DSA: IL DIRITTO DI PAROLA “CONCESSO” DALLA UE

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di Andrea Caldart

La conquista della libertà di parola e di pensiero critico sono la base fondante per uno Stato democratico, ma oggi questa conquista è in grave pericolo.

️ Il 17 febbraio scorso è entrato definitamente in funzione il DSA Digital Service ACT, il quale dietro la giustificazione della guerra ai Big Digital made USA, nasconde la sua vera essenza, ovvero il controllo sul dissenso pubblico e libero, soprattutto nell’online.

️ La UE con il DSA ha l’obiettivo di silenziare quel “complottismo” che scorre nelle venature di chi non si allinea alla forma mentis transumanista voluta da quei filantropi di Davos, imponendo invece un diritto di parola “concesso”.

️ Una disinfestazione del diritto di libero pensiero per diventare i padroni della parola contro quei giornalisti e giornali che con spirito critico, diventano antisistema con l’obiettivo di cancellarli.

️Frantumare il concetto di libero arbitrio per ridurre al silenzio o meglio nel silenzio imposto con la forza di legge, chi ad esempio non si adegua alle previsioni meteo degli ecogretini o peggio ancora, chi si batte per i propri diritti, vedi ad esempio i Queer, che lottano forse, contro chi li vorrebbe “purificare”.

️Dobbiamo difendere la libertà di parola perché debba essere assoluta, consentendo a ogni individuo di esprimere qualsiasi opinione senza restrizioni, perché la UE con il DSA, ritiene invece che ci debbano essere limiti a questa libertà, specialmente quando il legittimo dubbio, ad esempio, sulle proprietà “salvifiche” del “vaccini”, possa danneggiare la reputazione di Big Pharma.

Prepariamoci ad azioni che possono assumere varie forme, tra cui leggi restrittive sulla libertà di stampa, censura online, intimidazioni contro giornalisti e oppositori politici, nonché limitazioni ai diritti di associazione e di riunione.

Articolo integrale ⤵️

https://www.quotidianoweb.it/politica/dsa-il-diritto-di-parola-concesso-dalla-ue/

Ridateci il diritto di essere contro

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di Marcello Veneziani 

Fonte: Marcello Veneziani

Il diritto vale anche a rovescio; ossia tutela e garantisce anche chi dissente dal potere e diverge dall’opinione dominante. Ma da qualche tempo i diritti si vanno restringendo, le imposizioni crescono insieme al conformismo coatto. Prima con la pandemia, l’infinito strascico di restrizioni e obbligazioni, vaccini e green pass, sorveglianza e controllo; poi con la guerra in Ucraina e l’allineamento generale ai falchi della Nato e degli Stati Uniti. Ma ci sono anche altri precedenti e altre vicende collaterali che hanno spinto in quella direzione.
Ugo Mattei, giurista, ordinario di diritto civile, ha pubblicato un libro che già nel titolo contiene la sua tesi, Il diritto di essere contro (Piemme), dedicato al dissenso e alla resistenza nella società del controllo. Si comincia dai vaccini, dai controlli e dai pass, nel nome di una religione scientista, sanitaria e supponente, e si arriva a estenderli ad altri ambiti, fino a instaurare un bieco regime di sorveglianza.
Mattei è tra i firmatari del documento “Dupre” che esprime dubbi e preoccupazione sul regime sanitario e i suoi inquietanti sviluppi. Come lui sono firmatari anche l’oncologo e biologo Mariano Bizzarri e il filosofo Massimo Cacciari; il primo è autore di un recente, affilato pamphlet, Covid-19 un’epidemia da decodificare. Tra realtà e disinformazione (Byoblu edizioni), con un saggio di Cacciari che ne esalta il rigore scientifico e la libertà di giudizio. Per restare nella linea del dissenso è da segnalare un libro-dialogo tra Francesco Borgonovo e lo storico Luciano Canfora, che si occupa dell’altro versante scottante, La guerra in Europa, L’Occidente, la Russia e la Propaganda (Oaks editrice), offrendo una lettura divergente rispetto all’Informazione ufficiale e istituzionale.
A Mattei, Bizzarri, Cacciari, Canfora e Borgonovo, persone di diversa estrazione, non è negato il diritto di essere contro, i loro libri non saranno vietati. Neanche quelli di Alessandro Orsini e di Toni Capuozzo, di Giorgio Agamben e di Carlo Freccero (neanche i miei, se è per questo). Ma saranno ignorati, emarginati o disprezzati e derisi in coro dall’Intellettuale Collettivo. Chi è fuori dalla cappa o dalla cupola, costeggia ai bordi l’editoria, i social e magari si affaccia pure in tv; ma è fuori dal sistema che non ammette contraddittori al suo interno, ma solo ai margini, fuori. La linea divisoria tra insider e outsider è sempre più marcata, come un fossato.

E non si tratta di voci isolate, minoranze esigue in via d’estinzione; ma esprimono un pensiero, un sentire, un’opinione assai larga, forse perfino maggioritaria. Che emerge nei social, affiora nei sondaggi, si trasmette col passaparola. A volte attraversa anche categorie come i medici, i ricercatori, gli intellettuali, i diplomatici, i militari ma il timore di sanzioni, problemi alla carriera e gogna mediatica, li induce a confessare in privato opinioni, dubbi e preoccupazioni che in pubblico sono prudentemente nascoste o stemperate.
Con la scusa dell’emergenza ormai permanente, anche se mutano le sue ragioni, si instaura un regime. Mattei accusa Draghi e Mattarella, ma anche Monti e Napolitano, la magistratura compiacente, i piani scellerati di svendita pubblica e privatizzazione, il servilismo atlantista verso gli Stati Uniti, Big Pharma, i colossi della finanza e del capitalismo globale. Siamo entrati nell’era della Sottomissione, definizione fino a ieri riferita al fanatismo islamista (si pensi al libro omonimo di Michel Houellebecq). Secondo Mattei l’Italia è il luogo in cui l’Occidente sta sperimentando la sostituzione del diritto con l’antidiritto, una forma di controllo sociale sul tipo cinese o coreano, tramite ricatti, tracciamenti, algoritmi, censure. Stiamo arrivando tramite il neo-liberismo a una nuova forma di “dispotismo occidentale”.
Il limite dell’invettiva di Mattei è che da un verso non vede il ruolo parallelo e decisivo che ha avuto l’ideologia progressista e i suoi cascami, il politically correct, la cancel culture sulla distorsione della mentalità, la negazione della realtà e della varietà, i divieti e la fabbrica dell’intolleranza. E dall’altro si ostina a giudicare tutto questo come fascismo, contro cui auspica una nuova resistenza e un nuovo comitato di liberazione. Ora, dai residui ideologici che ne sono il sostrato, dagli interessi privati che si perseguono, dai modelli adottati (come quello cinese), tutto si può dire meno che sia un nuovo fascismo. E quando Mattei vede Draghi come il nuovo fascismo, asservito al capitalismo finanziario, all’atlantismo e all’apparato liberista, va del tutto fuori strada; il fascismo è agli antipodi. Sarebbe invece molto più proficuo interrogarsi sul perché il nuovo globalismo armato e sanitario, finanziario e tecnocratico, abbia trovato nei progressisti la loro guardia bianca, nei dem il loro partito-regime e i falchi nella salute, nella censura come nelle armi. Il regime si fonda sulla saldatura tra sinistra radical e capitalismo global, tra liberal e liberisti.
Il quadro che ne traccia è veritiero: in Occidente un oligopolio finanziario globale controlla i mass media, procede al gran reset, sfonda i confini tra il pubblico e il privato. E si accinge a imitare il modello cinese, abolendo il contante per sorvegliarci con la carta elettronica, inserendo la cittadinanza a punti, censurando il dissenso. Ma poi Mattei si lascia prendere la mano e confessa di preferire “un partito unico funzionale” come quello cinese, a “un finto pluralismo di pagliacci, nani e ballerine”. Allora si, che “il diritto di essere contro” verrebbe del tutto sradicato…

Se l’alternativa di governo è ridotta a dissenso

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di Marcello Veneziani

Tutti presi dal covid, dai vaccini e dal green pass, abbiamo perso di vista l’orizzonte e non siamo più in grado di vedere oltre la prossimità e le misure che si minacciano. Che vuol dire perdere l’orizzonte? Che non siamo più in grado di distinguere strategie sul futuro, alternative sul piano economico, sociale, politico, culturale, posizioni lungimiranti. Un tempo, che non era poi la preistoria, avevamo semmai il problema opposto: una proiezione eccessiva nei sistemi futuri, negli scenari della storia ventura.

Ma senza andare lontano, due anni fa, cioè prima del covid, si distinguevano all’orizzonte due differenti risposte politiche: quella che veniva a torto o ragione chiamata nazional-sovranista e quella internazional-globalista, ed esistevano due differenti proposte di governo dell’economia e della politica che si fronteggiavano: una che potremmo definire progressista e l’altra che a partire da Trump per arrivare ad alcuni governi europei, proponeva soluzioni differenti per fronteggiare il mercato e la concorrenza globale, una diversa linea in politica estera, e un diverso modo di affrontare l’immigrazione planetaria e i temi dei diritti civili, famigliari, nazionali, perfino religiosi. Oggi, esautorato Trump e tramontata la scalata dell’Europa, non c’è più una contesa tra chi propone un modello economico imperniato sul libero mercato globale e chi pone alternative di economia sociale di mercato o di protezione delle economie nazionali, a forte rischio di sopravvivenza per la concorrenza globale.

C’è invece un Solo Modello Imperante, con alcune variazioni nei sottosistemi interni e poi c’è l’area magmatica del dissenso. Regime o dissenso, sistema globale omologato o dissenso, mainstream o dissenso.

È come se ci fosse un Unico Regime Planetario, un enorme serpentone, e poi al suo interno svariate sacche di dissenso, ma niente che somigli a un’organica, articolata risposta alternativa o antagonista. Si può ancora compiutamente parlare di democrazia e di libertà se è consentito, a volte a malapena, comunque di malavoglia, solo il margine del dissenso, ma non è ammessa la sfida ad armi pari e a parità di riconoscimenti tra almeno due proposte sociali, economiche, politiche e perfino sanitarie diverse? Nel caso italiano siamo caduti perfino dignitosamente nel Sistema Unico Integrato, con la guida di Draghi, perché avevamo di peggio al governo. Lui, perlomeno, fa parte dell’eurocrazia, non rientra nel personale inserviente.

In questa luce, appare fuori dal mondo e dal tempo, rimettere in discussione il nuovo capitalismo che controlla non solo il privato ma anche il pubblico, in un perverso intreccio di capitalismo e statalismo, liberismo economico e regime della sorveglianza.

Non c’è più competizione tra differenti proposte di governo, perché ogni volta che si propone un’alternativa viene subito declassata, demolita e demonizzata come anomalia, dispotismo, mezzo fascismo. Prendete il caso dell’Ungheria e della Polonia: è curioso pensare che la loro linea è esattamente quella che gran parte dell’Europa abbracciava fino a pochi anni fa, la linea non dei conservatori o dei nazionalisti ma semplicemente dei popolari d’ispirazione democristiana di qualche tempo fa. Oggi invece sono sanzionati e deplorati come stati canaglia perché difendono le famiglie, i minori, le tradizioni nazionali e religiose, gli usi e costumi tramandati, le economie locali, i margini di sovranità degli stati nazionali.

Torniamo dunque alla situazione che descrivevamo: da una parte c’è il regime sovranazionale, dall’altra ci sono le sacche di dissenso. Sacche locali, nazionali, tematiche. È sparita la dialettica politica tra maggioranza e opposizione, anche perché in molti casi la maggioranza coincide col dissenso e la minoranza coincide col governo e con la cupola detta più neutralmente establishment.

L’antagonista politico, sociale, economico è ridotto a dissidente, no-qualcosa, se non addirittura bollato come negazionista. Ma non solo: il dato allarmante della situazione è che c’è una disarticolazione del dissenso, una disaggregazione per nuclei tematici. Pensateci: oggi c’è il dissenso per così dire sanitario-libertario, che riguarda i green pass, i vincoli, le limitazioni, le restrizioni all’orizzonte. C’è poi il dissenso politico, che contesta le imposizioni, le sanzioni e le censure del Politically Correct in tutti i suoi aspetti, dai temi storici fino alle questioni inerenti la sfera sessuale e privata. E ancora: c’è il dissenso verso la governance globale dell’economia, della tecnica e della finanza, o se preferite lo strapotere delle grandi centrali di potere sovranazionale, che commissariano i poteri locali e settoriali di tutto il mondo. C’è il dissenso sociale verso la libera circolazione dei migranti, l’accoglienza e il sostegno a coloro che vengono da noi per ragioni economiche.

Queste aree di dissenso sono a volte coincidenti, a volte non sono componibili, ma vengono via via disarticolate, ridotte in compartimenti stagni. Anzi, la mia impressione è che il dibattito intorno al green pass stia diventando un modo per concentrare l’opinione pubblica sulla questione sanitaria, tralasciando il resto; per esempio che società stiamo disegnando, anche con i fondi per il rilancio dopo il covid. I partiti d’opposizione e gli interpreti del dissenso, rischiano di infognarsi su quei temi, col rischio aggiuntivo di perdere consensi per la loro posizione “mediana” tra gli apocalittici e gli integrati. E di perdere il polso della situazione generale. In questo senso dicevo che stiamo perdendo di vista l’orizzonte e siamo piegati su tematiche ineffabili, irrisolvibili o di matrice sanitaria. Ora che si avvicina il vero capodanno della società, la ripresa dopo la pausa estiva, è tempo di riprendere l’esercizio lungimirante di guardare l’intero e l’orizzonte e non solo la parte e l’immediato.

MV, La Verità (17 agosto 2021)

 http://www.marcelloveneziani.com/articoli/se-lalternativa-di-governo-e-ridotta-a-dissenso/