L’alba di un nuovo Medio Oriente

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Segnalazione di Redazione Il Faro sul Mondo

di Salvo Ardizzone

Il radicale ribaltamento della situazione in Medio Oriente, già in corso da tempo e reso più celere dall’accordo sul nucleare iraniano, ha subito una nuova brusca accelerazione con la scesa in campo della Russia. Per comprendere la portata di eventi destinati a ridisegnare tutta l’area, ed avere ripercussioni globali, occorre fare un passo indietro alle radici degli equilibri di forza che hanno cristallizzato per un tempo lunghissimo quel quadrante a beneficio, più che di Stati, di centri di potere che ne hanno tratto utili immensi.

Il legame stretto che ha unito le enormi riserve energetiche del Golfo alle Major Usa del petrolio, ha determinato un interesse primario delle Amministrazioni che si sono succedute a Washington a tutelare quei petrostati, e più d’ogni altro l’Arabia Saudita. Un legame antico, reso “speciale” dai colossali interessi che ha coinvolto, creatosi oltre sessant’anni fa.

Allora, dopo aver espulso la tradizionale influenza inglese, tutta l’area era sotto il controllo Usa, che con un colpo di Stato, nel ’53, si erano liberati dallo scomodo primo ministro iraniano Mossadeq, reinsediando Reza Pahalavi e facendone il proprio gendarme nel Golfo.

Sembrava una situazione destinata a durare in eterno, ma la Rivoluzione Islamica del ’79 segnò la rottura di quegli equilibri consolidati, segnando la nascita di un forte polo di resistenza all’imperialismo Usa e di contrapposizione alla corrotta dinastia saudita.

Aggressioni in Medio Oriente

Gli eventi che nei decenni successivi si sono succeduti (l’aggressione dell’Iraq all’Iran, la prima e la seconda guerra del Golfo solo per rimanere ai più eclatanti), sono tutti figli del tentativo di mantenere l’assoggettamento dell’area da parte di Washington e Riyadh, eliminando l’unico vero ostacolo, appunto la Rivoluzione Islamica. E quando tutti sono falliti, si è pensato di colpirla con le sanzioni, per indebolirla e isolarla.

Ma la Storia non rimane ferma e le situazioni maturano: l’Amministrazione Obama, portatrice di interessi diversi da quelli dei centri di potere che sostenevano le precedenti, s’è mostrata assai meno incline ad assecondare Riyadh e le lobby ad essa legate. Per il Presidente americano il Medio Oriente era un pantano da cui gli Usa avevano ben poco da guadagnare e già nella campagna elettorale del 2007 si era dato l’obiettivo di districarsi da Iraq e Afghanistan.

Era ed è più che mai convinto che le sorti di potenza globale per gli Usa si decidano nel Pacifico, nella contrapposizione con la Cina. Praticamente una bestemmia per Riyadh, che ha visto nel progressivo allontanamento di Washington e nell’attenuarsi del suo ombrello protettivo un pericolo mortale, in questo pienamente accomunata da Tel Aviv.

Di qui le contromisure: scalzare Governi scomodi o comunque non allineati sostituendoli con altri manovrabili e spezzare quell’area di naturale collaborazione che si stava consolidando dall’Iran al Libano, attraverso Iraq e Siria. Ecco nascere il fenomeno delle “Primavere”, subito cavalcate e indirizzate; di qui il fiorire di conflitti per procura in quelle aree, sia per destabilizzare Stati considerati ostili o comunque non “amici”, che per suscitare zone di crisi in cui invischiare gli Usa impedendone il disimpegno.

Avvento delle Primavere

Ma le cose non sono andate così; dopo anni durissimi (ormai sta scorrendo il quinto), malgrado tutti gli sforzi per sviarla, la Storia ha continuato la sua strada. A parte il destino delle “Primavere”, che meritano un discorso tutto a parte, gli Stati sotto attacco non sono affatto caduti. Inoltre, presa in un pantano irrisolvibile e con in testa altre priorità, l’Amministrazione di Washington s’è mostrata sempre più svogliata nel sostenere il gioco via via più pesante dei suoi storici “alleati” locali: Arabia Saudita, appunto, ma anche Israele.

Quest’ultimo, con cieca arroganza e totale ottusità politica, non ha mancato occasione per scontrarsi con Obama (che, gli piacesse o no, era alla guida del suo tradizionale protettore d’oltre Atlantico) e compattare i suoi nemici, moltiplicando le provocazioni, le aggressioni, i crimini. Un insperato e stupefacente capolavoro politico per i suoi avversari.

È in questo clima che è maturato e ha preso il via l’accordo sul nucleare iraniano, evento di rilevanza storica perché infrange il muro dietro cui si voleva isolare Teheran, e per questo fino all’ultimo avversato invano da sauditi e israeliani.

L’accordo fortemente voluto da Washington non deve stupire. In esso non c’è nessuna resipiscenza per 40 anni di aggressioni ed ingiustizie, quanto il calcolo che l’Iran è indispensabile per la stabilizzazione del Medio Oriente, evitando il completo ed irreversibile collasso delle aree di crisi, come auspicato dagli “alleati” (Turchia, Arabia Saudita ed Israele), che le hanno create per spartirsene le spoglie. Nell’ottica dell’Amministrazione Obama, rinunciato ad un’egemonia Usa sulla regione (ormai impossibile), voleva però impedire che un’unica altra potenza la controlli.

Il disegno Usa in Medio Oriente

Da questo disegno discende tutta l’ambiguità e la contraddizione dell’operato Usa, soprattutto nei confronti dell’Isis, creato a tavolino per destabilizzare l’area e poi ingigantitosi e sfuggito al controllo. Washington sa bene che, spazzato via quel “nemico” tutt’altro che irresistibile (malgrado l’immagine che continuano a darne i media), si otterrebbe la stabilizzazione dell’Iraq ed a seguire della Siria; ma in questo modo si favorirebbe l’unità di un’area di collaborazione da Iran a Libano cementata ora da anni di lotte comuni; proprio quella che, quand’era ancora in embrione, è stata il bersaglio della destabilizzazione del Golfo.

Ed ecco la ridicola attività simbolica della coalizione internazionale a guida Usa che dovrebbe combatterlo, una forza che a volerlo avrebbe potuto incenerirlo in poche settimane, e che da più d’un anno fa poco o nulla. Di qui le resistenze a fornire ciò che serve all’Iraq per difendersi e il malumore nel constatare che quello Stato, un tempo un semplice vassallo, comincia a far da sé con gli aiuti (veri) di Teheran e di Mosca.

Ed ecco tutte le contraddittorie ambiguità sulla Siria, che è e resta il nodo dei problemi in Medio Oriente. In quel pantano sanguinoso, nella distorta logica avvalorata dai media, s’è giunti al paradosso di voler distinguere fra i tagliagole dell’Isis, cattivi perché sfuggiti al controllo di chi li manovrava, e quelli di Al-Nusra, ufficialmente affiliati ad Al-Qaeda ma “buoni” perché controllati da Riyadh. Secondo questa logica distorta, che Arabia Saudita, Turchia e Qatar, col pieno avallo e appoggio degli Usa, armino, finanzino ed aiutino in ogni modo bande di assassini ufficialmente prezzolati, perché destabilizzino uno Stato sovrano per poi spartirlo, sarebbe lecito quanto giusto.

Inserimento della Russia

Il fatto è che la posizione ambigua tenuta da Washington ha generato un colossale vuoto di potere, ed in quel vuoto s’è inserita la Russia, che è una storica alleata della Siria e di interessi in Medio Oriente ne ha eccome. La base navale di Tartus, i nuovi legami con l’Iran, il ruolo nella ricostruzione dell’area che diverrà il terminale della Via della Seta cinese, sono solo alcuni. Poi la possibilità di avere carte in mano da scambiare con Washington nell’altra area di crisi che a Mosca sta a cuore: l’Ucraina. Un intervento che ha sparigliato le carte, suscitando le inviperire reazioni di chi ha visto il proprio gioco irrimediabilmente compromesso, perché, in nome di un ulteriore paradosso sostenuto da tanti osservatori interessati, il fatto che un Governo legittimo sotto attacco chieda sostegno ad un alleato farebbe scandalo, quello che non c’è ad armare i terroristi che lo attaccano.

Sia come sia Putin ha rotto gli indugi e sta dando l’assistenza chiesta da Damasco. In buona sostanza sta fornendo cospicui aiuti militari e con l’aviazione sta colpendo le bande di assassini senza fare quelle distinzioni comprensibili solo alla luce degli interessi di chi la Siria voleva distruggerla per poi spartirsela.

L’intervento ha dato una fortissima accelerazione alla risoluzione delle crisi (peraltro già avviata); malgrado le strenue proteste dei sauditi e degli Stati nel loro libro paga (Francia in testa), non passerà molto che le famigerate bande del “califfo” verranno distrutte e con loro gli altri tagliagole che infestano Siria ed Iraq.

La completa sconfitta Usa

Anche Washington ha protestato con forza, ma nella realtà l’intervento di Putin ali Usa sta bene. Il Medio Oriente era già perduto per gli Usa e neanche considerato più prioritario; così i tempi sono stati solo accelerati. E piuttosto che esserne completamente esclusa, a Washington fa comodo che al centro ci sia la Russia, con cui ha molto da scambiare per la soluzione del problema ucraino e per le sanzioni inferte per la Crimea.

Per Riyadh è il crollo totale del disegno di mantenere potere e privilegi come sempre, in cui tanto aveva investito. È l’ennesimo fallimento che s’aggiunge a una pericolosa crisi finanziaria ed alla sciagurata aggressione allo Yemen, che si sta trasformando in un disastro; insieme potrebbero minare le stesse fondamenta del Regno.

La Turchia, frustrata nei sogni megalomani di Erdogan e con una guerra civile ritrovata con il Pkk che rischia di internazionalizzarsi, coinvolgendo le altre formazioni curde.

Israele è completamente solo, attorniato da nemici che lui stesso ha compattato; adesso può attendere solamente che la soluzione delle crisi che ha contribuito largamente ad attizzare indirizzi su di lui tutte le forze della Resistenza.

È un Medio Oriente allargato assai diverso che sta emergendo rapidamente. Un’area finalmente liberata da antichi imperialismi oppressivi: quello Usa, quello sionista e quello del Golfo. Un’area che dopo anni e anni di lotte sta conquistando il suo autonomo cammino di sviluppo.

In tutto questo spicca la totale assenza dell’Europa, che pure tanti interessi avrebbe ad essere presente, anche solo politicamente. L’ennesima dimostrazione d’inconsistenza, di pochezza e d’inutilità, di Istituzioni tali solo sulla carta. È l’ennesima manifestazione di totale sudditanza di Stati privi di sovranità o, più semplicemente, di una politica che non sia miope egoismo o totale asservimento.

Fonte: https://ilfarosulmondo.it/lalba-di-un-nuovo-medio-oriente/

Rottura del fronte anti-Donald?

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NIKKI HALEY fuori, KAVANAUGH dentro - rottura del fronte anti-Donald?

NIKKI HALEY fuori, KAVANAUGH dentro – rottura del fronte anti-Donald?

Dunque Nikki Haley ha dato le dimissioni da ambasciatrice USA all’Onu. La stupida, poco istruita,  anti-putiniana fanatica,  super-israeliana e neocon Nikki Haley, creatura del Deep  State che cercava di fare le scarpe al presidente Trump già da  aprile, quando annunciò  nuove sanzioni alla Russia  con la scusa che sue aziende avevano   collaborato con  Damasco  a fabbricare le armi chimiche – …

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Perché Israele ha colpito la Siria subito dopo l’accordo di Idlib

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di Fulvio Scaglione

Perché Israele ha colpito la Siria  subito dopo l’accordo di Idlib

Fonte: Gli occhi della guerra

La cronaca degli ultimi eventi in Siria, dai primi bombardamenti russi sulla provincia di Idlib alle minacce americane, dal ricognitore russo abbattuto dalla contraerea siriana per colpa delle manovre dei caccia di Israele ai missili su Latakia alle bombe al fosforo sganciate dagli americani su Deir Ezzor, è ovviamente drammatica.
Ma il sottofondo politico è più complesso di quel che sembra e, in un certo senso, anche meno preoccupante. La partita è la solita: il controllo della Siria. O meglio: il controllo della sua frammentazione. Da sette anni una coalizione potentissima, che va dall’Arabia Saudita agli Usa, dalla Francia al Regno Unito, dalla Turchia al Qatar, passando per una lunga serie di Paesi che sono stati o sono complici “di fatto”, lavora per disgregare l’unità politica e territoriale della Siria.
Non sempre questi Paesi hanno mostrato una perfetta unità d’azione o di visione politica. La Turchia, per esempio, dopo il fallito golpe del 2016, che Recep Tayyip Erdogan considera ispirato dagli Usa, ha preso una strada autonoma e ha costruito una sorta di intesa con Russia e Iran. Nondimeno l’obiettivo è sempre stato quello, all’insegna dello slogan “Assad must go”. Un obiettivo così importante che, per raggiungerlo, la strana coalizione ha puntato via via su diversi cavalli. Continua a leggere

Salvate il soldato Mohamed

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Ecco chi sono gli ‘intoccabili’ gruppi ribelli dell’enclave di Daara
La maggior parte delle milizie ribelli presenti nel sud della Siria nel governatorato di Daara (1400 km quadrati ed 1 milione di persone),  fanno capo ad una ‘sala di regia’ chiamata “Fronte meridionale” (o Shoutern Front – SF) è stato costituito il 14 febbraio  2014 per opera degli Stati Uniti ed è sostenuta anche dai paesi europei, nonché dall’Arabia Saudita e dalla Giordania. La coalizione (che raggruppa circa 49 milizie oltre a sale operative locali ), ha una sala operativa principale ad Amman (che nient’altro è che  la filiale del ‘Centro di operazioni militari’ (MOC) degli Stati Uniti per la Siria).
Mentre l’appartenenza del Fronte Meridionale controversa – perché seppure cade sotto l’egida dell’esercito siriano libero (FSA) , si è generalmente dissociata dall’opposizione politica, la Coalizione nazionale siriana (SNC) –  ciò che è certo che è finanziata dagli Stati Uniti e dai suoi alleati. Le proprie milizie ricevono aiuto a partire dalla Giordania mentre – come sappiamo – al governo siriano in questo modo è precluso in ogni modo di far valere si propri diritti o ovviamente agire in alcun modo in Giordania.
Shoutern Front si avvale di un’attivita’ molto potente e ramificata sui media mainstream  e  da molte fonti (tra cui l’organizzazione non -governativa  ‘Carter Center’ fondata dall’ex presidente Jimmy Carter),  è giudicata come una entità che raggruppa gruppi ‘moderatamente religiosi’ e laici . Questo giudizio però confligge con la provata  correlazione di molti suoi membri  con il gruppo al Nusra e con la jihad finanziata dai sauditi.
Il Fronte Meridionale agisce nelle provincie di Daara , Kuneitra e Suwaida ed alcuni giorni fa è stato difeso dal portavoce del Dipartimento di Stato Americano che ha minacciato l’esercito siriano di serie conseguenze, in caso di continuazione su grande stile dell’offensiva su Daara e zone limitrofe.
Come avversari il Fronte Meridionale ha  nell’enclave di Daara  lo Stato Islamico tramite una fazione che si chiama “Jaysh Khalid bin al-Waleed” (anche per questo a questo gruppo è precluso l’ingresso in Giordania ed ogni tipo di aiuto tramite i canali attivati da Amman).
Sebbene molti militanti provengono dagli stessi clan e a volte dalle stesse famiglie estese, al Fronte Meridionale si contrappone il gruppo Hay’at Tahrir al-Sham. Inoltre, nella zona di Daara esiste anche la fazione denominata  Jund al-Malahem che è nata nel 2015 da una rottura con Jabbat al Nusra , affiliata ad al Qaeda. Il suo leader era un emiro di Jabhat al-Nusra a Deraa. Attualmente i militanti di questo gruppo non ricevono più stipendi  e la propria attività è molto limitata.
Attualmente sia gli USA che Southern Front ritengono che la tregua concordata nell’area di de-escalation sia a tempo indeterminato e conferisca la facoltà permanente di fondare un feudo finanziato dall’occidente sottratto alla sovranità del governo siriano. Invero le cose stavano diversamente, l’area di de-escalation doveva fungere per un allentamento della tensione per avviare negoziati in cui tutte le parti avrebbero trovato un accordo per la riunificazione , dietro specifiche ed eque garanzie.
Invece Southern Front continua a puntare gli occhi su Damasco che si trova a 100 km dall’enclave di Daara e i suoi leader non nascondono che il conflitto non avrà termine con la riconciliazione ma con la vittoria finale contro Assad.
A marzo 2018 le ostilità sono riprese fino ad arrivare all’imminente offensiva dell’esercito siriano. Ogni chance di negoziato è stato puntualmente respinta dal Fronte Meridionale.
Mentre il governo siriano ha cercato di negoziare un possibile accordo per allentare la situazione nella parte meridionale del paese, per tutta risposta i gruppi militanti locali si sono attivati lanciando una battaglia preventiva contro l’esercito siriano.
 

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Chissà perché le chiamano Organizzazioni non governative, meglio conosciute con la sigla ONG?

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di Paolo Sensini

Chissà perché le chiamano Organizzazioni non governative, meglio conosciute con la sigla ONG?

Fonte: Paolo Sensini

Chissà perché le chiamano Organizzazioni non governative, meglio conosciute con la sigla ONG? La quasi totalità di esse sono infatti emanzioni dirette di Stati che, non potendo o volendo più entrare in prima persona come attori nei conflitti che scatenano ovunque, si sono inventati questa formula «umanitaria» che funziona decisamente meglio con lo storytelling giornalistico e televisivo. Prendiamo per esempio il caso dei fotogenici Caschi Bianchi, balzati agli onori della cronaca con la guerra in Siria. Cosa sappiamo di questi personaggi capeggiati da James Le Mesurier, già ufficiale dell’esercito inglese e funzionario dell’Intelligence Service di Sua Maestà? Che sono un gruppo pagato dal 2013 con circa 32 milioni di dollari dall’USAID, più altre decine ricevuti dai governi britannico, olandese, francese e delle immancabili feudo-monarchie del Golfo. Sono la capofila di una serie di cosiddette ONG, ma più proriamente OG (Organizzazioni governative), finanziate da Washington e Londra «per una transizione politica pacifica in Siria». E sottolineiamo pacifica. La stessa organizzazione, per capirci, che ha denunciato gli ultimi due «attacchi chimici contro i civili» addebitandoli al governo siriano, come quello nella periferia di Khan Sheikhoun nell’aprile del 2017 e l’ultimo del 4 aprile a Duma, alle porte di Damasco. Attacchi che, in entrambi i casi, prima ancora di stabilire la reale dinamica dei fatti sono stati oggetto di bombardamenti da parte della trimurti franco-inglese-statunitense. Quindi i Caschi bianchi, come centinaia di altre organizzazioni dello stesso tipo, non sono altro che una longa manus di governi e servizi segreti i quali non possono (o non vogliono) più arrivare direttamente con i propri militari sul terreno dello scontro. Una copertura, insomma, e neppure troppo ben riuscita, che da un po’ di anni viene usata sistematicamente negli scenari più infuocati. Ora i «volontari» coi caschetti bianchi denunciano un nuovo possibile attacco chimico contro i tagliagole jihadisti nella provincia di Idlib, a Nord-Ovest della Siria, addebitandone questa volta la responsabilità a un’incursione aerea dei russi. Vero, non vero, poco importa. Anche perché, come si è poi sempre verificato, non vi è mai stata alcuna responsabilità in attacchi chimici da parte di Bashar al-Assad, ma ormai i bombardamenti «punitivi» degli occidentali erano avvenuti e chi si è visto si è visto. Dopo l’esempio dei casi citati non ci vuole molto a immaginare quali potranno essere gli esiti del nuovo caso denunciato a Idlib, ma a forza di provocazioni potrebbe succedere che i russi decidano di rispondere pan per focaccia. E a quel punto è difficile immaginare quali saranno gli sviluppi. O forse ce l’immaginiamo benissimo. Continua a leggere

Macron, l’europeista a parole che pensa solo agli interessi della Francia

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di Alberto Negri

Macron, l'europeista a parole che pensa solo agli interessi della Francia

Fonte: Linkiesta

Ha gonfiato il petto il presidente francese Emmanuel Macron nel suo discorso all’Europarlamento, ben sapendo che con la prossima uscita della Gran Bretagna dall’Unione resterà l’unico Paese membro che siede al Consiglio di Sicurezza Onu e ha un notevole potenziale atomico. Ribadisce che il suo intervento in Siria con quello americano e britannico “ha salvato l’onore dell’Europa”. Per la verità gli occidentali hanno salvato la faccia dopo avere perso la guerra in Siria dove Russia e Iran sono riusciti a tenere in piedi il regime di Bashar Al Assad. Adesso inizierà probabilmente un nuovo capitolo con lo scontro tra Iran e Israele.

È un dato trascurabile che sin dall’inizio della rivolta sette anni fa la Francia abbia cercato in tutte le maniere di dire la sua nella ex colonia: prima ha puntato sulla caduta di Assad, appoggiando persino i jihadisti, poi nel 2013 voleva bombardare Damasco, quindi con gli attentati in Francia nel 2015 Hollande chiese al dittatore siriano di sorvolare il Paese per vendicarsi e colpire l’Isis. Memoria corta e non solo dei francesi.

Lo stesso Macron parla di “dibattito avvelenato” ma chi si è se è arrogato il diritto di mandare i poliziotti francesi in territorio italiano a Bardonecchia contro ogni regola: Parigi non ha ancora fatto le sue scuse e probabilmente non le farà mai
L’astuto Macron qualche settimana fa promise pure di proteggere i curdi siriani da Erdogan ricevendo una delegazione curda e spedendo 150 soldati dall’Iraq ma nei fatti non ha combinato nulla, come del resto Trump che ha venduto i suoi alleati contro il Califfato alla Turchia. Continua a leggere

“Siria, non c’erano armi chimiche” La verità nascosta dietro gli attacchi

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Catastrofisti, millenaristi, apocalitticomani, complottisti ad ogni costo restano delusi anche stavolta, come avevamo previsto.  Nessuna III guerra mondiale nel breve termine perché non è interesse di nessuno. Le strategie sono altre.(n.d.r.)

“Siria, non c’erano armi chimiche” La verità nascosta dietro gli attacchi – Gli occhi della guerra

76 dei 105 missili da crociera lanciati da Usa, Gran Bretagna e Francia contro la Siria nella notte del 14 Aprile, hanno colpito il Centro di Ricerca di Barzah a Damasco. Sono stati “precisi, travolgenti ed efficaci” come ha affermato Kenneth Mc Kenzie, Direttore del Joint Chief Staff dello Stato Maggiore americano nella dettagliatissima conferenza …

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