone de Bussières di recitare questa preghiera: «Se essa non mi fa del bene, almeno non mi farà del male!» (op. cit., p.56).

Alphonse Ratisbonne ritornò dal de Bussières per riportargli la preghiera che aveva ricopiata, dal momento che il barone non ne possedeva altre copie. Una forza interiore spinse Théodore de Bussières ad insistere, affinché Alphonse rinviasse la sua partenza, suggerendogli così che se fosso rimasto a Roma avrebbe potuto vedere il Papa. Fece pregare alcuni suoi amici, fra i quali il conte de La Ferronays, per la conversione di un ebreo. Nella notte tra il 19 e il 20 gennaio, Ratisbonne si svegliò di soprassalto: vide davanti a lui una grande croce nera, avente una forma particolare, senza Cristo. Provò, invano, a scacciare questa immagine, dopodiché si riaddormentò. Dopo la sua conversione, qualche ora più tardi, avrebbe riconosciuto in quella visione, la croce coniata sulla Medaglia Miracolosa. Giovedì 20 gennaio 1842, Théodore de Bussières andò nella chiesa di Sant’Andrea delle Fratte poiché doveva far riservare i banchi per la famiglia di de La Ferronays, vecchio ministro di Carlo X, esiliato a Roma dal 1830. Il conte, purtroppo, era morto improvvisamente la sera del 17 gennaio. Nel frattempo, chiese a Ratisbonne di aspettarlo per qualche minuto. Lo ritrovò inginocchiato davanti alla cappella dell’Arcangelo san Michele e san Raffaele, con il viso bagnato di lacrime, dicendo tutto emozionato e riconoscente: «Che Dio buono! Che pienezza di grazia e felicità!». Supplicò Théodore de Bussières di portarlo da un sacerdote poiché, spiega, «quanto ho a dire, non posso proferirlo che in ginocchio. La parola umana non deve tentare d’esprimere l’inesprimibile; ogni descrizione, per quanto sublime possa essere, non sarebbe che una profanazione dell’ineffabile verità. (…) Non sapevo dove mi trovavo; non sapevo se ero Alphonse o un altro; provavo un cambiamento così totale che mi credevo un altro. (…) La gioia più grande si sprigionava dal fondo della mia anima; non potetti parlare; non volli rivelar niente; sentivo in me qualche cosa di solenne e di sacro che mi fece chiamare un sacerdote» (op. cit., p.64).

Théodore de Bussières lo portò al Gesù, convento dei Gesuiti, affinché parlasse a Padre de Villefort. Ratisbonne tirò fuori la sua Medaglia che aveva attaccata al suo collo, l’abbracciò e gridò: «L’ho vista! L’ho vista!». Il Padre de Villefort gli chiese di parlare. Ratisbonne si mise in ginocchio e raccontò che entrando in chiesa aveva visto un cane nero che saltava e abbaiava davanti a lui. In seguito, il cane disparve (il cane sembra essere l’immagine del diavolo). «D’un tratto – dichiarò – mi sono sentito di un turbamento inesprimibile. Tutta la chiesa disparve; la chiesa mi sembrava tutta oscura, eccetto una cappella, quasi che tutta la luce della chiesa si fosse concentrata in quella. Alzai gli occhi verso la cappella raggiante di tanta luce e vidi sull’altare della medesima, grande, maestosa, bellissima, misericordiosa, la Vergine Maria, simile nell’atto e nella forma, all’immagine che si vede nella Medaglia Miracolosa; una forza irresistibile mi spinse verso di Lei, che parve dicesse: “Basta così”. Non lo disse, ma lo capii» (Ratisbonne, di J. Guitton, op. cit., p.30). E aggiunse: «Uscivo da una tomba, da un abisso di tenebre, ed ero vivo, perfettamente vivo… Ma piangevo! Vedevo nel fondo dell’abisso le miserie estreme dalle quali ero stato strappato da una misericordia infinita». Pensando alla sua fidanzata e alla sua famiglia ebrea, li implorò: «A voi dono le mie preghiere! (…) Non alzerete voi gli occhi verso il Salvatore del mondo il cui sangue ha cancellato il peccato originale? Oh, che l’impronta di questa macchia è orribile! Rende completamente irriconoscibile la creatura fatta a immagine di Dio» (op. cit., p.65). In seguito, Ratisbonne si recò con P. de Villefort e Théodore de Bussières a Santa Maria Maggiore e a San Pietro per rendere grazie a Dio. Trovandosi in dette basiliche, esclamò: «Com’è bello qui! Non vorrei uscirne mai (…). Non è più la terra, è quasi il cielo».

Si trovava alla presenza di Dio, ma gemeva sapendo di avere ancora in sé il peccato originale e rifugiandosi nella cappella della Santa Vergine, affermò: «Qui, non posso avere paura; sento che sono protetto da una misericordia immensa» (op. cit., p.31). Quando Théodore de Bussières gli domandò i dettagli di ciò che avesse visto, Alphonse Ratisbonne precisò: «Vidi la Regina del cielo in tutto lo splendore della sua bellezza senza macchia; ma il suo sguardo non aveva potuto sostenere lo splendore di quella luce divina. Aveva provato per tre volte a contemplare nuovamente la Madre delle misericordie; tre volte i suoi inutili sforzi non gli avevano permesso di alzare gli occhi che alle sue mani benedette dalle quali sgorgava, con fasci luminosi, un torrente di grazia» (op. cit., p.33).

Sapeva con certezza assoluta che il de La Ferronays aveva non solo pregato per lui, ma persino offerto la propria vita a Dio per la sua conversione e che essa era ugualmente dovuta alle preghiere rivolte al Signore nel corso di tutto l’anno precedente da suo fratello Théodore, da P. Desgenettes e dai fedeli dell’Arciconfraternita di Nostra Signore delle Vittorie, ai quali P. Théodore aveva confidato questa intenzione.

Alphonse Ratisbonne si fece istruire secondo i dettami della religione cattolica, come già aveva osservato in una delle sue tante lettere, affermando che nel cattolicesimo «intravedeva il senso e lo spirito dei dogmi» (op. cit., p.66). Entrò nel convento dei Gesuiti per un ritiro spirituale sotto la direzione di P. de Villefort e secondo le sue richieste, fu battezzato il 31 gennaio 1842, 11 giorni dopo la sua conversione. Scrisse: «Gli ebrei che udirono la predicazione degli apostoli furono immediatamente battezzati, e voi volete farmi attendere dopo che ho udito la Regina degli apostoli!» (op. cit., p.67).

Il così breve tempo intercorso fra la sua conversione ed il battesimo si giustifica grazie alla conoscenza della dottrina cattolica da lui dimostrata ai sacerdoti incaricati di istruirlo, sebbene non avesse mai aperto in precedenza alcun testo religioso.

Dicendo «la Santa Vergine non mi ha detto niente, ma ho capito tutto», Ratisbonne affermò che Lei gli aveva fatto conoscere le verità del cristianesimo tutte in una volta; l’apparizione fu per lui un centro di luce dal quale tutto s’irradiava, come una formula matematica che spiegava il mondo intero. In seguito, Alfonso e Flora si lasciarono e a tal proposito, egli scrisse che «l’amore del mio Dio aveva talmente preso il posto di ogni altro amore, che la mia stessa fidanzata mi appariva sotto un altro aspetto. L’amavo come un oggetto che Dio tiene nelle sue mani, come un dono prezioso che fa amare ancora di più il donatore» (op. cit., p.66).

È interessante ricordare che il 29 aprile 1918, il P. Kolbe – colui che donò la vita fino alla morte per l’Immacolata – volle celebrare la sua prima messa in Sant’Andrea delle Fratte, proprio sull’altare dove Alphonse Ratisbonne il 20 gennaio 1842 vide la Santa Vergine, Colei che aveva convertito il Nostro Israelita di 28 anni mediante la Medaglia e la preghiera del «Ricordatevi».

Mauriac osserva, nei suoi Bloc notes del maggio 1964: «Ci sono attimi eterni attorno ai quali tutto un destino cristallizza degli istanti che durano fino alla morte, sin quando l’uomo vive» (Rue de Bac ou la superstition dépassée, di Jean Guitton, Ed. S.O.S., coll. «Hauts lieux de spiritualité», 1973, p.94). Qualche giorno dopo il suo battesimo, il 3 febbraio 1842, Ratisbonne è ricevuto da papa Gregorio XVI, il quale gli fece la seguente impressione: «Le maestà del mondo mi sembravano riunite in colui che quaggiù possiede la potenza di Dio (…). Ma (…) non era un monarca, ma un padre la cui bontà estrema mi trattava come un caro figlio» (Mémoire del 12 aprile 1842, éd.1919, p.94, citato da R. Laurentin, in Multiplication des apparitions de la Vierge aujourd’hui, Fayard, 1988, p.125).

L’apparizione privata e la conversione spettacolare di Ratisbonne fecero molto clamore: si aprirono a Roma un’inchiesta e subito dopo un processo canonico. Esso si concluse con il riconoscimento dell’autenticità dei fatti. Il 3 giugno 1842, un decreto del cardinale Patrizi, vicario di Roma, assicurò «che era certo che un vero ed insigne miracolo operato da Dio, ottimo e massimo, per l’intercessione della Vergine Maria, ha generato la conversione istantanea e perfetta di Alphonse Ratisbonne dal giudaismo al cattolicesimo». È grazie a questo Decreto che la Sacra Congregazione dei Riti accordò, il 23 giugno 1894, l’istituzione della Festa della Manifestazione della Vergine Immacolata, detta della Medaglia Miracolosa. Questa festa si celebra il 27 novembre, ricorrenza dell’apparizione di Nostra Signora a santa Caterina Labouré. L’ufficio del breviario, in questa data, racconta proprio la conversione di Alphonse Ratisbonne. In ringraziamento delle preghiere a Nostra Signora delle Vittorie per la sua conversione, nel 1843 Ratisbonne fece benedire da Monsignor Affre una cappella consacrata al Santissimo ed Immacolato Cuore di Maria.

Alphonse Ratisbonne lasciò il suo mestiere di avvocato e il mondo della finanza. Entrò nel noviziato dei Gesuiti il 14 giugno 1842 prendendo il nuovo nome di Marie-Alphonse e fu ordinato sacerdote il 24 settembre 1848. Con l’autorizzazione del Superiore Generale dei Gesuiti, P. Jean-Philippe Roothaan e la benedizione di Papa Pio IX, nel 1852 lasciò la Compagnia di Gesù per entrare nella Congregazione di Nostra Signora di Sion. Votata alla conversione degli ebrei, essa è stata fondata dal fratello Théodore nel 1843, su domanda di Gregorio XVI. I due fratelli, Théodore e Alphonse Ratisbonne, avevano fondato nello stesso anno l’apostolato delle religiose di «Nostra Signora di Sion», e nel 1855 «I Preti Missionari di Nostra Signora di Sion», affinché potessero «lavorare, piangere e soffrire per la redenzione di Israele». Eressero a Gerusalemme e ad Ain Karim, il villaggio natale di San Giovanni Battista a 7 chilometri ad ovest di Gerusalemme, alcuni conventi e monasteri per i religiosi e le religiose di Nostra Signora di Sion, oltre che delle scuole e degli orfanotrofi nei quali si impartiva una specifica formazione al lavoro. Divenuto quasi cieco, P. Marie-Alphonse aveva profetizzato: «Avrò prestò l’età della Santa Vergine, 70 anni: morirò a quell’età». Morì, infatti, a 70 anni, il 6 maggio 1884, ad Ain Karim, dicendo: «Offro la mia vita per la salvezza di Israele» e gridando, pieno di gioia e come rapito: «Maria!». Alcuni testimoni pensano che abbia visto a quel punto la Santa Vergine poiché il suo viso si illuminò e la sua stanza fu investita da una luce soprannaturale. Sulla sua tomba, a San-Giovanni-in-Montana, presso Gerusalemme, dove fece costruire un convento, si legge la seguente preghiera, incisa su sua richiesta: «O Maria, ricordatevi del vostro figlio che è la dolce e generosa conquista del vostro amore!».

L’efficacia della Medaglia Miracolosa risiede nella preghiera che riconosce Maria «concepita senza peccato». Maria, nostra Madre, «Rifugio dei peccatori», risplendente dell’amore di Dio che Ella dona agli uomini, è molto generosa nelle grazie, tra le quali quella della salvezza. È per la nostra consacrazione ai Sacri Cuori, che noi otterremo la nostra santificazione e la conversione dei peccatori. P. Desgenettes ne fece esperienza: la confraternita di Nostra Signora delle Vittorie, che era come morta, rivisse quando egli obbedì ad una voce interiore che il 3 dicembre 1836 gli rivelò: «Consacra la tua parrocchia al Santissimo e Immacolato Cuore di Maria». P. Desgenettes scrisse: «Non sembra forse naturale pensare che Gesù Cristo si interessi alla gloria di questo Cuore che gli ha fornito le prime gocce del Sangue adorabile al prezzo del quale ci avrebbe riscattati? Egli vuole che la gloria di cui ha coronato la sua Santa Madre nel Cielo, si rifletta sulla terra, che tutti gli uomini sappiano che il Cuore di Maria è il serbatoio e il canale delle misericordie divine» (Annales de l’Archiconfrérie de Notre-Dame des Victoires, marzo 1854, p.214, in L’Abbé Desgenettes, serviteur et apôtre de Marie, di Suor Maria-Angelica della Croce, op. cit., p.218).

https://www.madonnadelmiracolo.it/2018/11/28/la-conversione-di-alphonse-ratisbonne-per-mezzo-della-medaglia-miracolosa/

Fonte: https://www.centrostudifederici.org/la-conversione-alphonse-ratisbonne-mezzo-della-medaglia-miracolosa/

“Colombo è uomo nostro” (Leone XIII)

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Enciclica “Quarto Abeunte Saeculo” di Leone XIII, 16 luglio 1892
Ai Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi di Spagna, d’Italia e delle Americhe.
Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.
Allo spirare del quarto secolo dal giorno in cui, auspice Iddio, un uomo Ligure approdò, primo fra tutti, di là dell’Oceano Atlantico a lidi sconosciuti, i popoli sono lieti di celebrare con sentimenti di gratitudine la memoria di quel fatto, e di esaltarne l’autore. Certamente non si saprebbe trovare agevolmente un motivo più degno di questo d’infervorare gli animi e destare entusiasmo. Infatti, l’impresa in se stessa è la più grande e meravigliosa di quante mai se ne videro nell’ordine delle cose umane: e colui che la portò a compimento non è paragonabile che a pochi di quanti furono grandi per tempra d’animo e altezza d’ingegno. Un nuovo mondo sorse per merito suo dall’inesplorato grembo dell’Oceano: centinaia di migliaia di creature vennero dall’oblio e dalle tenebre a integrare la famiglia umana; dalla barbarie furono condotte alla mansuetudine ed alla civiltà: e quel che infinitamente più importa, da perdute che erano, furono rigenerate alla vita eterna mercé la partecipazione dei beni che Gesù Cristo procurò.
L’Europa, percossa allora dalla novità e dal miracolo dell’inatteso portento, a poco a poco si rese conto di quanto essa doveva a Colombo allorché le colonie stabilite in America, le comunicazioni incessanti, la reciprocità dei servizi e l’esplicarsi del commercio marittimo diedero impulso poderosissimo alle scienze naturali, alle ricchezze comuni, con incalcolabile valorizzazione del nome Europeo.
Fra così varie manifestazioni onorifiche e in questo concerto di rallegramenti non conviene che la Chiesa rimanga muta, dato che essa, secondo il suo costume e il suo carattere, approva volentieri e si sforza di promuovere tutto ciò che appare onesto e lodevole. Vero è che la Chiesa serba i suoi particolari e massimi onori all’eroismo delle più eminenti virtù morali in quanto ordinate alla salvezza eterna delle anime, ma non per questo misconosce né tiene in poco conto gli altri eroismi: ché anzi si compiacque sempre di tributare onore con grande volontà ai benemeriti della società civile, e a quanti vivono gloriosi nella memoria dei posteri. Infatti Iddio è bensì mirabile soprattutto nei suoi santi: ma il marchio del divino valore rifulge anche in coloro nei quali brilla una certa forza superiore d’animo e di mente, in quanto la luce del genio e la sublimità d’animo giungono agli uomini soltanto da Dio Padre e Creatore.
Ma oltre a queste ragioni di ordine generico, abbiamo motivi del tutto particolari di voler commemorare con riconoscenza l’immortale impresa. Infatti Colombo è uomo nostro. Per poco che si rifletta al precipuo scopo onde si condusse ad esplorare il mar tenebroso, e al modo che tenne, è fuor di dubbio che nel disegno e nella esecuzione dell’impresa ebbe parte principalissima la fede cattolica: in modo che in verità per questo titolo tutto il genere umano ha obbligo non lieve verso la Chiesa.
Impavidi e perseveranti esploratori di terre sconosciute e di più sconosciuti mari, prima e dopo di Cristoforo Colombo, se ne contano parecchi. Ed è giusto che la fama, memore delle opere benefiche, celebri il nome loro, in quanto riuscirono ad allargare i confini delle scienze e della civiltà, a crescere il pubblico benessere: e ciò non a lieve costo, ma a prezzo di faticosi sforzi di volontà e sovente di gravissimi pericoli.
C’è tuttavia gran differenza fra essi e l’uomo di cui parliamo. La nota caratteristica che distingue Colombo sta in questo, che nel solcare e risolcare gli spazi immensi dell’Oceano, egli mirava a cose maggiori e più alte degli altri. Non che egli non fosse spinto dal nobilissimo desiderio di conoscere, né di bene meritare della famiglia umana; non che egli disprezzasse la gloria, i cui stimoli di solito sono più acuti nel petto dei grandi, o che tenesse in poco conto la speranza di propri vantaggi; ma sopra tutte queste ragioni umane prevalse il lui il sentimento della religione dei padri suoi, dalla quale egli prese senza dubbio l’ispirazione e la volontà dell’impresa e spesso, nelle supreme difficoltà, trasse motivo di fermezza e di conforto. Risulta infatti che egli intese e volle intensamente questo: aprire la via al Vangelo attraverso nuove terre e nuovi mari.
Tale cosa può sembrare poco verosimile a coloro che, concentrando ogni loro pensiero entro i confini del mondo sensibile, rifiutano di credere che si possa guardare a cose più alte.
Ma, al contrario, a méta più eccelsa amano per lo più aspirare le anime veramente grandi, perché sono meglio disposte ai santi entusiasmi della fede divina. Colombo aveva certamente unito lo studio della natura allo zelo della pietà, e aveva profondamente formati mente e cuore secondo i princìpi della fede cattolica. Perciò, persuaso per argomenti astronomici e antiche tradizioni, che al di là del mondo conosciuto dovevano pure estendersi dalla parte d’occidente grandi spazi terrestri non ancora esplorati, immaginò popolazioni sterminate, avvolte in tenebre deplorevoli, perdute dietro cerimonie folli e superstizioni idolatriche. Riteneva estremamente penoso che si potesse vivere secondo consuetudini selvagge e costumi feroci; peggio ancora in quanto non conoscevano cose della massima importanza e ignoravano l’esistenza del solo vero Dio. Onde, pieno di tali pensieri, si prefisse più che altro di estendere in occidente il nome cristiano, i benefìci della carità cristiana, come risulta evidentemente da tutta la storia della scoperta. Infatti, quando ai re di Spagna, Ferdinando ed Isabella, propose la prima volta di voler assumere l’impresa, ne chiarì lo scopo spiegando che “la loro gloria vivrebbe imperitura ove consentissero di recare in sì remote contrade il nome e la dottrina di Gesù Cristo”. E non molto dopo, soddisfatto nelle proprie richieste, dichiara che egli “domanda al Signore di far sì che con la divina sua grazia i re [di Spagna] siano perseveranti nella volontà di propagare il Vangelo in nuove regioni e nuovi lidi”. A mezzo lettera chiede dei missionari al Pontefice Massimo Alessandro VI: “al fine — come egli stesso scrive — di diffondere in tutto il mondo, con l’aiuto di Dio, il sacrosanto nome di Gesù Cristo e il Vangelo”. Riteniamo dovesse sovrabbondare di giubileo allorché, reduce dal primo viaggio dalle Indie, scriveva da Lisbona a Raffaello Sanchez: “Doversi rendere a Dio grazie infinite per avergli largito sì prospero successo. Che Gesù Cristo s’allieti e trionfi qui sulla terra, come s’allieta e trionfa nei cieli, essendo prossima la salvezza di tanti popoli, il cui retaggio sino ad ora fu la perdizione”.
Che se a Ferdinando e ad Isabella egli suggerisce di non permettere se non a cristiani cattolici di navigare verso il nuovo mondo e avviare commerci con gli indigeni, la ragione è che “il disegno e l’esecuzione della sua impresa non ebbe altro scopo che l’incremento e l’onore della religione cristiana”.
E ciò comprese appieno Isabella, ella che assai meglio di ogni altro aveva saputo leggere nella mente del grande: è anzi fuor di dubbio che quella piissima regina, di mente virile e di animo eccelso, ebbe ella stessa il medesimo scopo. Aveva scritto infatti di Colombo che egli avrebbe affrontato coraggiosamente il vasto Oceano “al fine di compiere un’impresa di gran momento per la gloria di Dio”. E a Colombo medesimo, reduce dal secondo viaggio, scrive: “essere egregiamente impiegate le spese che ella aveva fatte per la spedizione delle Indie, e che farebbe ancora, in quanto ne seguirebbe la diffusione del cattolicesimo”.
Dall’altro canto, se si prescinde da un motivo superiore alle cose umane, donde avrebbe potuto egli attingere perseveranza e forza per affrontare e sostenere tutto ciò che fu obbligato a sopportare e a soffrire fino all’ultimo? Intendiamo le opposizioni dei dotti, i rifiuti da parte dei prìncipi, i rischi dell’Oceano in tempesta, le veglie incessanti, fino a smarrirne più d’una volta la vista; aggiungansi le battaglie coi selvaggi, i tradimenti di amici e compagni, le scellerate congiure, le perfidie degli invidiosi, le calunnie dei malevoli, le immeritate catene. All’enorme peso di tante sofferenze egli avrebbe dovuto senz’altro soccombere, se non lo avesse sostenuto la consapevolezza della nobilissima impresa, feconda di gloria alla cristianità, di salute a milioni d’anime.
Impresa, intorno alla quale fanno splendida luce gli avvenimenti successivi. Infatti Colombo scoprì l’America mentre una grave procella veniva addensandosi sulla Chiesa: sicché, per quanto è lecito a mente umana di congetturare dagli eventi le vie della divina Provvidenza, l’opera di quest’uomo, gloria della Liguria, sembra fosse particolarmente ordinata da Dio a ristoro dei danni che la cattolicità avrebbe poco dopo patito in Europa.
Chiamare gl’Indiani al cristianesimo era senza fallo opera e compito della Chiesa. La quale, fin dai primordi della scoperta, pose mano al suo ininterrotto compito d’amore, e continuò e continua tuttora a farlo, come ultimamente fino all’estrema Patagonia.
Nondimeno persuaso di dover precorrere e spianare la via all’evangelizzazione e tutto compreso da questo pensiero, Colombo coordinò ogni suo atto a tal fine, nulla quasi operando se non ispirandosi alla religione e alla pietà. Rammentiamo cose a tutti note, ma preziose a chi voglia penetrare ben addentro nella mente e nel cuore di lui. Costretto ad abbandonare, senza avere nulla concluso, il Portogallo e Genova e voltosi alla Spagna, fra le pareti di un monastero egli viene maturando l’alto disegno, confortato da un monaco Francescano. Dopo sette anni, giunto finalmente il giorno di imbarcarsi per l’Oceano, prima di partire si preoccupa di fare le cose necessarie per purificarsi l’anima: supplica la Regina del cielo che protegga l’impresa e guidi la rotta: e non comanda di sciogliere le vele se non dopo avere invocato la Santissima Trinità. Avanzatosi quindi in alto mare, fra l’infuriare dei marosi e il tulmutuare dell’equipaggio, mantiene inalterata la serenità del suo animo confidando in Dio. Attestano il suo proposito gli stessi nuovi nomi imposti alle nuove isole: in ciascuna di esse, appena postovi il piede, adora supplichevole Iddio onnipotente, e non ne prende possesso che in nome di Gesù Cristo. Dovunque approdi, il primo suo atto è di piantare sulla spiaggia la Croce: e dopo aver tante volte, al rombo dei flutti muggenti, inneggiato in alto mare al nome santissimo del Redentore, lo fa risuonare egli per primo nelle isole da lui scoperte: e perciò alla Spagnuola dà inizio alla costruzione di una chiesa cominciando le feste popolari con cerimonie religiose.
Ecco dunque ciò che Colombo intese e volle nell’avventurarsi, per tanto spazio di terra e di mare, in regioni inesplorate e incolte fino a quel giorno: esse però in fatto di civiltà, di notorietà e di forza salirono poi velocemente a quell’alto grado di progresso che ognuno vede.
La grandezza dell’avvenimento e la potenza e la varietà dei benefìci che ne derivarono impongono il ricordo grato e la glorificazione del personaggio. Ma è doveroso, innanzi tutto, riconoscere e venerare singolarmente gli alti decreti di quella mente eterna alla quale ubbidì, consapevole strumento, lo scopritore del nuovo mondo.
Per celebrare degnamente e in armonia con la verità storica le solennità Colombiane, è dunque opportuno che allo splendore delle pompe civili si accompagni la santità della religione. Per cui, come già al primo annuncio della scoperta furono rese a Dio immortale, provvidentissimo, pubbliche grazie prima di tutti dal Pontefice Massimo, così ora nel festeggiare la memoria dell’auspicatissimo evento stimiamo doversi fare la stessa cosa.
Perciò disponiamo che il giorno 12 ottobre, o la domenica susseguente, se così giudicherà opportuno l’Ordinario del luogo, nelle Chiese Cattedrali e collegiate di Spagna, d’Italia e delle Americhe, dopo l’ufficio del giorno, sia cantata solennemente la Messa de Sanctissima Trinitate.
Confidiamo che, oltre alle popolazioni sopra nominate, per iniziativa dei Vescovi si faccia la stessa cosa nelle altre, essendo conveniente che tutti concorrano a celebrare con pietà e riconoscenza un avvenimento che tornò utile a tutti.
Intanto come auspicio dei divini favori e pegno della Nostra paterna benevolenza a voi, Venerabili Fratelli, al clero e al popolo vostro impartiamo affettuosamente la Benedizione Apostolica.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 16 luglio 1892, anno decimoquinto del Nostro Pontificato.

FINALMENTE UNPLANNED NEI CINEMA ITALIANI

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

Dal 28 settembre anche in Italia si può vedere il film che racconta la storia di Abby Johnson, ex direttrice di una clinica abortiva di Planned Parenthood (VIDEO: intervista ai produttori di Unplanned)
di Rodolfo Casadei

La differenza sta tutta fra vedere o non vedere qualcosa che è in atto, qualcosa che accade in quel momento. Per vederlo bisogna aprire gli occhi, quelli fisici ma anche quelli della mente. Si potrebbe riassumere così la morale di Unplanned, il film su Abby Johnson, la direttrice di una clinica texana della Planned Parenthood che passa dalla parte dei pro-life quando vede coi suoi occhi che l’aborto è l’eliminazione di un bambino e comprende che, diversamente da quanto scrive ipocritamente nel suo statuto, l’organizzazione non cerca di prevenire le gravidanze indesiderate, ma di fatturare sempre di più aumentando costantemente il numero delle interruzioni di gestazione. Trattasi di storia vera e di personaggi reali.
Non fosse per la tragicità dell’argomento, farebbe quasi ridere constatare che il fuoco di sbarramento che critici cinematografici e militanti della causa pro-choice hanno concentrato sul film abbia per oggetto le immagini raccapriccianti e i dettagli cruenti di tutto ciò che riguarda gli aborti e i corpi delle donne su cui viene praticato. Da tempo sui grandi schermi e nei teatri si vede assolutamente di tutto, non c’è più nulla di abbastanza sacro, riservato, inaccessibile, turpe, disgustoso, osceno che non possa essere rappresentato.
Il valore estetico e sociale di qualsiasi rappresentazione è considerato superiore a ogni tabù. Con la curiosa eccezione dell’aborto, a quanto pare. Ma soprattutto fa cadere le braccia l’ostilità pregiudiziale che impedisce di cogliere l’originalità del film. […]

LA CONVERSIONE DI ABBY
Ci sono almeno due contenuti sorprendenti che dovrebbero balzare agli occhi perché scavalcano la barriera delle contrapposte visioni partigiane. Il primo riguarda proprio il vedere, il cambiamento che determina il vedere qualcosa che fino a quel momento era rimasto invisibile. A “convertire” Abby Johnson non è il sangue che cola dalle gambe delle ragazze, i corpi smembrati dei feti, gli sguardi smarriti e depressi delle giovanissime sia al momento di entrare che nel momento di uscire dalla clinica. Lei stessa ha vissuto l’esperienza di due aborti, e il secondo, quello indotto chimicamente e vissuto nella solitudine di casa, è stato un’esperienza dolorosissima e truculenta, giorni di un limbo insanguinato nell’angoscia della propria morte incombente.
Abby è rimasta impassibile quando la direttrice della clinica l’ha condotta nella cella dove sono conservati i feti fatti a pezzetti, li ha scrutati come se guardasse le ali delle farfalle, e con questo si è meritata il posto che l’altra le lascia. Non è una persona che si fa impressionare dal sangue e dai cadaveri. Tanto meno la mettono in crisi il silenzioso dissenso di genitori e marito, orripilati della sua professione ma mai ostili, o i manifestanti antiaborto che inveiscono o che pregano pacificamente lungo la recinzione della clinica, compresi quelli che cercano il dialogo.
Ha certezze benpensanti. Che vanno in crisi una prima volta quando Planned Parenthood batte cassa: altro che aborto raro e sicuro, soluzione estrema quando la contraccezione fallisce; quelli di Houston hanno bisogno di aumentare la produttività per tenere in piedi la baracca, e questo si fa incrementando il numero delle interruzioni di gravidanza, puntando sugli aborti chimicamente indotti perché garantiscono un margine di guadagno maggiore. E Planned Parenthood, che diffonde contraccezione e pratica aborti, funziona letteralmente come i fast-food: non sono gli hamburger (leggi: i contraccettivi) a generare i profitti, ma le patatine fritte e le bevande gasate. Perciò lasciate da parte gli ideali, se volete continuare ad avere una busta paga…

IL PECCATORE NON È MAI IDENTIFICATO COL SUO PECCATO
Dopo che si sono aperti gli occhi della mente, è il turno di quelli del corpo: Abby ha visto tante volte i prodotti di un aborto, ma non ha mai preso parte all’azione. Succede che venga chiamata in sala operatoria, e che sullo schermo veda l’immagine di un feto di 13 settimane, testa e corpo formati, che dà l’idea di cercare di sfuggire disperatamente al risucchio della morte. Invano. È la rivelazione che ribalta la sua visione delle cose. […] Per Abby quel brevissimo video è il film che decide la sua vita. Tutto cambia prospettiva nel momento in cui vedi la cosa non dopo che è accaduta, ma proprio mentre accade.
L’altro contenuto sorprendente è il ritratto del mondo in cui si muovono pro life e pro choice. Chi si aspetta la rappresentazione di uno scontro tipo crociata o tipo rivoluzione russa resta deluso: i fanatici ci sono, ma appartengono alle frange estreme delle alte dirigenti della catena di montaggio degli aborti, intransigenti e disincantate. […] La grande maggioranza delle persone raffigurate nel dramma, abortisti e antiabortisti, pro life che pregano e parlano ai cancelli e pro choice che ricevono le donne, le registrano e le accompagnano in sala operatoria, appartengono allo stesso mondo di una apparente comune decenza, il mondo di chi si impegna con la realtà assumendosi responsabilità. Alla radicale contrapposizione delle opzioni corrisponde l’evidente buona fede degli uni e degli altri; l’avversario non è mai spogliato della sua umanità, il peccatore non è mai identificato col suo peccato. Abby e Shawn, il giovane leader della Coalition for Life, si relazionano con mansuetudine anche prima della “conversione” di Abby. La quale è sposata con Doug, antiabortista convinto che in lei non vede il mostro che annichilisce bambini in germe, ma l’amabile donna a cui non può rinunciare. […] La critica secondo cui il film predica ai già convertiti ha senso per quanto riguarda la parte finale del film, ma non coglie il segno: Unplanned si rivolge evidentemente a un pubblico di simpatizzanti della causa antiabortista convinti ma passivi, al fine di renderli attivi e impegnati. E gli argomenti sono concentrati nell’ultima parte. Qui si spiega che Planned Parenthood è un’organizzazione tentacolare finanziata da George Soros, Bill Gates e Warren Buffett, che i gruppi di preghiera pro life fuori dalle cliniche sono combattuti perché è dimostrato che dove si svolgono regolarmente diminuisce il numero delle donne che vi si recano ad abortire, che l’organizzazione creata da Abby Johnson dopo che si è dimessa è riuscita ad aiutare 500 addetti ad abbandonare l’industria dell’aborto. […]
Nota di BastaBugie:
 ecco alcune curiosità su Unplanned tratte dal sito FilmGarantiti.it
– Abby Johnson è nata in una famiglia protestante (battista), ma è diventata cattolica in seguito alla sua conversione alla causa prolife. Adesso ha otto figli (avuti ovviamente dallo stesso marito).
– Anthony Levatino, il dottore che nel film si vede praticare l’aborto che cambierà per sempre la vita di Abby Johnson, non è un attore, ma un vero dottore che ha praticato personalmente più di 1.200 aborti. Poi un giorno, guardando al contenitore dei pezzi di bambini strappati dal grembo delle loro madri, ha pensato che quelli erano i figli e le figlie di quelle mamme. In quel momento si è reso conto degli abomini che aveva commesso e cambiò vita.
– Le riprese del film Unplanned sono avvenute in una località segreta per evitare le manifestazioni violente delle femministe.
– Nel 2019 Unplanned è stato il dvd più venduto al mondo da Amazon.
Per scoprire tutto su Unplanned, vedere il trailer, ascoltare la colonna sonora e molto altro, visita il sito FilmGarantiti.it, clicca qui!

VIDEO: INTERVISTA AI PRODUTTORI DI UNPLANNED
Qui sotto il video (durata: 28 minuti) con l’intervista ai produttori di Unplanned e God’s not dead 1 e 2 (Cary Solomon e Chuck Konzelman) che spiegano la loro battaglia contro Hollywood, che impedisce la produzione di film conformi ai principi cristiani. Per questo hanno abbandonato Hollywood producendo in proprio film capolavoro come Unplanned.

https://www.youtube.com/watch?v=UC7PRlkjjnk

Titolo originale: Unplanned, il film sull’aborto che va oltre la guerra pro life contro pro choice
Fonte: Tempi, 21 settembre 2021

Cosa realmente disse san Francesco al sultano El-Kamel?

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San Francesco d’Assisi: un’ode anti-pacifista

San Francesco non ha mai proposto un Cristianesimo pacifista. Egli era indubbiamente per la pace, ma, da santo, non poteva essere per il pacifismo. Essere pacifici vuol dire ritenere che la pace (in primo luogo con Dio) sia un valore importante; essere pacifisti vuol dire  ritenere che la pace sia il massimo dei valori; e questo è sbagliato perché la pace (come assenza di guerra) deve essere subordinata al valore della giustizia.

Dopo la conversione, tutta la vita del Santo di Assisi fu segnata dall’ansia di salvare i peccatori e per quanto riguarda i non cristiani non gli interessava il “dialogo” ma la conversione.

Riguardo l’incontro con il sultano Melek-el-Kamel ci sono due importanti testimonianze: quella di Tommaso da Celano (il più famoso biografo di san Francesco) e quella di Frate Illuminato, testimone oculare dell’incontro tra san Francesco e il sultano. Continua a leggere

Memorie di un’epoca – Fra’ Ginepro, il francescano che riportò Mussolini alla Fede

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di Luciano Garibaldi

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Fra’ Ginepro da Pompeiana (foto dal sito Ragazzi del Manfrei)

Fu un sacerdote, don Ennio Innocenti, teologo e storico, famoso predicatore radiofonico (indimenticabili le sue trasmissioni dal titolo “Ascolta, si fa sera”), nonché fondatore della “Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe”, a ricostruire il cammino di Mussolini verso la fede. Lo fece con un libro, “Disputa sulla conversione di Benito Mussolini”, pubblicato a Roma a metà degli Anni Novanta, appunto dalla Fraternitas (via Capitan Bavastro 136, 00154 Roma). Don Ennio Innocenti aveva dedicato dodici anni di ricerche e investigazioni personali a questa insolita vicenda. In un primo momento, aveva rivelato quanto ebbe a confidargli Padre Eusebio OFM, al secolo Sigfrido Zappaterreni, cappellano capo delle Brigate Nere, trasferitosi in Argentina dopo la guerra e morto a Buenos Aires. Più volte – questo aveva rivelato Padre Eusebio al confratello – egli ricevette la confessione sacramentale di Benito Mussolini. In seguito, fu un altro francescano a somministrare al Duce, dopo averlo confessato a sua volta, l’Eucaristia. Il suo nome era Fra’ Ginepro. Continua a leggere

Disponibile il numero 108 di Sursum Corda

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Sul sito è disponibile il numero 108 (del giorno 15 aprile 2018) di Sursum Corda®. Il settimanale si può scaricare gratuitamente nella sezione download dedicata ai soli Soci e Sostenitori.

Clicca qui per gli ultimi articoli leggibili gratuitamente sul sito:

– Comunicato numero 108. I Magi;

– La teologia o dottrina dei Magi;

– Preghiera a San Giustino, Martire;

– Gli anatemi del Concilio di Efeso, numeri 9 e 10;

– Preghiera a Sant’Ermenegildo, Martire;

– Vita e detti dei Padri del deserto: Padre Giovanni Nano (parte 2);

– Preghiera a San Zeno, Vescovo e Martire;

– San Tommaso: scelta del luogo adatto alla fondazione di una città;

– Preghiere a San Leone Magno, Papa;

– Dizionario di teologia dommatica. L’Illuminismo;

– Teologia Politica 97. L’autorità della Chiesa nella società e le rivendicazioni moderne;

– Racconti miracolosi n° 56. Totila Re degli Ostrogoti e San Benedetto di Norcia.

Preghiamo per i nostri Sacerdoti e Religiosi/e, per le vocazioni, per le famiglie, per le intenzioni della nostra Associazione e per la conversione dei modernisti affidandoci alla potente intercessione di san Giovanni di Dio.

Ossequi, Carlo Di Pietro.

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