I fattori dietro la (sorprendente) tenuta economica della Russia

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di Giacomo Gabellini

Fonte: l’AntiDiplomatico

L’offensiva militare, economica, finanziaria e commerciale scatenata dal cosiddetto “Occidente collettivo” contro la Federazione Russa nasce da una palese sottovalutazione «della coesione sociale della Russia, del suo potenziale militare latente e della sua relativa immunità alle sanzioni economiche». L’intera campagna sanzionatoria imposta da Stati Uniti ed Unione Europea, in particolare, si fondava sulla previsione che la Russia non sarebbe stata in grado di reggere un lungo periodo di pressione economica e finanziaria esterna, in virtù della debolezza strutturale, dell’arretratezza e degli squilibri che caratterizzano il suo sistema produttivo.

I dati indicano che, alla fine del febbraio 2022, la Russia registrava un debito pubblico corrispondente ad appena il 12,5% del Pil, una posizione finanziaria netta fortemente positiva e riserve auree pari a circa 2.300 tonnellate. L’oro riveste una rilevanza particolare, trattandosi del tradizionale “bene rifugio” che tende sistematicamente a rivalutarsi proprio in presenza di congiunture critiche come quella delineatasi per effetto dell’attacco all’Ucraina. Stesso discorso vale per tutte le commodity di cui la Russia è produttrice di primissimo piano, dal petrolio al gas, dall’alluminio al cobalto, dal rame al nichel, dal palladio al titanio, dal ferro all’acciaio, dal platino ai cereali, dal legname all’uranio, dal carbone all’argento, dai mangimi ai fertilizzanti.

L’incremento combinato dei prezzi delle materie prime e dei prodotti raffinati i cui mercati risultano fortemente presidiati dalla Federazione Russa – la cui posizione si è ulteriormente rafforzata con l’incorporazione dei giacimenti di carbone, ferro, titanio, manganese, mercurio, nichel, cobalto, uranio, terre rare di vario genere e idrocarburi non convenzionali presenti nei territori delle repubbliche secessioniste di Donec’k e Luhans’k – ha per un verso penalizzato enormemente la categoria dei Paesi importatori netti, in cui rientra gran parte dell’“Occidente collettivo”. Per l’altro, ha assicurato alla Russia un volume di proventi talmente imponente da attenuare in maniera sensibile l’impatto dirompente prodotto dal congelamento delle riserve russe detenute presso istituzioni finanziarie estere.

I settori dell’economia russa ad alto valore aggiunto

Le principali categorie merceologiche di cui si compone l’export russo (petrolio, gas, materie prime, prodotti agricoli) delineano i contorni di un’economia non all’avanguardia, ma il discorso cambia completamente se si tengono in debita considerazione sia le punte di eccellenza raggiunte dal Paese in campo nucleare, aerospaziale, informatico e militare, sia il volume assai considerevole di entrate assicurato allo Stato dalla vendita all’estero di macchinari ed equipaggiamenti. Le attuali economie avanzate, strutturatesi nella forma odierna sulla base degli indirizzi strategici affermatisi a partire dagli anni ’80, poggiano soprattutto su attività ad alto valore aggiunto riconducibili al settore terziario, che apportano un contributo alla formazione del Pil di gran lunga superiore a quello assicurato dai comparti ricompresi nei settori primario e secondario. Nelle economie moderne, servizi finanziari e assicurativi, consulenze, nuovi sistemi di comunicazione e design risultano predominanti rispetto ad agricoltura, manifattura, estrazione di idrocarburi e minerali.

Un Paese come gli Stati Uniti può quindi contare sul colossale apporto alla “produzione di ricchezza” fornito dalle spese sanitarie gonfiate a dismisura, dalla crescita esorbitante delle cause legali fittizie che arricchiscono interi eserciti di avvocati, dal sistema carcerario privatizzato che fa lobby al Congresso per ottenere leggi in grado di garantire il maggior numero di detenuti possibile, ecc.

Alcuni economisti sia europei che statunitensi si sono addirittura spinti a sostenere l’integrazione della prostituzione e del traffico di stupefacenti nel paniere dei servizi che concorrono alla formazione del Pil.

I (veri) dati dell’economia russa

Se, come evidenziano i dati della Banca Mondiale, in termini di Pil nominale l’economia russa (1.779 miliardi di dollari nel 2022) risulta paragonabile per dimensioni a quella italiana (2.108 miliardi), sotto il profilo della parità di potere d’acquisto (4.808 miliardi, contro i 2.741 dell’Italia) tende invece ad avvicinarsi a quella tedesca (4.848 miliardi). Ma, evidenzia l’economista Jacques Sapir, neppure il Ppa riflette appieno la rilevanza della Federazione Russa, i cui vantaggi strategici connessi a “stazza”, posizione geografica e struttura economica a trazione agricolo-industriale-edilizia le conferiscono una capacità di resistenza pressoché inconcepibile per ogni altro Paese.

L’economia della Russia, che con una popolazione universitaria di 2,2 volte inferiore rispetto a quella degli Stati Uniti forma il 30% di ingegneri in più, si incardina infatti su produzioni fondamentali, perché necessarie alla soddisfazione dei bisogni primari. Idrocarburi, metalli, cereali, fertilizzanti, mangimi sono risorse imprescindibili per garantire riscaldamento e sicurezza sia alimentare che energetica.

Condizioni assicurate in periodi di stabilità, ma che divengono improvvisamente vacillanti in presenza di congiunture geopolitiche altamente conflittuali, in cui si riscopre il primato di petrolio, gas, alluminio, nichel, grano, ecc. rispetto a tutto il resto. La rivista «The American Conservative» nota in proposito che: «la spettacolare crescita dei settori ad alta intensità di capitale, insieme alla loro ricchezza nominale e produttività, ha portato molti a Washington e in varie capitali occidentali non solo ad abbracciarli, ma anche a preferirli politicamente, culturalmente e ideologicamente. Noi americani siamo particolarmente orgogliosi, ad esempio, del successo dei nostri giganti della tecnologia come motori di innovazione, crescita e prestigio nazionale. Internet e le varie applicazioni per gli smartphone sono considerate da molti intrinsecamente democratizzanti, fungendo effettivamente da canale di diffusione per i valori americani e di promozione degli interessi nazionali statunitensi. Questo amore per i settori dei servizi si traduce in una tendenza a identificare le industrie ad alta intensità di manodopera del passato – energia, agricoltura, estrazione di risorse, produzione – come reliquie del passato. Ma questa prospettiva distorta ci ha lasciato impreparati per un mondo in cui i beni tangibili sono ancora una volta di vitale importanza, come dimostrato plasticamente dalla guerra in Ucraina».

 

 

Il conflitto in Ucraina: i numeri del complesso militare industriale

Come ha dichiarato nel febbraio 2023 il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, lo schieramento atlantista aveva fino a quel momento assicurato all’Ucraina un’assistenza militare, finanziaria e umanitaria senza precedenti, quantificata in 120 miliardi di dollari. Il trasferimento di materiale bellico a Kiev si è rivelato talmente ingente da svuotare letteralmente gli arsenali di molti Paesi membri della Nato. La Danimarca ha consegnato tutti e 19 gli obici semoventi di fabbricazione francese Caesar in proprio possesso. Il Ministero della Difesa tedesco ha ammesso che, qualora si fosse ritrovata a combattere una guerra ad alta intensità come quella russo-ucraina, la Germania avrebbe esaurito le munizioni nell’arco di appena due giorni. Stesso discorso vale per Francia e Gran Bretagna, mentre il Pentagono ha avanzato dubbi circa la capacità degli Stati Uniti di continuare a rifornire l’Ucraina senza distogliere armi ed equipaggiamenti da teatri di primario interesse quali quello del Mar Cinese meridionale. Alla fine del 2022, rilevava il Royal United Services Institute britannico, il Dipartimento della Difesa statunitense aveva ceduto all’Ucraina «circa un terzo delle riserve di missili anticarro Javelin e di quelli antiaerei Stinger: ripianare tali scorte richiederà rispettivamente 5 e 13 anni». Per quanto concerne le munizioni dei lanciarazzi campali multipli Himars, «a fronte di una produzione di 9.000 razzi all’anno, le forze armate ucraine ne consumano almeno 5.000 al mese».

Nemmeno il rapido e imponente incremento (500%) della produzione di proiettili d’artiglieria realizzato dal “complesso militar-industriale” è risultato sufficiente a compensare l’erosione delle riserve strategiche di armi e munizioni a disposizione degli Usa. Al punto da indurre Washington a rivolgersi alla Corea del Sud, il cui governo ha «accettato di fornire in prestito agli Stati Uniti 500.000 proiettili di artiglieria da 155mm che non saranno però forniti a Kiev ma consentiranno all’Us Army di non depauperare troppo le sue riserve di munizioni ridottesi in seguito alle massicce forniture all’Ucraina». Come ha riconosciuto Stoltenberg, «il nostro attuale ritmo di produzione delle munizioni è di molte volte inferiore al livello di consumo da parte dell’Ucraina», che risulta a sua volta enormemente ridotto rispetto a quello della Russia. La quale è riuscita a sparare fino a 50.000-60.000 proiettili d’artiglieria al giorno a fronte dei 5.000-6.000 esplosi dall’Ucraina e – secondo fonti di intelligence britanniche riportate dal «Washington Post» – a produrne nell’arco del 2022 qualcosa come 1,7 milioni di unità, contro le 180.000 fabbricate dagli Usa. Segno di una capacità industriale notevolissima, supportata da catene di approvvigionamento di materiali critici e componentistica solide e perfettamente funzionanti.

Il finanziamento dello sforzo bellico, per di più, non ha comportato alcuna distorsione della struttura economica russa; lo si evince da una stima formulata da una fonte “al di sopra di ogni sospetto” come l’«Economist», secondo cui le spese militari sostenute da Mosca nel corso del primo anno di guerra avrebbero assorbito circa 67 miliardi di dollari, pari ad “appena” il 3% del Pil russo. Una percentuale tutto sommato modesta, specialmente se raffrontata a quelle raggiunte sia dall’Unione Sovietica (61%) che dagli Stati Uniti (53%) nelle fasi più acute della Seconda Guerra Mondiale.

La vera forza dell’arsenale difensivo a disposizione della Russia risiede quindi nelle caratteristiche della sua struttura economica nella centralità che il Paese riveste rispetto al commercio internazionale, oltre che nell’indisponibilità del resto del mondo ad aderire alla campagna sanzionatoria imposta dal cosiddetto “Occidente collettivo”. Nonché dall’attivismo della Repubblica Popolare Cinese; di fronte al deflusso delle multinazionali occidentali dal Paese, Mosca ha reagito non soltanto nazionalizzandone gli asset e affidando la gestione degli stabilimenti sottoposti a confisca ad amministratori esterni secondo una logica di preservazione della continuità aziendale implicante necessariamente anche il sequestro dei brevetti (in assenza dei quali la produzione rimane pressoché impossibile), ma anche schiudendo le porte del mercato nazionale alle società sia pubbliche che private cinesi. Le quali hanno prontamente occupato gli spazi lasciati vuoti – soltanto parzialmente – dalle aziende europee e statunitensi, e costituito allo stesso tempo alleanze strategiche con le imprese locali operanti nei cruciali settori energetico, minerario e metallurgico.

Tutti aspetti, questi ultimi, che politici e specialisti di spicco del cosiddetto “Occidente collettivo”, persuasi che le misure punitive “da fine del mondo” avrebbero condannato la Russia all’isolamento e alla bancarotta nell’arco di poche settimane, non sono stati minimamente in grado di prevedere, nell’ambito di quello che l’economista Patricia Adams considera «il più monumentale errore di calcolo della storia moderna».

IL CONSERVATORISMO COME IDEOLOGIA NAZIONALE DELLA RUSSIA DI OGGI

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QUINTA COLONNA

di Lorenzo Berti

Accusata di essere ‘fascista’ dalla sinistra e ‘comunista’ dalla destra. Al di là di ogni fuorviante banalizzazione andiamo ad analizzare il retroterra ideologico e culturale della Russia di oggi.

Archiviato traumaticamente il periodo comunista sovietico, la Russia degli anni ’90 è stata velocemente catapultata nel mondo del liberal-capitalismo. Il ‘sogno’ della democrazia si è però ben presto tramutato in incubo fatto di povertà, disuguaglianze sociali, banditismo e degrado morale. A porre un freno alla decadenza della neonata Federazione Russa arrivò Vladimir Putin, l’Uomo della Provvidenza.

Funzionario del Kgb in epoca sovietica ma anche fervente ortodosso, comincia a fare politica a San Pietroburgo con l’élite liberale grazie alla quale giunge al potere nel 1999. La sua caratteristica principale fin dall’inizio è quella di essere un uomo d’ordine. “La Russia ha esaurito la sua quota di rivoluzioni” e “il benessere di un popolo dipende primariamente dalla stabilità”, afferma. Tutti gli sforzi di Putin nei suoi primi anni al Cremlino sono concentrati verso la necessità di restaurare un ordine interno. Ci riesce pacificando la Cecenia, ristabilendo l’autorità statale e mettendo fine al saccheggio delle ricchezze pubbliche da parte dei gangster assurti al ruolo di oligarchi. Una volta fatto ciò occorreva costruire una nuova ideologia sulla quale posare le fondamenta dello Stato.

Quasi sempre i cambiamenti nella società russa sono avvenuti in modo repentino e violento: la modernizzazione in senso europeista voluta da Pietro il Grande, la rivoluzione bolscevica, il crollo dell’Unione Sovietica. Si avverte quindi un naturale bisogno di trovare stabilità e unità. In quest’ottica Putin definisce il patriottismo come “l’unica ideologia possibile nella società moderna”. Secondo l’ex-diplomatico Luca Gori, autore dell’ottimo volume La Russia eterna[1], “l’obiettivo strategico consisteva nel dotarsi di un’articolata piattaforma di valori coerenti con la tradizione storica della Russia in cui tutti i cittadini potessero riconoscersi”. In un certo senso possiamo dire che

L. Gori, “La Russia eterna”, Luiss.

Putin ha innalzato ad ideologia la Russia stessa, rappresentata come civiltà unica, indipendente e immutabile, unita da un filo identitario che partendo dalla Rus’ di Kiev e passando per Impero zarista e Unione Sovietica arriva fino all’odierna Federazione Russa. Il tutto costellato da una serie di imprese eroiche da celebrare, come le battaglie di Aleksandr Nevskjj, la resistenza all’invasione napoleonica, l’assedio di Sebastopoli, la vittoria nella Grande Guerra Patriottica e oggi la difesa del Donbass. Indicativa dal punto di vista simbolico è la scelta di Putin di tornare all’inno sovietico cambiandone però le parole. Non stupisce pertanto ascoltare il Presidente russo tessere le lodi degli Zar conservatori Nicola I e Alessandro III ma anche del leader comunista Josef Stalin, al quale viene riconosciuto il merito di aver tutelato l’ordine e l’integrità dello Stato conducendo il popolo alla vittoria nella Seconda Grande Guerra Patriottica. Nessuna rivalutazione invece della figura di Lenin, colpevole con il suo estremismo di aver portato alla dissoluzione dell’Impero zarista.

L’ideologia nazionale che si sta formando in Russia è antitetica rispetto al liberalismo dominante in Occidente. “L’idea liberale è diventata obsoleta. È entrata in contrasto con gli interessi della stragrande maggioranza della popolazione. I valori tradizionali sono più stabili e più importanti per milioni di persone dell’idea liberale”, spiega in modo chiaro e perentorio Vladimir Putin in un’intervista al Financial Times nel 2019. La questione dell’incompatibilità tra Russia e democrazia è da tempo oggetto di discussione per i politologi. Le ragioni a sostegno di questa tesi sono molteplici: l’eredita storica bizantino-mongola, la forte influenza della religione Ortodossa, l’isolamento geografico e l’enorme estensione territoriale, il carattere multietnico e multireligioso della popolazione, il costante senso di accerchiamento e di minaccia dovuto alla mancanza di confini geografici naturali e alle numerose invasioni subite, l’isolamento nelle relazioni internazionali (“Gli unici alleati della Russia sono il suo esercito e la sua flotta” secondo lo Zar Alessandro III). Ma ci sono anche importanti motivazioni di carattere culturale.

Non esiste nessun ‘culto della libertà’ in Russia simile a quanto invece vi è in Occidente. Lo scrittore Nikolaj Berdjaev sostiene che “non c’è nulla di più tormentoso per

Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev (1774-1948)

l’uomo della libertà”. L’individualismo è elemento completamente estraneo alla mentalità ortodossa che invece attribuisce un valore positivo alla sofferenza e al sacrificio. “Il piccolo borghese è incompatibile con il carattere russo e ringraziamo Dio per questo” scrive il filosofo Georgij Fedotov. Anche l’iniziativa economica privata e la cultura imprenditoriale non sono mai state molto incoraggiate. Per tutti questi motivi i liberali in Russia non sono mai riusciti a coinvolgere le masse, dalle quali vengono percepiti come un élite esterofila quando invece il prerequisito necessario per aspirare ad una carriera politica è essere un patriota. Anche nello scenario politico odierno i liberali filo-occidentali alla Navalny hanno un peso politico del tutto irrilevante e la principale opposizione al partito di governo ‘Russia Unita’ è rappresentata dal Partito Comunista (KPRF).

La Russia è una delle poche nazioni sviluppate nel mondo di oggi dove l’egemonia culturale è saldamente in mano ai conservatori. A conferma di ciò l’approvazione plebiscitaria della riforma costituzionale in senso sovranista e conservatore voluta dal Putin nel 2020. Nella nuova costituzione viene introdotto il riferimento alla fede spirituale in Dio come fondamento della nazione, si definisce esplicitamente il matrimonio come unione tra un uomo e una donna (chiudendo quindi a qualsiasi possibile rivendicazione Lgbt), si afferma la preminenza del diritto nazionale rispetto a quello internazionale e si fa divieto di ricoprire cariche politiche a chi possiede la doppia cittadinanza (ovvero quasi tutti gli oligarchi filo-occidentali).

La Russia secondo i conservatori non deve ricalcare modelli di sviluppo provenienti dall’esterno ma svilupparsi in base ai suoi specifici valori. Per farlo occorre sapersi difendere da attacchi e ingerenze esterne, sia dal punto di vista militare che spirituale. “La fede tradizionale e lo scudo nucleare sono due cose che rafforzano lo Stato russo e creano le condizioni necessarie per garantire la sicurezza dentro e fuori il paese”, parole di Vladimir Putin. La convinzione dell’unicità e della predestinazione del popolo russo trae ispirazione tra le altre cose anche dal mito della ‘Terza Roma’. Ivan IV durante la sua incoronazione proclamò: “Due Rome sono cadute ma non Mosca. E non vi sarà una quarta Roma”. La Russia come erede degli imperi romano e bizantino, ultimo baluardo contro la sovversione anticristiana.

La base ideologica di partenza del conservatorismo russo è la famosa triade di Uvarov “Ortodossia, Autocrazia, Nazionalità”, ma facendo un analisi più approfondita si possono distinguere correnti di pensiero differenti al suo interno. C’è un conservatorismo liberale, più moderato, che contempla la possibilità un giorno di costruire un sistema democratico anche in Russia. Il conservatorismo sociale focalizza la sua attenzione verso il rafforzamento dell’assistenza paternalistica da parte dello Stato ai suoi ‘figli’ più deboli e bisognosi di aiuto. Gli etnonazionalisti sostengono la centralità dei russi etnici rispetto agli altri popoli che compongono la Federazione Russia, contestano l’accoglienza di immigrati provenienti dalle repubbliche asiatiche ex-sovietiche e talvolta sposano l’idea del politologo Vadim Cymburskij di una ‘Isola Russia’ che limiti il

Aleksandr Gelʹevič Dugin, 61 anni.

suo raggio d’azione alla tradizionale sfera di influenza regionale senza sfidare apertamente l’egemonia mondiale americana. C’è poi un conservatorismo ortodosso, per cui Stato e Chiesa devono formare una perfetta ‘sinfonia’, contraddistinto dall’attenzione verso le politiche a favore della famiglia e di contrasto ad aborto e diritti Lgbt. Anche i conservatori ortodossi nutrono una forte ostilità verso il modello globalista statunitense. Secondo il politico Egor Kholmogorov “l’America si è trasformata in un aggressivo califfato Lgbt, fondamentalmente in nulla diverso dal califfato islamico”. Infine ci sono i conservatori eurasisti secondo cui “la Russia non è né Europa né Asia ma uno specifico mondo geografico chiamato Eurasia”. Uno dei più noti esponenti di questa corrente è il filosofo Aleksandr Dugin, teorico della ‘Quarta Teoria Politica’ che parte dal superamento delle tre più diffuse ideologie politiche (liberalismo, comunismo e nazionalismo) per elaborare una nuova sintesi. Alla democrazia liberale Dugin contrappone la ‘democrazia organica’ in cui non risulta importante tanto l’architettura istituzionale quanto invece la capacità del Capo di essere in sintonia con il popolo. Analogamente a livello geopolitico contrappone l’Eterna Roma, ovvero la Russia erede degli imperi che poggiavano la loro forza sullo Stato e la spiritualità, all’Eterna Cartagine, rappresentata dagli Stati Uniti con la loro essenza individualistica e materialistica. Uno scontro eterno e metafisico che non può essere eluso.

Lorenzo Berti

[1] L. Gori, La Russia eterna. Origini e costruzione dell’ideologia postsovietica, Luiss University Press, Milano 2021.

Fonte: https://domus-europa.eu/2023/01/20/il-conservatorismo-come-ideologia-nazionale-della-russia-di-oggi-di-lorenzo-berti/

Il crescente pericolo della limitata guerra al rallentatore di Putin

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di Paul Craig Roberts

Consideriamo il conflitto che sembra delinearsi. L’offensiva russa è in stand-by, poiché il Cremlino è entrato in guerra senza soldati sufficienti e senza riserve. Questo ha fatto passare l’iniziativa all’Ucraina, fortificata con armi occidentali.

L’Ucraina ha lanciato due offensive. Quella a sud è fallita. L’Ucraina ha subito pesanti perdite in termini di soldati ed equipaggiamento. Quella a nord è riuscita a costringere i russi a ritirarsi, ma a caro prezzo per le forze ucraine, non per quelle russe.

Tra un mese si schiereranno i 300.000 soldati russi chiamati dal Cremlino. Se questi soldati sono ben addestrati, equipaggiati e motivati, le forze ucraine, ridotte al lumicino da offensive infruttuose, saranno probabilmente sopraffatte, anche se Putin continuerà a comportarsi come un buono a nulla, facendo poco per impedire la capacità di Kiev di condurre una guerra.

Di fronte alla sconfitta dell’Ucraina, cosa farà Washington? 

Avrà organizzato una “coalizione dei volenterosi”, come suggerisce il generale David Petraeus, e porterà “gli stivali sul terreno” in soccorso dell’Ucraina?

Prendiamo sul serio le dichiarazioni del generale John Lubas, vice comandante della 101 Divisione aviotrasportata degli Stati Uniti, secondo cui le sue forze si trovano in uno “schieramento di combattimento” a 3 miglia dal confine con l’Ucraina e sono “pienamente pronte” ad attraversare l’Ucraina in un momento di preavviso per combattere contro la Russia?

https://www.paulcraigroberts.org/2022/10/26/us-101-airborne-division-on-combat-deployment-3-miles-from-ukraine-border/

Cosa succede se lo fanno? Normalmente, le truppe aviotrasportate non dispongono delle armi pesanti della fanteria. La divisione aviotrasportata, leggermente armata, potrebbe essere fatta a pezzi dalle armi pesanti della fanteria pesante russa.

Se così fosse, come reagirebbe Washington a una tale sconfitta e alla perdita di una divisione così prestigiosa come quella delle “Aquile urlanti”?

Sappiamo tutti che il risultato sarebbe un’escalation da parte di Washington.

Quindi, dove è diretta l’“operazione militare limitata” di Putin? L’Armageddon sembra la destinazione certa. Se mai un conflitto ha avuto bisogno di essere concluso in modo rapido e deciso, è stato l’intervento della Russia nel Donbass. Cercando di limitare il conflitto, Putin lo ha notevolmente ampliato.

Consideriamo altri pericoli che la situazione presenta:

  • Una bomba sporca sotto falsa bandiera che i giornalisti occidentali attribuiranno alla Russia, suscitando così più indignazione a sostegno di un’ulteriore guerra contro la Russia.
  • L’Ucraina che distrugge una diga che allaga Kherson e la Russia che risponde distruggendo una diga le cui acque liberate consegnano gran parte dell’Ucraina nelle mani dei russi.
  • Una nuova e più pericolosa “variante Covid”, come quella sviluppata dall’Università di Boston, che appare improvvisamente tra le truppe russe, rendendole inefficaci.

Nonostante tutte le prove, il Cremlino sembra avere ancora aspettative ingenue. Il Cremlino ha scoperto la capacità dell’Ucraina di produrre una bomba sporca e ha allertato l’Occidente, chiedendo alle Nazioni Unite un’indagine. La risposta di Washington è stata quella di accusare la Russia di aver prodotto una bomba sporca da usare in un’operazione sotto bandiera falsa per giustificare una sua escalation bellica. Sembra che ci sarà una bomba sporca di cui verrà incolpata la Russia e che verrà usata per indurre l’opposizione a qualsiasi risultato favorevole a Mosca.

Inoltre, i media finlandesi riferiscono che il governo non pone limiti alla presenza della NATO in Finlandia, comprese le armi nucleari. È chiaro che la Russia non può accettare armi nucleari dispiegate in Finlandia.

Si noti che nessuno in Occidente sta facendo alcuno sforzo per la de-escalation del conflitto. Tutti i movimenti vanno verso l’escalation. Per impedire alla Russia di reincorporare un territorio che è storicamente russo, ci sarà un’escalation fino alla guerra nucleare, che significa l’estinzione della vita sulla Terra.

https://www.paulcraigroberts.org/2022/10/24/fred-reed-indicates-what-nuclear-war-would-be-like-but-steven-starrs-comment-better-describes-the-death-of-the-planet/

L’inizio della fine dei tempi è stato nel 2014, quando Washington ha rovesciato il governo ucraino eletto e ha installato un governo fantoccio anti-russo. Il Cremlino si è lasciato sfuggire l’opportunità di prevenire il conflitto iniziato nel Donbass, rifiutando la richiesta del Donbass di essere reincorporato nella Russia come con la Crimea. La Russia ha poi aspettato 8 anni mentre un esercito ucraino veniva addestrato ed equipaggiato ed era pronto a rovesciare le repubbliche del Donbass. Quando il Cremlino è dovuto intervenire, lo ha fatto in modo limitato e inefficace, dando all’Occidente tutto il tempo necessario per ampliare la guerra, mettendo in ridicolo la dichiarazione di Putin di “operazione militare limitata”.

Ciò che si richiedeva alla Russia era una drammatica dimostrazione di forza e l’immediata fine del conflitto, ma il Cremlino non ha capito la situazione e ha fatto un passo falso mettendo l’iniziativa nelle mani di Washington, il che ha portato a una guerra sempre più estesa che nessuno dei governi occidentali mostra il desiderio di fermare.

La strada verso l’Armageddon sembra essere libera e completamente aperta.

Ci si lamenta del riscaldamento globale, ignorando la minaccia dell’inverno nucleare.  Nessuna discussione o riconoscimento di questa minaccia. Nessun movimento per la pace. Nessuna voce che richiama l’attenzione sull’estinzione dell’umanità che stiamo affrontando. Invece, riceviamo rassicurazioni sul fatto che i militari statunitensi e russi non permetteranno una guerra nucleare. Su cosa si basano queste rassicurazioni? Certamente non sulle dottrine di guerra dei due Paesi. I ministeri della Difesa statunitense e russo non hanno fatto alcuna dichiarazione congiunta di non voler intraprendere una guerra nucleare. Se la guerra nucleare non è sul tavolo, qual è lo scopo della modernizzazione delle forze nucleari da mille miliardi di dollari del Presidente Obama?

Traduzione a cura di Costantino Ceoldo

Foto: Geopolitika.ru

29 ottobre 2022 Fonte: https://www.ideeazione.com/il-crescente-pericolo-della-limitata-guerra-al-rallentatore-di-putin/

Matteo Salvini e la Russia, Marco Travaglio smonta il finto scoop

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Russiagate, arriva l’avvocato difensore che non t’aspetti. Sul caso del dossier russo e dei presunti rapporti tra Lega e Cremlino, scende in campo perfino il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, che prende di petto il giornalista della Stampa Jacopo Iacoboni. Travaglio lo scrive nero su bianco nell’editoriale pubblicato sul suo giornale venerdì 29 luglio. E rivela che, in un primo momento, anche il Fatto stava per cadere nella trappola ma poi ha aperto gli occhi e si è tenuto alla larga dal quello che poi si sarebbe rivelato un finto scoop.

Nel suo editoriale, Travaglio definisce il caso come una vera e propria “trappola della Stampa”. E ancora: “Ci ha aperto gli occhi una prova più rocciosa della smentita di Gabrielli: la firma di Jacopo Iacoboni” che “vede Putin dappertutto”. Il direttore del Fatto Quotidiano affonda il colpo e scarica interamente su Draghi la responsabile della recente caduta del governo. “Se la caduta di Draghi l’avesse voluta Putin – scrive Travaglio – il suo primo complice sarebbe Draghi che vi si è impegnato più di lui: per fare un dispetto a Putin gli sarebbe bastato non insultare la Lega e i 5Stelle mentre chiedeva loro la fiducia. Invece si è sfiduciato da solo, putiniano che non è altro”.

Fonte: https://www.iltempo.it/politica/2022/07/29/news/marco-travaglio-difende-matteo-salvini-dossier-russia-finto-scoop-stampa-32578931/

Russia, Orban sferza l’Ue: “Con le sanzioni si è sparata nei polmoni”

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Chi paga le sanzioni?

 

“Le sanzioni non aiutano l’Ucraina né contribuiscono ad avvicinarsi alla fine della guerra, semmai la prolungano”. Così afferma Orban, premier ungherese, che è sempre stato critico sulle misure restrittive che l’Unione europea ha inflitto al Cremlino dopo l’invasione in Ucraina. 
“Inizialmente pensavo che ci fossimo solo sparati a un piede – afferma il primo ministro all’emittente Kossut Radio – ma ora è chiaro che l’economia europea si è sparata nei polmoni e ora fatica a respirare”. Parole dure quelle di Orban che vanno a inserirsi in un clima di emergenza economica che riguarda, ormai, tutto l’Occidente: “Le sanzioni sono dannose per l’economia europea e se continuano così, la uccideranno – insiste – Il momento della verità deve arrivare a Bruxelles, quando i leader ammetteranno di aver fatto un errore di calcolo, che la politica delle sanzioni era basata su presupposti sbagliati e non ha soddisfatto le aspettative riposte in essa”.

Non è l’unico a paventare questa ipotesi, già Biden nei giorni scorsi aveva affermato, in modo meno brutale e diretto, che probabilmente le aspettative riposte sull’Ucraina erano state troppo alte e che la continuazione della guerra era la prova che l’Occidente aveva sottovalutato la situazione.

Gli unici a tenere la barra dritta e a non indietreggiare di un millimetro sono proprio i rappresentati della Commissione Europea, che fanno sapere oggi di un nuovo pacchetto di sanzioni destinate alla Russia: “Il pacchetto ribadisce la determinazione della Commissione a proteggere la sicurezza alimentare in tutto il mondo”, si legge in una nota dell’Esecutivo Ue.
 Al contrario di quanto pensa Orban, la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen afferma: “La brutale guerra della Russia contro l’Ucraina continua senza sosta. Pertanto, proponiamo oggi di rafforzare le nostre pesanti sanzioni dell’Ue contro il Cremlino, applicarle in modo più efficace ed estenderle fino a gennaio 2023. Mosca deve continuare a pagare un prezzo alto per la sua aggressione”.

Stando ai fatti, la domanda è questa: è davvero Mosca a pagare un caro prezzo o sono le economie europee a combattere una crisi economica senza precedenti? 
A rimarcare la decisione di sanzioni più dure nei confronti del Cremlino anche Joseph Borrel, Alto Rappresentante per gli affari esteri e la Politica di sicurezza dell’Ue, che dichiara: “Le sanzioni dell’Ue sono due e pesanti e continuiamo a prendere di ira le persone che sono vicine a Putin e al Cremlino. Il pacchetto di oggi riflette il nostro approccio coordinato con i partner internazionali, in particolare il G7. Oltre a queste misure – fa sapere Borrell – presenterò altre proposte al Consiglio Ue, per inserire nuovi nomi nella lista delle persone ed entità a cui verranno congelati i beni e ridotta la possibilità di viaggiare”.

Bianca Leonardi, 15 luglio 2022

COLPO DI SCENA: LA GERMANIA SFIDA L’UNIONE EUROPEA E ANNUNCIA CHE CONTINUERÀ AD ACQUISTARE GAS RUSSO

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La Germania, la principale potenza economica europea, ha appena espresso il punto di vista opposto rispetto ai suoi vicini europei rifiutando categoricamente un embargo sul gas.

Le sanzioni imposte alla Russia rischiano di ritorcersi contro l’Occidente? In ogni caso, a un mese e mezzo dall’inizio del conflitto in Ucraina, la domanda si pone. Perché i leader europei sono ancora molto divisi sull’embargo sul gas russo imposto da Washington.

Una settimana fa, Viktor Orban, Primo Ministro ungherese, ha apertamente sfidato l’Unione Europea minacciando di pagare in rubli il suo gas russo. Una settimana dopo, è stato il turno di un colosso europeo di rifiutarsi categoricamente di voltare le spalle a Mosca.

Questo gigante in questione non è altro che la Germania. Questo Paese, la prima potenza economica dell’Unione, di cui oltre il 55% del gas proviene dalla Russia , ha detto niet ai suoi partner europei che hanno preferito seguire le orme di Biden sanzionando severamente Vladimir Putin.

Almeno questo è quanto ci ha detto l’agenzia di stampa Reuters . Infatti, secondo questa fonte, che cita un portavoce del governo tedesco, Berlino rifiuta categoricamente per il momento un embargo sul gas e sul petrolio russi, ma rifiuta ugualmente di pagare in rubli i suoi acquisti di gas russo, come Vladimir Putin ora chiede.

La Germania avrebbe anche interesse a rifiutare categoricamente un embargo sul gas russo. Questo perché, secondo le informazioni fornite dal canale Cnn , che cita 5 istituti tedeschi specializzati in economia, Berlino perderebbe quasi 240 miliardi di dollari se non avesse più accesso al gas russo.

Un embargo sulle risorse energetiche russe porterebbe la Germania in una crisi di produzione a causa di un ridimensionamento su larga scala dell’industria, hanno affermato i rappresentanti del colosso chimico europeo BASF.

Come riferiscono fonti specializzate, con riferimento al capo dell’Agenzia federale tedesca delle reti, Klaus Müller, già all’inizio dell’autunno le riserve di gas erano completamente esaurite. Ad oggi il grado di riempimento degli impianti di stoccaggio del gas è stimato al 29%.
La Russia fornisce tra il 30% e il 40% del gas importato all’UE e il 50% alla Germania. E questi volumi al momento non possono essere sostituiti”, ha affermato il servizio stampa di BASF.
Le autorità tedesche stanno valutando la possibilità di introdurre risparmi sui consumi. Tuttavia, non tutte le aziende sono preparate a questo, che inevitabilmente influirà sulla produttività.
Questo spiega il rifiuto di Berlino di adeguarsi alle direttive della UE sull’embargo al gas russo.

Fonti: Es.News Front – Agenzie

Quinte Colonne

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Franco Bassanini, Legion d’Honneur, con l’ex sindaco. Adesso, Bassanini tratta un patto  con la Francia. Per conto del governo scaduto.

di Maurizio Blondet

Il 13 giugno scorso Guy Verhofstadt, ex primo ministro belga, eurodeputato, con le mani in tutte le  paste europeiste ed oligarchiche, ha usato un termine “pesante” – e di solito vietato nella polemica  politica civile –   per accusare l’opposizione democratica all’euro-oligarchia:  “Quinta Colonna”.

“Leader governativi come Orbàn, Kaczynski e Salvini hanno un solo obiettivo, distruggere l’Europa e uccidere la nostra democrazia liberale, e lo stanno facendo assieme a quelle che io chiamo le cheerleader di Putin: Nigel Farage, Marine Le Pen e Geert Wilders”.

“C’è una cerchia del male attorno al nostro continente, che comprende Putin, Erdogan e, se le cose si dovessero mettere male, anche Trump” – aggiungendo – “Politici come Le Pen, Wilders e Farage, sono capaci solo di intascare i soldi del Cremlino e di ricevere gli aiuti dei servizi segreti di Mosca. Sono la quinta colonna di Putin”.

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