“Famiglia e bullismo”

Condividi su:

Cinzia Notaro intervista Gianfranco Amato

“Famiglia e Bullismo”. Un incontro tenutosi di recente presso l’Abbazia di Santa Scolastica in Bari. Emarginazione, umiliazione pubblica, violenze fisiche, psicologiche e verbali, bullismo, cyberbullismo.

Ne sono succubi  secondo gli ultimi dati resi noti da “Terre des Hommes” soprattutto i giovani in età adolescenziale, che finiscono col soffrire nella maggior parte dei casi di ansia sociale, attacchi di panico, disturbi alimentari, depressione, autolesionismo.

Utero in affitto, identità di genere gli altri temi affrontati nel corso del dibattito.

Sono intervenuti: Enzo Fortunato Presidente Europa Benedettina , Manuela Antonacci di ProVita e FamigliaPaolo Scagliarini direttore de “La Fiaccola”, Samuele Lella di Gioventù Nazionale Bari, Michele Picaro Consigliere regionale di Fratelli d’Italia e l’avv. Gianfranco Amato che abbiamo avuto l’onore d’intervistare, Presidente dell’Associazione Giuristi per la Vita,  nominato il 26 giungo 2023 Direttore del Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio permanente sulle Famiglie della Regione Siciliana, con decreto assessoriale 103 del 27 giugno 2023: “Ho  ricevuto questa nomina conferitami con decreto dell’assessore regionale alla famiglia, alle politiche sociali e al lavoro – ha specificato – per un ruolo riservato ad “esperti” di comprovata esperienza, competenza e professionalità. Si tratta certamente di un gratificante riconoscimento del lavoro svolto in questi ultimi quindici anni, ma soprattutto di una grande responsabilità. Ho deciso di accettare questa sfida perché sono convinto che la Sicilia possa diventare un laboratorio di politiche volte a valorizzare la famiglia a livello non solo italiano ma anche europeo. L’idea è quella di partire da una legge approvata esattamente venti anni fa – mi riferisco alla legge regionale 10 del 31 luglio 2023 – che aveva proprio come oggetto quello della «valorizzazione e tutela della famiglia». Si tratta di una legge avveniristica per l’epoca in cui fu approvata, e dovuta sostanzialmente alla particolare sensibilità sul tema della famiglia dell’allora presidente della regione Totò Cuffaro. Il punto è che non fu mai pienamente attuata. Credo che oggi ci siano le condizioni politiche a livello regionale e nazionale, per dimostrare che la famiglia non deve essere considerata una sorta di “corpo moribondo” da sostenere con sussidi, sovvenzioni, bonus, ecc., ma una vera e propria risorsa economico-sociale. Bisogna passare dalla logica dell’accanimento terapeutico, che guarda alla famiglia come ad un “peso sociale” da sostenere finanziariamente, alla logica della valorizzazione, che considera la famiglia nella prospettiva indicata dall’art.1 della Legge regionale 10/2003, ovvero quella di un «soggetto sociale di primario riferimento» per le politiche regionali.  La Sicilia può diventare un interessante laboratorio per sperimentare politiche familiari innovative  – ha dichiarato –  e introdurre iniziative volte a tutelare e valorizzare la famiglia, grazie anche all’amplia autonomia legislativa regionale e alle possibilità concesse da una legge avveniristica (L.R. 10/2003) che, dopo vent’anni di congelamento, ora potrà finalmente vedere la sua integrale applicazione. Ci aspetta un grande lavoro”.

Venendo ai temi dell’incontro, l’utero in affitto, rappresenta  un vero e proprio sfruttamento della donna che diventa un mezzo per avere un figlio a tutti i costi ed è pagata per questo, come in qualunque altro rapporto commerciale. Il bambino le viene letteralmente strappato, come se lei fosse solo un contenitore servito alla realizzazione dell’opera. Il mondo delle tenebre non finisce mai di sorprenderci !

L’ho definita una “barbara pratica”. Da giurista, è inconcepibile il fatto che un essere umano possa essere considerato oggetto di un contratto commerciale. Per trovare un precedente simile nella Storia del Diritto occorre ricorrere all’istituto della schiavitù. Non mi sembra un gran precedente. E nemmeno un gran progresso. In realtà le donne sfruttate sono due. Da una si ottengono gli ovociti contenenti il prezioso DNA, mentre l’altra viene semplicemente utilizzata come un contenitore. Infatti, normalmente gli ovociti vengono scelti accuratamente: di solito si tratta di una giovane donna di razza caucasica, bionda, con occhi azzurri, quoziente intellettivo alto, ecc. Mentre il contenitore lo si fa fare ad una donna del terzo mondo. In India esiste un disgustoso traffico di donne che hanno disperatamente bisogno di soldi e si prestano a questa vergogna. I committenti maschi non utilizzano una sola donna – sarebbe più semplice ed economico – perché in questo caso la donna rischierebbe di sentire come proprio il figlio e potrebbe rifiutarsi di farselo strappare via. Così, è preferibile sfruttarne due di donne, senza che nessuna delle due si affezioni troppo all’oggetto del contratto. Alcune femministe balbettano qualche critica, ma quel mondo, soprattutto il mondo omosessualista, è fermamente a sostegno di questa barbara pratica.

Occorre far prevalere il concetto che avere un figlio non è un diritto. Non esiste un diritto al bambino, ma c’è il diritto alla vita riconosciuto dalla Corte Costituzionale, il diritto di conoscere le proprie origini. Seguono poi i diritti ad essere educato dai propri genitori, alle relazioni familiari, e alla sua famiglia. Si può affermare che con la pratica dell’utero in affitto il nascituro è privato dei suoi diritti fondamentali?

Ci sono  importanti documenti a livello internazionale che riconoscono il diritto di un bambino a crescere in un contesto che favorisca il suo sviluppo armonico attraverso l’educazione complementare di un individuo biologico di sesso maschile, il padre, e un individuo biologico di sesso femminile, la madre. Questo è un dato oggettivo derivato dalla natura. Privare un bimbo di una madre o di un padre, è  una forma crudele e spietata di egoismo da parte di due adulti. Nessun bambino vuole nascere orfano. Semmai dobbiamo chiederci che tipo di civiltà è quella che tra il diritto sacrosanto di un essere debole e indifeso, quale  è un bambino, e il desiderio o il capriccio di due adulti, opta per quest’ultimo. È una civiltà dove vige la legge della giungla, in cui prevale il più forte e il più ricco. Qualcosa di molto  diverso dal modello che  per secoli ha caratterizzato  la civiltà occidentale cristiana.

Tornando all’incontro a cui ha partecipato recentemente presso l’Abbazia di S. Scolastica a Bari, la famiglia odierna si prende cura dei propri componenti? Li accompagna a scoprire i propri talenti ? Li porta a riconoscere i veri valori della vita? I genitori danno buon esempio ai propri figli? Ci si rispetta a vicenda? O ci sono muri di silenzio, incomprensioni, mancanza di dialogo? La Tv e i social network  hanno preso il suo posto?

Oggi sembra essere smarrito, non solo nella famiglia ma anche nella scuola, il concetto stesso di educazione. Che cosa significa educare? Tre verbi latini mi pare rendano bene l’idea di questa delicatissima funzione: educĕre/tradĕre/introducĕre. Se, infatti, la stessa derivazione etimologica del termine offre l’idea di “tirar fuori” ed estrarre le potenzialità di un figlio o di uno studente (educĕre), questa idea non può prescindere da altri due aspetti fondamentali.

Il primo è legato alla tradizione (tradĕre), ovvero al compito di “consegnare”, “trasmettere” il patrimonio di sapienza e di fede ricevuto dagli avi. E’ proprio il legame con la tradizione a costituire uno dei fattori originali delle dinamiche dell’evento educativo. La tradizione rappresenta il cuore dell’identità di un individuo, al punto che il suo disconoscimento non solo lo priva di un’origine, ma, scollegandolo dalle generazioni che lo hanno preceduto, lo immerge in un micidiale cocktail fatto di individualismo relativista, di cinico scetticismo e di squallido edonismo. A volte teleguidato da Tv e social network. L’assurdo ripudio della tradizione – falsamente immaginato come emancipazione in funzione di progresso – ha fatto dilagare tale micidiale cocktail nell’attuale sistema educativo e persino nella famiglia, dove insegnanti e genitori, succubi del pensiero unico dominante, hanno timore e addirittura vergogna di tradĕre l’eredità culturale fatta di principi, valori e ideali ricevuti dalle generazioni precedenti. Solo il legame con la Tradizione  può consentire oggi ad un giovane di acquisire un giudizio critico capace di osservare la realtà senza il paraocchi del pregiudizio ideologico e di guardare al di là delle false apparenze. Solo così un giovane può essere veramente libero e far fallire i tentativi di manipolazione che il Potere ininterrottamente mette  in atto – anche attraverso la distruzione della famiglia – per arrivare ad avere davanti a sé un uomo isolato, un pezzo di materia, un cittadino anonimo e privo del senso del destino. Il secondo aspetto concerne la funzione ultima della stessa educazione, ossia quella di introdurre (introducĕre) alla realtà nella totalità dei suoi fattori, proprio perché è insita nel cuore dell’uomo la domanda di senso totale, che non potrà mai trovare risposta in una ragione dimostrativa o scientifica. Ma chi oggi educa più in famiglia al riconoscimento di queste domande fondamentali dell’uomo?

L’istituzione della famiglia e del matrimonio sono stati istituiti prima del cristianesimo, vero?

La prima immagine che noi abbiamo di una famiglia, senza aggettivi (naturale, tradizionale, ecc.), è quella di una semplice famiglia fatta di madre, padre, figli, punto, risalente al periodo preistorico. Nel 2005 ad Eulau, in Germania, gli archeologi hanno scoperto alcune tombe del periodo  neolitico superiore. In una di esse hanno trovato i resti di quattro esseri umani: un uomo, una donna, e due bambini. Attraverso l’esame del DNA è stato dimostrato che si trattava di una famiglia: padre, madre e figli. Li avevano sepolti abbracciati tra di loro, e ciò fa intendere che sarebbero morti nello stesso momento. Gli scienziati hanno ricostruito attraverso un disegno i membri di quella famiglia, un’immagine molto commovente, ma che ci dice qualcosa di molto importante: in quell’epoca non esisteva nessuno Stato, nessun Parlamento, nessuna legge, nessuna Chiesa. Esisteva la famiglia, elemento naturale che precede tutte queste istituzioni. Per questo si dice che la famiglia è un elemento pre-politico e pre-giuridico. Nessuna istituzione umana e nessuna religione ha dato origine alla famiglia.

E che la famiglia fosse ritenuta una cellula della società risale alle più antiche civiltà, così come ha ripetuto più volte durante il suo intervento.

Uno dei primi a teorizzare in maniera “scientifica” questo concetto fu Aristotele nella sua opera Politica. Ci furono, poi, anche altri grandi pensatori del passato, come per esempio Cicerone che nel De Officiis spiega, appunto, che «prima societas ipso coniugio est», la famiglia è la cellula della società. Sempre in quell’opera, Cicerone riteneva la stessa famiglia come «principium urbis», fondamento della società e «seminarium rei publicae» un vivaio dello stato. Il concetto è poi passato nei grandi pensatori della Tradizione cristiana. Pensiamo, per esempio, a Sant’Agostino che ha espressamente definito la famiglia «particula civitatis», ovvero «la cellula della società e il suo principio» (De Civitate Dei, XIX 16). E così tutti gli altri grandi filosofi e teologi del cristianesimo. Sempre Sant’Agostino insegnava che «il primo naturale legame della società è quello tra uomo e donna (De bono coniugali, I, 1), e che «il matrimonio si chiamò così dalla radice etimologica mater» (Contra Faustum manichaeum, XIX 26). Per questo le  unioni contro natura tra persone dello stesso sesso non possono essere qualificate come matrimonio e quindi dare vita ad una famiglia. Del resto lo dice anche la nostra Costituzione all’art. 29, il quale recita che «La Repubblica riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». È interessante anche il verbo utilizzato in quell’articolo : «riconosce». Riconosce significa semplicemente prende atto di una realtà naturale che preesiste allo Stato. Non si dice la Repubblica istituisce la famiglia e ne disciplina le modalità di costituzione ed estinzione. La famiglia naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, ripeto, non è una creazione dello Stato e, quindi, non può essere modificata dallo stesso. Ancora più assurda ritengo la pretesa avanzata da alcuni movimenti omosessualisti di celebrare “nozze” tra persone dello stesso sesso nelle chiese. La libertà religiosa – che ricordiamo è un diritto fondamentale dell’uomo – non può essere conculcato in nome di un desiderio, o meglio di un capriccio di due persone che hanno un particolare orientamento sessuale.

Si può dire che c’è un piano infernale contro la famiglia, contro la fede, contro l’Europa cristiana?

Io ho avuto la grazia e il privilegio di conoscere personalmente, e frequentarlo negli ultimi anni della sua vita, il compianto cardinal Carlo Caffarra. Lui era stato incaricato nel 1981 dall’allora Pontefice di fondare l’Istituto per gli studi sul matrimonio e la famiglia. Caffarra ricordava spesso dalle mani di Suor Lucia di Fatima, una lettera in cui la veggente profetizzava che lo scontro finale tra Satana e il Regno di Cristo sarebbe avvenuto proprio sulla famiglia. Il Nemico dell’uomo non potendo attaccare direttamente il Creatore avrebbe attaccato la creatura, colpendo innanzitutto il luogo in cui essa nasce, cresce, si educa e si sviluppa. Chi ha fede crede a questa chiave di lettura. Non v’è dubbio, poi, che vi sia in atto una vera e propria guerra ideologica e cultura contro le radici cristiane dell’Europa. Basti pensare che lo stesso riferimento a tali radici è stato tolto dal preambolo della bozza della Costituzione europea.

Il fine di questa cultura della morte è annientare l’unica forma di difesa dell’uomo, la famiglia, e  spingerlo all’individualismo per farne un essere debole e fragile, facilmente plagiabile?

La famiglia è l’ultimo, piccolo, angusto spazio di libertà tra la persona e il Potere. Per questo il Potere vuole eliminarlo. Il Potere vuole un uomo solo, isolato, senza un luogo d’appartenenza, senza radici, fragile, indifeso. Un individuo perfettamente manipolabile. Come diceva il grande scritto inglese Chesterton la famiglia è un «test of freedom», un test di libertà, perché «è l’unica cosa che un uomo libero fa da sé e per sé».  Mons. Luigi Giussani, che è stato il mio Maestro, già trent’anni fa insegnava che l’interesse del potere a distruggere la famiglia è duplice: 1) distruggendo questa primordiale unità-compagnia dell’uomo, il potere riesce ad avere davanti a sé un uomo isolato che senza forza, resta un pezzo di materia, un cittadino anonimo, privo del senso del destino, privo del senso della sua ultima responsabilità e che si piega facilmente al dettato delle convenienze. La famiglia è attaccata per far sì che l’uomo sia più solo, privo di tradizioni che gli consentano di veicolare responsabilmente qualcosa che possa esser scomodo per il potere o che non nasca dal potere; 2) distruggendo la famiglia si demolisce  l’ultimo e più forte baluardo che resiste naturalmente alla concezione culturale che il potere introduce, dando spazio ad una realtà in cui il bene sia l’istinto o il piacere, o meglio ancora il calcolo.

A proposito  dell’identità di genere, il relativismo morale impera: un uomo vuole diventare donna, e viceversa. E quello che è più triste è che sono arrivati a provocare disagio anche nei bambini facendogli sorgere dubbi sulla propria identità sessuale. Vogliono distruggere la purezza dei piccoli. Il gender propagato nelle scuole… i piccoli vengono corrotti  ancor prima che prendano consapevolezza della gravità di certi insegnamenti! Non pensa che sarebbe bene far frequentare ai propri figli per difenderli dal male scuole parentali cristiane?

È un tema molto complesso che non può essere liquidato con una risposta da intervista. Quello che posso dire è che la cosiddetta ideologia gender più che una forma di relativismo morale integra un vero e proprio relativismo materiale. Si nega la realtà. È una sorta di delirio collettivo che rischia di distruggere la società, e certamente svuota la base antropologica della famiglia. La cosa più grave è che spesso si assiste ad un indottrinamento ideologico nelle scuole, partendo proprio dai più piccoli, i soggetti più facilmente plasmabili. Del resto ogni regime totalitario utilizza l’indottrinamento scolastico, e l’attuale dittatura del pensiero unico in cui stiamo vivendo non fa eccezione. Ritengo che l’opzione delle scuole parentali sia da prendere in seria considerazione. Continuo a conoscere esperienze disseminate in tutta Italia, davvero edificanti e che aprono una luce di speranza. Avessi dei figli in età scolare, opterei senza dubbio per questa soluzione rispetto all’alternativa di un campo di rieducazione dove giovani sono costretti all’indottrinamento dell’ideologia woke, del politicamente corretto, della cancel culture, della prospettiva omosessualista.

L’era sessantottina ha portato al caos. Da qui la mancanza di rispetto dei figli nei riguardi dei genitori, degli alunni riguardo gli insegnanti, della moglie rispetto al marito. Questa rivoluzione è stata graduale e lentamente ha provocato un vero disastro, quello che vediamo adesso? Com’era la famiglia  decenni fa e com’è oggi? La donna che responsabilità ha nel degrado morale e spirituale attuale? Il suo lavoro fuori casa le impedisce di avere cura del focolare domestico e di svolgere il ruolo fondamentale che Dio le ha affidato nel far crescere in età e grazia i propri figli e di essere accanto al proprio marito per aiutarlo e sostenerlo: Il Signore disse: «Non è bene che l’uomo sia solo, facciamogli un aiuto simile a lui», Gen 2,18.

Su che cosa abbia significato l’esperienza storica che va sotto il nome di “Sessantotto” e su quali siano stati gli effetti esiziali che ancora oggi perdurano, rinvio all’interessante saggio di un mio carissimo e fraterno amico: Giovanni Formicola. Credo che il suo libro intitolato “Sessantotto Macerie e Speranza” sia uno dei testi più illuminanti ed utili per comprendere in profondità quel fenomeno. Senza dubbio una vera rivoluzione che ha preso di mira anche l’istituto della famiglia quale cellula della società, in un’ottica ideologicamente distruttiva.

Assistiamo anche ad una certa manipolazione linguistica: la contraccezione viene descritta come “controllo del proprio corpo”; l’aborto (uccisione del nascituro) come “interruzione volontaria della gravidanza”; gli assassini degli innocenti sono chiamati “pro-scelta” e gli omosessuali “gay”, ovvero gaudenti. Ne consegue che l’arte, la musica sono state stravolte da cambiamenti culturali, che si allontanano da qualsiasi cosa che assomigli alla moralità cristiana.

Anche il regime totalitario in cui viviamo, come tutti i regimi totalitari che si rispettino, utilizza la manipolazione linguistica. Basta ricordare la celebre “neolingua” ipotizzata dallo scrittore George Orwell nel suo romanzo di fantascienza distopica 1984. Agli esempi che ha fatto Lei potremmo aggiungere anche “maternità di sostegno” per indicare la barbara pratica dell’utero in affitto, o la “procreazione medicalmente assistita” per indicare la procreazione artificiale. Cercano sempre di dare una valenza positiva a cose che, in realtà, sono sempre contro natura e contro l’uomo. Vittime dell’imperante totalitarismo ideologico e culturale in atto certamente anche la Storia, l’Arte, la Musica, basti pensare all’inquietante fenomeno noto come “cancel culture”.

Da cosa nasce la disgregazione familiare a livello giuridico, e la Chiesa cattolica è ancora davvero convinta dell’indissolubilità del matrimonio?

È stato il divorzio a rendere le relazioni umane e la società molto più liquide, e la solubilità del matrimonio ha incrinato la stessa stabilità della convivenza civile. Questo lo si deve onestamente ammettere, prescindendo da qualunque valutazione di carattere religioso, sacramentale, teologico. È possibile, infatti, parlare di matrimonio indissolubile anche da un punto di vista squisitamente laico. Se la famiglia è la cellula della società, uno Stato ha interesse a che la cellula sia solida. Una cellula liquida, infatti, rende liquida tutta la società. Non serve la fede, del resto, per comprendere anche la necessità del matrimonio indissolubile per il destino dei figli, il loro sostentamento e la loro educazione. Come ricordava il grande filosofo francese Gustave Thibon, se prima di sposarsi un individuo è consapevole dell’irrevocabilità del matrimonio, è anche indotto a non avventurarsi alla leggera in quel vicolo cieco che ha il muro di chiusura alle spalle; come il conquistatore che brucia i suoi vascelli per togliersi prima della battaglia ogni possibilità di ritirata, i fidanzati che acconsentono a legarsi l’uno all’altro fino alla morte, si procurano da questa “idea-forza” una garanzia preliminare contro tutti gli eventi del destino che minacceranno il loro amore. Al contrario, la sola idea del divorzio possibile prende dimora tacitamente nel profondo dell’anima, come un verme deposto da una mosca in un frutto in formazione e che ne divorerà un giorno la sostanza. L’esperienza ha più volte dimostrato, infatti, che in alcune circostanze, specie quando si tratta di grandi prove, è sufficiente considerare una cosa come possibile perché essa divenga necessaria. Si tratta di un dato psicologico elementare che da solo basta a sfatare, tra l’altro, il mito del cosiddetto “matrimonio di prova”.

Per questo resto basito quando mi riferiscono che ad alcuni “corsi prematrimoniali” è lo stesso parroco a spiegare ai nubendi, che, in fondo in fondo, se poi le cose vanno male, resta sempre aperta l’opzione del divorzio. Non mi addentro in tutte le polemiche sull’interpretazione dell’enciclica “Amoris Laetitia”, e neppure nella triste vicenda dei legittimi “dubia” sollevati da quattro cardinali della Chiesa cattolica (rimasti peraltro senza risposta), ma credo che l’orientamento attuale della Sacra Rota sia sempre più, diciamo, permissivo. È lo spirito del mondo che aleggia dentro la Chiesa.

Fonte: https://www.lafiaccola.it/wp/famiglia-e-bullismo/

LA GUERRA IN UCRAINA SOVVERTIRÀ L’ÉLITE OCCIDENTALE ANTICRISTIANA?

Condividi su:

Non ci dovrebbero essere dubbi sul fatto che l’attuale élite occidentale abbia un forte desiderio di sradicare la tradizionale fede ortodossa dal mondo. Gli sforzi dei globalisti per minare l’Ortodossia sono ben documentati e il secondo giorno dell’operazione militare russa in Ucraina il capo dell’MI-6 britannico, Richard Moore, ha twittato questa gemma scintillante: “Con la tragedia e la distruzione che si stanno verificando in Ucraina, dovremmo ricordare i valori e le libertà conquistate con fatica che ci distinguono da Putin, nessuno più dei diritti LGBT+. Riprendiamo quindi la nostra serie di tweet per celebrare #LGBTHM2022”.

Tuttavia, a causa della già citata guerra per procura dell’Occidente contro la Russia in Ucraina, potrebbe essere in procinto di verificarsi un evento epocale nella storia del mondo: la riconversione dell’Europa occidentale alla fede ortodossa.

Considerate ciò che è accaduto: da febbraio, quando la Russia è entrata in Ucraina per porre fine alle macchinazioni dell’Occidente, diversi milioni di ucraini hanno lasciato il loro Paese, molti dei quali sono finiti nei Paesi dell’Europa occidentale – 1,5 milioni in Polonia, 1 milione in Germania, 150 mila nel Regno Unito, ecc.

Nella maggior parte di questi luoghi, i resti del cristianesimo post-Grande Scisma (cattolicesimo romano e protestantesimo) hanno subito un rapid, o declino. Di seguito riportiamo un rapporto dalla Germania:

“Le chiese tedesche devono fare i conti anche quest’anno con diserzioni di massa. Nella sola Monaco di Baviera, secondo un sondaggio dell’agenzia di stampa DPA, 26.008 persone hanno lasciato le chiese cattoliche e protestanti entro il 15 dicembre. Si tratta di quasi 4.000 persone in più rispetto al 2021. Secondo i tribunali civili di Berlino, 18 018 fedeli della capitale federale hanno abbandonato le chiese solo nei primi tre trimestri del 2022. Si tratta di circa 4.000 uscite in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Anche ad Hannover il numero di fedeli delle due principali confessioni cristiane è diminuito. A metà dicembre, 7 000 persone avevano lasciato la chiesa. Si tratta di un numero superiore a quello dell’intero 2021, quando il numero era di circa 6.600 persone. L’anno scorso, la Chiesa cattolica ha dovuto far fronte alla partenza di circa 360.000 fedeli. Si tratta di un nuovo record negativo che potrebbe essere superato nel 2022. I protestanti hanno perso circa 280.000 membri nel 2021. Già a metà dicembre, il “Religion Monitor” della Fondazione Bertelsmann mostrava che un membro della Chiesa su quattro in Germania stava pensando di abbandonare la chiesa.”

Anche in Inghilterra e Galles si è registrato un forte calo del numero di cristiani.

Tutto questo senza dubbio fa gioire i Baerbock e i Macron dell’Occidente senza Cristo, ma è proprio su questo punto che la loro guerra in Ucraina potrebbe ferirli in modo più evidente, dal momento che i milioni di rifugiati ucraini portano la loro fede ortodossa alle popolazioni spiritualmente affamate dell’Europa occidentale. Per assistere i cristiani ucraini fuggiti dalla guerra, la Chiesa canonica ortodossa ucraina ha già istituito 32 parrocchie in 11 Paesi dell’Europa occidentale. È ipotizzabile che se ne aggiungano altre.

Cos’è questo se non la mano di Dio che interviene nelle vicende umane? L’amato vescovo missionario, San Giovanni Taumaturgo di Shanghai e San Francisco, vide nella diaspora russa che fuggiva dal dominio demoniaco dei comunisti sovietici qualcosa di simile:

“Tuttavia, nel castigare, il Signore allo stesso tempo mostra al popolo russo la via della salvezza, rendendolo un predicatore dell’Ortodossia in tutto il mondo. La diaspora russa ha fatto conoscere l’Ortodossia a tutte le estremità del mondo, perché la massa della Russia, per la maggior parte esiliata, è inconsapevolmente un predicatore dell’Ortodossia. Ovunque i russi vivano sono state costruite piccole chiese per gli esuli, o anche magnifiche chiese e spesso si svolgono funzioni in edifici che sono stati adattati a questo scopo.”

Purtroppo, né i russi né nessun altro Patriarcato ortodosso hanno fatto molto per seminare il buon seme dell’Ortodossia in Occidente. Ora, forse, gli ucraini sono stati mandati all’estero da Dio come ambasciatori del vero Cristo in un Occidente malato di anime e disperato, per riportarlo alle sue radici nella Chiesa ortodossa, per completare il compito missionario che altri hanno trascurato.

È un momento propizio, nel bel mezzo del periodo natalizio. Quel notevole gerarca, quella nuova lingua d’oro e martire, Sant’Ilarione Troitsky, contrappone l’orgoglio distruttivo dell’ateismo moderno dell’Europa occidentale al potere vivificante della fede senza pretese nel Logos incarnato:

“Perché esiste un tale rapporto con l’incarnazione del Figlio di Dio? Sembra che le radici di questo rapporto siano profondamente radicate nell’autocoscienza morale dell’uomo moderno. Questa autocoscienza è principalmente orgogliosa. E cosa significa credere nell’incarnazione? Significa, innanzitutto, semplicemente confessare che prima la natura umana era molto buona. Era nata così dalle mani del Creatore. La libertà umana ha portato il peccato, la rottura della natura dell’uomo, e “una guerra civile è iniziata nella natura umana”, come scrive un santo padre. Abusando della sua libertà, l’uomo ha talmente corrotto la sua natura che ha potuto solo esclamare: “Sono un uomo maledetto, un miserabile!”. Non posso salvarmi da solo. Abbiamo bisogno di una nuova creazione, di un’effusione di forza nuova e piena di grazia. Questo è ciò che tutti gli uomini dovrebbero dire per credere nell’incarnazione del Figlio di Dio. Una tale umile consapevolezza, una tale umile confessione della nostra debolezza, della nostra colpa di fronte all’opera delle mani di Dio: è questo lo spirito dell’uomo moderno? Ma la coscienza moderna è penetrata dall’idea di evoluzione, dall’idea di progresso; cioè dalle idee stesse che possono alimentare l’orgoglio umano. Il cristianesimo richiede un’umile consapevolezza. Il mio antenato, Adamo, era perfetto, ma io, l’uomo, ho introdotto solo il peccato e la corruzione. La Chiesa ci chiama all’umiltà quando chiama Adamo nostro antenato. Ma l’evoluzione? La discendenza dalla scimmia? Per quanto ci valutiamo modestamente, è impossibile non pensare con un certo orgoglio: “Dopo tutto, non sono una scimmia; dopo tutto, il progresso si manifesta in me”. Così, chiamando la scimmia nostro antenato, l’evoluzione alimenta l’orgoglio umano. Se ci paragoniamo alla scimmia possiamo essere orgogliosi del nostro progresso, ma se pensiamo all’Adamo senza peccato, il progresso esteriore perde il suo valore. Il progresso è esteriore, ma è anche un peccato sofisticato. Se l’umanità progredisce costantemente, allora possiamo sperare in noi stessi. Noi creiamo noi stessi. Ma la Chiesa dice il contrario: “Non potremmo diventare incorrotti e immortali se prima l’Incorrotto e l’Immortale non fosse diventato uguale a noi”. Credere nell’incarnazione significa confessare che senza Dio l’umanità intera non è nulla. Nel corso dei secoli, la Chiesa ha portato l’ideale della deificazione. Questo ideale è molto alto, ma esige molto dall’uomo. È impensabile senza l’incarnazione; esige innanzitutto che l’uomo sia umile. L’umanità sta rinunciando a questo alto ideale e non ha bisogno dell’incarnazione del Figlio di Dio. Un ideale di vita infinitamente svalutato permette all’uomo di parlare di progresso e gli dà la possibilità di essere orgoglioso delle sue conquiste. Queste due serie di idee costituiscono due diverse visioni del mondo: quella della Chiesa e quella che non è della Chiesa. La visione del mondo che non è della Chiesa – discendenza dalla scimmia, progresso, non avere bisogno dell’incarnazione e negarla – è l’orgoglio. L’accettazione dell’incarnazione è indissolubilmente legata all’umiltà. L’orgoglio si scontra con l’incarnazione, come con qualcosa di non necessario. Partecipando alla trionfale celebrazione ecclesiale della Natività di Cristo, dovremmo gridare ad alta voce: “Sii umile, uomo orgoglioso, e credi nell’incarnazione dell’Unigenito Figlio di Dio!”.”

Quanto più a lungo l’Occidente trascinerà la guerra in Ucraina, tanto più i profughi ucraini avranno l’opportunità di proclamare, consapevolmente o meno, l’incomparabile splendore della verità dell’Incarnazione, dell’Ortodossia, ai Paesi dell’Europa occidentale in cui si sono rifugiati:

“Preparati, o Betlemme, perché l’Eden è stato aperto a tutti! / Adornati, o Efrata, perché l’albero della vita fiorisce dalla Vergine nella grotta! / Il suo grembo è un paradiso spirituale piantato con il frutto divino: / Se ne mangiamo, vivremo per sempre e non moriremo come Adamo. / Cristo viene a ripristinare l’immagine che aveva fatto all’inizio.”

Perciò, contrariamente ai loro progetti, l’élite anticristo dell’Europa occidentale sta accelerando la propria fine, rispondendo alla preghiera del Salmista di far cadere i malvagi nelle insidie che hanno teso agli innocenti (Sal 35, 6-8):

“Che la loro strada sia oscura e scivolosa, con l’angelo del Signore che li insegue! Perché senza motivo hanno nascosto la loro rete per me; senza motivo hanno scavato una fossa per la mia vita. Che la rovina li colga alla sprovvista! Che la rete che hanno nascosto li intrappoli, che vi cadano in rovina!”

“Questa è l’opera dell’Eterno, è meravigliosa ai nostri occhi.” (Sal. 118:23).

Articolo originale di Walt Garlington

Traduzione di Costantino Ceoldo

La solidarietà verso gli immigrati non è un obbligo morale

Condividi su:

L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/11/14/la-solidarieta-verso-gli-immigrati-non-e-un-obbligo-morale/

LA “CIVILTÀ” DELLA SOLIDARIETÀ IMMIGRAZIONISTA DELLE SINISTRE, NON È ALTRO CHE IL COMPIMENTO DEL TERZO “VALORE” DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE, QUELLO PIÙ UTOPICO DELLA “FRATERNITÉ” SENZA IL CRISTIANESIMO

La parola solidarietà viene, spesso, abusata o utilizzata a sproposito per far apparire il Cattolicesimo come una grande O.N.G. (Organizzazione Non Governativa) col fine di favorire il mondialismo. Questa è la versione social-democratica del Magistero della Chiesa. L’interpretazione centrista è, altresì, ancor più incline ad un buonismo che afferisce all’umanesimo integrale, tanto sbandierato dai liberali, che non riconosce alcun ruolo a Dio, quanto ad un’etica materialista della comune famiglia globale.

La solidarietà come pseudo-virtù è un’invenzione del positivismo ottocentesco, e di August Comte in particolare, per il quale la solidarietà è “l’intrinseca e totale dipendenza di ogni uomo dalle precedenti generazioni” , in una prospettiva totalmente deterministica, che non gli riconosce alcuna libertà.

Il problema di entrambe le ideologie, che spesso hanno radici e caratteristiche che si incrociano, come, del resto, il progressismo marxista e il conservatorismo liberista, in tema di immigrazione di massa, è che dimenticano o rifiutano il destino soprannaturale degli esseri umani.

Il lavoro illuminista, fatto proprio dalle logge massoniche, è stato quello di convincere, nell’arco di almeno tre secoli, il mondo che vi possa essere una solidarietà senza carità, ossia la filantropia senza Dio, propria dei nemici di Cristo e della Chiesa. Questa confusione terminologica e fattuale è così intrinsecamente perversa da essere riuscita, nel tempo, a traghettare nel suo campo molti cattolici in buona fede.

Del resto, è risaputo che i figli del serpente sono più scaltri dei figli della Luce. Il grande G.K. Chesterton mise in guardia, a pieno titolo, dall’ambiguità, che porta sempre al male.

E’ per evitare spiacevoli equivoci che il Magistero ecclesiastico è intervenuto per fare chiarezza.Il primo di tali perniciosi errori, oggi largamente diffuso, è la dimenticanza di quella legge umana di solidarietà e carità, che viene dettata e imposta sia dalla comunanza di origine e dalla eguaglianza della natura razionale in tutti gli uomini, a qualsiasi popolo appartengano, sia dal sacrificio di redenzione offerto da Gesù Cristo sull’ara della Croce al Padre suo celeste in favore dell’umanità peccatrice” (Pio XII, Lettera enciclica Summi pontificatus, n. 15).

Nella sfera sociale la carità è “un’amicizia tra Dio e l’uomo [che] suppone necessariamente la Grazia che ci fa figli di Dio ed eredi della gloria (Padre Antonio Royo Marìn, Teologia della perfezione cristiana, Edizioni Paoline, Torino 1987, p. 602).

Dopo Dio, occorre amare il bene spirituale dell’anima propria e di quella del prossimo, più che il nostro e altrui bene corporale. Solo se riferita al suo oggetto primo, cioè a Dio, la carità è veramente tale perché “senza la Fede è impossibile piacere a Dio” (San Paolo, Lettera agli Ebrei, II,6).

La solidarietà riguarda, dunque, i beni spirituali, molto di più di quelli materiali, come il venerabile Papa Pio XII spiega mirabilmente nella costituzione apostolica Exsul Familia del 1° agosto 1952.

Quanto alla carità sociale internazionale, quale principio della dottrina sociale della Chiesa enunciato dal Magistero di Pio XI, nella meravigliosa enciclica Quadragesimo anno (n. 87-88) rientra la “solidarietà delle nazioni”, per cui Pio XII giustifica il principio dell’intervento armato a difesa di un altro popolo ingiustamente aggredito, che non sia in grado di difendersi da solo. Ma, “nessuno Stato ha l’obbligo di assistere l’altro, se per questo deve andare in rovina o compiere sacrifici, sproporzionatamente gravi” (Padre Eberhard Welty o.p. vol. II, pag. 404).

Un popolo minacciato o già vittima di una ingiusta aggressione, se vuole pensare ed agire cristianamente, non può rimanere in una indifferenza passiva; tanto più la solidarietà della famiglia dei popoli interdice agli altri di comportarsi come semplici spettatori in un atteggiamento d’impassibile neutralità. […] Ciò è così vero, che né la sola considerazione dei dolori e dei mali derivanti dalla guerra, nè l’accurata dosatura dell’azione e del vantaggio valgono finalmente a determinare, se è moralmente lecito, od anche in talune circostanze concrete obbligatorio (sempre che vi sia probabilità fondata di buon successo) di respingere con la forza l’aggressore. […] La sicurezza che tale dovere non rimarrà inadempiuto, servirà a scoraggiare l’aggressore e quindi ad evitare la guerra, o almeno, nella peggiore ipotesi, ad abbreviarne le sofferenze” (Pio XII, Radiomessaggio natalizio 1948).

Secondo il prof. Roberto de Mattei la civiltà della solidarietà, cui si richiama la nuova sinistra, altro non sarebbe che il compimento del “terzo valore della Rivoluzione, quello più utopico della fraternité”, l’inveramento della triade giacobina di liberté, egalité e fraternité nella prospettiva naturalistica e totalmente secolarizzata della cosiddetta società multietnica e multireligiosa.

Questa solidarietà consisterebbe nella coscienza di una progressiva convergenza sociale dell’umanità verso un futuro unitario, verso un mondo caratterizzato dall’interdipendenza sempre più stretta dei rapporti sociali. […] L’etica della solidarietà, intesa come pura etica relazionale, porterebbe come conseguenza necessaria la realizzazione dell’uguaglianza assoluta e anche dell’assoluta libertà nel regno della fratellanza. […] Queste teorie ricevono conferma ideologica dalle sponde del progressismo cattolico, dove un teorico della solidarietà quale Josef Tischner ci presenta l’uomo non come persona individuata e distinta, ma come ente confuso in una “complessa rete relazionale” (1900-2000 Due sogni si succedono la costruzione la distruzioneEdizioni Fiducia, Roma 1990, pp. 121 e 122).

Oggi si tace il fatto che il Magistero della Chiesa pone dei limiti all’accoglienza verso gli stranieri ed al diritto naturale di emigrare, inteso come l’inalienabile volontà di interagire con altri popoli, secondo i principi di legalità e reciprocità di rispetto e dignità.

Nessuno parla mai del dovere di carità cristiana e solidarietà di comportamento nel cercare e rimuovere le cause che provocano la necessità di trasferirsi in massa in un nuovo Continente.Nessuno Stato, in forza del diritto di sovranità, può opporsi in modo assoluto a una tale circolazione, ma non gli è interdetto di sottoporre l’esodo degli emigranti o l’ammissione degli immigrati a determinate condizioni richieste dalla cura degli interessi, che è suo ufficio tutelare” (AA.VV., Codice di morale internazionale, La civiltà cattolica, Roma 1943, pp. 53-54).

Una politica di puro protezionismo o di egoismo nazionalistico o etnico non è invece ammissibile.Il Creatore dell’Universo, infatti, ha creato tutte le cose in primo luogo ad utilità di tutti; perciò il dominio delle singole nazioni, benché debba essere rispettato, non può venir tanto esagerato che, mentre in qualsivoglia luogo la terra offre abbondanza di nutrimento per tutti, per motivi non sufficienti e per cause non giuste ne venga impedito l’accesso a stranieri bisognosi ed onesti, salvo il caso di motivi di pubblica utilità da ponderare con la massima scrupolosità” (Pio XII, Lettera In fratres caritas all’Episcopato degli Stati Uniti, 24 dicembre 1948, in A. A. S. XXXXI, 1949, pag. 15 e seg.).

Padre Antonio Messineo S.J. sostiene che lo Stato di destinazione possa impedire che gli stranieri ”non rimangano a suo carico e non compromettano l’ordine e la sicurezza pubblica (sanità, istruzione, moralità, mezzi pecuniari ecc.), AA.VV. Codice di morale internazionale, cit., pag.55.

Infine, Papa Pio XII appare profetico, quanto dimenticato.

Rivolgendosi, in particolare, ai popoli africani e al Terzo Mondo in generale, li “avvertivamo […] a riconoscere all’Europa il merito del loro avanzamento; all’Europa, senza il cui influsso, esteso in tutti i campi, essi potrebbero essere trascinati da un cieco nazionalismo a precipitare nel caos o nella schiavitù. […] Non ignoriamo, infatti, che in molte regioni dell’Africa vengono diffusi i germi di turbolenza dai seguaci del materialismo ateo, i quali attizzano le passioni, eccitano l’odio di un popolo contro l’altro, sfruttano alcune tristi condizioni per sedurre gli spiriti con fallaci miraggi o per seminare la ribellione nei cuori” (Pio XII, Lettera enciclica, Fidei donum del 21 aprile 1957, nn. 6-7).

 

Cristianesimo senza miracoli e senza inferno

Condividi su:

di Gianfranco Amato

Per comprendere lo stato di crisi della Chiesa e della fede cristiana, è sufficiente leggere le dichiarazioni di alcune teologi á la page, e biblisti particolarmente popolari e apprezzati.

Tra questi spicca certamente Padre Alberto Maggi, religioso dell’Ordine dei servi di Maria, che vanta persino studi all’École biblique di Gerusalemme, l’istituto più prestigioso del mondo per chi intenda approcciarsi alle Scritture con rigore scientifico, e che da trent’anni resta saldo al timone dell’altrettanto prestigioso Centro Studi Biblici di Montefano. È pure un volto conosciuto ed apprezzato dal pubblico, grazie ai suoi commenti al Vangelo trasmessi da TV2000, l’emittente televisiva della Conferenza Episcopale Italiana.

Le ultime dichiarazioni pubbliche rese da Padre Alberto Maggi appaiono assai eloquenti sul citato stato della Chiesa e della fede cristiana.

Il noto teologo, infatti, ha iniziato col definire «pericoloso» lo stesso Libro sacro per i cristiani, ovvero la Bibbia, in quanto «capace di far perdere la fede, più che suscitarla». Per Padre Maggi, infatti, il contenuto di quel testo sacro in realtà narra «una storia poco avvincente di cui conosciamo già il finale e su cui pesano condizionamenti esterni che finiscono per farci pensare all’assurdità del suo racconto».

Una di queste assurdità, per Padre Maggi, è proprio il concetto di «inferno come luogo di dannazione eterna». Il teologo, infatti, sostiene che «nella Bibbia questa parola non compare, al suo posto c’è la dizione d’inferi quale regno dei morti», e precisa che «da pochi anni anche l’ultima edizione delle Scritture curata dalla Cei è stata corretta, ma, visto che prevale la logica del “si è pensato e fatto sempre così”, poco ci si adopera e cambiare la mentalità comune».

Per Padre Maggi, quindi, nessun è dannato per l’eternità al termine dei suoi giorni, fra pianti e stridor di denti. Sul punto, infatti, il teologo è tranchant: «Nessuno. Nei Vangeli semmai si parla di una vita biologica, che si chiude con la morte a cui segue o un’esistenza senza fine nello spirito per chi, credente o meno, abbia amato, oppure una morte seconda, definitiva». Insomma, l’inferno come lo intende il Magistero della Chiesa sarebbe in realtà vuoto. Questa è un’idea molto più di diffusa di quanto si possa immaginare soprattutto nei seminari e nelle scuole teologiche. Oltre che tra alcuni autorevoli esponenti delle gerarchie ecclesiastiche. E ciò nonostante le chiare e inequivocabili parole dello stesso Gesù Cristo, citate nel Vangelo di Matteo: «E questi se ne andranno al castigo eterno, i giusti invece alla vita eterna» (Mt 25,46). Ma si sa, come ha spiegato il Generale dei gesuiti Padre Arturo Sosa Abscal ai tempi di Gesù «nessuno aveva un registratore per inciderne le parole», e dunque, in mancanza di certezze, occorre contestualizzare, relativizzare e procedere secondo il metodo del discernimento.

Il nostro Padre Alberto Maggi ne ha pure per i miracoli evangelici: «Anche questa parola è estranea ai Vangeli. Gesù ha compiuto dei segni per favorire la fede, non ha stravolto le leggi della fisica». E per spiegarlo cita l’episodio della resurrezione di Lazzaro, chiarendo bene che esso ha un suo «significato teologico, non storico­». E a chi gli obietta che togliendo inferno e miracoli si rischia di annacquare il messaggio cristiano, il nostro teologo risponde così: «Tutt’altro, lo si purifica da un’esegesi letteralista incapace di cogliere il reale messaggio liberante di Dio».

Per avere un quadro completo della situazione, è utile ricordare anche il fatto che lo stesso Padre Maggi sia stato uno dei primi accaniti sostenitori della chiusura delle chiese difronte all’emergenza Covid-19. Una circostanza non casuale. Ricordiamo bene quando disse, per esempio, che «la libertà di culto tanto sbandierata è essere responsabili della salute delle persone, non di infettare la gente». E ricordiamo altrettanto bene un’altra sua celebre affermazione: «La salute delle persone è molto più importante di una celebrazione». Nessun anticlericale mangiapreti è arrivato a tanto. Evidentemente ci voleva un teologo e biblista del calibro di Maggi, il quale ha voluto comunque precisare il senso della sua frase in questi termini: «La verità è che senza lavoro non si campa, senza culto si campa benissimo; questa è una cosa importante, anche se mi sembra ovvia: senza lavoro non si può andare avanti, senza la celebrazione della Messa si campa ugualmente bene, c’è tanta gente che non partecipa mai all’eucaristica e vive lo stesso». Forse bisognerebbe ricordare l’ammonimento evangelico che «non di solo pane vive l’uomo», ma qui torneremmo al problema del registratore sollevato dal Generale dei gesuiti.

Numero 238. Socialismo, Comunismo e Cristianesimo

Condividi su:

Segnalazione di Carlo Di Pietro

… ancora oggi e nonostante la storia sia stata maestra di verità, non pochi avventori sostengono che «il comunismo ed il socialismo non sono irriducibili nemici della religione».

Ed ancora, essi dicono, «socialismo comunista e cristianesimo, pur partendo da diversi punti, si incontrano in un comune ideale di giustizia sociale e di pace». Essi vedono, quindi, «possibile un’intesa, almeno sul terreno pratico, per il bene della travagliata società moderna».

Si risponde mostrando l’opposizione assoluta tra comunismo, socialismo e cristianesimo, tale da escludere ogni possibilità di intesa …

– Comunicato numero 238. Socialismo, Comunismo e Cristianesimo;
– Orazione a Santo Stefano, Protomartire (26.12);
– Preghiera a San Domenico di Sylos, Abate (20.12);
– Preghiera a San Tommaso Apostolo (21.12);
– Preghiera a Santa Francesca Saverio Cabrini (22.12);
– Preghiera a Santa Vittoria, Vergine e Martire (23.12);
– Preghiera di Papa Pio XII per il Santo Natale (25.12);
– Preghiera nella Vigilia di Natale (24.12).
Preghiamo per i nostri Sacerdoti e Religiosi, per le Suore, per le vocazioni, per le famiglie, per le intenzioni della nostra Associazione, per la conversione dei modernisti e per i defunti affidandoci alla potente intercessione di San Giovanni di Dio.
Ossequi, Carlo Di Pietro.

Sursum Corda ® O. d. V.
C.da Piancardillo, snc – 85010 Pignola
Provincia di Potenza (ITALIA)
Redazione: editoria@sursumcorda.cloud 
Donazioni: paypal@sursumcorda.cloud

“Colombo è uomo nostro” (Leone XIII)

Condividi su:

Segnalazione del Centro Studi Federici

Enciclica “Quarto Abeunte Saeculo” di Leone XIII, 16 luglio 1892
Ai Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi di Spagna, d’Italia e delle Americhe.
Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.
Allo spirare del quarto secolo dal giorno in cui, auspice Iddio, un uomo Ligure approdò, primo fra tutti, di là dell’Oceano Atlantico a lidi sconosciuti, i popoli sono lieti di celebrare con sentimenti di gratitudine la memoria di quel fatto, e di esaltarne l’autore. Certamente non si saprebbe trovare agevolmente un motivo più degno di questo d’infervorare gli animi e destare entusiasmo. Infatti, l’impresa in se stessa è la più grande e meravigliosa di quante mai se ne videro nell’ordine delle cose umane: e colui che la portò a compimento non è paragonabile che a pochi di quanti furono grandi per tempra d’animo e altezza d’ingegno. Un nuovo mondo sorse per merito suo dall’inesplorato grembo dell’Oceano: centinaia di migliaia di creature vennero dall’oblio e dalle tenebre a integrare la famiglia umana; dalla barbarie furono condotte alla mansuetudine ed alla civiltà: e quel che infinitamente più importa, da perdute che erano, furono rigenerate alla vita eterna mercé la partecipazione dei beni che Gesù Cristo procurò.
L’Europa, percossa allora dalla novità e dal miracolo dell’inatteso portento, a poco a poco si rese conto di quanto essa doveva a Colombo allorché le colonie stabilite in America, le comunicazioni incessanti, la reciprocità dei servizi e l’esplicarsi del commercio marittimo diedero impulso poderosissimo alle scienze naturali, alle ricchezze comuni, con incalcolabile valorizzazione del nome Europeo.
Fra così varie manifestazioni onorifiche e in questo concerto di rallegramenti non conviene che la Chiesa rimanga muta, dato che essa, secondo il suo costume e il suo carattere, approva volentieri e si sforza di promuovere tutto ciò che appare onesto e lodevole. Vero è che la Chiesa serba i suoi particolari e massimi onori all’eroismo delle più eminenti virtù morali in quanto ordinate alla salvezza eterna delle anime, ma non per questo misconosce né tiene in poco conto gli altri eroismi: ché anzi si compiacque sempre di tributare onore con grande volontà ai benemeriti della società civile, e a quanti vivono gloriosi nella memoria dei posteri. Infatti Iddio è bensì mirabile soprattutto nei suoi santi: ma il marchio del divino valore rifulge anche in coloro nei quali brilla una certa forza superiore d’animo e di mente, in quanto la luce del genio e la sublimità d’animo giungono agli uomini soltanto da Dio Padre e Creatore.
Ma oltre a queste ragioni di ordine generico, abbiamo motivi del tutto particolari di voler commemorare con riconoscenza l’immortale impresa. Infatti Colombo è uomo nostro. Per poco che si rifletta al precipuo scopo onde si condusse ad esplorare il mar tenebroso, e al modo che tenne, è fuor di dubbio che nel disegno e nella esecuzione dell’impresa ebbe parte principalissima la fede cattolica: in modo che in verità per questo titolo tutto il genere umano ha obbligo non lieve verso la Chiesa.
Impavidi e perseveranti esploratori di terre sconosciute e di più sconosciuti mari, prima e dopo di Cristoforo Colombo, se ne contano parecchi. Ed è giusto che la fama, memore delle opere benefiche, celebri il nome loro, in quanto riuscirono ad allargare i confini delle scienze e della civiltà, a crescere il pubblico benessere: e ciò non a lieve costo, ma a prezzo di faticosi sforzi di volontà e sovente di gravissimi pericoli.
C’è tuttavia gran differenza fra essi e l’uomo di cui parliamo. La nota caratteristica che distingue Colombo sta in questo, che nel solcare e risolcare gli spazi immensi dell’Oceano, egli mirava a cose maggiori e più alte degli altri. Non che egli non fosse spinto dal nobilissimo desiderio di conoscere, né di bene meritare della famiglia umana; non che egli disprezzasse la gloria, i cui stimoli di solito sono più acuti nel petto dei grandi, o che tenesse in poco conto la speranza di propri vantaggi; ma sopra tutte queste ragioni umane prevalse il lui il sentimento della religione dei padri suoi, dalla quale egli prese senza dubbio l’ispirazione e la volontà dell’impresa e spesso, nelle supreme difficoltà, trasse motivo di fermezza e di conforto. Risulta infatti che egli intese e volle intensamente questo: aprire la via al Vangelo attraverso nuove terre e nuovi mari.
Tale cosa può sembrare poco verosimile a coloro che, concentrando ogni loro pensiero entro i confini del mondo sensibile, rifiutano di credere che si possa guardare a cose più alte.
Ma, al contrario, a méta più eccelsa amano per lo più aspirare le anime veramente grandi, perché sono meglio disposte ai santi entusiasmi della fede divina. Colombo aveva certamente unito lo studio della natura allo zelo della pietà, e aveva profondamente formati mente e cuore secondo i princìpi della fede cattolica. Perciò, persuaso per argomenti astronomici e antiche tradizioni, che al di là del mondo conosciuto dovevano pure estendersi dalla parte d’occidente grandi spazi terrestri non ancora esplorati, immaginò popolazioni sterminate, avvolte in tenebre deplorevoli, perdute dietro cerimonie folli e superstizioni idolatriche. Riteneva estremamente penoso che si potesse vivere secondo consuetudini selvagge e costumi feroci; peggio ancora in quanto non conoscevano cose della massima importanza e ignoravano l’esistenza del solo vero Dio. Onde, pieno di tali pensieri, si prefisse più che altro di estendere in occidente il nome cristiano, i benefìci della carità cristiana, come risulta evidentemente da tutta la storia della scoperta. Infatti, quando ai re di Spagna, Ferdinando ed Isabella, propose la prima volta di voler assumere l’impresa, ne chiarì lo scopo spiegando che “la loro gloria vivrebbe imperitura ove consentissero di recare in sì remote contrade il nome e la dottrina di Gesù Cristo”. E non molto dopo, soddisfatto nelle proprie richieste, dichiara che egli “domanda al Signore di far sì che con la divina sua grazia i re [di Spagna] siano perseveranti nella volontà di propagare il Vangelo in nuove regioni e nuovi lidi”. A mezzo lettera chiede dei missionari al Pontefice Massimo Alessandro VI: “al fine — come egli stesso scrive — di diffondere in tutto il mondo, con l’aiuto di Dio, il sacrosanto nome di Gesù Cristo e il Vangelo”. Riteniamo dovesse sovrabbondare di giubileo allorché, reduce dal primo viaggio dalle Indie, scriveva da Lisbona a Raffaello Sanchez: “Doversi rendere a Dio grazie infinite per avergli largito sì prospero successo. Che Gesù Cristo s’allieti e trionfi qui sulla terra, come s’allieta e trionfa nei cieli, essendo prossima la salvezza di tanti popoli, il cui retaggio sino ad ora fu la perdizione”.
Che se a Ferdinando e ad Isabella egli suggerisce di non permettere se non a cristiani cattolici di navigare verso il nuovo mondo e avviare commerci con gli indigeni, la ragione è che “il disegno e l’esecuzione della sua impresa non ebbe altro scopo che l’incremento e l’onore della religione cristiana”.
E ciò comprese appieno Isabella, ella che assai meglio di ogni altro aveva saputo leggere nella mente del grande: è anzi fuor di dubbio che quella piissima regina, di mente virile e di animo eccelso, ebbe ella stessa il medesimo scopo. Aveva scritto infatti di Colombo che egli avrebbe affrontato coraggiosamente il vasto Oceano “al fine di compiere un’impresa di gran momento per la gloria di Dio”. E a Colombo medesimo, reduce dal secondo viaggio, scrive: “essere egregiamente impiegate le spese che ella aveva fatte per la spedizione delle Indie, e che farebbe ancora, in quanto ne seguirebbe la diffusione del cattolicesimo”.
Dall’altro canto, se si prescinde da un motivo superiore alle cose umane, donde avrebbe potuto egli attingere perseveranza e forza per affrontare e sostenere tutto ciò che fu obbligato a sopportare e a soffrire fino all’ultimo? Intendiamo le opposizioni dei dotti, i rifiuti da parte dei prìncipi, i rischi dell’Oceano in tempesta, le veglie incessanti, fino a smarrirne più d’una volta la vista; aggiungansi le battaglie coi selvaggi, i tradimenti di amici e compagni, le scellerate congiure, le perfidie degli invidiosi, le calunnie dei malevoli, le immeritate catene. All’enorme peso di tante sofferenze egli avrebbe dovuto senz’altro soccombere, se non lo avesse sostenuto la consapevolezza della nobilissima impresa, feconda di gloria alla cristianità, di salute a milioni d’anime.
Impresa, intorno alla quale fanno splendida luce gli avvenimenti successivi. Infatti Colombo scoprì l’America mentre una grave procella veniva addensandosi sulla Chiesa: sicché, per quanto è lecito a mente umana di congetturare dagli eventi le vie della divina Provvidenza, l’opera di quest’uomo, gloria della Liguria, sembra fosse particolarmente ordinata da Dio a ristoro dei danni che la cattolicità avrebbe poco dopo patito in Europa.
Chiamare gl’Indiani al cristianesimo era senza fallo opera e compito della Chiesa. La quale, fin dai primordi della scoperta, pose mano al suo ininterrotto compito d’amore, e continuò e continua tuttora a farlo, come ultimamente fino all’estrema Patagonia.
Nondimeno persuaso di dover precorrere e spianare la via all’evangelizzazione e tutto compreso da questo pensiero, Colombo coordinò ogni suo atto a tal fine, nulla quasi operando se non ispirandosi alla religione e alla pietà. Rammentiamo cose a tutti note, ma preziose a chi voglia penetrare ben addentro nella mente e nel cuore di lui. Costretto ad abbandonare, senza avere nulla concluso, il Portogallo e Genova e voltosi alla Spagna, fra le pareti di un monastero egli viene maturando l’alto disegno, confortato da un monaco Francescano. Dopo sette anni, giunto finalmente il giorno di imbarcarsi per l’Oceano, prima di partire si preoccupa di fare le cose necessarie per purificarsi l’anima: supplica la Regina del cielo che protegga l’impresa e guidi la rotta: e non comanda di sciogliere le vele se non dopo avere invocato la Santissima Trinità. Avanzatosi quindi in alto mare, fra l’infuriare dei marosi e il tulmutuare dell’equipaggio, mantiene inalterata la serenità del suo animo confidando in Dio. Attestano il suo proposito gli stessi nuovi nomi imposti alle nuove isole: in ciascuna di esse, appena postovi il piede, adora supplichevole Iddio onnipotente, e non ne prende possesso che in nome di Gesù Cristo. Dovunque approdi, il primo suo atto è di piantare sulla spiaggia la Croce: e dopo aver tante volte, al rombo dei flutti muggenti, inneggiato in alto mare al nome santissimo del Redentore, lo fa risuonare egli per primo nelle isole da lui scoperte: e perciò alla Spagnuola dà inizio alla costruzione di una chiesa cominciando le feste popolari con cerimonie religiose.
Ecco dunque ciò che Colombo intese e volle nell’avventurarsi, per tanto spazio di terra e di mare, in regioni inesplorate e incolte fino a quel giorno: esse però in fatto di civiltà, di notorietà e di forza salirono poi velocemente a quell’alto grado di progresso che ognuno vede.
La grandezza dell’avvenimento e la potenza e la varietà dei benefìci che ne derivarono impongono il ricordo grato e la glorificazione del personaggio. Ma è doveroso, innanzi tutto, riconoscere e venerare singolarmente gli alti decreti di quella mente eterna alla quale ubbidì, consapevole strumento, lo scopritore del nuovo mondo.
Per celebrare degnamente e in armonia con la verità storica le solennità Colombiane, è dunque opportuno che allo splendore delle pompe civili si accompagni la santità della religione. Per cui, come già al primo annuncio della scoperta furono rese a Dio immortale, provvidentissimo, pubbliche grazie prima di tutti dal Pontefice Massimo, così ora nel festeggiare la memoria dell’auspicatissimo evento stimiamo doversi fare la stessa cosa.
Perciò disponiamo che il giorno 12 ottobre, o la domenica susseguente, se così giudicherà opportuno l’Ordinario del luogo, nelle Chiese Cattedrali e collegiate di Spagna, d’Italia e delle Americhe, dopo l’ufficio del giorno, sia cantata solennemente la Messa de Sanctissima Trinitate.
Confidiamo che, oltre alle popolazioni sopra nominate, per iniziativa dei Vescovi si faccia la stessa cosa nelle altre, essendo conveniente che tutti concorrano a celebrare con pietà e riconoscenza un avvenimento che tornò utile a tutti.
Intanto come auspicio dei divini favori e pegno della Nostra paterna benevolenza a voi, Venerabili Fratelli, al clero e al popolo vostro impartiamo affettuosamente la Benedizione Apostolica.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 16 luglio 1892, anno decimoquinto del Nostro Pontificato.

Amministrative, i tre mali del centrodestra (o quattro?)

Condividi su:

IL COMMENTO POST ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2021

di Giuseppe De Lorenzo

È inutile nasconderselo: le elezioni amministrative 2021, che già iniziavano sotto cattivi auspici, sono andate persino peggio del previsto. Al di là del premio di consolazione – la Calabria e, forse, qualche Comune che la coalizione riuscirà a conservare – il centrodestra viene stracciato al primo turno a Milano e Napoli, a Torino parte in svantaggio e a Roma, probabilmente, soccomberà al ballottaggio (mai dare nulla per scontato, ma all’alba del giorno dopo, questa è la proiezione).

I tre motivi della disfatta

L’analisi della sconfitta non può prescindere da tre elementi di riflessione. I tre vicoli ciechi che hanno eroso una squadra, fino a poco tempo fa, col vento in poppa e dai quali non è detto sia possibile uscire.

1. L’incapacità di offrire una classe politica all’altezza, unita alla paura di amministrare. Un fattore abbastanza sorprendente soprattutto nel caso della Lega, che tradizionalmente aveva nel buongoverno locale un suo punto di forza. L’indisponibilità di big da giocarsi nelle metropoli, in realtà, è stata solo uno dei fattori in gioco: sicuramente, a spingere verso la scelta di candidati estranei ai partiti e oggettivamente deboli e impreparati, sono stati il timore di raccogliere sfide pericolose come banco di prova nazionale (Roma), le liti e le fratture interne alla coalizione e la costituiva difficoltà del messaggio sovranista a penetrare nei grandi centri urbani (Milano). Anche se – valga come monito a quelli di scuola giorgettiana – non hanno scaldato i cuori degli elettori nemmeno candidati tutt’altro che radicali, come i borghesissimi Luca Bernardo nel capoluogo lombardo e Paolo Damilano sotto la Mole.

2. È indubbio, tuttavia, che sulla disillusione dei sostenitori della coalizione – è il secondo spunto – abbia pesato la sostanziale irrilevanza politica dei sovranisti. Gli uni (Fdi), in quanto ancorati a una scelta d’opposizione coerente quanto si vuole, ma alla fine improduttiva: il partito di Giorgia Meloni ha un’indiscutibile forza critica, però è inevitabilmente marginale rispetto alle decisioni che contano e che esso deve limitarsi a subire. Gli altri (il Carroccio), nonostante avessero scelto di entrare nell’esecutivo di Mario Draghi proprio “per incidere”.

La realtà è che anche l’ala moderata o governista, alimentata dai presidenti delle Regioni del Nord e capitanata da Giancarlo Giorogetti, non ha portato a casa nulla: non l’apertura delle discoteche, non i tamponi gratis per il green pass, non la propulsione alla produzione di vaccini italiani, mentre l’abbandono dei lockdown duri derivava prevalentemente da un’intima convinzione di Draghi, il quale di sicuro non si concepisce come un uomo chiamato a gestire un Paese fermo. Giorgetti, per adesso, ha solo l’onere di affrontare le crisi industriali al Mise. Un ministero che appariva un grande riconoscimento alla Lega e che, a ben vedere, potrebbe essere stato un trappolone. Nel frattempo, Draghi & company preparano un’imboscata fiscale già nel cdm odierno. Tutto ciò ha suscitato una sensazione di disempowerment e di scoramento nell’elettorato d’area: la gente ormai ha capito che, comunque vadano le elezioni, non cambierà nulla.

3. Questo ci porta al terzo, più buio vicolo cieco: l’inagibilità politica. Un centrodestra a trazione sovranista finirebbe in un cul de sac, quand’anche vincesse le elezioni 2023. Da un lato, resterebbe esposto, com’era già successo ai gialloverdi nel 2018-2019, alle imboscate dei mercati finanziari e dell’élite europea. Dall’altro, sarebbe comunque vincolato in partenza agli impegni sottoscritti col Pnrr e modellati sulla base delle “raccomandazioni” dell’Ue all’Italia. Cercare di sottrarsi alla tenaglia significherebbe, con ogni probabilità, perdere l’accesso alle fonti di finanziamento del debito pubblico e le risorse garantite dal Next generation EU.

Noi di “Christus Rex” aggiungeremmo un quarto motivo: la mancanza più assoluta di un orizzonte valoriale metapolitico chiaro e condiviso da tutto il centrodestra. Ricordiamo che Salvini faceva incetta di voti quando parlava da cattolico e proponeva principi con solide radici cristiane, senza timore di andare controcorrente. Ci sarà ancora posto, nel centrodestra, per incidere come cristiani? Crediamo che nei fatti, nelle aperture anche alle persone maggiormente rappresentative di quest’area conservatrice e tradizionalista, della quale si sente orfano di rappresentanza almeno un milione di “tradizionalisti” anonimi, si possa e si debba ragionare. Se si annacqua il tutto per paura del politicamente corretto e del Pensiero Unico, il centrodestra è destinato, a nostro avviso, a continue debacle. Le linee siano chiare fin da principio, senza tentennamenti, ricordando che, anche in politica, come nella vita, nella morale, nell’etica, due + due fa sempre e solo quattro. (N.d.R.)

Come scrivemmo già su questo blog, il Recovery fund commissaria la destra per i decenni a venire. Il che, peraltro, rende quanto mai incerte le geometrie parlamentari del 2023, fermo restando che, per formulare ipotesi, è necessario scoprire chi arriverà al Quirinale. Ad esempio, se Draghi restasse a disposizione di un incarico a Palazzo Chigi, mettereste la mano sul fuoco sul fatto che Forza Italia s’imbarcherebbe in un’impresa con leghisti e meloniani, anziché riproporre una grande coalizione, ovvero una conventio ad excludendum contro i sovranisti?

Era ieri, quando il caos immigrazione metteva il turbo alla Lega di Matteo Salvini. Eppure, è come se fosse passata un’eternità.

Giuseppe De Lorenzo, 5 ottobre 2021

Fonte: https://www.nicolaporro.it/amministrative-i-tre-mali-del-centrodestra/

 

 Leggi anche

Quella battaglia che ci salvò dall’invasione islamica

Condividi su:

di Matteo Castagna per Informazione Cattolica

EDITORIALI

UNA GUERRA SCONOSCIUTA AI PIÙ, PROBABILMENTE PERCHÉ POCO STUDIATA IN QUANTO POLITICAMENTE SCORRETTISSIMA

Una guerra sconosciuta ai più, probabilmente perché poco studiata in quanto politicamente scorrettissima, ha fatto la storia dell’Europa: la battaglia di Vienna del 12 Settembre 1683.
Di questa straordinaria e fondamentale vittoria, paladini della cristianità del XVII secolo furono: il cappuccino Carlo Domenico Cristofori, chiamato Marco D’Aviano e il Papa Innocenzo XI. La crociata fu preparata da un’ intensa opera di apostolato e predicazione in tutta l’Europa, effettuata instancabilmente dal frate, ed accompagnata da una serie di miracoli che accrescevano la credibilità e l’autorevolezza del religioso, in tutto il continente.

Innocenzo XI si fidò unicamente della Provvidenza divina: “In sola spe gratiae coelestis”. Si è occupato della riforma dei costumi, soprattutto in riguardo allo stato spirituale degli ecclesiastici. In particolare, si scagliò contro il lusso che regnava tra i vescovi e cardinali dell’epoca. Nella sua camera e nel suo studio si vide solo la figura di Cristo risorto. “Era tale la compassione che Innocenzo XI provava per i poveri, che si tenne la stessa veste per tutta la durata del pontificato: mai la volle cambiare, nemmeno quando divenne logora e quasi inutilizzabile […]”. Lo storico Ludwig von Pastor, nella sua “Storia dei Papi”, descrive così Benedetto Odescalchi: “Il significato storico-universale del suo pontificato, di gran lunga il più importante e glorioso nella seconda metà del secolo XVII…consiste nella sua politica, mantenuta ferma sino all’ultimo respiro, di unire le potenze cristiane contro l’attacco violento dell’islam”. Naturalmente l’impegno più importante per cui sarà ricordato per sempre è la liberazione di Vienna dall’assedio degli Ottomani nel 1683. Contemporaneamente, Padre Marco d’Aviano trascorreva un’esistenza austera e isolata, dormiva solo tre per notte su un letto di foglie secche, per il resto pregava e leggeva. Mangiava pochissimo, mai carne, uova e formaggio, la sua dieta era poco latte e poi frutta e verdura. Cercò sempre di rispettare scrupolosamente le regole dell’Ordine francescano. Sostanzialmente condusse una “vita intensa e spirito di preghiera; devozione e contemplazione; pratica radicale dell’altissima povertà interiore es esteriore […] grande ardore nella predicazione e apostolato ricondotto alla semplicità e umiltà evangeliche; carità concreta e prontezza nel servire ogni fratello bisognoso; spirito ecclesiale nella sottomissione e totale docilità al Pontefice romano e alla Chiesa gerarchica: queste erano le linee fondamentali della spiritualità ‘cappuccina’ che adottò il frate di Aviano”.

Il Seicento fu, per l’Europa cristiana, intriso di paura di essere invasi e conquistati dai turchi. Di fronte a questo vero e proprio incubo, c’era la divisione politica dell’Europa. In particolare, la Francia di Luigi XIV era in continuo dissidio sia con l’imperatore Leopoldo I, che con la Chiesa di Roma. Capita che alcuni governanti diventano protestanti per accaparrarsi i beni della Chiesa. Il re di Francia osteggiò apertamente gli Asburgo nella lotta contro gli ottomani. “Per tutto il Seicento, la discordia fra i principi all’interno degli stati cristiani fu grande e capillarmente diffusa. Essi si combatterono e si indebolirono a vicenda per egoistiche ragioni di predominio”. Invece padre Marco e Innocenzo XI, lavoravano per la liberazione della cristianità dal flagello turco, pertanto appoggiarono l’impero. Addirittura, il Papa affermò: “[…] saria andato volentieri alla testa dell’esercito e salito sulle navi da guerra per combattere contro il comune esercito”. Il pensiero dominante del Pontefice era quello di organizzare una Lega difensiva contro il pericolo turco. Oltre ai due grandi santi, di cui il Papa è già stato proclamato ufficialmente beato, altre grandi personalità li affiancarono o con essi si scontrarono in quel frangente per il futuro dell’intero continente europeo. Segnalo, oltre a Luigi IV e Leopoldo I d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero, il compagno di viaggio di Marco D’Aviano, padre Cosma da Castelfranco, Giovanni III Sobieski re di Polonia e granduca di Lituania, grande ammiratore di padre Marco. Infine, Eugenio di Savoia-Garignano, comandante supremo dell’esercito imperiale. E poi Kara Mustafa Pasha di Merzifon, comandante in capo dell’armata turca.

Le truppe cristiane erano composte da settantamila uomini, un numero assai inferiore rispetto ai centocinquantamila dell’armata turca del gran visir Kara Mustafa Pasha, che intendeva conquistare prima Vienna e successivamente Roma per fare di San Pietro la scuderia per i suoi cavalli. A questo proposito scrive lo storico Arrigo Petacco in “L’ultima crociata”: “con i se e con i ma la storia non si fa, va comunque sottolineato che se a Vienna, quel 12 settembre 1683, un qualsiasi accidente avesse fermato la carica degli ‘ussari alati’ che si scatenarono contro i turchi come arcangeli vendicatori, oggi probabilmente le nostre donne porterebbero il velo”.

Il 12 settembre prima della battaglia, sulle alture del Kahlemberg, padre Marco celebra la Messa, servita da due chierichetti d’eccezione: il re di Polonia e il Duca di Lorena, distribuisce la comunione ai comandanti, benedice l’esercito cristiano con la sua croce di legno. Attorno alle 12 ebbe inizio la battaglia. Lo scontro viene descritto da padre Cosma, testimone diretto dell’evento. La battaglia ben presto costringe miracolosamente i turchi alla resa. I trionfi dell’esercito cristiano – scrive il cardinale Schonborn – a Vienna, e poi a Buda, allontanarono il serio rischio di un’islamizzazione dell’Europa”. L’esultanza in tutta l’Europa fu immensa, l’unico a non esultare fu il re di Francia.

La preoccupazione dei due grandi della Civitas Christiana, Innocenzo XI e padre Marco, “fu la difesa della cristianità, e del cattolicesimo in modo particolare, e non la supremazia sull’islam. Si trattò, dunque, di un’azione di tutela e non di una crociata…”. Ne è convinto anche Petacco, le crociate, furono invece una legittima risposta al jihad. Tra l’altro padre Marco dopo queste liberazioni cercò di convincere i regnanti di completare l’opera di liberazione dei territori europei ancora in mano agli ottomani, la salvezza dell’Europa era sempre in cima ai suoi pensieri.

Il cattolico tiepido o chi si finge cattolico è restio a riconoscere la verità storica, determinata sia dall’eccezionale spiritualità dei due sopraccitati protagonisti, che dalle loro indiscutibili capacità politiche, nell’arte della mediazione, della diplomazia, dell’intuizione, della capacità oratoria, basate su quel connubio inscindibile tra Fede e Ragione così caro a San Tommaso d’Aquino. Oggi, se si parla di loro, lo si fa attraverso un’oleografia molto parziale, per non urtare la sensibilità degli islamici. Fortunatamente, il beato Innocenzo XI e padre Marco d’Aviano non furono buonisti, altrimenti da almeno 500 anni saremmo tutti in ginocchio verso la Mecca.

Fonte: https://www.informazionecattolica.it/2021/09/13/quella-battaglia-che-ci-salvo-dallinvasione-islamica/

 

“RIPENSARE L’EUROPA: VERSO LA TRANSIZIONE IDENTITARIA”

Condividi su:

di Redazione

Sabato 27 Marzo alle 20.30 sulla pagina ufficiale dell’Eurodeputato On. Paolo Borchia (@paoloborchiaofficial) di Facebook e Youtube si è tenuta la conferenza online “RIPENSARE L’EUROPA: VERSO LA TRANSIZIONE IDENTITARIA”. 

Ecco qui la registrazione dell’evento, cui hanno partecipato, oltre all’eurodeputato On. Borchia, il sociologo e redattore de La Verità Giuliano Guzzo, il sottosegretario al Ministero degli Interni On. Nicola Molteni, l’economista Giuseppe Liturri e il Responsabile Nazionale di Christus Rex-Traditio Matteo Castagna, moderati dall’avv. Andrea Sartori:

 

La fine del mondo e i falsi profeti

Condividi su:

Riceviamo e pubblichiamo una lunga ma interessante riflessione di una nostra attenta lettrice, che preferisce usare, pubblicamente, uno pseudonimo e che ci inoltra un suo scritto per la prima volta.

Le opinioni scritte dai lettori sono espressione del loro pensiero. Noi pubblichiamo qui, solo le lettere che ci appaiono avere spunti interessanti di riflessione ed eventualmente di discussione.

 

di Greta

“E tutti i signori temporali e i prelati ecclesiastici saranno dalla parte dell’Anticristo. E quelli che sono divisi tra loro, i Papi, i Re, i Vescovi e il clero, diranno: “Se il mio avversario mi denuncia a quest’uomo tanto potente, sono morto. Meglio che vada io prima di lui”. Così tutti gli presteranno obbedienza, e non ci saranno né Re né prelati senza che egli lo voglia.”

San Vicente Ferrer, Sermone sulla venuta dell’Anticristo

*****

(L’ ‘altro Vangelo’ di Monsignor Viganò)

Il 7 giugno del 2020, Monsignor Carlo Maria Viganò ha scritto una lettera aperta al presidente degli Stati Uniti Donald Trump, elogiandolo come “coraggioso difensore del diritto alla vita, che non si vergogna di denunciare le persecuzioni dei Cristiani nel mondo, che parla di Gesù Cristo e del diritto dei cittadini alla libertà di culto”.

Ma non solo; dopo avere descritto la battaglia spirituale che contrappone le forze del bene a quelle del male (“i figli della luce e i figli delle tenebre”), Viganò arriva a dichiararsi apertamente “compagno di battaglia” del presidente americano.

Donald Trump ha risposto dicendosi “molto onorato per l’incredibile lettera inviatagli dall’arcivescovo”, e augurandosi “che ognuno, religioso o meno, la legga”.

Di fatto la lettera è rimbalzata su tutta la stampa cattolica, senza esclusione per gli ambienti tradizionalisti, raccogliendo approvazioni unanimi. Il consenso ha riunito schieramenti fino ad oggi inconciliabili, perché a tessere le lodi di Monsignor Viganò sono state sia le pagine ufficiali della Fraternità San Pio X che quelle della Società Sacerdotale fondata da Monsignor Faure (SAJM), ma anche pagine apertamente sedevacantiste come la Catholica Pedia di Luis Hubert Remy e il Blog ufficiale di Monsignor Sanborn.

Il 27 giugno i quattro Vescovi della Resistenza hanno dichiarato ufficialmente il loro sostegno a Monsignor Viganò, e dal momento che la Società Sacerdotale degli Apostoli di Gesù e Maria, per esplicita dichiarazione del suo fondatore, si propone di “essere la continuazione dell’opera e della battaglia di Mons. Lefebvre nella fedeltà alla Fede di sempre”, è doveroso fare alcune osservazioni su quella che è “la Fede di sempre”.

1) Donald Trump ha divorziato due volte e si è sposato tre volte. Secondo “la fede di sempre” è un peccatore pubblico; per lo stesso peccato il Re d’Inghilterra Enrico VIII fu scomunicato dal Papa Clemente VII nel 1533. Continua a leggere

1 2