La CIA e il “cavallo di Troia” ucraino

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di Antonio Landini

Fonte: cese-m.eu

Dal 1948 al 1990 la CIA si è avvalsa di figure di spicco dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini, accusata di aver collaborato con il Terzo Reich durante la Seconda guerra mondiale, per cercare di destabilizzare l’Ucraina e mettere in crisi l’Unione Sovietica. Un’operazione segretissima, denominata Aerodynamic, che può aiutare a comprendere gli avvenimenti dei nostri giorni.

In un passaggio chiave del lungo discorso alla nazione del 24 febbraio 2022, data in cui ha avuto inizio la cosiddetta “Operazione Speciale” in Ucraina, Vladimir Putin ha affermato: «I principali Paesi della NATO, al fine di raggiungere i propri obiettivi, sostengono in tutto i nazionalisti estremisti e neonazisti in Ucraina». Il presidente russo ha, quindi, sottolineato che il fine dell’operazione militare «è proteggere le persone che sono state oggetto di bullismo e genocidio da parte del regime di Kiev per otto anni. E per questo ci adopereremo per la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina». In sostanza, il Cremlino ha accusato l’Occidente, e in primis gli Stati Uniti, di aver agito con il preciso intento di destabilizzare l’Ucraina, appoggiando e finanziando movimenti ultranazionalistici e, allo stesso tempo, di favorire la formazione di un governo filoccidentale. In pratica, un colpo di Stato. È chiaro il riferimento alle proteste di Euromaidan che nel febbraio del 2014 hanno provocato la caduta del governo, democraticamente eletto, del Presidente Viktor Janukovyč. Ma è davvero così?

I fantasmi di Euromaidan

Oggi, in relazione ai tragici avvenimenti di Maidan, sappiamo che le manifestazioni di protesta, nate in maniera spontanea (come reazione alla decisione di Janukovyč di rimandare la firma dell’accordo di associazione dell’Ucraina all’Unione europea) sul finire di novembre del 2013, videro la partecipazione iniziale di vari movimenti politici liberali prima di essere monopolizzate e radicalizzate da forze di estrema destra ultranazionalistiche come Pravyj Sektor (Settore Destro) – alleanza di diversi gruppi nazionalisti ucraini e dell’Assemblea Nazionale Ucraina-Auto Difesa Nazionale Ucraina (UNA-UNSO) formatisi proprio all’inizio delle proteste – e Svoboda (Unione Pan-Ucraina “Libertà”), partito fondato nell’ottobre del 1991 con il nome di Partito Social-Nazionalista di Ucraina su posizioni di stampo neonazista (il nome fu cambiato in Svoboda nel febbraio 2004). In un articolo apparso sulla rivista progressista “Salon” dal titolo Ci sono davvero neonazisti che combattono per l’Ucraina? Beh, sì ma è una lunga storia, a firma Medea Benjamin e Nicolas Davies, gli eventi sono stati sintetizzati in questo modo: «Il partito neonazista ucraino Svoboda e i suoi fondatori, Oleh Tyahnybok e Andriy Parubiy, hanno giocato ruoli di primo piano nel colpo di Stato sostenuto dagli Stati Uniti nel febbraio 2014. L’assistente segretario di Stato Victoria Nuland e l’ambasciatore americano Geoffrey Pyatt hanno menzionato Tyahnybok come uno dei leader con cui stavano lavorando nella loro famigerata telefonata trapelata prima del colpo di Stato, anche se hanno cercato di escluderlo da una posizione ufficiale nel governo post-golpe». E poco dopo: «Mentre le proteste precedentemente pacifiche a Kiev lasciavano il posto a scontri con la polizia e a violente marce armate… i membri di Svoboda e la nuova milizia di Settore Destro, guidata da Dmytro Yarosh, combattevano contro la polizia, guidavano le marce e razziavano un’armeria…». In sostanza, verso la metà di febbraio, i militanti di queste formazioni erano diventati i veri leader delle proteste. C’è da chiedersi pertanto che tipo di transizione politica ci sarebbe stata in Ucraina se avessero prevalso le proteste pacifiche e, soprattutto, quanto differente sarebbe stato il governo se questo processo non violento avesse potuto fare il suo corso senza le interferenze degli Stati Uniti e la posizione radicale della destra ultranazionalista ucraina. E invece è stato proprio il fondatore di Settore Destro (Yarosh), dopo aver rigettato l’accordo del 21 febbraio, che era stato negoziato dai ministri degli esteri francese, tedesco e polacco con Yanukovych, e prevedeva lo scioglimento del governo e la possibilità di indire nuove elezioni entro l’anno, a rifiutarsi di abbandonare la piazza e abbassare le armi. Al contrario, si è messo alla testa della marcia contro il Parlamento che è finita in un bagno di sangue quando cecchini, appostati sui palazzi circostanti, hanno aperto il fuoco (i morti sono stati oltre cento tra i manifestanti e la polizia). Evento che ha fatto precipitare la situazione e provocato il rovesciamento del governo.

Ucraina, un obiettivo sensibile

La ricostruzione degli eventi fatta da Benjamin e Davies si basa su dati oggettivi e riscontri reali come la famosa telefonata tra Victoria Nuland, Assistente del Segretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici, e l’ambasciatore americano in Ucraina Geoffrey Pyatt (fu intercettata dai servizi segreti russi e poi divulgata tramite il canale Youtube), che gli stessi interessati non hanno mai smentito; ma siamo ben lungi dall’aver un quadro completo degli eventi. Molti altri aspetti restano oscuri o di difficile interpretazione. Basti pensare alla difficoltà di appurare chi fossero i tiratori scelti che hanno aperto il fuoco. In assenza di una inchiesta governativa capace di fare luce sulla vicenda, il governo ucraino post-Janukovyč si è limitato ad accusare la polizia dell’ex presidente, sebbene quest’ultimo abbia sempre affermato di non aver mai dato l’ordine di sparare sui manifestanti. Che la cosa sia più complessa lo si comprende da diverse inchieste giornalistiche da cui emergerebbe come entrambi gli schieramenti avessero a disposizione fucili di precisione e molte immagini li immortalano mentre prendono la mira e fanno fuoco. Le conseguenze di quel drammatico cambio di regime provocarono, nei mesi successivi, forti tensioni tra la maggioranza ucraina e la popolazione russofona (concentrata perlopiù nel sud-est del paese), seguite dall’inizio della crisi in Donbass (e la decisione del Consiglio di Stato della Repubblica di Crimea di indire un referendum che ha sancito l’annessione alla Russia). Crisi che si è trascinata drammaticamente fino ai nostri giorni nel modo che tutti noi conosciamo. Al momento, quantificare la reale portata storica delle interferenze statunitensi sui fatti di Maidan e l’appoggio fornito da questi alle forze ultranazionalistiche ucraine non è possibile. Sarà necessario attendere a lungo (sempre che ciò avvenga) prima di poter consultare documenti ufficiali in grado di fare luce sugli eventi. È fuori di dubbio, tuttavia, che storici e analisti avevano già sottolineato la complessità del “caso ucraino” e che le prospettive future non erano per nulla rosee. Nel suo celebre Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Samuel Huntington, uno dei massimi esperti di politica estera americani, ha scritto nel 1996: «L’Ucraina… è un Paese diviso, patria di due distinte culture. La linea di faglia tra civiltà occidentale e civiltà ortodossa attraversa infatti il cuore del Paese, e così è stato per secoli. In passato, l’Ucraina ha fatto parte ora della Polonia, ora della Lituania, ora dell’Impero austro-ungarico. Un’ampia parte della sua popolazione aderisce alla Chiesa uniate, che segue il rito ortodosso ma riconosce l’autorità del Papa». Sul piano storico, afferma Huntington, gli ucraini occidentali hanno sempre parlato ucraino ed esibito un atteggiamento fortemente nazionalista, mentre la popolazione della parte orientale del Paese è in netta prevalenza di credo ortodosso e parla russo. Agli inizi degli anni Novanta, i russi ammontavano a circa il 22 per cento e i madrelingua russi al 31 per cento dell’intera popolazione. Nel 1993 nella maggioranza delle scuole primarie e secondarie le lezioni erano tenute in lingua russa. Un caso a parte è la Crimea. La sua popolazione era costituita per la maggioranza da russi, avendo fatto parte della Federazione russa fino al 1954, quando Chruščëv la concesse all’Ucraina. Le differenze tra queste due “anime” del Paese si manifestano negli atteggiamenti delle rispettive popolazioni: alla fine del 1992 un terzo dei residenti in Ucraina occidentale, a fronte del dieci per cento di quelli che abitavano nella capitale, mostravano sentimenti antirussi. Che l’Ucraina fosse un Paese diviso, e per tale ragione facilmente destabilizzabile, lo si comprende leggendo un documento della CIA, datato 1966, oggi reso pubblico: «Il processo di russificazione ha raggiunto in Ucraina orientale, soprattutto nelle città, un livello superiore a quello ottenuto da Mosca in ogni altro territorio dell’Urss, ma i sentimenti sciovinisti sono ancora molto forti nella campagne e nelle regioni occidentali lontane dai confini sovietici… Nel caso di una disintegrazione del controllo centrale sovietico, il nazionalismo ucraino potrebbe riaffiorare alla superficie e costruire un punto di riferimento per la nascita di un movimento organizzato di resistenza anti-comunista». Un’analisi precisa che, per quanto sia stata elaborata alla metà degli anni Sessanta, dimostra tutta la sua attualità alla luce di quanto avvenuto recentemente. E che i servizi segreti americani fossero sempre interessati a sondare il campo lo si percepisce da un altro documento – questa volta elaborato nel 2008 e poi pubblicato su Wikileaks – da cui emerge come «gli esperti sostengono che la Russia è preoccupata per le forti divisioni che esistono in Ucraina riguardo all’eventualità di entrare a far parte della NATO, a causa della nutrita componente etnica russa che è contraria all’adesione e che potrebbe portare a forti opposizioni, violenze o nel peggiore dei casi, alla guerra civile». Dal file si evince che gli americani sono consci che per la Russia la “questione ucraina” è un problema sensibile, che li potrebbe costringere a un intervento (militare?). Decisione che, tuttavia, non sono per nulla intenzionati a prendere. Questi due documenti dimostrano che la CIA ha monitorato gli eventi nel Paese, consapevole che avrebbero potuto essere uno strumento – una sorta di cavallo di Troia – con cui indebolire e destabilizzare l’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda, prima, e la Russia di Putin, poi. Non può essere una mera coincidenza il fatto che quel “nazionalismo ucraino”, paventato nel documento del 1966, si sia puntualmente materializzato nel 2014 con le conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti. Ma c’è di più.

Al soldo di Washington

La vasta mole di documenti resi pubblici dal governo americano grazie al Nazi War Crimes Disclosure Act del 1998 ha permesso di appurare come l’amministrazione a “Stelle e Strisce” abbia permesso ai suoi servizi segreti (prima il CIC e poi la CIA) di appoggiare e finanziare organizzazioni ultranazionalistiche e filonaziste ucraine in chiave antisovietica per l’intero corso della Guerra Fredda, ed esattamente dal 1948 fino agli inizi degli anni Novanta. Di che cosa stiamo parlando? E, in particolare, quali figure e organizzazioni furono cooptate? Vale la pena approfondire la questione perché di strettissima attualità. Dall’esame della documentazione resa pubblica emerge il ruolo dell’OUN-B, l’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini di Stepan Bandera, che durante la Seconda guerra mondiale aveva collaborato con i nazisti (non va dimenticato che nei giorni di Euromaidan i manifestanti di Svoboda marciavano proprio sotto il vessillo dell’OUN-B). Cosa sappiamo di questa organizzazione? L’OUN fu fondata nel 1929 da ucraini occidentali della Galizia orientale che chiedevano una nazione indipendente ed etnicamente omogenea. Il nemico giurato era la Polonia che in quel periodo controllava la Galizia orientale e la Volhynia. Nel 1934 l’OUN si rese protagonista dell’assassinio del ministro degli interni polacco Bronislaw Pieracki. Tra coloro che vennero arrestati e condannati per l’omicidio figuravano Bandera e Mykola Lebed, figura che ci interessa direttamente per i rapporti che ha avuto con la CIA nel dopoguerra. Il tribunale li condannò a morte, ma la sentenza fu poi tramutata in prigione a vita. Non passarono molto tempo dietro le sbarre: Bandera fu liberato nel 1938 (Lebed riuscì a fuggire l’anno successivo), dopodiché entrò in trattativa con il Terzo Reich che gli garantì fondi e permise a ottocento dei suoi uomini di essere addestrati alla guerriglia. Poi nel 1940 l’organizzazione si scisse in due: da una parte l’OUN-M (il cui leader era Andriy Atanasovych Melnyk), collocato su posizioni più moderate, e dall’altra la ben più radicale OUN-B di Bandera. Quando nel giugno del 1941 ebbe inizio l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, le forze dell’OUN-B ammontavano a circa settemila uomini, organizzati in “gruppi mobili” che si coordinavano con le truppe tedesche. Quindi, il colpo di scena. Il 5 luglio, le autorità, temendo che Bandera e l’OUN avessero intenzione di autoproclamare un’Ucraina indipendente per mezzo di una rivolta armata, lo arrestarono e lo condussero a Berlino (dopo una serie di interrogatori fu rilasciato ma obbligato a rimanere nella capitale tedesca). Sarà riarrestato nel gennaio del 1942 e condotto nel campo di concentramento di Sachsenhausen come prigioniero politico, godendo comunque di uno status speciale. In Germania il leader di OUN-B continuò a gestire il movimento. Lo dimostra il fatto che i suoi uomini continuarono a operare grazie all’appoggio di Berlino. Nel 1943 l’OUN-B prenderà parte alla campagna di sterminio di ebrei e polacchi. In questa fase fu proprio Lebed, comandante della Sluzhba Bespeki (l’organizzazione di polizia segreta della OUN-B), a gestire il programma di pulizia etnica. Con la fine della guerra, i leader dell’organizzazione finirono in vari campi per sfollati dell’Europa orientale e della Germania. Le loro vite presero strade diverse. Bandera, secondo quanto emerso dai documenti resi pubblici, nel 1948 fu reclutato dal servizio segreto inglese (MI6) per addestrare agenti che operassero in territorio sovietico per missioni di sabotaggio e assassinio. Nel 1956 Bandera fu quindi cooptato dall’Organizzazione Gehlen, una struttura segreta, nata nell’aprile del 1946 quando gli americani avevano dato il via all’Operazione Rusty, nome in codice dietro cui si celava la scelta di riattivare i vertici dell’FHO (Fremde Heere Ost), ovvero i servizi segreti militari del defunto esercito nazista sul fronte orientale, a cui era stato delegato (a partire dal 1942) l’attività di spionaggio contro l’Unione Sovietica. Con una sola differenza, ora questi ufficiali sarebbero stati sul libro paga degli Stati Uniti. Un progetto segretissimo (e rimasto tale almeno fino ai primi anni Cinquanta), attivo dal 1946 al 1956, prima che l’Organizzazione Gehlen si trasformasse nel Bundesnachrichtendienst (BND), l’agenzia di intelligence esterna della Repubblica federale tedesca. Ma questa è un’altra storia. Bandera, che in un rapporto dell’MI6 veniva definito come un «professionista con background terroristico e nozioni spietate sulle regole del gioco», sarà assassinato nel 1959 dal KGB nella Germania Ovest.

Operazione Aerodynamic

La “carriera” di Mykola Lebed avrà invece uno sviluppo sorprendente proprio per le relazioni con i servizi di intelligence statunitense. Sul suo conto la documentazione desegretata è voluminosa. Nel 1947, un rapporto stilato dal CIC (servizio segreto militare) definiva il soggetto un «collaboratore dei tedeschi». Eppure, ciò non impedì che finisse sul libro paga di Washington. Ciò avvenne nel 1948 quando, con l’inasprirsi della crisi con l’Unione Sovietica, la CIA decise che l’Esercito insurrezionale ucraino (UPA) di Lebed avrebbe potuto servire per operazioni di resistenza e intelligence dietro le linee sovietiche. La Central Intelligence Agency si occupò di tutto, fornendo denaro, armi e rifornimenti. Come ebbe modo di sottolineare Lebed più tardi: «Le… operazioni di lancio furono la prima vera indicazione… che l’intelligence americana era disposta a dare un sostegno attivo per stabilire linee di comunicazione in Ucraina». La sua carriera era a una svolta. L’operazione assunse fin da subito un ritmo significativo sotto il nome in codice di Cartel, presto mutato in Aerodynamic. Lebed fu fortunato in quanto la CIA decise di trasferirlo a New York dove acquisì lo status di residente permanente e di lì a poco la cittadinanza. Ciò gli permise di evitare possibili vendette e di prendere contatto con gli emigrati ucraini negli Stati Uniti. Quando era necessario si spostava in Europa per coordinare le operazioni sul campo. In America Lebed divenne il principale referente della CIA per Aerodynamic. Nei rapporti del tempo, come rimarcato dai ricercatori Richard Breitman e Norman Goda, autori di Hitler’s Shadow, Nazi War Criminals, U.S. Intelligence, and the Cold War, il soggetto viene definito «astuto» e «un operatore molto spietato». A quanto pare, non era molto popolare tra gli ucraini negli Stati Uniti per la brutalità mostrata durante la guerra, ma l’intelligence americana gradiva la sua efficienza. Allen Dulles, il futuro direttore della CIA dal 1953 al 1961, sottolineò come il soggetto fosse «di valore inestimabile». Aerodynamic prevedeva l’infiltrazione e l’esfiltrazione dall’Ucraina di agenti addestrati dagli americani. Secondo Breitman e Goda, le operazioni del 1950 rivelarono «un movimento clandestino ben stabilito e sicuro» in Ucraina che era anche «più grande e più pienamente sviluppato di quanto i rapporti precedenti avessero indicato». Washington era soddisfatta dell’alto livello di addestramento dell’UPA e del suo potenziale per azioni di guerriglia. Di fronte a questi risultati, la CIA decise di potenziare ulteriormente le attività dell’UPA al fine di sfruttare il movimento clandestino a fini di resistenza e di intelligence. Nei documenti veniamo a sapere che in caso di guerra l’UPA avrebbe potuto arruolare sotto le sue fila qualcosa come centomila combattenti. Ma i rischi della missione erano elevati. I sovietici fecero di tutto per mettere fine alla loro attività e, tra il 1949 e il 1953, un gran numero di militanti fu ucciso e catturato. Entro il 1954 l’organizzazione era stata fortemente indebolita.

La CIA fu costretta a interrompere la fase più aggressiva di Aerodynamic, ma non cancellò l’operazione. Fu riadattata. A partire dal 1953, Lebed e un gruppo di collaboratori iniziò a operare per realizzare giornali, programmi radio e libri che si ispiravano al nazionalismo ucraino. L’obiettivo era distribuirli di nascosto nel Paese. Poi nel 1956 questo gruppo di lavoro divenne un’associazione no-profit chiamata Prolog Research and Publishing, stratagemma che permetteva alla CIA di far giungere finanziamenti senza lasciare traccia. In un secondo tempo, per evitare che le autorità potessero scoprire cosa si celava dietro il progetto, l’Agenzia trasformò l’associazione nella Prolog Research Corporation, che aveva un ufficio anche in Germania chiamato Ukrainische-Gesellschaft für Auslandsstudien, EV. Sarà proprio questo a pubblicare la maggior parte della documentazione. Lo schema usato da Prolog era semplice: gli autori di origine ucraina, che avevano lasciato il Paese, venivano reclutati per realizzare i lavori senza sapere che stavano lavorando per l’intelligence statunitense. Solo un ristretto numero ne era al corrente. Ma come veniva fatto entrare in Ucraina il materiale? Nel 1955 un gran numero di volantini furono lanciati per via aerea, mentre una trasmissione radio chiamata Nova Ukraina andava in onda da Atene. Come ben spiegato da Breitman e Goda «queste attività diedero il via a campagne sistematiche di mailing in Ucraina attraverso contatti ucraini in Polonia ed… emigrati in Argentina, Australia, Canada, Spagna, Svezia e altrove. Il giornale Suchasna Ukrainia (Ucraina Oggi), bollettini informativi, una rivista in lingua ucraina per intellettuali chiamata Suchasnist (Il Presente), e altre pubblicazioni furono inviate a biblioteche, istituzioni culturali, uffici amministrativi e privati in Ucraina. Queste attività incoraggiarono il nazionalismo ucraino, rafforzarono la resistenza ucraina e fornirono un’alternativa ai media sovietici. Solo nel 1957, con il supporto della CIA, Prolog trasmise 1200 programmi radio per un totale di 70 ore al mese e distribuì 200mila giornali e 5mila opuscoli». Una campagna massiccia il cui fine, come sottolineato da un funzionario della CIA, era dettata dal fatto che «una qualche forma di sentimento nazionalista continua a esistere [in Ucraina] e c’è l’obbligo di sostenerlo come arma della Guerra Fredda». Prolog non disdegnava la raccolta di informazioni, cosa che fu facilitata dal fatto che, sul finire degli anni Cinquanta, i sovietici allettarono le restrizioni sugli spostamenti all’estero. Ogni occasione – conferenze universitarie, eventi culturali e sportivi (le Olimpiadi di Roma ad esempio) – servivano per avvicinare personalità ucraine residenti in Unione Sovietica e sondare i sentimenti della popolazione nei confronti dei russi. Ecco perché la CIA era così entusiasta di Aerodynamic. Nel corso degli anni Sessanta, Lebed e compagni fornirono un gran numero di rapporti sulla situazione politica in Ucraina, informazioni sensibili sulle attività del KGB e la dislocazione delle forze armate. Il fatto che Mosca reagisse bollando questi gruppi clandestini – erano definiti “Banderisti” – come nazisti al soldo degli americani fu interpretato dalla CIA come una prova dell’efficacia del progetto. Non stupisce che le nuove generazioni nel Paese siano state influenzate dall’attività di Prolog (alcuni viaggiatori occidentali riferirono di aver potuto consultare il materiale pubblicato in diverse case private). Lebed lavorò al progetto fino al 1975 quando andò in pensione, continuando però a fornire consulenza. Nel 1978 a capo della struttura fu nominato il giornalista ucraino Roman Kupchinsky. Nel corso degli anni Ottanta l’Operazione Aerodynamic cambiò nome in Qrdynamic, Pddynamic e poi Qrplumb. Va fatto notare che nel 1977 si interessò del progetto anche Zbigniew Brzezinski, il potente consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter, tenendo conto del fatto che i risultati ottenuti erano significativi e raggiungevano un vasto pubblico in Ucraina. La conseguenza fu che le operazioni furono estese ad altre aree e nazionalità dell’URSS (gli ebrei sovietici ad esempio). In base a quanto è stato possibile appurare, agli inizi degli anni Novanta, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, Qrplumb non fu più finanziata, ma fu lasciata libera di operare. Difficile sapere come si sia mossa. I documenti non lo specificano.

L’ultimo atto

Nel 1985 Lebed venne menzionato da un rapporto governativo che indagava sulla presenza di nazisti e fiancheggiatori stabilitisi negli Stati Uniti grazie all’appoggio dei servizi segreti. In breve tempo l’OSI, l’Office of Special Investigations del Dipartimento di Giustizia, iniziò a indagare sul suo conto. Ancora una volta la CIA intervenne, temendo lo scandalo che ne sarebbe potuto derivare tra i membri della comunità ucraina negli Usa. Ma il grande timore era che l’Operazione Qrplumb potesse subire un contraccolpo. L’Agenzia negò categoricamente che Lebed avesse avuto a che fare con i nazisti e i crimini commessi in tempo di guerra, sostenendo che era stato un vero combattete ucraino per la libertà. Ma non è tutto. Fino al 1991 i funzionari della CIA fecero in modo di dissuadere l’Office of Special Investigations dal richiedere ai governi sovietico, polacco, tedesco informazioni sul suo conto. Alla fine, i funzionari del Dipartimento di Giustizia dovettero gettare la spugna. Lebed ebbe tutto il tempo di godersi la vecchiaia fino alla morte, sopraggiunta nel 1998.

I BRICS lanciano la sfida: il piano per de-dollarizzare il mondo

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di Lepoldo Gasbarro

I BRICS alzano la voce e fanno capire al mondo che la loro forza, alimentata da una crescita straordinaria dei numeri demografici, in questo momento è l’unica in grado di poter cambiare il mondo. Staremo a vedere, ma intanto i leader dei Paesi (escluso Putin collegato in remoto) posano in una sorta di foto di famiglia e si abbracciano l’uno a l’altro. Putin, come detto, è intervenuto al vertice da remoto e ha sottolineato nel discorso in lingua russa che la de-dollarizzazione sta “guadagnando slancio”.

Secondo lui, la perdita di centralità globale del dollaro è un processo “oggettivo e irreversibile”. Il leader russo ha affermato che i cinque membri del BRICS – RussiaCinaIndiaBrasile e Sudafrica – stanno diventando i nuovi leader economici mondiali, aggiungendo che la loro quota cumulativa del PIL globale ha raggiunto il 26%. Ha osservato che, se misurati in base alla parità di potere d’acquisto, i BRICS hanno già superato il Gruppo delle Sette principali nazioni industrializzate – rappresentando il 31% dell’economia globale, rispetto al 30% del G7 .

Negli ultimi 10 anni, gli investimenti reciproci tra gli Stati membri del BRICS sono aumentati di sei volte. I loro investimenti totali nell’economia mondiale sono raddoppiati, mentre le esportazioni cumulative rappresentano il 20% del totale globale.

Putin ha anche criticato le “sanzioni illegittime” che “pesano gravemente sulla situazione economica internazionale” da parte degli Stati Uniti e dell’Occidente, oltre al “congelamento illegale dei beni degli stati sovrani”. Il messaggio dello Zar sarà sicuramente accolto positivamente da molti aspiranti candidati ai paesi Brics. “Stiamo costantemente aumentando le forniture di carburante, cibo e fertilizzanti agli stati del Sud del mondo”, ha aggiunto, imputando anche la carenza alimentare internazionale alle sanzioni “illegali” dell’Occidente.

Il presidente cinese Xi Jinping è arrivato in Sud Africa accolto dal presidente Cyril Ramaphosa, che ospita il vertice di Pretoria.

È il secondo viaggio all’estero del leader cinese quest’anno, dopo che a marzo aveva incontrato a Mosca Vladimir Putin . Putin sarà assente all’incontro dei BRICS dopo che il Sudafrica ha segnalato di essere sotto pressione per far rispettare lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale (CPI) che richiederebbe al governo di arrestare il leader russo.

La dichiarazione pre-vertice di Xi ha inoltre affermato che i membri dell’associazione sono diventati “una forza costruttiva che ottimizza la governance globale e promuove la democratizzazione delle relazioni internazionali “.

Illustrando il divario sulla missione e sulla portata più ampia dei BRICS, il FT scrive:

“Se espandiamo i Brics fino a rappresentare una quota del PIL mondiale simile a quella del G7, allora la nostra voce collettiva nel mondo diventerà più forte”, ha detto un funzionario cinese, che ha voluto restare anonimo.

Naledi Pandor, ministro degli Esteri del Sud Africa, ha detto questo mese che è “estremamente sbagliato” vedere una potenziale espansione dei Brics come una mossa anti-occidentale. Tuttavia, è probabile che le capitali occidentali considerino la possibile adesione di Iran, Bielorussia e Venezuela come una mossa per abbracciare gli alleati di Russia e Cina.

Ma alcuni paesi influenti come il Brasile del presidente di sinistra Luiz Inácio Lula da Silva probabilmente saranno dalla parte di Pechino, dato che Lula si è espresso a favore dell’ammissione di paesi vicini come Argentina e Venezuela – quest’ultimo nemico di lunga data di Washington. Alcuni leader vogliono anche l’ammissione dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, il che scatenerà il dibattito sulle condizioni e sui criteri per l’espansione. Attualmente l’Arabia Saudita è il paese più vicino a diventare il nuovo membro, dato che i colloqui sono in corso. Oltre 20 altri paesi hanno chiesto e fatto domanda per aderire.

Nonostante le voci secondo cui alcuni paesi, tra cui la Russia, stanno spingendo per la fine del dominio del dollaro, il FT ha citato fonti diplomatiche per sottolineare che una valuta comune non è all’ordine del giorno.

La Silicon Valley Bank è fallita, e non è un episodio accidentale

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di Andrea Zhok

La Silicon Valley Bank è fallita. Se si trattasse di un episodio accidentale di mala gestione potrebbe essere un fatto secondario.
Tuttavia, come segnalato da molti analisti, questo fallimento dipende in modo critico dall’inasprimento della linea monetaria promosso dalla FED per rispondere all’inflazione (esogena).
L’inflazione statunitense non è tanto dovuta all’aumento dei costi delle materie prime (come avviene in Europa), quanto ad un processo mondiale generale di vendita degli asset in dollari (ad una ridotta domanda di dollari corrisponde un minor valore della moneta, che si traduce in inflazione).
Questo processo ha evidenti motivazioni geopolitiche e rende esplicita la riconduzione dell’egemonia americana ai suoi limiti “naturali” post-1945: gli asset in dollari vengono ceduti da quei paesi che, sulla scorta della guerra in Ucraina, hanno percepito l’occasione di disfarsi della onerosa tutela americana.

Un passo estremamente importante nella stessa direzione si può vedere nella strategia di normalizzazione dei rapporti, promossa dalla mediazione cinese, tra Iran e Arabia Saudita (cioè tra il maggior governo sciita e il maggior governo sunnita). Il successo diplomatico esprime il nuovo ruolo della Cina rispetto al vasto mondo islamico.
Tutto lascia pensare che questo movimento sia semplicemente ai suoi inizi.
Ricordiamo che il ruolo del dollaro come valuta rifugio era finora anche la principale ragione tranquillizzante per gli USA rispetto alla traiettoria del loro debito pubblico. Gli USA hanno infatti raggiunto il loro massimo debitorio nella storia (125% del PIL) con un rapporto deficit/Pil che si attesta quasi al 16%. Finché il dollaro è una valuta rifugio, i titoli del tesoro americano hanno acquirenti garantiti, ma quanto meno si presenta tale ruolo dominante, tanto più è facile che gli acquisti di titoli si riducano.

Il problema all’orizzonte non è, naturalmente, un possibile “default” del debito americano, bensì un’operazione “restrittiva” sulle spese interne (data per certa) e operazioni di dismissione e liquidazione di asset esteri. In sostanza, arrivati a questo punto, per non smentire la propria politica tradizionale, gli USA potrebbero finire per alimentare una grande contrazione economica, che per le aree del mondo più legate agli USA si configura come una forte pressione recessiva.
Come abbiamo già visto nella crisi del 2008, gli scricchiolii dell’impero americano possono facilmente finire per scaricarsi senza mediazione sugli “alleati” (meglio sarebbe chiamarli “ammortizzatori”) europei.

Il Congresso USA sta introducendo, zitto zitto, il Dollaro Digitale?

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Lo scorso 28 luglio il deputato Don Breyer ha presentato un disegno di legge, che dovrebbe andare presto il discussione, per la regolamentazione delle valute virtuali e dei cryptoasset, denominata “Digital Asset Market Structure and Investor Protection Act” Questa proposta di legge però contiene una norma che emenda le attuali leggi in vigore e che rischi di mutare radicalmente il funzionamento del denaro negli USA.

Premettiamo che la FED non emette denaro fisico (banconote etc) a caso, né lo distrugge, se non con un’autorizzazione federale ed entro precisi limiti fissati dalla normativa che ne guida e dirige i poteri. Il deputato Breyer, nella sua proposta, viene ad introdurre il seguente emendamento riguardante i poteri della FED:

d) Supervisionare e regolamentare, tramite il Segretario del Tesoro, l’emissione e il ritiro delle banconote della Federal Reserve (sia fisiche che digitali), fatta eccezione per la cancellazione e la distruzione, e la contabilizzazione in relazione a tale cancellazione e distruzione, delle banconote non idonee alla circolazione , e per prescrivere norme e regolamenti (inclusa la tecnologia appropriata) in base ai quali tali banconote possono essere consegnate dal Segretario del Tesoro agli agenti della Federal Reserve che ne fanno richiesta”.

Fin qui tutto bene. Questa è la norma attuale che regolamenta l’emissione e la distruzione delle banconote. Ecco la proposta di integrazione Breyer:

“Sono autorizzate le banconote della Federal Reserve, da emettere a discrezione del Consiglio dei governatori del Federal Reserve System allo scopo di effettuare anticipi alle banche della Federal Reserve attraverso gli agenti della Federal Reserve come di seguito stabilito e per nessun altro scopo. Nonostante qualsiasi altra disposizione di legge, il Consiglio dei governatori del Federal Reserve System è autorizzato a emettere versioni digitali delle banconote della Federal Reserve oltre alle attuali banconote fisiche della Federal Reserve. Inoltre, il Consiglio dei governatori del Federal Reserve System, previa consultazione con il Segretario del Tesoro, è autorizzato a utilizzare la tecnologia Distributed Ledger (la blockchain ndr) per la creazione, la distribuzione e la registrazione di tutte le transazioni che coinvolgono banconote della Federal Reserve digitali. Le suddette banconote saranno obbligazioni degli Stati Uniti e saranno considerate a corso legale e saranno esigibili da tutte le banche nazionali e membri e dalle banche della Federal Reserve e per tutte le tasse, dogane e altri diritti pubblici. Saranno riscattati in moneta legale su richiesta presso il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, nella città di Washington, Distretto di Columbia, o presso qualsiasi banca della Federal Reserve”.

E così, in poche righe, si concede alla Federal Reserve il potere di emettere le cosiddette CBDC, Central bank Digital Currencies, le valute virtuali delle banche centrali equivalenti a quelle dei privati. Solo che, senza un’ulteiriore normativa, queste hanno delle caratteristiche ben poco desiderabili, come:

  • sono perfettamente tracciabili, per cui addio privacy;
  • sono programmabili, per la durata e per la modalità di spesa.

Quindi, se non si vuole fare la fine, nella migliore delle ipotesi, della Cina, con economia e consumi controllati centralmente, una normativa del genere deve essere per lo meno integrata da una di carattere garantista che preveda dei forti limiti sulle possibilità della FED di programmare e di tracciare il token in questione. Il futuro può essere pericolosamente illiberale.

Fonte: https://scenarieconomici.it/il-congresso-usa-sta-introducendo-zitto-zitto-il-dollaro-digitale/

 

Aiutarli a casa loro?

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Risultati immagini per stop immigrazioneSegnalazione del Blog di Maurizio Blondet

di Ilaria Bifarini

Dove sono finiti i miliardi di dollari degli aiuti all’Africa?

Ingenti prestiti da parte delle organizzazioni finanziari internazionali, consistenti sgravi del debito statale, fondi raccolti da iniziative private, che hanno mobilitato tutti, dai singoli cittadini occidentali attraverso forme organizzate di beneficenza alle star dello spettacolo, che si sono spese per i diritti dei più deboli attraverso concerti ed esibizioni.

Fiumi di miliardi di dollari che non sembrano aver intaccato per nulla il problema del sottosviluppo e della povertà endemica del Terzo Mondo. Anzi. E’ stato riscontrato che, dalla metà degli anni Novanta, circa 60 paesi in via di sviluppo siano diventati più poveri in termini di reddito pro-capite rispetto a 15 anni prima. Entro il 2030 i due terzi dei poveri di tutto il mondo proveranno dall’Africa.

L’Africa dunque è sempre più povera, ma di una povertà nuova rispetto a quella del passato coloniale. Il continente africano annovera infatti i paesi con i più alti livelli di disuguaglianza al mondo, in cui il divario tra una ristretta élite dedita al lusso e il resto della popolazione che vive in uno stato di miseria è abissale.

Dunque, cosa non ha funzionato? Dove sono finiti i fiumi di miliardi di dollari? Continua a leggere