Il Riflusso Rosa o di come l’America Latina ha perso la sua sinistra

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La polizia del Boss mi ha afferrato in stile gringo – Corrido, “Cananea”, 1917

Il Cile caldo

La caduta del Muro di Berlino ha lasciato numerosi orfani, tra cui, in primo luogo, i quadri dei partiti comunisti in tutto l’Occidente. Le scosse di assestamento arrivarono ovunque, in particolare alla periferia dell’Occidente: l’America Latina. Tradizionalmente riformisti, parlamentari e piccolo-borghesi, molti burocrati comunisti del continente – una volta scartati dall’improvviso ritiro sovietico – si riciclarono in ONG finanziate da Washington, sostenendo i diritti umani, la democrazia e il femminismo. Era il momento in cui Mosca, sprofondata nella sua crisi di legittimità, aveva abbandonato l’arena internazionale apparentemente per sempre. Ma il vuoto professionale doveva essere colmato in un modo o nell’altro: così un giorno, per necessità, il marxismo scolastico ha lasciato il posto al postmodernismo scialbo nei salotti ufficiali e nel mondo accademico. Il periodo in questione coincide grosso modo con la fine delle dittature neoliberali in Sudamerica, in particolare in Cile, il cui ritorno alla democrazia è stato segnato da ondate di protesta sociale simili a maratone nella seconda metà degli anni Ottanta.

Ora si va avanti di trent’anni

Generazioni dopo la scomparsa di Pinochet, il Cile ha riproposto un ciclo simile di insurrezione popolare proprio alla vigilia dell’esplosione del COVID-19: città invase da quasi due milioni di manifestanti, alcuni dei quali muniti di molotov e fervore luddista. Fino a quel momento, le sedie musicali elettorali erano state divise tra socialdemocratici dalla parlantina pulita e neoliberali draconiani, anche se l’economia trickle-down rimaneva sempre la stessa. Era un gioco di conchiglie giocato in successione da volpi e leoni di Pareto, “sinistra” e “destra” sul modello americano. Tutto questo mentre l’economia cilena, che mescola il PIL della Finlandia e il GINI del Lesotho, trascinava un arretrato di disperazione tra il precariato. Alla fine, la Rivoluzione colorata cilena del 2019 portò a un duplice processo. Da un lato, ha facilitato la futura vittoria presidenziale di un’alleanza di sinistra a metà, formata sia da progressisti di professione che da comunisti di pura razza.

Dall’altro lato, la mobilitazione di strada ha dato vita a un’Assemblea costituzionale, originariamente prevista dall’establishment come valvola di sicurezza per mitigare la volatilità dei cittadini. Tuttavia, come si è visto, l’Assemblea ha acquisito una logica propria e ha fatto avanzare la bozza di una nuova Costituzione che assomiglia a un mosaico multiculturalista – anche se, bisogna ammetterlo, i diritti dei lavoratori hanno ottenuto un residuo riconoscimento nelle sue ultime deliberazioni. Attualmente, l’Assemblea Costituzionale e la nuova amministrazione rappresentata da Boric, anch’egli ex leader studentesco, sembrano poco sincronizzate, in parte perché quest’ultima, scrollandosi di dosso le promesse della campagna elettorale, ha abbracciato l’austerità di bilancio e le misure deflazionistiche. In effetti, a un mese dall’investitura del Presidente Boric, la consueta luna di miele tra elettorato e nuovo gabinetto lascia presagire un divorzio burrascoso.

La causa è semplice. Il Cile detiene virtualmente il monopolio dell’estrazione del rame a livello mondiale, anche se lo Stato non riesce – a causa di accordi geopolitici che risalgono alla Dittatura – a catturare la rendita generata dal proprio sottosuolo. Per questo motivo, l’imposizione fiscale si riversa sulle masse lavoratrici, i cui risparmi per la pensione finiscono anch’essi sequestrati da portafogli Ponzi imposti dalla legge che finiscono nel labirinto dei broker finanziari americani – i famigerati Amministratori di Fondi Pensione (PFA).

Durante le recenti quarantene, i sussidi pubblici per i disoccupati sono stati così esigui che la gente ha chiesto di incassare i registri delle pensioni, da cui è scaturito un braccio di ferro tra i PFA e la loro clientela anziana e prigioniera. Presumibilmente, gli investimenti sono così illiquidi e opachi da rasentare la letterale inesistenza. Tuttavia, l’attuale amministrazione progressista-comunista, “rosa-rossa”, si è schierata fortemente con la lobby finanziaria locale, legata a doppio filo con Wall Street. Così, l’elettorato di sinistra di Boric oscilla tra lo stupore e la rabbia, rispondendo al tradimento percepito con la minaccia di una defenestrazione politica. Il buon senso suggerisce che, ancora una volta, la ribellione popolare cova sotto di sé. Ma questa volta sarà peggiore, poiché il governo non ha nessuno a sinistra, nessun antagonista formale con cui confrontarsi, appellarsi o negoziare, se non una folla amorfa, marea, per lo più giovanile, che affolla le barricate e i picchetti onnipresenti. Naturalmente, un nemico istituzionale può diventare un alleato fedele, e quindi una fonte di legittimazione. Purtroppo, questa non è più un’opzione. Invece, l’agenda multiculturale del signor Boric pretende di placare la penuria materiale e il rancore sociale invocando e propagandando il mantra dei diritti sessuali, dell’ambientalismo da boutique e della riabilitazione delle minoranze. Ma forse l’impresa è piuttosto stucchevole e la sua attualità abbastanza passata. Perché? Perché l’Assemblea Costituzionale, che corre in parallelo con obliqua complicità, si è già appropriata di tutti questi temi. Tutto sommato, il Cile è una barzelletta politica per ora senza finale.

Antinomie andine

L’anno scorso, dopo essere arrivato in testa al ballottaggio presidenziale, il maestro di scuola rurale con il cappello da cowboy Pedro Castillo, alias El Profesor, ha dovuto improvvisare un patto con la rappresentante della sinistra accademica, l’antropologa Verónika Toledo, per affrontare l’imminente ballottaggio elettorale. Alla fine Castillo ha vinto, ma non prima di aver subito un calvario giudiziario volto a inficiare il numero dei suoi voti, suffragi concentrati soprattutto nel retroterra indigeno.

Benché sostenuto dal partito leninista Perú Libre, Castillo è rimasto un classico populista della varietà latina, orientato verso i contadini e con un radicato ethos cattolico. Inutile dire che questo profilo metteva in imbarazzo i suoi alleati progressisti a Lima. La sinistra urbana istruita disapprovava la maggior parte del programma di Castillo e guardava con sospetto anche al suo stesso personaggio politico, rustico e moralista. Peggio ancora, l’iperbolica fraseologia da “ritorno alla terra” di El Profesor non si sposava, tra l’altro, con lo slancio pro-aborto della cricca accademica di Toledo. Il socialismo-familismo strideva con le orecchie del conformismo di sinistra. Ma dovrebbero saperlo bene.

Le famiglie contadine sono state duramente decimate dall’eugenetica neoliberale durante il regime autoritario di Fujimori (1990-2000), che ha perpetrato sterilizzazioni disinformate e non consensuali su decine di migliaia di donne indigene. La crociata di depopolamento, sponsorizzata e finanziata sia dalla NED che da enti di beneficenza ufficiali giapponesi (lo stesso Fujimori è nato in Giappone), ha traumatizzato profondamente le giovani donne, il cui ambiente nativo apprezza molto la gravidanza e il parto.

Paradossalmente, questa politica punitiva di pianificazione familiare è stata attuata in un Paese a bassissima densità demografica, il che solleva sospetti sul reale scopo di una simile iniziativa.

Tuttavia, la riduzione dei tassi di natalità è attualmente perseguita dalla lista della lavanderia abortista, a partire dall’epurazione postmoderna del cosiddetto patriarcato e della mascolinità operaia: prima il bastone, poi la carota… In realtà, fino a poco tempo fa, il blocco di governo peruviano ha avuto una traiettoria accidentata ed erratica, e sembra improbabile che la chimerica coabitazione tra populisti di campagna e mezza tacca universitaria possa funzionare comunque. Per cominciare, il ministro delle Finanze appartiene all’entourage liberale di Verónica Toledo, da cui deriva la continuità del capitalismo delle materie prime.

Tango e contanti

Dopo una tortuosa incubazione, il dissenso proletario in America Latina ha raggiunto l’apice intorno al primo decennio del XX secolo, una congiuntura che ha inaugurato la moderna politica di classe a sud del Rio Grande. Il famoso Sciopero di Cananea in Messico e lo Sciopero Generale in Argentina, entrambi avvenuti all’inizio degli anni Novanta, segnano l’ascesa politica della fabbrica sottoproletaria, protagonista di ardue lotte sociali culminate rispettivamente negli esperimenti redistributivi di Cárdenas e Perón. Per quanto riguarda quest’ultimo processo, l’Argentina stessa, nonostante l’ingente immigrazione transatlantica riversatasi sulle sue coste, non ha mai sviluppato partiti di massa marxisti di stampo europeo, come invece è avvenuto nel vicino Cile. Al contrario, il fascismo paternalistico e plebeo dell’Argentina sotto il generale Perón (1945-1955) servì da surrogato e da catalizzatore per la contestazione della classe operaia negli anni a venire. Fino ad oggi, l’epoca di Perón ha rappresentato in modo vivido l’età dell’oro dell’industrializzazione sostitutiva delle importazioni e del sindacalismo verticale.

Una volta sconfitto da una giunta militare di destra, il peronismo confluì presto nel guevarismo, formando una sottocultura di carisma macho rivoluzionario, che in seguito si evolse verso la guerriglia urbana. Questo contesto emergente indusse i partiti marxisti convenzionali all’introversione riformista. Il tropismo era così intenso che il Partito Comunista locale si alleò con i conservatori terrieri e sostenne persino brevemente la dittatura del generale Videla durante gli anni Settanta. Nel frattempo, il peronismo rivoluzionario degenerò in una serie di gruppuscoli putschisti, i cui militanti furono a loro volta massacrati dagli scagnozzi della Giunta. Durante questo periodo di effervescenza, la sinistra rivoluzionaria coltivò una prassi nativista e sacrificale. Pertanto, solo con il ritorno dei governi civili i movimenti anticapitalisti hanno acquisito un senso di vittimismo e passività. Certo, questo è stato possibile solo grazie all’installazione dell’ideologia-discorso sui diritti umani, il cui epicentro è stato l’amministrazione Carter. Da qui la tragica ironia: i repressori militari argentini hanno ricevuto istruzioni da Fort Benning e dal Pentagono, mentre le loro vittime sono state assistite e sermoneggiate dai missionari laici delle ONG americane.

Contemporaneamente, la crisi di default messicana del 1982 – originariamente causata dal colpo di mano di Volcker sui tassi di interesse – ha innescato il cortocircuito finale del paradigma keynesiano-fordista in America Latina. Decisamente, questa inflessione ha aperto la cupa bonanza dei programmi di aggiustamento strutturale (SAP) del FMI, che hanno intaccato il vigore economico della maggior parte dei Paesi dell’emisfero. A questo proposito, il debito estero dell’Argentina costituisce una lezione trasparente. La Repubblica del Sud ha mostrato una relativa solvibilità fino al 1976, anno in cui la Dittatura ha sestuplicato il livello di debito precedente. Da allora, i numeri rossi sono saliti alle stelle, sottoponendo i contribuenti argentini a un cronico peonaggio del debito di fronte ai creditori internazionali. Col senno di poi, ci si potrebbe chiedere se l’ideologia dei diritti umani – e in seguito il multiculturalismo e i suoi tropi concomitanti – sia stata solo una consolazione machiavellica, un trucco per addomesticare, neutralizzare e depoliticizzare la società civile, in particolare le organizzazioni dei lavoratori.

Se vogliamo chiarire le cose, è necessaria una vignetta giornalistica. A metà del 2002, l’obbligazionista avvoltoio Paul Singer ha fatto causa a Buenos Aires per inadempienza del debito sovrano, riuscendo così a sequestrare legalmente la nave scuola argentina attraccata al largo del Ghana, con un equipaggio di 22 giovani marinai. Si è trattato di un riscatto virtuale imposto da lontano, in seguito all’ordine di disarmo di un tribunale del New Jersey, il cui effetto extraterritoriale appare oggi discutibile. Ma il ricatto ha avuto successo e l’investitore attivista Singer ha finalmente spremuto 2,4 miliardi di dollari dal Tesoro argentino, quattro volte il suo investimento iniziale. Nel frattempo, i dibattiti parlamentari a Buenos Aires sono stati dominati dalle guerre culturali, dai presunti diritti degli omosessuali o da altre controversie del momento, per cui solo voci marginali hanno discusso il nodo dell’odioso debito.

Curiosamente, lo stesso Singer è un gigantesco finanziatore dei diritti degli omosessuali su scala globale, un’impresa caritatevole che potrebbe non essere così disinteressata come si dice.

Riflettendoci, si nota gradualmente uno schema. Come già osservato, la retorica dei diritti umani e del multiculturalismo rafforza l’inerzia della disciplina del debito e dell’estrattivismo economico, una volta che gli attori politici dell’America Latina sono diventati vittime istituzionalizzate che chiedono ospitalità. Non si può cambiare questo corso delle cose se non si sfida l’egemonia liberale nella cultura e non la si riduce alla banalità che comporta. La nuova sinistra postmoderna in America Latina, innestata artificialmente su una ricca tradizione populista, di cui la prima parassita astutamente la memoria, può solo portare disillusione e anomia. Gli esempi in tal senso abbondano.

Cavalli di Troia

Ad oggi, appare chiaro che il capitalismo atlantico ha scelto la sinistra progressista come percorso agevole per controllare il suo tradizionale cortile geostrategico di materie prime. In effetti, la sinistra socio-liberale, priva di qualsiasi allusione proletaria, si presenta come un perfetto cavallo di Troia per portare avanti l’agenda globalista nella sua nuova incarnazione estrattivista. I recenti sviluppi confermano questi sospetti. Petro, ex guerrigliero convertito in sicofante clintoniano, ha riaffermato il ruolo della Colombia all’interno della NATO e ha esteso la virtuale occupazione militare americana del Paese caraibico, con decine di basi finanziate dal Pentagono. Nel frattempo, Boric in Cile ha accelerato l’approvazione del Partenariato Trans-Pacifico (TPP11), un’iniziativa precedentemente scaricata da Trump ma ora guidata dalla diplomazia di Biden. È interessante notare che una sinistra più tradizionale, nata da veri e propri processi rivoluzionari in Messico (1910), Cuba (1959) e Nicaragua (1979), mantiene ancora uno slancio antiglobalista. Il Brasile di Lula è un esempio per il futuro del populismo di sinistra nel continente. Il Partito dei Lavoratori (PT) brasiliano deriva dal sindacalismo cristiano e dalle cooperative contadine. Per questo motivo, la sua ideologia tendeva a esprimersi in termini nazionalistici, comunitari e sviluppisti. Tuttavia, finora il primo governo di Lula è stato ancora un esperimento neoliberale con una patina di ridistribuzione inflazionistica. Non c’è da stupirsi che i ministri delle finanze e i controllori delle banche centrali di Lula provengano sempre dalla porta girevole del FMI-GoldmanSachs.

Tuttavia, grazie al suo peso demografico, il Brasile vanta un mercato interno che consente una borghesia nazionale minimalista, che aspira a consolidare il proprio posto all’interno del blocco BRIC. Da qui la posizione neutralista di Bolsonaro nei confronti della Russia, da cui il Brasile ottiene la maggior parte dei fertilizzanti per la soia che alimenta la Cina. Attualmente, Lula può abbracciare o meno il progetto BRIC. Il bivio è tra l’economia reale e quella finanziaria: il motore della crescita del Brasile dipende dalla domanda cinese di colture, mentre i meccanismi anglo-atlantici del debito in dollari incatenano ancora il Brasile alla subordinazione emisferica.

Inutile dire che la politica internazionale è più di un semplice riflesso degli affari interni, quindi la prevista extraterritorializzazione e denazionalizzazione del bacino di Amazonas, con il pretesto della gestione ambientale globale, sarà un momento decisivo per il nuovo governo di Lula. Un altro punto in discussione è il futuro ruolo di Petrobras, l’impresa pubblica petrolifera continuamente penalizzata da vicende di clientelismo e corruzione. L’autosufficienza energetica è cruciale per lo sviluppo nazionale, dato che il Brasile è un esportatore netto di petrolio greggio, anche se i prezzi locali per i consumatori nazionali sono molto alti. In questo momento, si spera solo che Lula possa avvicinarsi a una sorta di nazionalismo delle risorse economiche, rafforzando la diplomazia neutralista dei BRIC.

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/il-riflusso-rosa-o-di-come-lamerica-latina-ha-perso-la-sua-sinistra

Traduzione di Costantino Ceoldo

Come il dollaro forte accresce la fame in Africa

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di Samuel Obedgiu

Al culmine della caduta del sistema monetario di Bretton Woods, ormai defunto, l’ex segretario al Tesoro del presidente americano Richard Nixon, John Connally, disse: “Il dollaro è la nostra moneta, ma è un vostro problema”. L’attuale rafforzamento del dollaro ha reso questa affermazione di nuovo attuale, manifestandosi con l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari.

In soli sei mesi, il dollaro americano si è rafforzato rispetto a molte delle principali valute. Ma proprio mentre il dollaro mostra quanto può diventare forte, l’inflazione è in aumento e sta devastando il continente. L’indice dei prezzi al consumo (CPI) dell’Uganda per settembre 2022 indica che abbiamo finalmente raggiunto un’inflazione a due cifre.

In Kenya, l’Associazione dei produttori ha dichiarato a giugno di quest’anno che gli importatori in Kenya e in tutta l’Africa orientale stanno lottando per importare materie prime perché non possono accedere ai dollari al tasso ufficiale (116 scellini) per elaborare le importazioni. Se ben ricordate, in Uganda un sacco di cemento ha raggiunto i 40.000 scellini da 25.000 scellini. Il motivo? Le materie prime per la lavorazione del cemento sono diventate costose.

Molti hanno attribuito l’aumento dei prezzi delle materie prime all’imperversare della guerra tra Russia e Ucraina. Non sono del tutto d’accordo. Abbiamo iniziato a sentire l’impatto dell’aumento dei prezzi già nel novembre 2021, molto prima della guerra. Semmai, la guerra tra Russia e Ucraina ha solo peggiorato il dolore, ma non l’ha certamente causato.

A causa del dollaro forte, il consiglio di amministrazione dell’Autorità di regolamentazione per l’energia elettrica ha presentato una proposta che consente di trasferire ai consumatori finali i crescenti costi di produzione derivanti dalle fluttuazioni del tasso di cambio, dall’inflazione e dai prezzi del carburante. Il tasso di cambio del dollaro è il fattore più importante nel calcolo della tariffa elettrica in Uganda. Perché? Gli investimenti nel settore elettrico e le operazioni sono valutati in dollari.

Nel 2010, un rapporto delle Nazioni Unite ha chiesto di abbandonare il dollaro come principale valuta di riserva e di scambio globale. “Il dollaro ha dimostrato di non essere una riserva di valore stabile, requisito necessario per una valuta di riserva stabile”, si legge nel World Economic and Social Survey 2010 delle Nazioni Unite. Questo rapporto è stato pubblicato all’apice della crisi finanziaria globale del 2008, quando la banca centrale statunitense stava intraprendendo la sua politica economica non convenzionale di quantitative easing.

In parole povere, il Quantitative Easing aumenta l’offerta di moneta dal nulla per risolvere un problema.  È bene ricordare che durante il Quantitative Easing (QE2) del 2010, i prezzi dei generi alimentari a livello mondiale sono aumentati del 60%, creando un disastro umanitario per i 2 miliardi di persone che vivono con meno di 2 dollari al giorno a causa del rafforzamento del dollaro (fonte “Dollar crisis” Richard Duncan, ex consulente dell’FMI e della Banca Mondiale). Con il senno di poi, non dovrebbe sorprendere che la causa principale della primavera araba del 2011 sia stata l’aumento dei prezzi del grano che ha creato instabilità politica in Nord Africa.

Il motivo per cui un dollaro forte può creare scompiglio in Uganda è che l’80% del commercio globale è denominato in dollari. Il rafforzamento del dollaro rispetto allo scellino è problematico perché l’Uganda è un importatore netto di beni fondamentali. Quando le materie prime globali sono prezzate in dollari e questi dollari diventano più costosi per gli importatori rispetto al passato, ci vorranno più scellini per acquistare la stessa quantità di merci, con conseguente inflazione da esportazione.

In tempi di incertezza, la gente vede il dollaro come un porto sicuro, perché molti lo richiedono, il che ne aumenta il valore. Questo, a sua volta, fa aumentare il valore del debito in dollari africani. Il denaro che i governi avrebbero speso per la produzione alimentare viene sempre più destinato al rimborso del debito.

La soluzione a lungo termine a questa crisi è che i diritti speciali di prelievo del Fondo Monetario Internazionale dovrebbero avere un ruolo maggiore nella finanza globale come valuta neutrale di riserva e di scambio. È difficile per la Banca Centrale Americana bilanciare le proprie esigenze di politica interna con quelle dell’economia globale. Non c’è da stupirsi che un recente rapporto delle Nazioni Unite abbia chiesto alla banca centrale americana di smettere di aumentare i tassi di interesse.

Già nel 1944, durante le conferenze di Bretton Woods, l’economista John M. Keynes aveva sostenuto la necessità di un “bancor” come valuta di riserva neutrale. Ma gli americani rifiutarono questa idea. Il sistema monetario globale malato deve essere riformato.

Traduzione a cura di Costantino Ceoldo

Foto: Idee&Azione Fonte: https://www.ideeazione.com/come-il-dollaro-forte-accresce-la-fame-in-africa/ 25 ottobre 2022

Il crescente pericolo della limitata guerra al rallentatore di Putin

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di Paul Craig Roberts

Consideriamo il conflitto che sembra delinearsi. L’offensiva russa è in stand-by, poiché il Cremlino è entrato in guerra senza soldati sufficienti e senza riserve. Questo ha fatto passare l’iniziativa all’Ucraina, fortificata con armi occidentali.

L’Ucraina ha lanciato due offensive. Quella a sud è fallita. L’Ucraina ha subito pesanti perdite in termini di soldati ed equipaggiamento. Quella a nord è riuscita a costringere i russi a ritirarsi, ma a caro prezzo per le forze ucraine, non per quelle russe.

Tra un mese si schiereranno i 300.000 soldati russi chiamati dal Cremlino. Se questi soldati sono ben addestrati, equipaggiati e motivati, le forze ucraine, ridotte al lumicino da offensive infruttuose, saranno probabilmente sopraffatte, anche se Putin continuerà a comportarsi come un buono a nulla, facendo poco per impedire la capacità di Kiev di condurre una guerra.

Di fronte alla sconfitta dell’Ucraina, cosa farà Washington? 

Avrà organizzato una “coalizione dei volenterosi”, come suggerisce il generale David Petraeus, e porterà “gli stivali sul terreno” in soccorso dell’Ucraina?

Prendiamo sul serio le dichiarazioni del generale John Lubas, vice comandante della 101 Divisione aviotrasportata degli Stati Uniti, secondo cui le sue forze si trovano in uno “schieramento di combattimento” a 3 miglia dal confine con l’Ucraina e sono “pienamente pronte” ad attraversare l’Ucraina in un momento di preavviso per combattere contro la Russia?

https://www.paulcraigroberts.org/2022/10/26/us-101-airborne-division-on-combat-deployment-3-miles-from-ukraine-border/

Cosa succede se lo fanno? Normalmente, le truppe aviotrasportate non dispongono delle armi pesanti della fanteria. La divisione aviotrasportata, leggermente armata, potrebbe essere fatta a pezzi dalle armi pesanti della fanteria pesante russa.

Se così fosse, come reagirebbe Washington a una tale sconfitta e alla perdita di una divisione così prestigiosa come quella delle “Aquile urlanti”?

Sappiamo tutti che il risultato sarebbe un’escalation da parte di Washington.

Quindi, dove è diretta l’“operazione militare limitata” di Putin? L’Armageddon sembra la destinazione certa. Se mai un conflitto ha avuto bisogno di essere concluso in modo rapido e deciso, è stato l’intervento della Russia nel Donbass. Cercando di limitare il conflitto, Putin lo ha notevolmente ampliato.

Consideriamo altri pericoli che la situazione presenta:

  • Una bomba sporca sotto falsa bandiera che i giornalisti occidentali attribuiranno alla Russia, suscitando così più indignazione a sostegno di un’ulteriore guerra contro la Russia.
  • L’Ucraina che distrugge una diga che allaga Kherson e la Russia che risponde distruggendo una diga le cui acque liberate consegnano gran parte dell’Ucraina nelle mani dei russi.
  • Una nuova e più pericolosa “variante Covid”, come quella sviluppata dall’Università di Boston, che appare improvvisamente tra le truppe russe, rendendole inefficaci.

Nonostante tutte le prove, il Cremlino sembra avere ancora aspettative ingenue. Il Cremlino ha scoperto la capacità dell’Ucraina di produrre una bomba sporca e ha allertato l’Occidente, chiedendo alle Nazioni Unite un’indagine. La risposta di Washington è stata quella di accusare la Russia di aver prodotto una bomba sporca da usare in un’operazione sotto bandiera falsa per giustificare una sua escalation bellica. Sembra che ci sarà una bomba sporca di cui verrà incolpata la Russia e che verrà usata per indurre l’opposizione a qualsiasi risultato favorevole a Mosca.

Inoltre, i media finlandesi riferiscono che il governo non pone limiti alla presenza della NATO in Finlandia, comprese le armi nucleari. È chiaro che la Russia non può accettare armi nucleari dispiegate in Finlandia.

Si noti che nessuno in Occidente sta facendo alcuno sforzo per la de-escalation del conflitto. Tutti i movimenti vanno verso l’escalation. Per impedire alla Russia di reincorporare un territorio che è storicamente russo, ci sarà un’escalation fino alla guerra nucleare, che significa l’estinzione della vita sulla Terra.

https://www.paulcraigroberts.org/2022/10/24/fred-reed-indicates-what-nuclear-war-would-be-like-but-steven-starrs-comment-better-describes-the-death-of-the-planet/

L’inizio della fine dei tempi è stato nel 2014, quando Washington ha rovesciato il governo ucraino eletto e ha installato un governo fantoccio anti-russo. Il Cremlino si è lasciato sfuggire l’opportunità di prevenire il conflitto iniziato nel Donbass, rifiutando la richiesta del Donbass di essere reincorporato nella Russia come con la Crimea. La Russia ha poi aspettato 8 anni mentre un esercito ucraino veniva addestrato ed equipaggiato ed era pronto a rovesciare le repubbliche del Donbass. Quando il Cremlino è dovuto intervenire, lo ha fatto in modo limitato e inefficace, dando all’Occidente tutto il tempo necessario per ampliare la guerra, mettendo in ridicolo la dichiarazione di Putin di “operazione militare limitata”.

Ciò che si richiedeva alla Russia era una drammatica dimostrazione di forza e l’immediata fine del conflitto, ma il Cremlino non ha capito la situazione e ha fatto un passo falso mettendo l’iniziativa nelle mani di Washington, il che ha portato a una guerra sempre più estesa che nessuno dei governi occidentali mostra il desiderio di fermare.

La strada verso l’Armageddon sembra essere libera e completamente aperta.

Ci si lamenta del riscaldamento globale, ignorando la minaccia dell’inverno nucleare.  Nessuna discussione o riconoscimento di questa minaccia. Nessun movimento per la pace. Nessuna voce che richiama l’attenzione sull’estinzione dell’umanità che stiamo affrontando. Invece, riceviamo rassicurazioni sul fatto che i militari statunitensi e russi non permetteranno una guerra nucleare. Su cosa si basano queste rassicurazioni? Certamente non sulle dottrine di guerra dei due Paesi. I ministeri della Difesa statunitense e russo non hanno fatto alcuna dichiarazione congiunta di non voler intraprendere una guerra nucleare. Se la guerra nucleare non è sul tavolo, qual è lo scopo della modernizzazione delle forze nucleari da mille miliardi di dollari del Presidente Obama?

Traduzione a cura di Costantino Ceoldo

Foto: Geopolitika.ru

29 ottobre 2022 Fonte: https://www.ideeazione.com/il-crescente-pericolo-della-limitata-guerra-al-rallentatore-di-putin/

L’anti-utopia di Klaus Schwab

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Le idee proposte dal presidente del World Economic Forum, Klaus Schwab, nel suo libro “La quarta rivoluzione industriale” (4IR) sono già state molto criticate per diversi motivi. Eppure, per alcune persone che non si identificano come sostenitori della globalizzazione, sembrano piuttosto attraenti. Dopo tutto, Schwab sostiene che l’innovazione digitale cambierà in meglio la vita, il lavoro e il tempo libero delle persone. Tecnologie come l’intelligenza artificiale e la robotica, il cloud computing quantistico e la blockchain fanno già parte della vita quotidiana. Utilizziamo telefoni cellulari e app, tecnologie intelligenti e l’Internet degli oggetti. Rispetto alle precedenti rivoluzioni industriali, sostiene Klaus, la 4IR si sta evolvendo a un ritmo esponenziale, riorganizzando i sistemi di produzione, gestione e governance in modi senza precedenti.

Tuttavia, un’analisi obiettiva delle ragioni di Klaus Schwab mostra che egli è in parte in errore e che la sua posizione è generalmente guidata dall’interesse di esercitare il controllo sulla società e di gestire il capitale che sta acquisendo nuove proprietà.

Tra i critici del concetto di 4IR c’è Nanjala Nyabola, che nel suo libro Digital Democracy, Analogue Politics analizza la narrazione con cui Schwab ha dato forma alla sua ideologia.

L’autrice sostiene che il concetto di 4IR viene utilizzato dalle élite globali per distogliere l’attenzione dalle cause della disuguaglianza e per facilitare i processi in corso di espropriazione, sfruttamento ed esclusione. Nyabola osserva astutamente che “il vero fascino di questa idea è che è apolitica. Possiamo parlare di sviluppo e progresso senza ricorrere a lotte di potere”.

La controreplica dell’Africa, dove Nyabola vive, non è casuale, dal momento che questa regione, insieme all’Asia e all’America Latina, è vista dai globalisti come favorevole a nuovi interventi sotto le vesti di assistenza tecnologica e 4IR. Dopotutto, l’evidenza suggerisce che la diffusione della tecnologia digitale è stata altamente disomogenea, guidata da innovazioni tecnologiche più antiche e utilizzata per riprodurre piuttosto che trasformare le disuguaglianze sociali.

Lo storico Ian Moll va oltre e si chiede se l’attuale innovazione tecnologica digitale rappresenti la 4IR in quanto tale.

Egli osserva che esiste un’interpretazione egemonica della 4IR che dipinge il rapido sviluppo tecnologico come una nuova e audace rivoluzione industriale. Tuttavia, non c’è alcuna prova di una simile rivoluzione nella totalità delle istituzioni sociali, politiche, culturali ed economiche, sia a livello locale che globale; di conseguenza, occorre prestare attenzione a come questa struttura ideologica funzioni per promuovere gli interessi delle élite sociali ed economiche di tutto il mondo.

Jan Moll sostiene che la cornice della “quarta rivoluzione industriale” rafforza il neoliberismo contingente del periodo successivo al consenso di Washington e serve quindi a nascondere il continuo declino dell’ordine mondiale globalizzato con una narrazione del “nuovo mondo coraggioso”. Schwab ha semplicemente compiuto una sorta di colpo di Stato ideologico con un insieme di metafore che narrano una rivoluzione immaginaria.

Allison Gillwald lo definisce “uno degli strumenti di lobbying e di influenza politica di maggior successo del nostro tempo… Mobilitandosi intorno all’incontro annuale d’élite di Davos, i progetti politici del WEF sulla 4IR colmano un vuoto per molti Paesi che non hanno investito pubblicamente in ciò che desiderano per il proprio futuro… Con visioni di prosperità globale, confezionate con convinzione futurista e previsioni economiche fantastiche di crescita esponenziale e creazione di posti di lavoro, sembrano fornire una tabella di marcia pronta in un futuro incerto. Ma la cautela è d’obbligo. Anche uno sguardo superficiale alle precedenti rivoluzioni industriali mostrerà che non sono state associate agli interessi delle classi lavoratrici o subalterne. Questo nonostante i benefici più ampi che la società ha tratto dall’introduzione del vapore, dell’elettricità e della digitalizzazione. Piuttosto, sono associate al progresso del capitalismo, attraverso la ‘grande’ tecnologia del momento”.

Anche in questo caso le nuove tecnologie lavoreranno per gli interessi dei capitalisti smanettoni, non per le società.

Moll scrive che il concetto di 4IR sembra convincente perché agisce come una sorta di formula:

  1. Elencare da 7 a 15 tecnologie, per lo più digitali, che sembrano intelligenti, ci fanno sentire obsoleti e ci ispirano soggezione per il futuro. Anche se non sono innovazioni del XXI secolo, dichiaratele come tali.
  2. Dichiarate che c’è un’incredibile convergenza senza precedenti tra queste tecnologie.
  3. Assumete che porteranno a cambiamenti che sconvolgeranno e trasformeranno ogni parte della nostra vita.
  4. Fare appello a ciascuna delle precedenti rivoluzioni industriali come modello per quella attuale.
  5. Indicate una o due delle principali tecnologie o fonti di energia delle precedenti rivoluzioni industriali. I suggerimenti provati sono il motore a vapore per la 1IR; il motore a combustione interna e/o l’elettricità per la 2IR; i computer e/o l’energia nucleare per la 3IR (avrete citato Internet al punto I, quindi evitatelo qui).

In questo modo, Schwab inculca in modo discreto la correttezza del concetto generale. Così facendo, “Schwab sfrutta con successo la nostra razionalità tecnologica interna. Proclama la velocità, le dimensioni e la portata senza precedenti della 4IR. Il tasso di cambiamento, dice, è esponenziale piuttosto che lineare; l’integrazione di più tecnologie è più ampia e profonda che mai; e l’impatto sistemico è ora totale, comprendendo tutta la società e l’economia globale. Per questo sostiene che ‘interruzione e innovazione […] si stanno verificando più velocemente che mai’”.

Allo stesso tempo, Schwab rifiuta gran parte della nostra esperienza storica in materia. Scrive di essere “ben consapevole che alcuni studiosi e professionisti considerano gli eventi che sto esaminando semplicemente come parte della terza rivoluzione industriale”.

Ma Moll propone di esaminare alcune delle conoscenze degli esperti che egli ignora. Ecco due esempi. Si tratta dei contributi del sociologo spagnolo Manuel Castells, che ha sottolineato come il ruolo critico delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione in rete sia “un’arma a doppio taglio”: alcuni Paesi stanno accelerando la crescita economica adottando sistemi economici digitali, ma quelli che falliscono stanno diventando sempre più marginali: “il loro ritardo sta diventando cumulativo”. Castells scrive ampiamente su quella che chiama “l’altra faccia dell’era dell’informazione: la disuguaglianza, la povertà, la miseria e l’esclusione sociale”, tutte eredità crescenti dell’economia dell’informazione globalizzata.

A differenza di Schwab, Castells non ha cercato di ideologizzare o politicizzare i dati sociologici. E la sua ricerca empirica non suggerisce una fondamentale trasformazione digitale della società nell’era moderna.

Un altro esperto che Schwab ignora è Jeremy Rifkin. Nel 2016, quando Schwab propose il suo concetto di 4IR, Rifkin stava già facendo ricerche sui luoghi di lavoro in cui la robotica aveva assunto ruoli strategici e manageriali nella produzione economica. C’è un notevole divario tra gli autori. Rifkin non crede che i cambiamenti drammatici associati alle tecnologie informatiche costituiscano una 4IR.

Nel 2016, Rifkin ha sostenuto che il WEF ha fatto “cilecca” con il suo intervento sotto l’apparenza di 4IR. Ha contestato l’affermazione di Schwab secondo cui la fusione di sistemi fisici, processi biologici e tecnologie digitali è un fenomeno qualitativamente nuovo:

La natura stessa della digitalizzazione […] sta nella sua capacità di ridurre le comunicazioni, i sistemi visivi, uditivi, fisici e biologici, a pura informazione, che può poi essere riorganizzata in vaste reti interattive che operano in molti modi come ecosistemi complessi. In altre parole, è la natura interconnessa delle tecnologie di digitalizzazione che ci permette di trascendere i confini e di “sfumare le linee tra i regni fisico, digitale e biologico”. Il principio operativo della digitalizzazione è “interconnessione e rete”. Questo è ciò che la digitalizzazione sta facendo con crescente sofisticazione da diversi decenni. È ciò che definisce l’architettura stessa della Terza rivoluzione industriale.

Uno studio delle “tecnologie” spesso annunciate come innovazioni convergenti chiave della 4IR – l’intelligenza artificiale, l’apprendimento automatico, la robotica e l’Internet degli oggetti – dimostra che non sono all’altezza della pretesa di una “rivoluzione” tecnologica moderna.

Moll conclude che la 4IR di Schwab non è altro che un mito. Il contesto sociale del mondo è ancora lo stesso della 3IR e si prevedono pochi cambiamenti. Non c’è nulla di simile a un’altra rivoluzione industriale dopo la terza. Il nuovo mondo di Schwab semplicemente non esiste.

Dopo tutto, le rivoluzioni non sono caratterizzate solo da cambiamenti tecnologici. Piuttosto, sono guidate da trasformazioni nel processo lavorativo, da cambiamenti fondamentali negli atteggiamenti sul posto di lavoro, da cambiamenti nelle relazioni sociali e da una ristrutturazione socioeconomica globale.

Naturalmente, le innovazioni tecnologiche possono essere positive per i lavoratori e per la società nel suo complesso. Possono ridurre la necessità di svolgere lavori pesanti, migliorare le condizioni e liberare più tempo per le persone che si dedicano ad altre attività significative.

Ma il problema è che i frutti dell’innovazione tecnologica sono monopolizzati da una classe capitalista globalizzata. Le stesse piattaforme di lavoro digitale sono finanziate per lo più da fondi di venture capital nel Nord globale, mentre le imprese vengono create nel Sud globale, senza che i fondi investano in attività, assumano dipendenti o paghino le tasse all’erario pubblico. Questo è solo un altro tentativo di catturare i mercati con una nuova tecnologia, approfittando della trasparenza delle frontiere, per fare profitto e non avere alcuna responsabilità.

Quindi la narrativa 4IR è più un’aspirazione che una realtà. Sono le aspirazioni di una classe ricca che anticipa la crisi del sistema economico occidentale e vuole trovare un porto sicuro in altre regioni. Ecco perché, data l’esperienza storica del capitalismo di tipo occidentale, il resto del mondo vede il 4IR come un’anti-utopia indesiderabile.

Fonte

Traduzione di Costantino Ceoldo

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/lanti-utopia-di-klaus-schwab

Gli effetti a cascata della guerra informatica

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di Leonid Savin

In questo articolo, affronteremo gli aspetti attuali della guerra informatica [“cyber”] condotta dagli Stati Uniti e dai Paesi della NATO contro la Russia. Naturalmente, il concetto stesso di “cyber” dovrebbe essere inteso nel senso tradizionale e platonico, dove “cybernet” è il sovrano. Di conseguenza, anche l’applicazione delle moderne tecnologie di comunicazione è una questione di dominio e controllo.

Il 10 marzo 2022 si è tenuta negli Stati Uniti un’altra conferenza giuridica del Cyber Command, per discutere una serie di aspetti legali e questioni di sicurezza nazionale.

Dato che l’operazione della Russia in Ucraina in quel momento era già in corso, il capo del Cyber Command, il generale Nakasone, non ha potuto fare a meno di menzionarla, osservando che:

“Il Cyber Command sta monitorando la prima linea digitale delle azioni russe in Ucraina… Il conflitto ucraino aumenta la probabilità che operazioni russe nel cyberspazio abbiano come obiettivo gli interessi degli Stati Uniti e degli alleati… La situazione in Ucraina ha rinvigorito le nostre alleanze e ha aumentato tra i nostri partner internazionali l’appetito per operazioni congiunte nel cyberspazio.”

Questa è un’ammissione aperta riguardo la struttura d’élite del Pentagono che lavora contro la Russia. Sembra che già dai primi giorni ci siano state, a Washington, alcune conclusioni.

Il tenente generale Charles Moore, che è il vice di Nakasone, ha spiegato che combinare le operazioni di informazione con le misure informatiche potrebbe dare agli Stati Uniti un vantaggio strategico sui futuri avversari:

“Senza dubbio, abbiamo appreso che le operazioni di attacco informatico, se combinate – più che altro un approccio globale – con quelle che tradizionalmente chiamiamo operazioni di informazione, sono uno strumento estremamente potente.”

Moore ha affermato che gli Stati Uniti dovrebbero adottare “una strategia volta a influenzare le percezioni degli avversari”.

Questo è un livello di guerra psicologica, cognitiva o mentale della guerra informatica.

Nel frattempo, Moore ha affermato che il comando ha le autorizzazioni necessarie per condurre operazioni quotidiane volte a impegnarsi continuamente con gli avversari nel cyberspazio per esporre le loro misure informatiche e costringerli a farne le spese:

“Stiamo dimostrando che possiamo operare in questo spazio al di sotto del livello di uso della forza – al di sotto di quello che considereremmo un conflitto armato – e difenderci meglio senza escalation” ha affermato ancora.

In altre parole, questo è il tipo di guerra ibrida a cui gli esperti della NATO hanno sempre fatto riferimento negli ultimi anni, poiché una delle sue caratteristiche è un livello al di sotto della soglia del tradizionale conflitto armato.

Sul lato pratico, bisogna guardare all’esercitazione informatica della NATO chiamata “Locked Shields”, che si è svolta dal 19 al 22 aprile presso il Centro di Sicurezza Informatica di Tallinn.

Secondo i funzionari, questa esercitazione annuale di difesa della rete in tempo reale offre ai partecipanti un’opportunità unica per esercitarsi nella protezione dei sistemi IT civili e militari nazionali e delle infrastrutture critiche e si svolge in un ambiente ad alta pressione, con una serie di sofisticati attacchi informatici a squadre. Le esercitazioni sono un’opportunità per praticare la cooperazione in caso di crisi tra unità civili e militari, nonché tra il settore pubblico e privato, poiché questi decisori tattici e strategici devono collaborare in caso di attacco informatico su larga scala.

Nello scenario di quest’anno, l’immaginaria nazione insulare di Berelia stava vivendo una situazione di sicurezza in deterioramento. Una serie di eventi ostili era coincisa con attacchi informatici coordinati ai principali sistemi informatici militari e civili.

Oltre a proteggere più sistemi cyber-fisici, le squadre coinvolte hanno praticato il processo decisionale tattico e strategico, la cooperazione e la subordinazione in una situazione di crisi in cui dovevano affrontare anche questioni giudiziarie e legali e rispondere alle sfide delle operazioni di informazione.

Le somiglianze con l’Ucraina sono evidenti.

Quest’anno, più di 2.000 partecipanti provenienti da 32 Paesi hanno partecipato a queste esercitazioni. Sono stati coinvolti circa 5.500 sistemi virtualizzati, oggetto di oltre 8.000 attacchi. Oltre a proteggere i sistemi IT complessi, le squadre partecipanti dovevano anche segnalare in modo efficace gli incidenti e occuparsi di operazioni forensi, legali, mediatiche e di guerra dell’informazione.

L’esercitazione è stata organizzata dalla NATO in collaborazione con Siemens, Taltech, Arctic Security e CR14. Il Centro ha riconosciuto anche gli elementi unici aggiunti a Locked Shields 2022 da Microsoft Corporation, Financial Services Information Sharing and Analysis Center (FS ISAC), SpaceIT, Fortinet.

Quindi possiamo vedere che la grande industria occidentale sta aiutando apertamente la NATO nella guerra informatica.

Dovremmo aggiungere che molti esperti di sicurezza informatica occidentali e funzionari ucraini hanno costantemente affermato che la Russia completerebbe le sue operazioni con un potente attacco informatico mirato alle infrastrutture critiche.

In generale, le pubblicazioni incentrate sull’esercito negli Stati Uniti diffondono continuamente informazioni su possibili nuovi attacchi informatici da parte della Russia contro infrastrutture critiche negli Stati Uniti e in altri Paesi occidentali.

Per inciso, alla vigilia dell’esercitazione, il Centro di Tallinn ha pubblicato un’altra monografia collettiva sulla sicurezza informatica, dedicata alle attribuzioni di attacchi informatici. Ha accusato la Russia di aver interferito nelle elezioni statunitensi e di aver lanciato un attacco informatico contro SolarWinds nel 2020.

E il 7 aprile è stata lanciata presso la sede della NATO una nuova iniziativa volta allo sviluppo di tecnologie critiche ed emergenti, il Defense Innovation Accelerator for the North Atlantic – DIANA.

DIANA dovrebbe riunire il personale della difesa con le migliori e più brillanti start-up dell’Alleanza, ricercatori accademici e società tecnologiche per affrontare le sfide critiche sulla difesa e la sicurezza. Gli innovatori che partecipano ai programmi DIANA avranno accesso a una rete di dozzine di siti di accelerazione e centri di test in più di 20 Paesi alleati. I leader della NATO hanno convenuto che DIANA avrà un ufficio regionale in Europa e Nord America. L’ufficio regionale europeo di DIANA è stato selezionato a seguito di un’offerta congiunta di Estonia e Regno Unito e il Canada sta valutando attivamente di ospitare un ufficio regionale nordamericano.

DIANA si concentrerà su tecnologie profonde e rivoluzionarie che la NATO ha identificato come priorità, tra cui: intelligenza artificiale, elaborazione di big data, tecnologie quantistiche, autonomia, biotecnologia, nuovi materiali e spazio.

Gli alleati hanno anche deciso di istituire un Fondo multinazionale per l’innovazione della NATO. Questo è il primo fondo a capitale di rischio multi-sovrano al mondo: investe 1 miliardo di euro in start-up in fase iniziale e altri fondi tecnologici profondi che corrispondono ai suoi obiettivi strategici.

Se guardate la mappa dei centri di questa iniziativa, si vede che sono concentrati nell’Europa orientale, cioè più vicino ai confini di Ucraina e Russia/Bielorussia. Questa posizione è stata chiaramente scelta con una certa intenzione.

Osservando altri aspetti pratici della guerra contro la Russia, è molto importante l’indagine giornalistica sul programma di spionaggio “Zignal Labs”, attraverso il quale gli Stati Uniti hanno seguito il movimento delle truppe russe anche prima dell’operazione in Ucraina e ne hanno identificato i soldati.

Ovviamente, questi dati sono stati trasmessi alla parte ucraina.

Anche la digitalizzazione del Pentagono procede a ritmi accelerati. Il 25 aprile, uno dei dirigenti di Lyft, Craig Martell, è stato nominato capo della trasformazione digitale e dell’intelligenza artificiale al Pentagono.

Martell ha anche lavorato sull’apprendimento automatico presso Dropbox e LinkedIn. È noto che il suo vice sarà Margaret Palmieri, capo della guerra digitale presso la Marina degli Stati Uniti.

Le forze armate statunitensi stanno ora utilizzando l’intelligenza artificiale per analizzare le operazioni di combattimento in Ucraina, il che consente un’elaborazione più rapida di grandi quantità di dati e la simulazione di vari scenari. È probabile che gli Stati Uniti vogliano ricavare una formula generale che consentirà loro di calcolare le vulnerabilità della Russia e di utilizzarle in futuro.

Inoltre, a giudicare dal sito web del Dipartimento di Stato americano, l’agenzia si sta ora concentrando sulle attività anti-russe, che non possono che essere allarmanti. Se si va sul sito del Dipartimento di Stato, si potrà vedere le pubblicazioni dedicate alla Russia ed esclusivamente in una luce negativa. Ad aprile sono stati pubblicati tre articoli, sebbene i temi siano del 2017, 2018 e 2020. Chiaramente tutto questo è integrato nella campagna di disinformazione generale contro la Russia. Detto questo, lo stesso sito Web di ShareAmerica è, come indicato, realizzato per coprire la vita e gli eventi negli Stati Uniti.

 

 

Mettendo tutto in un unico enigma e aggiungendo il flusso h24, 7 giorni su 7, di falsità fabbricate e messe in scena per scopi politici, otteniamo una conclusione piuttosto seria con cui bisogna fare i conti e rispondere di conseguenza.

Traduzione a cura di Costantino Ceoldo

Foto: Geopolitika.ru

30 aprile 2022

Fonte: https://www.ideeazione.com/gli-effetti-a-cascata-della-guerra-informatica/

Psicopatologia del radical chic

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di Costantino Ceoldo

Fonte: Come Don Chisciotte

Roberto Giacomelli ritorna e ci delizia con un altro dei suoi piccoli ma intriganti pamphlet, questa volta su quella caricatura di essere umano che passa sotto il nome di radical chic [1].

Giacomelli ci parla del borghese annoiato che pretende di insegnare agli altri come si vive, ma scarica su di loro le inevitabili difficoltà e tutti i problemi che generano la sua vita avvolta nella bambagia. Sguardo e pensiero vanno inevitabilmente alla gauche caviar che dopo aver tradito anche Giuda, è diventata la raccattapalle del grande capitale, realizzando così la sua vera e più profonda vocazione: essere serva tra i servi.

Guerriero da salotto, da tastiera, da divano, da qualunque cosa purché non sia la cruda realtà, il radical chic si è oramai riprodotto più dei conigli dell’omonima collina e, sotto forma di un quasi sterminato gregge di pecore disagiate, è riuscito quasi a confinare i lupi ai margini della vita vera, quasi a soffocarli.

Lo si è visto bene in questi due anni covidiani all’insegna dell’assurdo e del surreale più spinti, le cui basi allucinate sono state poste, però, ben prima.

I lupi tuttavia esistono ancora e resistono, passano al bosco che è la loro casa naturale. Alla resa dei conti, non saranno le greggi di pecore satolle di cibo spazzatura, stordite da Netflix o Pornhub a restare in piedi ma coloro che si sono dati una disciplina e hanno fatto proprio uno stile di vita diverso.

Lascio la parola a Roberto Giacomelli, che come altre volte in precedenza, ha risposto con pazienza alle mie domande.

  •  Chi è il radical chic e perché lei parla proprio di “psicopatologia”?

Il radical chic è il gendarme del pensiero corretto, un personaggio pittoresco che vive di esteriorità, pose e abitudini snob. Un annoiato che gioca alla rivoluzione a chiacchiere, in realtà un borghese con aspirazioni di successo e promozione sociale. Il comportamento di questa élite di lusso è caratterizzato dal narcisismo e dalla paranoia, ecco perché possiamo parlare di psicopatologia.

  •  È un fenomeno solo Occidentale o riguarda tutto il mondo?

I servi del potere sono ovunque e da sempre, ma i radical chic sono il prodotto caratteristico della sottocultura americana, che come sempre ha subito attecchito in Europa. La gauche caviar in Francia e I sedicenti intellettuali impegnati in Italia e nel resto del continente. Servi sciocchi di un potere distruttivo che annienterà anche i suoi reggicoda nel mondo mostruoso che sta preparando.

  •  Lei afferma esplicitamente che il radical chic si pone come guardiano autoproclamato del bene e del male. Può approfondire questo aspetto?

Il radical chic si ritiene unico depositario della verità, padrone dei mezzi di informazione, è l’interprete autorizzato del “pensiero unico” e lo diffonde come la incontrovertibile interpretazione della realtà.

  • Lei parla apertamente anche di “regressione a livello infantile”. I monopattini elettrici non ne sono forse uno dei tanti esempi lampanti?

Per i radical chic la fase ludica essenziale nello sviluppo cognitivo infantile non finisce mai, sono adulti che si comportano da eterni adolescenti. Il loro giocattoli, sono il simbolo della loro immaturità, simboli di status sociale, segni distintivi di una élite intellettuale che si vuole distaccare a tutti i costi dalle masse ignoranti che devono fare i conti tutti i giorni con la realtà.

  • Che cos’è il “popolo addormentato”? Perché la parola data non ha più valore?

La propaganda martellante degli intellettuali organici al Sistema, sommata al vuoto di ideali e valori caratteristici della società dei consumi, addormenta di fatto le coscienze rendendo il popolo prono ad ogni vessazione. Pronto ad accettare l’eliminazione di diritti e delle libertà civili. La mancanza di valori etici quali la dignità, l’onore, la fedeltà ad un’idea o ad una patria, fa sì che la parola data, suono sacro, in questa società sovvertita non abbia più alcun significato.

  • La “Sinistra” ha accettato una mutazione antropologica che la porta a difendere le banche e il grande capitale. Come è stato possibile e perché?

La mutazione antropologica della Sinistra è frutto del tradimento delle idee socialiste e della difesa delle classi subalterne. Fallita la rivoluzione marxista, che avrebbe dovuto preparare sulla Terra il paradiso dei lavoratori ed invece si è trasformata in sanguinaria dittatura, occorreva un nuovo padrone. Il radical chic non sopporta di stare con gli sconfitti della Storia, ma si è subito accomodato sul carro dei vincitori. Si schiera con il liberismo selvaggio ed il turbocapitalismo, dalla dittatura del proletariato a quella dell’alta finanza. Gli è importante stare dalla parte del Potere che paga i suoi servi.

  • Affrontiamo il gender e la modifica del linguaggio. Come opporsi a questa deriva distruttiva?

Per opporsi a questa follia distruttiva dobbiamo diffondere la cultura classica, la spiritualità delle origini e la voce dei liberi pensatori come Junger, Venner, Schmitt. Questa è la risposta alla confusione mentale indotta dalla cultura falsa e disfunzionale imposta dai radical chic.

  •  Lei parla di “archetipo del guerriero” e di “passaggio al bosco”. Siamo ancora in tempo per salvarci?

Ci salverà il ritorno alla comunione con la Natura selvaggia, alle pulsioni primordiali, alla naturale aggressività umana, all’arte della guerra. Passare al bosco è l’estrema difesa contro la società della dissoluzione, ultima ribellione possibile contro il capitalismo della sorveglianza, la forma di dittatura più sottile e subdola.

Video Intervista su Rumble:

https://rumble.com/vt2x13-psicopatologia-del-radical-chic.html

NOTE

(1) = Roberto Giacomelli, Psicopatologia del Radical chic, Passaggio al Bosco edizioni