La democrazia liberale sta preparando la grande persecuzione del cristiani?
L’EDITORIALE DEL LUNEDI per www.informazionecattolica.it
di Matteo Castagna
SEMBREREBBE IN ATTO UNO SCONTRO TRA COLORO CHE AMANO I BAMBINI, IL DIRITTO NATURALE E LO SPORT CONTRO COLORO CHE, INVECE ODIANO IL DIRITTO NATURALE E VORREBBERO CHE L’UOMO BIANCO, ETEROSESSUALE, POSSIBILMENTE CRISTIANO, FOSSE SIMBOLICAMENTE SCHIACCIATO DAL PENSIERO UNICO DEL TOTALITARISMO ARCOBALENO E DELLA RETORICA ANTIRAZZISTA
Giuseppe Sala apre la sua campagna elettorale per le amministrative di Milano al Gay Pride, enunciando la priorità: «Se verrò rieletto, ricominceremo il percorso per il riconoscimento dei figli di coppie omosessuali perché non è arrivato dove deve, quindi continueremo il percorso». Davvero sarebbe dimostrazione di Amore privarli di una mamma e di un papà?
A Bologna, dal 26 giugno al 3 luglio sta andando in scena il “Rivolta Pride”. Tra sberleffi ed insulti, vengono calpestate e imbrattate le foto di capi di Stato, leader politici, religiosi, opinionisti considerati “omofobi”. Davvero è dimostrazione di Amore il pubblico ludibrio di coloro che non temono di affermare il diritto naturale come principio inviolabile?
La Nazionale italiana gioca e vince contro l’Austria ma non si inginocchia al politicamente corretto, voluto dai Black Lives Matter. Pioggia di critiche. Davvero gli Azzurri sono razzisti? No, semplicemente amano lo sport e, quindi, non vogliono che venga strumentalizzato dalla più sinistra dialettica politica.
Sembrerebbe in atto uno scontro tra coloro che amano i bambini, il diritto naturale e lo sport contro coloro che, invece odiano il diritto naturale e vorrebbero che l’uomo bianco, eterosessuale, possibilmente cristiano, fosse, almeno simbolicamente, schiacciato dal pensiero unico del totalitarismo arcobaleno e della retorica antirazzista.
Tra queste due concezioni antropologiche opposte e parallele all’infinito, il maestro del pensiero forte, tipicamente occidentale, non può che essere il grande San Tommaso d’Aquino, mirabile sintesi di classicità e cristianità, che già 800 anni fa scriveva, nel commento al libro del Profeta Isaia: “Ciò che è incompatibile in modo assoluto con il fine è del tutto contro natura e non può mai essere una buona cosa come il peccato di sodomia” (c. 4, l. 1). Il Dottore della Chiesa annovera tale peccato come una forma di lussuria. Nella Summa Teologica (II-II, q. 154, a. 1 c.), l’aquinate parla della sodomia in questi termini: “…il piacere sessuale deve essere ordinato all’interno del rapporto di coniugio verso i fini propri del rapporto sessuale, cioè la procreazione e l’amore”. Non farlo o scavalcare la gerarchia di questi fini è un atto contro ragione e quindi malvagio.
Quindi non si parla solo di atto irragionevole “perché oltre ciò, ripugna allo stesso ordine naturale e fisiologico dell’atto venereo proprio della specie umana: e questo si chiama peccato, o vizio contro natura”.
Il Doctor Communis trae alcune conseguenze di ordine morale e cita il Sant’Agostino delle Confessioni (III): “Perciò nei peccati contro natura, nei quali si viola codesto ordine, si fa ingiuria a Dio stesso, ordinatore della natura. Scrive quindi S. Agostino: ‘I peccati contro natura quali quelli dei Sodomiti, sono sempre degni di detestazione e di castigo: e anche se fossero commessi da tutte le genti, queste sarebbero ree di uno stesso crimine di fronte alla legge di Dio, la quale non ammette che gli uomini si trattino in quel modo. Così infatti viene violato il vincolo di familiarità che deve esistere tra noi e Dio, profanando con la perversità della libidine, la natura di cui egli è l’autore”. Quindi l’omosessualità è un peccato verso se stessi e verso gli altri – non si rispetta la propria e altrui dignità – e verso Dio.
Amore è volere il Bene dell’altro, che, in primis, è fare quanto possibile per condurre una vita nella direzione della salvezza eterna, in conformità con le leggi di Dio. Può essere vero Amore l’induzione, con pieno assenso e deliberato consenso, al peccato mortale, che San Pio X definiva, nel Catechismo Maggiore, tra coloro che “gridano vendetta al cospetto di Dio”? Togliere ad un cattolico la libertà di dire pubblicamente queste bimillenarie verità di fede, è o non è un atto di violenza, odio e discriminazione verso Dio e i suoi precetti, sfogato sui Suoi testimoni in Terra?
“Non illudetevi: né immorali, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il Regno di Dio” ( San Paolo, I Cor. 6,9-10). .”..La legge non è fatta per il giusto, ma per i non giusti e i riottosi, per gli empi e i peccatori, per gli scellerati ed i profani, per i patricidi, i matricidi e omicidi, per i fornicatori, per i sodomiti, per i ladri di uomini, i bugiardi, gli spergiuri..:” (S. Paolo, I Tim. 1,9). E la democrazia liberale sta preparando la grande persecuzione dei cristiani, attraverso l’ingerenza nelle leggi di Dio?
Legge Zan: colpire l’intenzione per criminalizzare il dissenso
Fonte: Centro studi Livatino
Il 15 giugno 2021 Domenico Airoma, Procuratore della Repubblica di Avelino e vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino, ha svolto davanti alla Commissione Giustizia del Senato un’audizione sui “Disegni di legge n. 2005 e n. 2205, contrasto della discriminazione o violenza per sesso, genere o disabilità”, il c.d. d.d.l. Zan sull’omofobia. A seguire il testo della relazione, trasmessa agli atti della Commissione, centrata sui profili penalistici della nuova disciplina.
Onorevole Presidente,
Onorevoli Senatori,
vi ringrazio per l’invito.
Desidero sottoporre alla vostra attenzione alcune brevi riflessioni su un aspetto, in particolare, del disegno di legge recante il nr. 2005, già oggetto, per la verità, di condivisibili rilievi critici da parte di insigni esponenti della scienza penalistica: mi riferisco alla disposizione incriminatrice che andrebbe ad integrare l’art. 604 bis del codice penale.
L’indeterminatezza del precetto penale non è mera questione accademica, da puristi del diritto. Chi vi parla è un pratico del diritto, un tecnico che è chiamato ad interpretare la norma, a farla vivere nella concretezza delle relazioni personali. La mia, dunque, è la preoccupazione di chi cerca di capire quali saranno i possibili scenari applicativi, mostrando al legislatore come verosimilmente andrà a finire. Ed il finale, assai prevedibile, non tranquillizza. Cerco di spiegare in sintesi le principali ragioni di siffatta preoccupazione.
L’art. 2 del disegno di legge in questione non incrimina un fatto, una condotta che abbia una sua materialità, bensì l’istigazione, cioè una condotta di incitamento che è fatta di parole. Un incitamento, peraltro, non a commettere reati ma a compiere atti di discriminazione. Va pure evidenziato che abbiamo a che fare con discriminazioni sui generis, perché non si tratta di situazioni oggettivamente uguali trattate in modo disuguale (si pensi al razzismo, pure considerato dall’art. 604 bis c.p.), ma situazioni ritenute uguali secondo prospettazioni soggettive e, nel caso della cosiddetta identità di genere (come definita dall’art. 1 del medesimo d.d.l.), volutamente distoniche rispetto all’evidenza, oggettivamente percepibile, del corpo.
Come farà l’interprete a stabilire quando quelle parole di incitamento siano da considerare penalmente rilevanti? L’interprete è chiamato a stabilire, in buona sostanza, se quelle parole siano espressive di un hate speech, di un discorso di odio. E qui incontriamo la prima grande difficoltà.
Il pubblico ministero, prima, ed il giudice, poi, non sono psicologi; direi di più, non devono fare gli psicologi. L’indagine su una disposizione interiore non compete ai magistrati, è strutturalmente estranea alle aule di giustizia. Può esservi interesse ad accertare i motivi che hanno spinto a commettere un reato, certo! Ma il motivo, così come il movente, innervano la condotta; e dunque si rivestono di materialità. L’odio può essere al fondo del movente, ma è quest’ultimo che va provato, che può essere provato.
Nel caso dell’art. 2 del disegno di legge in questione, tuttavia, è proprio questo che si chiede all’interprete, soprattutto se lo si legge unitamente all’art. 4. Si chiede a chi dovrà applicare quel precetto di stabilire quando le parole di incitamento siano motivate da ragioni culturali, etiche o religiose, e quando, invece, da odio. Ed allora bisogna chiedersi quali potrebbero essere le strade, processualmente praticabili, che possono consentire di dimostrare che si è in presenza di un discorso di odio penalmente rilevante. Leggo, nelle relazioni di accompagnamento ai testi normativi poi unificati nel presente disegno di legge, che la differenza dipenderà dalle modalità di estrinsecazione del pensiero o da precedenti condotte dell’autore.E però questi sono indici che il diritto penale considera ai fini della graduazione della pena o della pericolosità sociale; oppure, come nel caso delle modalità espressive, quando siam dinanzi a parole che sono oggettivamente offensive. Ma quando si è dinanzi a chi sostiene -come ha fatto Luciana Piddiu, autodefinitasi femminista e comunista su Micromega del 26 aprile di quest’anno- che “la differenza sessuale, che piaccia o no, non è un’opinione. E’ ciò che ha consentito alla nostra specie di riprodursi e sopravvivere”; cioè dinanzi a chi incita a non obliterare l’evidenza del corpo, potrà dire l’interprete che quella frase è da ritenersi omofoba, che cioè è un discorso di odio, sol perché espressa in modo polemico?
Il pericolo è che, allora, la vaghezza del precetto finisca con l’attribuire all’interprete il compito di stabilire, egli, quando si è dinnanzi ad un discorso di odio; cioè quando un’opinione integra un crimine. Ed in una materia così delicata e controversa, terreno di scontri culturali accesi, assegnare il compito non di arbitro ma, per il contenuto etico che lo stigma omofobico porta con sé, il ruolo di vero e proprio scrittore delle tavole della nuova legge morale al giudice appare operazione rischiosa. Essendo questo uno dei risvolti, ed il peggiore, del cosiddetto panpenalismo, che altro non è, come avvertito da autorevoli giuristi, che la delega dell’etica pubblica alle aule giudiziarie.
Vi è, poi, un secondo aspetto sul quale desidero richiamare la vostra attenzione; anche questo tratto dalla mia esperienza professionale. Questa tecnica normativa fondata sulla individuazione dell’odiatore può condurre ad un effetto, certo non voluto, ma assai probabile, di aumentare, paradossalmente, la conflittualità su questi temi anziché attenuarla. Ed infatti, dal momento che si tratta di temi ad alto contenuto di contrapposizione culturale, direi antropologico, può manifestarsi la tentazione, una volta che si ha a disposizione l’arma della sanzione penale, di trasferire il confronto dal piano del confronto delle idee a quello del confronto nelle aule di giustizia, attraverso la denuncia penale dell’avversario. Denuncia che sarebbe agevolata proprio dalla vaghezza del precetto penale. Denuncia che porterebbe all’apertura di un procedimento penale, che, a prescindere dal suo esito, espone, di suo, chi lo subisce ad una pena, spesso dalla durata intollerabile.
Non solo: invocando l’intervento del giudice penale, si espone il denunciato allo stigma pubblico dell’odiatore omofobo, con tutto quel che ne consegue. E se consideriamo la vastità dei campi che possono essere interessati dal confronto su questi temi (dalla famiglia alla scuola, dagli ambienti religiosi a quelli più ampiamente sociali e politici), non sfugge quali e quante persone potrebbero ritrovarsi incasellati in questa categoria non proprio piacevole, al pari, appunto, di un razzista. Con ciò alimentando rancore, conflittualità, discordia.
Qualcuno ha detto che la legge penale di una generazione diventa la morale della generazione successiva: ecco, io non vorrei che passasse l’idea che l’indispensabile confronto culturale su temi importanti come la sessualità sia vissuto come una battaglia che si concluda con la criminalizzazione del dissenso. Usando la sanzione penale non più come extrema ratio, ma come, osservato dal presidente emerito della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick, “come strumento primario di controllo sociale”.
Ddl Zan, al gay pride calpestano gli “omofobi”
di Francesco Giubilei
A Bologna, in occasione del Gay pride unitario chiamato “Rivolta Pride” che si terrà dal 26 giugno al 3 luglio, gli organizzatori hanno annunciato che sfileranno indossando una mitra vescovile e calpestando con vernice rossa i volti di vari personaggi tra cui Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Papa Francesco.
L’iniziativa, nata “per lanciare la settimana di mobilitazione femminista-transfemminista” che dovrebbe contrastare forme di odio, si trasforma essa stessa in una manifestazione di odio, lesiva dei principi democratici necessari per organizzare un evento pubblico e promuovendo comportamenti offensivi verso i cattolici e i leader di centrodestra. Colpiscono i toni del comunicato diffuso in cui le femministe spiegano che invaderanno “lo spazio pubblico” fino al 3 luglio per testimoniare “la nostra rabbia” contro gli attacchi definiti “misogini e omolesbobitransfobici”. C’è un passaggio in particolare che fa riflettere in cui si afferma che il “Rivolta Pride” quest’anno “assume connotati molto più radicali” a causa del dibattito sul ddl Zan.
Che cosa significa assumere connotati più radicali? Promuovere comportamenti e iniziative volte a reprimere la libertà di parola e di espressione dei cattolici? Come sottolinea il deputato bolognese di FdI Galeazzo Bignami: “Si dice che gli odiatori siano quelli di destra che vengono additati come intolleranti e omofobi, mentre quest’occasione è l’ulteriore dimostrazione che i veri odiatori sono altri e non hanno alcuna forma di rispetto per le opinioni altrui arrivando a calpestare le facce di chi la pensa diversamente da loro”.
Aggiunge Bignami: “Sorprende queste cose accadano sempre a Bologna che Lepore ha definito la città più progressista d’Europa, bisognerebbe però condannarle”. Molto probabilmente la sinistra preferirà far finta di nulla e partecipare al pride come se nulla fosse ma immaginiamo cosa sarebbe successo al contrario, se in una manifestazione cattolica si fossero calpestati con la vernice rossa i volti dei rappresentanti della comunità gay?
Sebbene il ddl Zan non sia ancora stato approvato, gli organizzatori del “Rivolta Pride” già mettono le mani avanti rivendicando “molto più di Zan, perché una misura repressiva non ci basta”. Il sottotesto è evidente: non è sufficiente reprimere e punire le opinioni di chi è favorevole a una visione cattolica della famiglia e della società ma occorre cancellare qualsiasi forma di pensiero diverso da quello portata avanti dagli attivisti Lgbt, promuovendo una visione radicale della società che appare sempre più polarizzante e lesiva della libertà di espressione.
Sala sul palco del Pride pressa anche il Pd: “Il tempo è scaduto”
E dopo la stoccata di Berlusconi ribatte: “Ho deluso? Non si può piacere a tutti”
di Chiara Campo
«Facciamo partire da Milano la spinta finale al Ddl Zan, il tempo è scaduto. Andiamo in Parlamento e andiamoci a contare». Beppe Sala scalda il popolo gay radunato sotto il palco del Pride all’Arco della Pace, si sfila l’orologio arcobaleno e lo regala al deputato Alessandro Zan firmatario del ddl anti omofobia contestato nei giorni scorsi con una nota ufficiale anche dal Vaticano. «Da cattolico non sono in imbarazzo ad appoggiare il ddl – afferma il sindaco -. Penso che la Chiesa abbia espresso un sentimento che c’è anche in tanti cattolici ma personalmente ho due principi fondamentali in politica: uno è che i diritti siano una cosa vera e l’altro è la contemporaneità che ci impone riflessioni su questi temi». Il ddl «non deve essere modificato, ora bisogna prendere posizione». Una sfida al segretario Pd Enrico Letta.
Sala ha partecipato per quattro volte al Gay Pride da sindaco (l’anno scorso l’edizione venne annullata a causa della pandemia) e sfrutta il palco per una promessa elettorale: «Se verrò rieletto – anticipa – creerò immediatamente un delegato o delegata del sindaco contro le discriminazioni sessuali perché voglio che per specifici problemi o opportunità venga da me e non si perda tempo, questa è la prima cosa che faremo. Poi ricominceremo il percorso per il riconoscimento dei figli di coppie omosessuali perché non è arrivato dove deve, quindi continueremo il percorso». Ricorda di aver aperto «due Case Arcobaleno a Milano e qui siamo partiti con le unioni civili prima della legge Cirinnà». E assicura: «Non so se sarà sempre necessario anche in futuro avere il Pride, probabilmente no, ma lo faremo sempre a Milano. Tutti noi dobbiamo fare la nostra parte».
L’eurodeputato di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza polemizza: «Per Sala le priorità sono approvare il Ddl Zan e assicurare che il Pride, in futuro, si faccia sempre a Milano. Mentre il sindaco, in piena campagna elettorale, strizza l’occhio alla comunità Lgbt per ottenere qualche voto in più, il fallimento dei suoi cinque anni di amministrazione è sotto gli occhi di tutti. Milano è insicura, visto che dal centro alla periferia ogni giorno si contano risse e atti di violenza, ma è anche profondamente degradata e con una mobilità distrutta dall’ideologia green della sinistra». Fidanza lancia un messaggio al sindaco: «Si preoccupi di usare questi ultimi mesi di mandato per rimediare ai danni compiuti dalla sua giunta, invece di discutere del decreto legge Zan. Noi restiamo contrari a una legge liberticida, che rischia di far condannare una persona solo perché le sue opinioni non sono in linea con quelle del movimento Lgbt». In piazza cartelli con la scritta «fascista» rovesciata e qualche partecipante in mise carnevalesche come un Gesù con la croce o una trans travestita da leopardo.
E il sindaco commenta la stoccata di Silvio Berlusconi durante la telefonata alla kermesse di Fi due giorni fa («ha deluso anche chi aveva riposto aspettative in lui come manager» aveva detto). «Nella politica e nella vita – commenta Sala – non si può piacere a tutti» e poi «sarebbe strano il contrario. Non voglio parlare male di Berlusconi, nè di nessuno».
“Omofobo” is the new “fascista”. Il pensiero debole ci va giù pesante
di Alfredo Mantovano
Fonte: Centro studi Livatino
Lo stigma mediatico-culturale incombe già, come dimostra il caso del mio libro bloccato dalla Feltrinelli. Il ddl Zan traduce quel marchio in sanzioni penali.
Un paio di mesi fa Simonetta Matone, un magistrato che ha speso la vita per la tutela dei diritti, soprattutto dei più deboli e dei minori, riceve dalla Rettrice de La Sapienza l’incarico di Consigliera di fiducia dell’Ateneo romano: in base al Codice di condotta nella lotta contro le molestie sessuali del gennaio 2021, questa figura fornisce consulenza e assistenza alle vittime. Le associazioni di area Lgbt+ chiedono pubblicamente il ritiro della nomina perché la cons. Matone sarebbe “nota da sempre per le posizioni omofobe”. Prova certa e unica del crimine di “omofobia” da lei perpetrato è la sua firma – fra circa 400 di giudici, avvocati e docenti – all’appello del gennaio 2016 del Centro studi Livatino, che era critico nei confronto dell’allora ddl Cirinnà, poi diventato legge nel maggio successivo.
Più o meno negli stessi giorni giunge il libreria un volume scritto a più mani con amici del Centro studi, da me curato, di commento articolo per articolo al ddl Zan: il ddl, approvato alla Camera nell’autunno 2020, è attualmente all’esame del Senato. Giunge in libreria? Così dovrebbe avvenire per contratto: l’editore Cantagalli lo aveva consegnato al principale distributore italiano, e questi, a sua volta, lo aveva smistato per le varie reti librarie. Peccato che nelle librerie Feltrinelli il testo non si trovi: dopo varie segnalazioni di persone che vorrebbero acquistarlo, e alle quali vengono date le risposte più improbabili, un accertamento svolto contestualmente in più città italiane fa constatare che è rimasto bloccato. Le proteste ottengono di farlo rimettere in circolazione, con annesse scuse; inutile dire che, come la d.ssa Matone è la persona meno adatta a essere marchiata quale soggetto discriminatorio, così il nostro libro è un testo scientifico privo di offese nei confronti di chiunque.
MA QUALE “PRIORITÀ”
A pandemia non ancora superata, con la devastazione economica a essa seguita, il leader di un importante partito italiano individua quale “priorità” l’approvazione del ddl Zan: perché lo stigma dell’omofobia da mediatico-culturale, quale incombe pesantemente, come dimostrano le due vicende appena riferite, sia tradotto in sanzioni penali; e perché in tal modo passi dal mito della discriminazione omotransfobica alla realtà della discriminazione di chi ritiene che la famiglia sia un dato di natura.
L’omofobia è il marchio di infamia per condurre oggi all’esilio sociale, domani agli arresti chi, non si omologa al verbo dei talk show, delle fiction, delle emergenze che non esistono e egli esperimenti di disaggregazione di quel poco che ha mantenuto un profilo strutturato. Nella metà degli anni 1970, allorché il Partito comunista italiano concludeva il suo percorso di conquista delle istituzioni con l’ingresso nelle maggioranze di solidarietà nazionale, l’indimenticato Augusto Del Noce enucleava la categoria del “mito del fascismo”. Egli distingueva tra il fascismo storico e il fascismo demonologico: il primo, allora un po’ più di oggi, contava su nulla più di un gruppo di nostalgici; il secondo costituiva un’arma di esclusione, poiché sovrapponeva a una persona, a un’associazione, a un gruppo culturale l’etichetta di fascismo, e con questo lo estrometteva da ogni ambito di confronto, di discussione, di semplice ascolto. Arbitro ultimo di chi meritasse o meno quella qualifica esiliante era il PCI, o chi, nei vari ambiti, si esprimeva per conto di quell’area politica.
COME SI ROMPE L’INCANTESIMO
Quarant’anni dopo ‘omofobo’ sostituisce ‘fascista’, e titolato ad adoperarlo nei confronti del nemico di volta in volta preso di mira è il mainstream anni 2020, meno strutturato rispetto all’antico PCI: una galassia che conosce punti di forza nelle redazioni dei media più diffusi, e individua nella giurisdizione lo strumento attraverso cui stroncare, se necessario col carcere, non già chi in qualsiasi modo offende una persona perché omo o transessuale, bensì chi esprime riserve e perplessità per i c.d. nuovi diritti. Il pensiero debole, che ruota attorno alla fluidità del gender, ha necessità di sanzioni forti, con le quali impedire il dissenso, pur se civile e ragionato, per l’equiparazione delle unioni same sex alla famiglia fondata sul matrimonio, per l’adozione omogenitoriale, per la maternità surrogata.
È una pesante cappa su un corpo sociale che non cessa di soffrire le ferite della pandemia: quelle fisiche, i contraccolpi psicologici, le ricadute economiche. Così pesante che in occasione della Festa dei lavoratori il tema dominante, invece delle morti sul lavoro, o della tragica dilatazione della disoccupazione, o della rimozione degli ostacoli fiscali e burocratici a rendere effettiva la ripresa, è stata l’intimazione ad approvare il ddl Zan il prima possibile!
L’incantesimo si rompe se si apre la finestra e si guarda alla realtà, mettendo da parte i consiglieri fraudolenti. Per svegliare il debole Theoden e ricordargli la sua missione di re non serve tentare la mediazione con Saruman, che non ha nessuna intenzione di venire a patti: è sufficiente smascherare la schiera dei Vermilinguo oggi presenti ovunque; è raccontare che col testo Zan la posta in gioco è la libertà, di formazione, di istruzione, scientifica e di opinione; è convincersi che va fatto adesso e senza complessi.
Omotransfobia. PV&F: «Nel nostro Primo Report sulle violazioni delle libertà fondamentali centinaia di casi choc che si rischia di replicare qui in Italia»
Segnalazione di ProVita & Famiglia
“Le leggi anti omotransfobia mettono in pericolo una serie di libertà fondamentali, quali la libertà di espressione del pensiero, di religione, di associazione e la libertà d’iniziativa economica privata. In questo documento abbiamo elencato centinaia di esempi di quello che accade nei Paesi dove vigono leggi anti omotransfobia simili a quella proposta in Italia. Si tratta, per esempio, di casi di violenza, abusi e altre violazioni dei diritti delle donne dovuti all’imposizione del transgenderismo. O ancora ci sono persone denunciate, censurate o attaccate per la loro contrarietà alla partecipazione di maschi trans alle competizioni sportive agonistiche femminili o all’ingresso di maschi biologici nei bagni o negli spogliatoi delle donne” ha dichiarato Jacopo Coghe, vice presidente di Pro Vita e Famiglia onlus, che ha presentato oggi, al Senato, il primo Report sulle violazioni delle libertà fondamentali causate dalle leggi su l’omotransfobia insieme ai parlamentari Simone Pillon, Lucio Malan e Isabella Rauti e alla collega, membro del direttivo della onlus, Maria Rachele Ruiu.
Sono la scuola e i bambini a preoccupare e ad avere un’attenzione speciale nel Report: “Le scuole di Melbourne – ha sottolineato in conferenza stampa Maria Rachele Ruiu – sono state invitate a non esprimersi più con i termini “mamma” o “papà” in modo tale da essere più “inclusive di genere”. Così come bagni unisex, squadre sportive non-gendered e l’esposizione di bandiere arcobaleno sono tutti raccomandati per migliorare l’inclusività. L’Istituto scolastico Deanesfield Primary School – ha aggiunto – ha adottato la policy dei bagni gender-neutral. Le ragazze così si sono viste costrette a non andare a scuola per non condividere i bagni con i maschi. Qui in Italia già propongono Carriera Alias e bagni gender neutral, progetti gender che decostruiscono il maschile e il femminile a beneficio della identità fluida, progetti che lodano l’utero in affitto, se io non volessi questo indottrinamento per i miei figli, sarei un’omofoba?”.
Esiste poi tutta una problematica relativa alle carceri e allo sport. “Karen White, maschio di 52 anni che si identifica come donna – ha continuato Coghe – incarcerato in una struttura per donne ha abusato sessualmente di due detenute donne. Ed è da sottolineare il caso di Boyd Burton, divenuto Fallon Fox “campionessa” di arti marziali, trans, che finora ha combattuto come donna e ha dichiarato in un recente tweet indirizzato anche alla Rowling, la scrittrice di Harry Potter, di aver fratturato con gioia il cranio di una sua avversaria, con una frase come «adoro pestare le TERF*» (Trans-Exclusionary Radical Feminist)”.
“Presenteremo oggi, con oltre 240.000 firme raccolte in poche settimane, la nostra petizione contro il Ddl Zan, la legge bavaglio anti omotransfobia, che sarà consegnata al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio ed al Presidente del Senato” ha concluso Coghe.
DDL Zan: quando la norma penale è strumento di rieducazione
di Pietro Dubolino
Fonte: Centro studi Livatino
La reclusione può essere strumento ‘pedagogico’ per sanzionare chi non si allinea con la ‘cultura dell’indifferenza sessuale’? Considerazioni di Pietro Dubolino, presidente emerito di sezione della Corte di Cassazione, a margine dell’articolo del prof Giuseppe Savagnone, comparso su Giustizia insieme: il quale difende il filo conduttore delle nuove disposizioni, pur al prezzo di negare l’antico brocardo ‘Cogitationis poenam nemo patitur’.
1. Nell’ambito dell’ormai strabocchevole pubblicistica che, dalle opposte trincee, ha per oggetto il DDL Zan sulla “omotransfobia”, mette conto segnalare l’articolo comparso il 25 maggio scorso sulla rivista giuridica Giustizia insieme a firma di Giuseppe Savagnone, professore emerito di storia e filosofia nei licei statali e direttore, per molti anni, dell’ufficio per la pastorale della cultura della diocesi di Palermo.
Articolo, quello anzidetto, che, pur provenendo da una sponda dichiaratamente di sinistra, e quindi comunque favorevole al disegno di legge in questione, vuole tuttavia caratterizzarsi per un approccio apparentemente moderato e conciliativo, manifestato in particolare nel richiamo, in termini di apprezzamento, se non anche di condivisione, alla presa di posizione di alcune associazioni femministe contrarie al concetto di “identità di genere”, accomunato, nel testo approvato dalla Camera ed attualmente in discussione al Senato, a quelli di “sesso”, “genere”, “orientamento sessuale” e definito come “l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso”. Si tratta, però, di un’unica concessione che, guarda caso, viene rivolta ad un mondo, quello appunto delle associazioni femministe, tradizionalmente vicinissimo alla sinistra e delle cui opinioni, quindi, sarebbe assai sconsigliabile non tenere conto.
2. Quanto al resto, il sostegno al DDL Zan, nella sua attuale formulazione risulta, pur nell’apprezzabile pacatezza del linguaggio, assoluto e granitico. Il che non lo renderebbe particolarmente interessante se non fosse per il fatto che l’Autore, per un verso, minimizza quello che dovrebbe essere il contenuto meramente precettivo della norma in gestazione, affermando che essa prevederebbe “soltanto l’estensione ai comportamenti violenti ‘fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità’ [del]le aggravanti che già il nostro ordinamento prevede per quelli che riguardano i reati commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso”; per altro verso riconosce espressamente che il DDL Zan, in realtà, vuole avere un “carattere simbolico e pedagogico” e, pertanto, “non si limita a difendere i diritti delle persone omosessuali” ma, proprio per tale suo carattere, “pone le basi per una educazione capillare alla cultura dell’indifferenza sessuale”, per cui “si può facilmente prevedere che i suoi effetti non si manifesteranno [solo – N.d.R.] nelle aule dei tribunali, ma in tutte le sedi in cui si realizza un’opera educativa”. Continua a leggere
RestiamoLiberi! Firma contro il ddl Zan, la legge bavaglio anti-omotransfobia!
Segnalazione dell’Associazione Pro Vita e Famiglia
Le associazioni LGBT e alcuni partiti come Pd e M5S vogliono una norma contro l’omotransfobia, e il ddl Zan rischia di essere approvato definitivamente al Senato. Un simile disegno di legge è inutile, perché le persone omosessuali e transessuali sono già giustamente tutelate dalla legge contro atti violenti, ingiuriosi o discriminatori, come tutti, a prescindere dalle proprie tendenze sessuali. Invece, il ddl Zan prevede di punire con la reclusione mal definiti atti di omofobia o di transfobia, mettendo in pericolo libertà e diritti, in primis quelli di donne e bambini.
Infatti il disegno di legge imporrebbe i controversi concetti di “genere” e “identità di genere”, obbligando quindi a trattare un maschio biologico che si percepisce come donna in tutto e per tutto come una donna: garantendogli quindi l’accesso a luoghi e ambiti riservati alle donne, quali bagni, spogliatoi e gare sportive femminili (pena l’accusa di discriminazione sulla base dell’identità di genere), col serio rischio di agevolare abusi e violenze contro le donne, come del resto è già accaduto in Paesi con leggi simili.
Il ddl Zan, poi, introdurrebbe surrettiziamente l’ideologia gender nelle scuole, attraverso l’istituzione della “Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia”, in occasione della quale dovranno essere organizzati negli istituti incontri, cerimonie e iniziative analoghe. E chi dovesse manifestare pubblicamente sostegno per la famiglia naturale e per il diritto dei bambini a crescere con una mamma e un papà potrebbe essere condannato alla reclusione, in quanto tale atto potrebbe essere interpretato come omofobico o transfobico.
Se non reagiamo, questa “legge bavaglio” sarà presto approvata e rischieremo tutti il carcere e la rieducazione arcobaleno: firma ora questa petizione, compilando il modulo, per chiedere al Presidente della Repubblica Mattarella, al Presidente del Consiglio Draghi e al Presidente del Senato Casellati di non approvare questa legge liberticida!
— Ecco il messaggio che invieremo al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio e al Presidente del Senato — Continua a leggere