Dio li fa, Licio li accoppia

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QUINTA COLONNA

di Matteo Castagna

Paolo Ojetti su “L’Europeo” del 7/01/1977 scrisse che “Il potere temporale della Chiesa si appoggia e si ramifica grazie alle solite complicità: chi porta alle casse della Santa Sede i mezzi per rinsaldare il potere finanziario sono sempre le banche le grandi società immobiliari, le società assicuratrici, il capitale tradizionalmente vicino agli ambienti della Curia […]. E poi chiosò con una stilettata: “tra l’investimento misericordioso e quello redditizio, la Chiesa sceglie tuttora il secondo”.

Agostino Giovagnoli nella prefazione al testo “IOR” di Francesco Anfossi (Edizioni Ares, 2023) dimostra che non è sempre stato così. Fondato da Papa Pio XII nel 1942, lo IOR raccolse un’ eredità di fine Ottocento per garantire il mantenimento dei flussi finanziari alle opere di religione di tutto il mondo, mantenendosi, per volontà dello stesso Santo Padre papa Pacelli un investimento misericordioso di sostentamento del clero e delle sue buone opere di carità. Fu certamente un’intuizione meravigliosa di Papa Pacelli, utilizzata allo scopo di utilizzare il denaro per i nobili scopi dell’evangelizzazione dei popoli, del soccorso alla povertà, del mantenimento dei beni della Chiesa e del clero. In parte, dopo la morte di Pio XII (1958) i fini di questa istituzione non furono all’altezza del compito assegnato.

Nell’ottobre del 1959 il cardinale Domenico Tardini, Segretario di Stato di Giovanni XXIII, convocò per la prima volta una conferenza stampa a Villa Nazareth per illustrare il bilancio della Santa Sede. si trattava di bilanci assai modesti. Anfossi scrive che “si basava molto sui servizi bancari del Banco di Roma, del Santo Spirito e della Cariplo fungendo da cassa del Vaticano”. 

Il “cambiamento climatico” rispetto al periodo di Pio XII, iniziò con la Presidenza dello Ior di Mons. Paul Marcinkus. La strada dello Ior si intrecciò, anzitutto con quella di Michele Sindona ma soprattutto col Banco ambrosiano di Roberto Calvi, di cui Francesco Anfossi parla con particolari inediti conservati nelle carte del cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato di Karol Wojtyla. Già dagli anni ’70 Licio Gelli, fondatore e Gran Maestro della Loggia massonica P2 continuava a tessere la sua tela massonica internazionale. Iscritti troviamo, dunque, Michele Sindona (tessera n. 1612), Roberto Calvi (tessera n. 1624) e il finanziere Umberto Qrtolani (tessera n. 1622).

Quest’ultimo si inserisce molto bene nella Democrazia Cristiana, intrattenendo rapporti soprattutto con Amintore Fanfani e Giulio Andreotti. Ortolani fonda l’Agenzia di stampa Italia (poi venduta all’ENI) e riesce a farsi eleggere presidente dell’Associazione stampa italiana all’estero. Attraverso le sue conoscenze politiche, lo si vede spesso all’interno delle mura leonine perché fa parte della ristretta cerchia del cardinale Giacomo Lercaro, noto per le sue posizioni ultra-progressiste durante il Concilio Vaticano II, tra i primi religiosi a instaurare il dialogo coi comunisti. le prebende di Lercaro e le frequentazioni politiche di alto livello gli varranno l’insegna del Cavalierato dell’Ordine di Malta e, più tardi, il ruolo di Gentiluomo di Paolo VI, nonché di suo consulente finanziario.

Mentre negli Stati Uniti il duo Gelli-Ortolani rimane piuttosto defilato, ad agire è un terzetto composto da tre finanzieri: il responsabile dello Ior Paul Casimir Marcinkus, Michele Sindona e Roberto Calvi, presidente di un istituto di credito di primaria importanza all’epoca, ossia il Banco Ambrosiano. I tre sono accomunati da caratteristiche molto simili: l’alta frequentazione di ambienti religiosi, la passione per gli affari (non importa di quale tipo)  e da una smisurata ambizione.

La vicenda del Banco Ambrosiano si concluse col suicidio della segretaria di Calvi e la morte a Londra del banchiere, che fu trovato impiccato a un’impalcatura sotto il Blackfriars Bridge. Si trattò di una vicenda oscura, in cui entrarono Licio Gelli e la P2, Umberto Ortolani, Francesco Pazienza e Flavio Carboni. Il Ministro del Tesoro dell’epoca, Beniamino Andreatta disse che “si trattò della più grave deviazione di un’importante istituzione bancaria rispetto alle regole della professione verificatasi in un grande Paese industriale in questi ultimi quarant’anni”. Il democristiano Andreatta afermò che vi era una corresponsabilità dello Ior nella mala gestio della più importante banca privata italiana, chiedendo al Vaticano di pagare 1.159 milioni di dollari. Marcinkus respinse le accuse, dicendo che lo Ior avrebbe concesso solo delle “lettere di patrocinio” a Calvi per frenare ulteriori debiti e finanziamenti alle società. Il riciclaggio era, inoltre, il reato compiuto in gran segretezza per conto di persone molto poco raccomandabili, di tutto il mondo. In particolare, la Commissione d’inchiesta accertò che i soldi sporchi della Banda della Magliana venivano ripuliti in questo sistema finanziario.

M.A. Calabrò, in “Le mani della mafia”, Ed. Associate, Roma 1991, scrive che il quadro del Banco Ambrosiano era disastroso. Calvi, insomma, nei primi anni (1971-1977) passati al vertice dell’Ambrosiano aveva “svaligiato” la banca, e ciò era avvenuto grazie alla filiale di Nassau.

Il “pozzo” senza fondo di miliardi di lire svaniti nel nulla e di acquisizioni societarie incrociate, comprende anche una serie di società scoperte anni dopo la loro costituzione. Risulteranno essere ben 24, tutte cariche di debiti e dislocate tra Panama e l’Europa, poste sotto l’ombrello della capogruppo-schermo, la manic Holding Sa. Attraverso questo fondo, la Loggia P2 controllava segretamente l’Ambrosiano: ciò costituisce uno dei punti fondamentali all’origine del crac della “Banca dei preti”.

Su La Stampa del 6/4/1975, parlando in terza persona, Sindona disse: “[Andreotti] disse che per tre volte aveva chiamato Sindona al capezzale della lira. Mi regalò pure una fontana di Trevi rifatta in argento da una scultrice amica sua”. All’American Club di Roma il banchiere siciliano viene proclamato “uomo dell’Anno 1973”. Ad assegnare il premio al massone piduista, nonché riciclatore di denaro sporo, il suo vecchio amico John Volpe, ambasciatore degli Stati Uniti in Italia. Questo riconoscimento venne inte4rpretato come un doveroso omaggio a un banchiere che, due anni prima, sostenne la rielezione di Richard Nixon alla presidenza USA, devolvendo – stando a varie fonti – un milione di dollari. Una fortuita coincidenza volle l’8 Agosto 1974, Nixon debba dimettersi da presidente in seguito al clamoroso “scandalo Watergate”.

L’edificio del Watergate era stato costruito dalla Genale Immobiliare (ex proprietà del Vaticano), ovvero la stessa degli affari tra Sindona, Marcinkus e l’americano Bludhorn. 

Anche Gelli era ben introdotto negli ambienti politici americani, tanto che fu presente alle cerimonie di insediamento alla Casa Bianca del democratico Jimmy Carter e del repubblicano Ronald Reagan.

E’ grazie a questa complicità ad alto livello che a Sindona arrivano forti sostegni finanziari. Ad accorrere in suo soccorso è il Banco di Roma, istituto a capitale pubblico. Per una finanziaria sindoniana, la Moneyrex, il Banco conduce operazioni r servizi finanziari che avrebbe potuto benissimo realizzare da sola. Nel luglio e nel dicembre del 1974, la filiale di Nissau del Banco di Roma effettuò un prestito a Sindona di 130 milioni di dollari. E il 20 giugno successivo, perché il banchiere possa tamponare le falle della sua disastrosa attività, sempre il Banco di Roma – presieduto da un vertice di nomina andreottiana – gli accordò altri 100 milioni di dollari. Feudo politico della destra DC, la banca romana cercò poi di correre ai ripari: a luglio, i dirigenti distaccarono ben 40 funzionari negli istituti di credito del banchiere siciliano (Banca Unione, Banca Privata Finanziaria e anche Edilcentro-Sgi) per capire che cosa si nascondesse nell’ormai dissestato dissestato universo finanziario sindoniano.

Già da qualche tempo la Magistratura aveva messo sotto controllo le operazioni. Emergerà che Sindona, oltre a sovvenzioni mensili di qualche decina di milioni (dei primi anni ’70) alla DC ha versato un contributo di ben 2 miliardi dell’epoca. Ed emerse pure che il primo “protettore” politico del mafioso bancarottiere era Giulio Andreotti. Per mesi Sindona si dibatte per uscire dalla palude, manda segnali, soprattutto ai politici ed ai massoni amici, tenta ricatti, inscena un finto rapimento coinvolgendo i suoi compari della mafia. Ordinò l’assassinio dell’avv. Giorgio Ambrosoli, che era il suo curatore fallimentare, ma uomo integerrimo nell’onestà.

E Gelli? Come accertò la Commissione d’inchiesta parlamentare sulla Loggia P2, il Maestro venerabile operò a lungo nei traffici sindoniani. Nella relazione di minoranza, il missino Giorgio Pisanò rivolse un’aspra critica ai colleghi di maggioranza della Commissione, che non avrebbero indagato a fondo su certi legami tra i personaggi coinvolti nell'”affaire Sindona”. Finché gli affari del banchiere (affiliato alla massoneria nel maggio-giugno 1974) filavano lisci, il materassaio di Pistoia proseguiva nella sua tessitura massonica a Roma, espandendo i suoi rapporti in Sud America con personaggi di primissimo piano, soprattutto in Argentina.

L’ironia: “soldi santi e affari diabolici”  è più che azzeccata in questo imbarazzante spaccato di storia italo-vaticana. L’intreccio tra una finanza piena di ombre a una gestione da parte di uomini consacrati a Dio grida scandalo agli occhi del mondo, induce a perdere la Fede, nella rabbia che sovviene di fronte al famoso “pecunia non olet”. San Tommaso d’Aquino ha scritto che “l’avidità è un peccato contro Dio, proprio come tutti i peccati mortali, in quanto l’uomo condanna le cose eterne per il bene delle cose temporali”.

Considerate questo avvertimento di San Giovanni Maria Vianney, Patrono dei parroci:

L’avarizia è un amore disordinato dei beni di questo mondo. Sì, figli miei, è un amore regolato in modo malato, un amore fatale, che ci fa dimenticare il buon Dio, la preghiera, i sacramenti, per amare i beni di questo mondo – oro, argento e terre. L’uomo avido è come un maiale, che cerca il cibo nel fango senza curarsi della sua provenienza. Chinandosi al suolo, non pensa ad altro che alla terra; non guarda più il Cielo, la sua felicità non è più lì. L’uomo avaro non fa del bene fino alla morte. Guardate con che avidità raduna ricchezze, con quanta ansia le mantiene, quanto è afflitto se le perde… In mezzo alle ricchezze, non ne gode; è come se fosse immerso in un fiume e tuttavia morisse di sete; sdraiato su un letto di grano, muore di fame; ha tutto, figli miei, e non osa toccare nulla; il suo oro è per lui sacro, lo rende la sua divinità, lo adora…”

Anche la Scrittura è piena di avvertimenti. Dall’Antico Testamento:

“L’occhio dell’avaro non si accontenta di una parte, l’insana cupidigia inaridisce l’anima sua” (Siracide 14, 9).

Allo stesso modo, il Nuovo Testamento avverte:

“E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni»” (Luca 12, 15).

Infine, è sempre bene ricordare ai buonisti di oggi che Gesù cacciò i mercanti dal tempio con la verga contro un sistema economico, politico e religioso economicista, che non può piacere a Dio. Così, profondamente adirato il Signore gridò: «La Scrittura dice: la mia casa sarà chiamata casa di preghiera, ma voi ne fate una spelonca di ladri». Ebbene, noi dovremmo tremare, di fronte a tanta giusta severità. Eppure Mammona o il Vitello d’Oro, nella nostra società sembrano divenuti i fini di molti, certamente di cinici speculatori, come Soros, i Rothscild, Bill Gates. Invidiare la loro ricchezza è il primo passo verso l’abisso.

Lasceranno, comunque, tutto in questo mondo e dovranno rispondere nell’Altro se: “ Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede” ( 2 Timoteo, 4:7)  

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Cfr: Licio Gelli, Vita, Misteri, scandali del capo della Loggia P2. di Mario Guarino e Fedora Raugei – prefazione di Paolo Bolognesi (Ed. Dedalo, 2016, eu. 21,00)

Cfr.: IOR, Luci e ombre della Banca Vaticana dagli inizi a Marcinkus di Francesco Anfossi (Ed. Ares, 2023, eu. 16,80)