Robot con la coscienza? L’ultima sfida dello scientismo contemporaneo

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/02/13/robot-con-la-coscienza-lultima-sfida-dello-scientismo-contemporaneo/

L’INGEGNERIA SOCIALE È UN PILASTRO ESSENZIALE DELLA METAPOLITICA DELL’OPEN SOCIETY DI GEORGE SOROS

Tutti concordano sul fatto che stiamo vivendo un periodo di cambiamenti epocali, sul piano economico e politico, ma soprattutto sul piano sociale ed antropologico. Non si tratta di mutamenti fisiologici, dovuti al progresso o a naturali processi di trasformazione delle abitudini e del sentire comune. E’ un progetto che viene prodotto nei circoli delle élites sovranazionali da persone che hanno un nome ed un cognome nonché un fine, che è fatto di arricchimento e potere. Tale programma ha un nome: “società aperta”. Il padre nobile è Karl Popper, che inizia ad elaborare il suo pensiero negli anni quaranta del secolo scorso.

Secondo Popper, nelle società aperte, si presume che il governo sia sensibile e tollerante, i meccanismi politici trasparenti e flessibili al cambiamento, permettendo a tutti di partecipare ai processi decisionali. Nella convinzione che l’ umanità non disponga di verità assolute, ma solo approssimazioni, la società dovrebbe dare così massima libertà di espressione ai suoi individui e l’autoritarismo non è giustificato. Egli sostenne che solo la democrazia liberale offrirebbe un meccanismo istituzionale per evolvere ed essere riformata o subire cambi di potere senza il bisogno di spargimenti di sangue.

Il miliardario e attivista politico George Soros, autodefinitosi discepolo di Popper, sostiene che l’uso sofisticato di tecniche persuasive ed ingannevoli come la moderna pubblicità e le scienze cognitive, attuato da politici come Frank Luntz e Karl Rove, ponga dubbi sulla originale concezione popperiana di società aperta. Poiché la percezione della realtà dell’elettorato può essere facilmente manipolata, il discorso politico democratico non porta necessariamente ad una migliore comprensione della realtà.

Soros sostiene che, oltre alla separazione dei poteri, libertà di espressione e di pensiero, è necessario anche rendere esplicita una forte devozione alla ricerca scientifica della verità. L’ingegneria sociale diviene un pilastro essenziale della metapolitica dell’Open Society di Soros, attraverso, soprattutto, l’influenza di Popper, dell’antropologo e psicologo Gregory Bateson, padre della cibernetica. Con essa si inseriscono il controllo mentale e la riprogrammazione psicosociale delle masse.

Lo scrittore Lucien Cerise diede questa definizione di ingegneria sociale: “è il nome dato ad un approccio interventista e meccanicista dei fenomeni sociali. Si tratta di lavorare alla trasformazione della società come se si trattasse di un edificio, di un’architettura, facendo ad esempio “demolizioni controllate”, o utilizzando una sorta di “caos controllato” per provocare cambiamenti che altrimenti non si produrrebbero da soli. […] L’ingegneria sociale è la trasformazione furtiva e metodica dei soggetti sociali (individui o gruppi).” Di fronte ad un programma così inquietante, che include l’intelligenza artificiale ed annulla l’anima con la religione, azzerando il pensiero e demandando tutto alle macchine, mi sono imbattuto in un articolo di Giorgia Audiello su l’Avanti.it del 10/02/2023, dal titolo: “Robot con la coscienza? L’ultima sfida del razionalismo scientista”.

Esordisce la giornalista: “Indagare, simulare e “creare” la coscienza attraverso la robotica: è l’ultima frontiera del culto del progresso tecno-scientifico materialista e meccanicista che pervade la modernità.

Tentare di conferire autocoscienza alle macchine è il paradosso più estremo del razionalismo positivista che vorrebbe ridurre il pensiero – compresi la creatività, le emozioni e la sensibilità – a mero processo meccanico attraverso l’uso di algoritmi e deep learning.

L’obiettivo è conferire alle macchine autocoscienza per mezzo di quella che viene chiamata auto-simulazione artificiale e arrivare utopisticamente alle “macchine coscienti”: una contraddizione in termini in quanto macchina e coscienza risultano di per se stesse incompatibili, essendo la prima materiale e programmata e la seconda – in quanto collegata al pensiero e all’anima – immateriale e, per questo, sommamente libera e non programmabile.

Se indagare i grandi misteri della vita, dell’universo e della coscienza è da sempre oggetto della filosofia, oggi è diventato soprattutto interesse dell’ingegneria, delle neuroscienze e della biochimica, poiché esse cercano il modo di riprodurre questi processi artificialmente in un impulso prometeico che porta l’uomo non solo a voler dominare la realtà, ma direttamente a crearla, nella velleitaria illusione di dimostrare – attraverso la tecno-scienza – che non vi sono “misteri” e che tutto è riducibile a leggi meccaniche e materiali, compresa la vita stessa.

È quanto afferma implicitamente Hod Lipson, ingegnere meccanico che dirige il Creative Machines Lab alla Columbia University con lo scopo di creare macchine dotate di autocoscienza. Con riferimento a quest’ultima, Lipson ha affermato che «è quasi una delle grandi domande senza risposta, al pari dell’origine della vita e dell’origine dell’universo. Cos’è la sensibilità, la creatività? Cosa sono le emozioni? Vogliamo capire cosa significa essere umani, ma vogliamo anche capire cosa serve per creare queste cose artificialmente».

Conclude, a ragione, la Audiello: “Se da un lato, dunque, si assiste sempre più al tentativo di snaturare l’uomo riducendolo a meri processi biochimici, dall’altro, paradossalmente, vi è la volontà di attribuire caratteristiche intrinsecamente umane come la coscienza alle macchine, nella vana illusione di elevare l’uomo al rango di “creatore”. Tuttavia, questa volontà di potenza che ha a che fare con l’orgoglio umano di imitare goffamente “Dio”, non solo rischia di allontanare sempre più l’uomo dalla comprensione di concetti che sono già stati indagati profondamente e magistralmente dalla filosofia antica, ma anche di alterare e mettere a rischio la libertà umana sempre più in balia del controllo digitale e dell’IA che può dare vita ad un vero e proprio reticolato di sorveglianza ineludibile, rendendo l’umano schiavo delle sue stesse “creazioni””.

La coscienza sporca dell’Occidente

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di Massimo Fini

“Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti.” Fabrizio De André

Le vicende del repentino collasso del governo di Ashraf Ghani ricordano da vicino quanto accadde durante “I dieci giorni che sconvolsero il mondo”. Anche allora lo Zar non faceva che mandare truppe su truppe contro gli insorti, un pugno di uomini guidati da Trotskij e da Anton Ovseenko (Lenin se ne stava prudentemente nascosto, sotto una parrucca bionda, alla stazione di Finlandia). Ma le truppe dello Zar non arrivavano mai sul posto, si squagliavano prima. Così i 350.000 soldati dell’esercito di Ghani si sono arresi senza combattere, mentre i loro comandanti fuggivano. Era prevedibile che senza l’aiuto dei bombardieri americani l’esercito governativo non avrebbe retto all’urto dei Talebani, ma una presa così fulminea di Kabul è stata possibile perché i soldati arruolati dal governo non avevano alcuna voglia né motivazione per battersi.

Adesso le “anime belle” e democratiche occidentali paventano, o piuttosto si augurano per salvare la propria coscienza avendo sempre descritto i Talebani come ‘brutti, sporchi e cattivi’, chissà quali sfracelli e vendette in Afghanistan. In linea di massima non ci saranno né gli uni né le altre. I Talebani non infieriranno certamente sui soldati governativi perché sanno benissimo che si tratta di loro coetanei che, in un Afghanistan devastato economicamente e socialmente dall’occupazione occidentale, arruolarsi era uno dei pochi modi per avere un salario. Peraltro  l’ ‘Emirato islamico d’Afghanistan’ (così lo stato afghano è tornato ad avere il nome che gli aveva dato il Mullah Omar) ha già preannunciato un’amnistia generale , come aveva fatto nel 1996 Omar dopo aver sconfitto i “signori della guerra” che avevano fatto dell’Afghanistan terra di ogni genere di soprusi sulla povera gente. Nulla hanno da temere i civili sul cui sostegno i Talebani hanno potuto contare nella loro ventennale guerra di indipendenza. Nulla da temere, checché si strepiti, hanno le donne, almeno dal punto di vista di abusi fisici. I Talebani, proprio a causa della loro indubbia sessuofobia, non hanno mai toccato le donne come dimostra il trattamento più che corretto che hanno loro riservato quando le hanno avute prigioniere. I Talebani hanno assicurato che alle donne verranno garantiti il diritto allo studio e al lavoro, diritto che per la verità esisteva anche prima in linea di principio, ma non di fatto a causa delle convulsioni cui è stato sottoposto l’Afghanistan negli ultimi quarant’anni.

Resta la questione dei ‘collaborazionisti’, di coloro che , tradendo il proprio Paese  hanno lavorato per gli occupanti occidentali. Credo che i collaborazionisti di piccolo cabotaggio, interpreti e simili, verranno lasciati in pace. Per la corrottissima cricca di Ashraf Ghani, governo, governatori provinciali, alti gradi della Magistratura, l’unica soluzione possibile sia che l’ONU, se vuole avere ancora un ruolo positivo nella ‘questione afghana’ di cui si è sempre, colpevolmente disinteressata, fornisca un salvacondotto a costoro perché riparino negli Stati Uniti o in Iran che è sempre stato ostile alla rivoluzione talebana.

Ci sono poi due questioni particolari. E’ stato Massud, il leader dei Tagiki, ad aprire l’Afghanistan agli americani offrendo la collaborazione dei suoi uomini sul terreno. Gli americani non avrebbero mai potuto conquistare l’Afghanistan talebano solo con i bombardieri. Avevano assolutamente bisogno di un appoggio sul terreno e Massud, che non tollerava di essere stato sconfitto dai giovani e allora militarmente inesperti “studenti del Corano”, gliel’ha offerto. Ora sarà bene che i Tagiki non si oppongano ancora una volta alla vittoria talebana, come sembra emergere da una dichiarazione del figlio di Massud da poco tornato dalla Gran Bretagna. Se così dovesse essere sarà di nuovo guerra civile. In quanto a Dostum, che fino a qualche tempo fa aveva il ruolo di vicepresidente nel governo dell’Afghanistan, è stato protagonista di due tra i più efferati misfatti di una guerra pur crudelissima. <<A Mazar fece rinchiudere in dei container e portare nel deserto, sotto il sole, 1250 talebani. “Quando scaricavamo i corpi dai container erano diventati neri per il calore e la mancanza di ossigeno”. Racconterà uno dei carnefici.>>  (Il Mullah Omar, p. 44). Quando gli americani occuparono l’Afghanistan Dostum, allora loro alleato, fece parecchi prigionieri talebani costretti a vivere in una situazione talmente disumana che decisero di ribellarsi. Questa è la scena: << Dopo una quindicina di giorni i prigionieri decisero che tanto valeva morire e si ribellarono. Più che una rivolta fu un suicidio collettivo. I talebani, insieme a ceceni e turchi che li avevano raggiunti quando era iniziata l’invasione, si precipitavano a mani nude, urlando, sugli uzbeki di Dostum che gli svuotavano addosso le cartucciere dei Kalashnikov. Ma la furia dei prigionieri era tale che gli uzbeki non facevano in tempo a ricaricarli prima che quelli che venivano da dietro, scavalcando i morti, gli fossero sopra… Dei prigionieri ne rimasero in vita una ventina. Amnesty International chiese ufficialmente un’inchiesta, anche perché quando si poté fare un sopralluogo molti cadaveri vennero trovati con i polsi e i piedi legati. Erano prigionieri che non avevano partecipato alla rivolta. Altri erano stati mutilati. “Li abbiamo trattati in modo fraterno” dirà, ghignando, Dostum.>>  (Il Mullah Omar, p. 64). Bene, i Talebani non sono usi a torturare i prigionieri, alla moda di Guantanamo, ma non vorrei essere nei panni di Dostum se gli mettono le mani addosso prima che riesca a fuggire, come al solito, in Uzbekistan.

Ma una mano sulla coscienza dovrebbero mettersela anche gli Stati, i governi occidentali e i loro media e giornalisti che hanno seguito la ventennale vicenda afghana senza mai sollevare non dico un flatus di protesta ma di dubbio su ciò che stavamo facendo. E poiché siamo in Italia, purtroppo per dirla con Gaber, tre anni fa, alla Versiliana  chiesi a Luigi Di Maio in procinto di diventare Ministro degli Esteri che cosa mai ci facessero 800 nostri militari in Afghanistan. Di Maio promise pubblicamente di impegnarsi. Lo abbiamo visto. Adesso preferisce strusciarsi alla famiglia Bisignani. In quanto al ministro della difesa Lorenzo Guerini disse che noi italiani non potevamo disimpegnarci dall’Afghanistan in quanto alleati Nato. E’ una menzogna. Gli olandesi, che fanno anch’essi parte della Nato e che in Afghanistan, a differenza nostra, si eran battuti bene, perdendo anche il figlio del loro comandante, lasciarono l’Afghanistan nell’agosto del 2010. E l’Emirato Islamico d’Afghanistan ringraziò il governo e il popolo olandese per quella decisione.

Ma una mano sulla coscienza dovrebbero mettersela tutti gli italiani (oltre al Papa che non ha mai speso una parola su Afghanistan ) che non hanno mai alzato una voce né fatto una qualsivoglia manifestazione, a differenza di quanto avvenne per il Vietnam, per i misfatti che, noi complici, sono stati compiuti in Afghanistan. Una mano sulla coscienza dovrebbero mettersela anche i lettori del Fatto, perché per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti.

La sinistra ridotta a pensiero unico delle élites

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di Carlo Freccero

La sinistra ridotta a pensiero unico delle élites

L’AUTOCRITICA DI CERTA SINISTRA (N.D.R.)

Fonte: Il Manifesto

La sinistra è oggi in crisi e si chiede come potrebbe parlare ai nuovi populismi per ricondurli nei binari di una democrazia elitaria che assomiglia più ad un’oligarchia che ad una democrazia in senso proprio.

Viceversa, anche quando dice di voler ascoltare il malessere di cui i populismi sono espressione, la sinistra si trincera nei luoghi comuni del politicamente corretto. Mentre, secondo me, basterebbe un’autoanalisi oggettiva per capire le cose da un’altra angolazione. La domanda è cos’è oggi la sinistra e cos’era una volta la sinistra? Perché c’è stato un così radicale cambiamento? So già la risposta. Ci sbagliavamo. E se ci sbagliassimo adesso?

In ogni caso riflettere su cosa sia stata la sinistra alle sue origini, contiene già la risposta al problema del populismo oggi.

Prima il populismo di destra non c’era perché molte delle istanze del populismo di oggi erano a sinistra. E la crescita dei diritti del popolo non era considerata reazionaria, ma progressista.

La grande frattura a sinistra inizia con la cosiddetta terza via e la resa completa dai progressisti nei confronti del neoliberismo. Da allora siamo immersi nel pensiero unico tanto da aver perso la memoria di noi stessi. Continua a leggere

La morte di Alfie e la nostra coscienza

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UN’OPINIONE

di David Nieri

La morte di Alfie e la nostra coscienza

Fonte: Franco Cardini

Alla fine non ce l’ha fatta, il povero Alfie. Si è spento la notte di sabato 28 aprile, a pochi giorni dal suo secondo compleanno. Personalmente, ci ho sperato fino alla fine. Ho sperato che il piccolo continuasse a respirare, quindi a vivere, dopo che la “spina” dei supporti vitali era stata staccata qualche giorno prima. Ho sperato che almeno la Corte europea si pronunciasse a favore del trasferimento al “Bambino Gesù”, dopo che il governo italiano aveva concesso ad Alfie la cittadinanza italiana per consentirgli l’espatrio. Ho sperato infine nel miracolo – noi cattolici, sapete, ci crediamo – che annichilisse giudici e scienziati d’Oltremanica che intendono sentenziare sulla “vita degna di essere vissuta” stabilendone il confine come una questione di diritto, magari ponendosi pure contro il volere dei genitori – per un bambino di meno di due anni, l’unico possibile. Ma in terra d’Albione – quella del dio degli inglesi in cui non credere mai, e infatti io non ci credo – funziona così: se non c’è accordo tra medici e famiglia, la legge prevede l’intervento di un giudice. Nel caso in questione, i medici dell’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool avevano già dichiarato, lo scorso dicembre, di aver esaurito tutte le opzioni a disposizione per salvare il piccolo, decidendo quindi di sospendere la ventilazione artificiale che lo teneva in vita. Decisione alla quale ovviamente Tom e Kate Evans, i due giovanissimi genitori, si erano opposti, indicando tra le eventualità di cura anche il trasferimento al “Bambino Gesù”. Niente di tutto questo è accaduto. Come nel triste caso di Charlie Gard, la fine della vita di un bambino è stata sentenziata per legge, e a niente sono serviti i ripetuti appelli – anche da parte della Santa Sede – per tentare di salvare il bambino. Continua a leggere