L’eresia antiliturgica dai Giansenisti a Giovanni XXIII

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di don Francesco Ricossa

La Liturgia, considerata in generale, è l’insieme dei simboli, dei canti e degli atti per mezzo dei quali la Chiesa esprime e manifesta la sua religione verso Dio” (Dom Guéranger. Institutions Liturgiques). Questa definizione della Sacra Liturgia ci fa apprezzare l’importanza capitale del culto pubblico che la Chiesa rende a Dio. Nell’Antico Testamento Dio stesso si fa, per così dire, liturgista, precisando nei minimi particolari il culto che Gli dovevano rendere i fedeli (cfr. il Libro Levitico; e anche Pio XII, Mediator Dei, 12). Tanta importanza per un culto che non era che l’ombra (Ebrei, 10,1) di quello sublime del Nuovo Testamento che Gesù, Sommo Sacerdote, vuole continuato fino alla fine del mondo per mezzo della Sua Chiesa…!. Nella Divina Liturgia della Chiesa Cattolica tutto è grande, tutto è sublime, fin nei minimi particolari; è questa la verità che fece pronunciare a Santa Teresa d’Avila queste celebri parole: “Darei la mia vita per la più piccola delle cerimonie della Santa Chiesa”. Non si stupisca quindi il lettore dell’importanza che daremo in quest’articolo alle rubriche liturgiche e l’attenzione che presteremo alle “riforme” (che potrebbero essere giudicate minori) che hanno preceduto quelle del Concilio Vaticano II. Consci dell’importanza della Liturgia sono sempre stati, d’altro canto, i nemici della Chiesa: dobbiamo ricordare che da sempre la corruzione della Liturgia fu un veicolo, da parte degli eretici, per attentare alla Fede stessa? Lo fu con le antiche eresie cristologiche, e poi, via via, col luteranesimo e l’anglicanesimo nel XVI secolo, con le riforme illuministe e gianseniste nel XVIII secolo… per concludere con lo stesso Concilio Vaticano II che non a caso iniziò i suoi lavori di “Riforma” proprio con lo schema sulla Liturgia, sfociato nel “Novus Ordo Missae”.

ORIGINI DELLA “RIFORMA” LITURGICA DEL VATICANO II

La “Riforma” liturgica voluta dal Vaticano II e realizzata nel post-concilio è una vera rivoluzione: “la via aperta dal Concilio è destinata a cambiare radicalmente il volto delle assemblee liturgiche tradizionali” ammette Mons. Annibale Bugnini, uno dei principali artefici di detta “riforma”, aggiungendo che si tratta di un “reale stacco dal passato”. (Bugnini, La Riforma Liturgica [1948-1975] CLV Edizioni Liturgiche – 1983) Ora, nessuna rivoluzione esplode improvvisamente, ma è il frutto di lunghi assalti, lente cadute e progressivi cedimenti. Lo scopo del nostro articolo è di mostrare al lettore, dopo un’introduzione di carattere storico, le origini della rivoluzione liturgica specialmente dopo un esame delle riforme delle rubriche avvenute nel 1955 e nel 1960. Infatti, se “una radicale rottura con la Tradizione si è compiuta ai nostri giorni con l’introduzione del Novus Ordo Missae e dei nuovi libri liturgici (…) è doveroso domandarsi dove affondino le radici di tanta desolazione liturgica. Che esse non siano da ricercare esclusivamente nel Concilio Vaticano II sarà chiaro ad ogni persona di buon senso. La Costituzione liturgica del 4 dicembre 1963 rappresenta la conclusione temporanea di una evoluzione le cui cause molteplici e non tutte omogenee risalgono a un lontano passato”. (Mons. Klaus Gamber. Die Reform der Römischer Liturgie. Vorgeschichte und Problematik. pag. 9 e 10 dell’ed. italiana).

L’ILLUMINISMO

“La piena fioritura della vita ecclesiale nell’età barocca (Controriforma e Concilio di Trento. N.d.R.) fu investita, verso la fine del sec. XVIII, dal gelo dell’Illuminismo. Si era insoddisfatti della Liturgia tradizionale perché si reputava che troppo poco corrispondesse ai problemi concreti del tempo”. (Mons. Gamber, op. cit., pagg. 15-16). L’Illuminismo razionalista trovò il terreno preparato ed un solido alleato nell’eresia Giansenista, che come il protestantesimo, di cui era la quinta colonna, avversava la Liturgia Romana tradizionale. Giuseppe II nell’Impero Asburgico, l’episcopato gallicano in Francia, quello toscano in Italia, riunito nel Sinodo di Pistoia, attuarono riforme ed esperimenti liturgici “che somigliano in modo sorprendente agli attuali: sono altrettanto fortemente orientati verso l’uomo ed i problemi sociali”. (Gamber. op. cit., pag. 16) “Possiamo pertanto affermare che nell’Illuminismo affonda la più tenace radice dell’attuale desolazione liturgica. Molte idee di quell’epoca hanno trovato piena attuazione soltanto nel nostro tempo, in cui si assiste a un nuovo illuminismo”. (Gamber. op. cit., pag. 17) L’avversione alla tradizione, la smania di novità e riforme, la sostituzione graduale del latino col volgare, e dei testi ecclesiastici e patristici con la sola Scrittura, la diminuzione del culto della Madonna e dei Santi, il razionalismo contro i miracoli ed i fatti straordinari narrati nelle letture liturgiche dei Santi, la soppressione del simbolismo liturgico e del mistero, la riduzione infine della Liturgia, giudicata eccessivamente ed inutilmente lunga e ripetitiva…: ritroveremo tutti questi capisaldi delle riforme liturgiche gianseniste nelle riforme attuali, ad incominciare da quella di Giovanni XXIII. La Chiesa, nei casi più gravi, condannò i novatori: così Clemente IX condannò il Rituale della Diocesi d’Alet nel 1668, Clemente XI condannò l’oratoriano Pasquier Quesnel (1634-1719) nel 1713 (Denz. 1436), Pio VI dannò il Sinodo di Pistoia ed il Vescovo Scipione de’ Ricci con la Bolla “Auctorem Fidei” del 1794. (Denz. 1531-1533)

IL MOVIMENTO LITURGICO

“Una reazione al gelo illuministico è rappresentata dalla restaurazione del secolo XIX.(…) Sorsero allora la grande abbazia benedettina di Solesmes, in Francia, e quella della Congregazione di Beuron”. (Gamber. pag. 17) Dom Prosper Guéranger (1805-1875), Abate di Solesmes, restaurò in Francia l’antica liturgia latina e diede la nascita ad un movimento, poi chiamato “liturgico”, teso a far amare ed a difendere la liturgia tradizionale della Chiesa. Tale movimento operò per il bene della Chiesa fino a San Pio X, che con le sue decisioni rimise in onore il canto gregoriano e trovò un equilibrio ammirabile tra ciclo Temporale (feste del Signore, Domeniche e ferie) e quello Santorale (feste dei Santi).

DEVIAZIONI DEL MOVIMENTO LITURGICO

Dopo San Pio X, poco a poco, il cosidetto “Movimento Liturgico” deviò dai suoi intenti, per raggiungere, con una rivoluzione copernicana, le tesi che combatteva nel suo nascere. Tutte le idee dell’eresia antiliturgica – come Dom Guéranger chiamava le tesi liturgiche del XVIII secolo – furono riprese negli anni venti e trenta da liturgisti come Dom Lambert Beauduin (1873-1960) in Belgio e Francia, Dom Pius Parsch e Romano Guardini in Austria e Germania.Partendo dalla “Messa dialogata”, a causa di “una eccessiva enfasi data alla parte attiva dei fedeli nelle funzioni liturgiche”, (Gamber. pag. 17) i riformisti degli anni ’30 e ’40 giunsero (specialmente nei campi scout e nelle associazioni giovanili e studentesche) ad introdurre de facto nientemeno che la Messa in volgare, la celebrazione su di un tavolo faccia al popolo, la concelebrazione… Fra i giovani sacerdoti che si dilettavano di esperimenti liturgici c’era a Roma, nel 1933, il cappellano della F.U.C.I., tal Giovanni Battista Montini, per fortuna contrastato dal Cardinal Vicario. (Fappani-Molinari. Montini giovane. Ed. Marietti 1980. pagg. 282-292). In Belgio, Dom Beauduin dava al Movimento Liturgico un fine dichiaratamente ecu-menista, ipotizzando una Chiesa Anglicana “unita (alla cattolica), ma non assorbita” e fondando un “Monastero per l’unione” con gli “ortodossi” orientali, col risultato di “convertire” molti dei suoi monaci allo scisma orientale. Roma interviene: l’Enciclica contro il Movimento ecumenico, “Mortalium animos” (1928) è seguita, nel 1929 e 1932 da (troppo) discreti richiami che lo distolgono temporaneamente dalle sue attività. (Cfr. Bonneterre. Le Mouvement Liturgique. Ed. Fideliter. 1980. pagg. 35-42). Gran protettore del Beauduin era – naturalmente – il Card. Mercier, iniziatore dell’ecumenismo “cattolico” e definito dal “Sodalitium Pianum” come “amico di tutti i traditori della Chiesa”. (Poulat. Intégrisme et catholicisme integral. Castermann. pag. 330). Negli anni ’40 il lavoro di sabotaggio di simili liturgisti aveva già ottenuto il sostegno di vaste parti dell’episcopato, specialmente in Francia (col C.P.L.: centro di pastorale liturgica) e nel Reich tedesco. All’inizio del 1943, il 18 gennaio, “venne lanciato l’attacco più serio contro il Movimento Liturgico (…) da parte di un eloquente e vigoroso membro dell’episcopato, l’Arcivescovo di Friburgo (in Brisgau) Conrad Gröber. (…) In una lunga lettera indirizzata ai confratelli Vescovi, Gröber raccoglieva in 17 punti le sue preoccupazioni concernenti la Chiesa. (…) Criticava la teologia kerigmatica, il movimento di Schönstatt, ma soprattutto il Movimento Liturgico (…) coninvolgendo implicitamente anche il Card. Theodor Innitzer. (…) Pochi sanno che il p. Karl Rahner s.j. che viveva allora a Vienna (diocesi del Card. Innitzer. N.d.R.), scrisse (…) una risposta a Gröber. (Robert Graham s.j. Pio XII e la Crisi liturgica in Germania durante la guerra. La Civiltà Cattolica. 1985 pag. 546). Ritroveremo Karl Rahner come esperto conciliare dell’episcopato tedesco al Concilio Vaticano II assieme ad Hans Küng e Schillebeeckx. La questione arrivò a Roma: nel 1947 l’Enciclica di Pio XII sulla liturgia, “Mediator Dei”, avrebbe dovuto sancire la condanna del Movimento liturgico deviato. Pio XII “espose fortemente la dottrina cattolica” (…) “ma questa enciclica fu sviata nel suo senso dai commenti che ne fecero i novatori; e Pio XII, se ricordò i principi, non ebbe il coraggio di prendere delle misure efficaci contro le persone; si sarebbe dovuto sciogliere il C.P.L. e vietare un buon numero di pubblicazioni. Ma queste misure avrebbero avuto come conseguenza un conflitto aperto con l’episcopato francese”. (Jean Créte. Le Mouvement Liturgique. Itinéraires. Gennaio 1981. pagg. 131-132). Misurata la debolezza di Roma, i novatori capirono di poter andare (prudentemente) avanti: dalle sperimentazioni si passò alle riforme ufficiali romane.

LE RIFORME DI PIO XII

io XII non stimava gravissimo il problema liturgico che metteva a confronto i Vescovi tedeschi: “Produce in noi una strana impressione”, scriveva a Mons. Gröber, “se, quasi al di fuori del tempo e del mondo, la questione liturgica viene presentata come il problema del momento”. (Lettera di Pio XII a Mons. Gröber del 22 agosto 1943. Cit. in R. Graham, op. cit. pag. 549) Se con queste parole sconfessava gli esponenti del Movimento liturgico, Pio XII ne sottovalutava anche il pericolo. I novatori seppero così infiltrare il loro cavallo di Troia nella Chiesa attraverso la porta, quasi incustodita, della Liturgia, approfittando della poca attenzione di Papa Pacelli in materia e coadiuvati da persone molto vicine al Pontefice come il suo stesso confessore Agostino Bea s.j., futuro Cardinale ed esponente di spicco dell’Ecumenismo (cfr. mio articolo su “Sodalitium”: Il Gran Sinedrio in Vaticano per il XX del Concilio). È illuminante questa testimonianza di Mons. Bugnini: “la Commissione (per la riforma della Liturgia istituita nel 1948) godeva della piena fiducia del Papa, tenuto al corrente da Mons. Montini e, più ancora, settimanalmente, dal P. Bea, confessore di Pio XII. Grazie a questo tramite si potè giungere a risultati notevoli anche nei periodi nei quali la malattia del Papa impediva a chiunque di avvicinarlo”. (Op. Cit., pag. 22) Padre Bea fu all’origine della prima riforma liturgica di Pio XII, ovverosia la nuova traduzione liturgica dei Salmi, che sostituì quella della Volgata di San Gerolamo così invisa ai protestanti in quanto traduzione ufficiale della Sacra Scrittura nella Chiesa, dichiarata “autentica” dal Concilio di Trento. A questa riforma (Motu proprio “In cotidianis precibus” del 24 marzo 1945) il cui uso era, almeno in teoria, facoltativo e che ebbe poca fortuna, ne fecero seguito altre più durature ed ancora più gravi: 18 maggio 1948: costituzione, con a segretario Annibale Bugnini, di una commissione Pontificia per la Riforma della Liturgia (simile, anche nel nome, al “consilium ad exequendam constitutionem de Sacra Liturgia” istituito da Paolo VI nel 1964 e che partorita la “Nuova Messa”); 6 gennaio 1953 (Costituzione Ap. “Christus Dominus”) sulla riforma del digiuno eucaristico; 23 marzo 1955, (decreto “Cum hac nostra aetate”), riforma (non pubblicata negli A.A.S. e non stampata nei libri liturgici) delle rubriche del Messale e del Breviario; 19 novembre 1955 (decreto Maxima Redemptionis), nuovo rito della Settimana Santa, già iniziato per quanto riguarda il Sabato Santo, ad experimentum, nel 1951. Alla riforma della Settimana Santa dedicheremo il capitoletto seguente; che dire, nel frattempo, di quella delle Rubriche e del Messale, operata lo stesso anno da Pio XII? Essendo state dichiarate facoltative, si tende a dimenticarle: esse furono tuttavia una tappa considerevole della Riforma Liturgica. Assorbite ed aumentate dalla riforma di Giovanni XXIIII, le esamineremo in dettaglio con quelle del successore. Basti dire, per ora, che la Riforma del 1955 tendeva ad abbreviare l’Ufficio divino e diminuire il culto dei santi: tutte le feste di rito semidoppio e semplice diventavano semplici commemorazioni, in quaresima e passione diveniva libera la scelta tra l’ufficio di un santo e quello feriale, veniva diminuito il numero delle vigilie e ridotte a tre le ottave. Soppressi i “Pater, Ave e Credo” da recitare prima delle ore liturgiche, veniva tolta anche l’antifona finale alla Madonna (tranne che a Compieta) ed il Simbolo di Sant’Atanasio (tranne che una volta l’anno). Il Bonneterre, nella sua opera citata, pur riconoscendo che le riforme della fine del pontificato di Pio XII sono “le prime tappe dell’autodemolizione della liturgia romana” (non vediamo come la Liturgia possa “autodemolirsi” N.d.R.) cerca di garantire la loro perfetta legittimità a causa della “santità” di chi le ha promulgate. “Pio XII” scrive “ha dunque intrapreso con ogni purezza d’intenzione delle riforme rese necessarie dai bisogni delle anime senza rendersi conto – E NON LO POTEVA – che scuoteva la liturgia e la disciplina in uno dei periodi più critici della loro storia, e soprattutto senza realizzare che metteva in pratica il programma del movimento liturgico deviato”, (pagg. 105, 106, 111) Commenta Jean Crété: “Don Bonneterre riconosce che questo decreto segna l’inizio della sovversione della liturgia, ma cerca di scusare Pio XII dicendo che a quell’epoca nessuno, tranne gli uomini del partito della sovversione, potevano rendersene conto. Posso, al contrario, dargli una testimonianza categorica su questo punto. Mi rendevo benissimo conto che questo decreto non era che l’inizio di una sovversione totale della liturgia; e non ero il solo. Tutti i veri liturgisti, tutti i sacerdoti attaccati alla tradizione, erano costernati. La congregazione dei riti non era favorevole a questo decreto, opera di una commissione speciale. Quando, cinque settimane più tardi, Pio XII annunciò la festa di San Giuseppe operaio (che spostava la festa antichissima degli Apostoli Filippo e Giacomo e sopprimeva la Solennità di San Giuseppe Patrono della Chiesa N.d.R.) l’opposizione si manifestò apertamente: durante più di un anno la congregazione dei riti rifiutò di comporre l’ufficio e la messa della nuova festa. Furono necessari molti interventi del Papa perché la congregazione dei riti si rassegnasse, malvolentieri, a pubblicare alla fine del 1956 un’ufficio così mal composto che si può chiedere se non sia stato sabotato volontariamente. Ed è solo nel 1960 che furono composte le melodie (che sono dei modelli di cattivo gusto) dell’ufficio e della messa. Raccontiamo questo episodio poco noto per dare un’idea della violenza delle reazioni suscitate dalle prime riforme liturgiche di Pio XII”. (Crété. Op. cit., pag. 133)

IL NUOVO RITO DELLA SETTIMANA SANTA

”Il rinnovamento (liturgico) ha mostrato chiaramente che le formule del messale romano dovevano essere riviste ed arricchite. Il rinnovamento è stato iniziato dallo stesso Pio XII con la restaurazione della veglia pasquale e dell’Ordo della Settimana Santa, CHE COSTITUÌ LA PRIMA TAPPA DELL’ADATTAZIONE DEL MESSALE ROMANO AI BISOGNI DELLA NOSTRA EPOCA”. Sono queste le parole stesse di Paolo VI nella “promulgazione” del nuovo messale. (“Cost. Ap. Missale Romanum” del 3 aprile 1969). Analogamente, da sponda diversa, scrive Mons. Gamber: “Il primo Pontefice che abbia apportato un vero e proprio cambiamento al Messale tradizionale fu Pio XII, con l’introduzione della nuova liturgia della Settimana Santa. Riportare la cerimonia del Sabato Santo alla notte di Pasqua sarebbe stato possibile senza grandi modifiche. A lui seguì Giovanni XXIII con il nuovo ordinamento delle rubriche. Anche in queste occasioni, comunque, il Canone della Messa restò intatto (Quasi. Ricordiamo l’introduzione del nome di San Giuseppe nel Canone, voluta da Giovanni XXIII durante il Concilio, contro la tradizione che vuole nel Canone solo nomi di Martiri, da unire al Grande Martire Gesù nel Suo Sacrificio N.d.R.), non venne minimamente alterato, ma dopo questi precedenti, è vero, furono aperte le porte a un ordinamento della Liturgia Romana radicalmente nuovo”. (Op. cit., pag. 22). Il decreto “Maxima Redemptionis” col quale si introduce nel 1955 il nuovo rito parla esclusivamente del cambiamento di orario delle cerimonie del Giovedì, Venerdì e Sabato Santo, per facilitare ai fedeli l’assistenza ai Riti sacri riportati dopo secoli alla sera; ma in nessun passaggio del decreto si fa il minimo accenno al drastico mutamento dei testi e delle cerimonie stesse instaurato col nuovo rito e per nulla giustificato da un qualsivoglia motivo pastorale! In realtà il nuovo rito della settimana Santa fu una prova generale della riforma; lo testimonia il domenicano modernista Chenu: “Padre Duployé seguiva tutto ciò con una lucidità appassionata. Mi ricordo che mi disse un giorno, ben più tardi: – Se riusciamo a restaurare la vigilia pasquale nel suo valore primitivo il movimento liturgico avrà vinto; mi do dieci anni per questo -. Dieci anni dopo era cosa fatta.” (Un théologien en liberté. J. Dunquesne interroge le P. Chenu. Le Centurion. 1975. pag. 92-93) Infatti, il nuovo rito della Settimana Santa, inserendosi come un corpo estraneo nel resto del messale ancora tradizionale, seguiva i principi che ritroveremo nelle riforme di Paolo VI nel 1965. Facciamo alcuni esempi: Paolo VI sopprimerà nel 1965 l’ultimo vangelo: nel 1955 è soppresso dalla settimana Santa. Paolo VI sopprimerà il Salmo “ludica me” con le preghiere ai piedi dell’altare: lo stesso anticipava la Settimana Santa del 1955. Paolo VI (seguendo Lutero) vorrà la celebrazione della Messa “faccia al popolo”: il Novus Ordo della Settimana Santa inizia con l’introdurre tale uso ogni volta che è possibile (specialmente il giorno delle Palme). Paolo VI vuole diminuito il ruolo del sacerdote, sostituito ad ogni piè sospinto dai ministri: nel 1955, di già, il celebrante non legge più le letture, epistole e Vangeli (Passio) che sono cantate dai ministri -benchè facciano parte della Messa- e va a sedersi, dimenticato, in un angolo. Paolo VI, nella stessa Nuova “Messa” del 1969, col pretesto di restaurare l’antico rito romano, sopprime dalla Messa tutti gli elementi della liturgia “gallicana” (anteriore a Carlo Magno) seguendo un cattivo “archeologismo” condannato da Pio XII. Scompare così l’offertorio (con gaudio dei protestanti) sostituito con un rito talmudico che con l’antico rito romano non c’entra niente. Seguendo lo stesso principio il nuovo rito della Settimana Santa sopprime tutte le orazioni di benedizione delle Palme (tranne una), l’epistola, offertorio e prefazio che precedevano, la messa dei presantificati il Venerdì Santo… Paolo VI, sfidando gli anatemi del concilio di Trento, sopprime l’ordine sacro del Suddiaconato; il nuovo rito della Settimana Santa lascia in scena un Suddiacono sempre più inutile, visto che lo sostituisce il Diacono (Orazioni del Venerdì Santo al “levate”) o il coro ed il celebrante (all’adorazione della croce). Paolo VI vuole l’ecumenismo? La nuova Settimana Santa lo inaugura, chiamando l’orazione del Venerdì Santo per la conversione degli eretici: “orazione per l’unità della Chiesa” ed introducendo la genuflessione all’orazione per i Giudei che la Chiesa negava loro in odio al delitto compiuto il Venerdì Santo. I simbolismi medioevali sono soppressi (apertura della porta della Chiesa al canto del Gloria Laus, per esempio) la lingua volgare introdotta (promesse bettesimali), il Pater Noster recitato da tutti (venerdì santo), le orazioni per l’Impero sostituite da altre per i governanti la “cosa pubblica” dal sapore molto moderno. Nel Breviario si sopprime il così commovente “Miserere” ripetuto a tutte le ore. Viene rivoluzionato il Preconio Pasquale sopprimendo il simbolismo delle sue parole; sempre il Sabato Santo otto letture su dodici sono soppresse. Il canto della Passione, così toccante, subisce dei gravissimi tagli: scompare persino l’ultima Cena, nella quale Gesù, già tradito, ha celebrato per la prima volta nella storia il Sacrificio della Messa. Il Venerdì Santo viene distribuita la comunione, contrariamente alla tradizione della Chiesa ed alla condanna di San Pio X contro chi voleva instaurare questo uso. (Decreto Sacra Tridentina Synodus – 1905) Tutte le rubriche, poi, del nuovo rito del 1955, insistono continuamente sulla “partecipazione” dei fedeli da un lato, mentre d’altro canto deprecano come abusi molte delle devozioni popolari (così care ai fedeli) che accompagnano la Settimana Santa. Questo seppur sommario esame della riforma della Settimana Santa consente al lettore – così almeno pensiamo – di rendersi conto di come i “periti” che fabbricheranno 14 anni dopo la Nuova “Messa” avevano usato – e sfruttato – la Settimana Santa per compiere su di essa -tamquam in corpore vili- i loro esperimenti rivoluzionari da applicare a tutta la Liturgia.

GIOVANNI XXIII

A Pio XII succede Giovanni XXIII, Angelo Roncalli. Professore al Seminario di Bergamo, fu inquisito perché seguiva i testi del Duchesne, proibiti, sotto San Pio X in tutti i seminari italiani, e la cui opera “Histoire ancienne de l’Eglise”, finì all’Indice. (Poulat. Catholicisme, démocratie et socialisme. Pag. 246 e 346; Maccarrone: Mgr. Duchesne et son temps. 1975. pag. 469-472) Nunzio a Parigi, Roncalli svelerà la sua adesione alle tesi del Sillon, condannate da San Pio X (si legga tutto il testo della condanna, pubblicato in “Sodalitium” n. 4, Agosto-Settembre-Ottobre 1984), con una lettera alla vedova di Marc Sangnier, fondatore del movimento proscritto, nella quale, tra l’altro, scrive: “Il fascino potente della sua parola (di Sangnier N.d.r.), della sua anima, mi avevano incantato e conservo della sua persona e della sua attività politica e sociale il ricordo più vivo di tutta la mia giovinezza sacerdotale”, (lettera del 6 giugno 1950. Cfr. Itinéraires, n. 247, nov. 1980, pag. 152-153). Nominato Patriarca di Venezia, Mons. Roncalli darà pubblico benvenuto ai socialisti giunti nella sua città per il congresso del partito. Divenuto Giovanni XXIII crea Cardinale Mons. Montini, indice il Concilio Vaticano II e scrive l’Enciclica “Pacem in terris” nella quale afferma di già, cammuffandola con una frase volutamente ambigua, quella libertà religiosa che sarà proclamata dal Concilio, come testimonia il neo-Cardinale Pavan, collaboratore di Giovanni XXIII. L’atteggiamento di Giovanni XXIII, alla morte di Pio XII nel 1958, non poteva essere diverso, in materia liturgica, a quello dimostrato negli altri campi. Ben lo sapeva Dom Lambert Beauduin, ormai noto al lettore come quasi capostipite del movimento liturgico modernista, ed amico di Roncalli dal lontano 1924. P. Bouyer testimonia che Dom Beauduin gli disse il giorno della morte di Pio XII: “Se eleggessero Roncalli, tutto sarebbe salvato: sarebbe capace di convocare un Concilio e di consacrare l’Ecumenismo…”. (Bouyer. Dom L. Beauduin, un homme d’Eglise. 1964. pag. 180-181). Il 25 luglio 1960 Giovanni XXIII pubblica il Motu proprio “Rubricarum Instructum”. Già aveva deciso di convocare il Vaticano II e di procedere alla riforma del Diritto Canonico; con questo Motu Proprio Giovanni XXIII assorbe ed aggrava le riforme delle rubriche del 1955-56: ”Siamo arrivati alla decisione” scrive “che si doveva presentare ai Padri del futuro Concilio i principi fondamentali concernenti la riforma liturgica, e che non si doveva differire ulteriormente la riforma delle rubriche del Breviario e del Messale romano”. In questo quadro così poco ortodosso, con artefici così dubbi, in un clima già “conciliare”, nascono il Breviario ed il Messale di Giovanni XXIII, concepiti come “Liturgia di transizione” destinata a durare, come durò, tre o quattro anni: transizione tra la liturgia cattolica consacrata al Concilio di Trento e quella eterodossa preconizzata dal Vaticano II.

“L’ERESIA ANTILITURGICA” NELLA RIFORMA DI GIOVANNI XXIII

Abbiamo visto precedentemente come il grande Dom Guéranger definì “eresia antiliturgica” l’insieme dei falsi principi liturgici del XVIII secolo ispirati dall’illuminismo e dal Giansenismo. Vorrei mostrare in questo capitoletto la somiglianza, a volte letterale, tra le riforme di quel secolo lontano e quelle di Giovanni XXIII.

  • Riduzione del Mattutino a tre lezioni. L’Arcivescovo (terzaforzista, cioè filo-giansenista) di Parigi, Vintimille, nella sua riforma del Breviario del 1736 “ridusse la maggior parte degli Uffici a tre lezioni, per renderli più corti”. (Guéranger. Institutions Liturgiques. Extraits. Ed. Chiré. p. 171) Giovanni XXIII nel 1960 riduce anch’egli a 3 sole lezioni la quasi totalità degli Uffici. Ne consegue la soppressione di un terzo della Sacra Scrittura, dei due terzi delle vite dei Santi e dei quasi tre terzi (la totalità) dei commenti dei Padri alla Scrittura. Per aiutare il lettore gli mostriamo, in un piccolo schema, ciò che resta del Mattutino (tranne che nelle feste di I e II classe) dopo la riforma,tenendo presente che il Mattutino è una parte considerevole del Breviario.
  • Diminuzione delle formule di stile ecclesiastico a favore della Sacra Scrittura. “Il secondo principio della setta antiliturgica è di rimpiazzare le formule di stile ecclesiastico con delle letture della Sacra Scrittura”. (Guéranger. op. cit., p. 107) Mentre il Breviario di San Pio X faceva commentare la Sacra Scrittura dai Padri, quello di Giovanni XXIII, lasciate praticamente intatte le lezioni scritturali, come abbiamo visto sopra, le lascia senza il commento della Chiesa, sopprimendo il commento patristico (soppresso il commento all’Antico Testamento o alle epistole, 5 o 6 righe di commento al Vangelo della domenica).
  • Togliere le feste dei santi dalla Domenica. “È il loro (dei giansenisti. N.d.r.) grande principio della santità della domenica che non permette che si degradi questo giorno fino a consacrarlo al culto di un santo, nemmeno della Santa Vergine. (…) A più forte ragione i doppi maggiori o minori, che diversificano così piacevolmente per il popolo fedele la monotonia delle domeniche, ricordandogli gli amici di Dio, le loro virtù e la loro protezione, non dovevano essere rinviati per sempre a giorni infrasettimanali nei quali la loro festa passerebbe silenziosa ed inavvertita?”. (Dom Guéranger. Pag. 163) Giovanni XXIII, andando ben oltre la riforma equilibrata di San Pio X, raggiunge quasi alla lettera l’ideale degli eretici giansenisti: solo nove feste di Santi possono vincere sulla domenica (S. Giuseppe di marzo e di maggio, tre feste mariane: Annunciazione, Assunzione e Immacolata, S. Giovanni Battista, SS. Pietro e Paolo, S. Michele e Ognissanti) contro le 32 che contava il calendario di San Pio X, molte delle quali erano antiche feste di precetto. Per di più, la Domenica, Giovanni XXIII abolisce le memorie dei Santi. Per ottenere questi scopi, la riforma del 1960 eleva tutte le domeniche al rango di I e II classe, e riunisce quasi tutti i santi in una III classe creata ex novo, annullando, come vediamo dallo schema, quei doppi maggiori o minori che loda Dom Guéranger.
  • Favorire l’ufficio della feria alle feste dei Santi. Dom Guéranger descrive poi così le mosse gianseniste: “Il calendario sarà ormai epurato e lo scopo, ammesso da Grancolas (1727) e dai suoi complici, è di fare che il clero preferisca l’officio della feria a quello dei Santi. Che spettacolo pietoso! Vedere penetrare nelle nostre chiese delle massime infette di calvinismo e così volgarmente opposte a quelle della Sede Apostolica, che da due secoli non ha cessato di fortificare il calendario della Chiesa con l’arrivo di nuovi protettori!”, (op. cit. pag. 163) Giovanni XXIII ha soppresso totalmente 10 feste dal calendario (11 in Italia, con la festa della Madonna di Loreto) ha ridotto 29 feste di rito semplice e 9 di rito più elevato al rango di commemorazione, facendo così prevalere l’ufficio feriale; con la soppressione di quasi tutte le ottave e le vigilie ha sostituito altre 24 ferie a uffici di Santi (calcolando per difetto, non tenendo conto dei calendari particolari e delle feste mobili); infine, con le nuove regole di quaresima che vedremo poi, altri 9 Santi, ufficialmente nel calendario, non verranno mai festeggiati. Concludendo, la riforma del 1960-1962 sacrifica ad una “massima calvinista”, epurandole, circa 81, 82 feste di santi.

Dom Guéranger precisa che i Giansenisti soppressero le feste dei Santi in quaresima (op. cit. pag. 163). Allo stesso modo si comporta Giovanni XXIII, salvando solo le feste di I e II classe; poiché la loro festa cade sempre in Quaresima, non si festeggerà mai più un S. Tommaso d’Aquino, un S. Gregorio Magno, S. Benedetto, S. Patrizio, S. Gabriele Arcangelo ecc.

  • Censurare i miracoli dalle vite dei Santi che sembrano leggendarie. Era il principio dei liturgisti illuministi (“le vite dei santi furono spogliate di una parte dei loro miracoli e dei loro racconti pii” Dom Guéranger, pag. 171). Abbiamo visto che la riforma del 1960 sopprime 2 delle 3 lezioni del 2° Notturno, in cui si leggono le vite dei Santi. Ma ciò non bastava. Come abbiamo detto 11 feste sono totalmente soppresse, probabilmente perché “leggendarie” per i razionalisti preconciliari: per esempio S. Vitale, l’Invenzione della S. Croce, il martirio incruento di S. Giovanni alla Porta Latina, l’apparizione di S. Michele sul Gargano, S. Anacleto, S. Pietro in Vincoli, l’Invenzione ( = Ritrovamento) di S. Stefano, la Madonna di Loreto (una casa che vola!!. Ci si può credere nel XX secolo?); tra le votive, S. Filomena (che stupido il Curato d’Ars che ci credeva). Altri Santi poco illuministi sono eliminati più discretamente: la Madonna del Carmelo e della Mercede, S. Giorgio, S. Alessio, S. Eustachio, le stimmate di S. Francesco, restano come memoria in un giorno feriale. Partono anche due Papi, sembra senza motivo: S. Silvestro (troppo Costantiniano?) e S. Leone II. Quest’ultimo, forse, perché condannò Papa Onorio, e Giovanni XXIII… Segnaliamo infine un “capolavoro” che ci tocca da vicino. Dall’orazione della Messa della Madre del Buon Consiglio la riforma del 1960 ha tolto le parole che parlavano della apparizione miracolosa della Sua immagine. Se la Casa di Nazareth non può volare a Loreto, figuriamoci se un quadro che era in Albania può volare a Genazzano.
  • Spirito antiromano. I Giansenisti soppressero una delle 2 feste della Cattedra di San Pietro, al 10 gennaio, come pure l’Ottava di San Pietro (Dom Guéranger, pag. 170). Identiche misure con Giovanni XXIII.
  • Soppressione del Confiteor prima della comunione dei fedeli. (Messale di Trojes)(Dom Guéranger, pag. 149, 150, 156). Medesima cosa nel 1960.
  • Riforma del Giovedì, Venerdì e Sabato Santo. Nel 1736, col Breviario di Vintimille, “fatto gravissimo e, ancor più, dolorosissimo per la pietà dei fedeli” (Dom Guéranger, pag. 170, 171). Qui Giovanni XXIII è stato preceduto, come abbiamo visto! Idem con la soppressione di quasi tutte le Ottave (uso, che si trova già nel Vecchio Testamento, di solennizzare le grandi feste per otto giorni) anticipata dai Giansenisti nel 1736 (pag. 171) e ripetuta nel 1955-60.
  • Fare, insomma, un Breviario cortissimo e senza ripetizioni. Era il sogno dei liturgisti rinascimentali (Breviario di S. Croce, abolito da S. Pio V) e poi degli Illuministi. Commenta Dom Guéranger: vogliono un Breviario “senza queste Rubriche complicate che obbligano il Sacerdote a fare dell’Ufficio Divino uno studio serio; dal resto le rubriche stesse sono tradizioni, ed è giusto che scompaiono. (…) Senza ripetizioni (…) e molto corto: ecco il grande mezzo di successo! (…). Si vuole un Breviario corto. Lo si avrà; e si troveranno dei Giansenisti per redigerlo”, (pag. 162, e anche 159). Questi tre principi saranno il vanto pubblico delle Riforme del 1955 e 1960: scompaiono le lunghe “Preces”, le memorie, i suffragi, i “Pater, Ave, Credo”, le Antifone alla Madonna, il Simbolo di S. Atanasio, 2/3 del Mattutino, e… chi più ne ha più ne metta!

L’ECUMENISMO NELLA RIFORMA DI GIOVANNI XXIII…

A questo i Giansenisti non ci avevano pensato. La Riforma del 1960 sopprime dalle orazioni del Venerdì Santo l’aggettivo latino “perfidis” ( = senza fede) riferito ai Giudei, ed il sostantivo “perfidiam” ( = empietà) riferito a “Giudaica”. È la porta aperta alla visita alla Sinagoga dei nostri giorni. Al numero 181 delle Rubriche del 1960 si legge: “la Messa contro i pagani venga chiamata: per la difesa della Chiesa. La Messa per togliere lo scisma, venga detta: per l’unità della Chiesa” (solita eresia che nega che la Chiesa è UNA! N.D.R.). Questi cambiamenti rivelano il liberalismo, pacifismo e falso ecumenismo di chi li ha concepiti. Un ultimo punto, ma tra i più gravi. Nel “Breve Esame Critico” contro la “nuova Messa” presentato dai Cardinali Ottaviani e Bacci si dichiara giustamente che è “un chiaro attentato al dogma della Comunione dei Santi la soppressione, quando il sacerdote celebri senza inserviente (cioè da solo. N.d.r.), di tutte le salutationes (cioè “Dominus vobiscum” ecc.) e della benedizione finale” (pag. 18). Infatti, anche se solo, il sacerdote nel celebrare la Messa o dire il Breviario prega a nome di tutta la Chiesa e con tutta la Chiesa. Verità questa negata da Lutero. Ora, questo attentato al dogma era già compiuto dal Breviario di Giovanni XXIII che al sacerdote che lo recita da solo impone di non dire più “Dominus vobiscum – il Signore sia con voi” ma “Domine exaudi orationem meam – Signore, ascolta la mia preghiera”, pensando, con una “professione di pura fede razionalista” (Breve Esame Critico, pag. 18) che il Breviario non sia più la preghiera pubblica della Chiesa, ma una lettura privata.

CONCLUSIONE NECESSARIA

Non serve a nulla la teoria, se non la si applica. Questo articolo non può concludersi senza un caldo invito, innanzitutto ai sacerdoti, a ritornare alla liturgia “canonizzata” dal Concilio di Trento ed alle Rubriche promulgate da San Pio X. Scrive Mons. Gamber: “Molte delle innovazioni promulgate in materia liturgica negli ultimi 25 anni – a cominciare dal decreto sul rinnovamento della Liturgia della Settimana Santa del 9 febbraio 1951 (ancora sotto Pio XII) e dal nuovo Codice delle Rubriche del 25 luglio 1960 (ormai di nuovo superato) fino alla riforma, per continue piccole modificazioni, dell’Ordo Missae del 3 aprile 1969 – si sono dimostrate inutili e dannose alla vita spirituale”. (Op. cit. pag. 44-45). Purtroppo nel campo “tradizionalista” regna la confusione: chi si ferma al 1955, chi al 1965 o 1967; la Fraternità San Pio X, dopo aver adottato la riforma del 1965 è tornata a quella del 1960, di Giovanni XXIII (accordata ora dall’indulto del 1984) benché ci si permetta di introdurre usi anteriori e posteriori! Nei Distretti di Germania, Inghilterra e Stati Uniti, dove si recitava il Breviario di San Pio X, è stato imposto quello di Giovanni XXIII, e ciò non solo per motivi legalistici ma di principio, mentre si tollera a malapena la recitazione privata del Breviario di S. Pio X. Ci illudiamo, sperando che questo, o altri studi, aiutino a capire che la Riforma è UNA in tante tappe, e che tutta si deve rifiutare se non si vuole (absit) accettarla tutta? Solo con l’aiuto di Dio ed idee chiare si potrà ottenere una restaurazione che non duri un’estate di San Martino.

Fonte: https://www.sodalitium.biz/leresia-antiliturgica-dai-giansenisti-giovanni-xxiii/

Storia dei Tradizionalisti

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La prima domenica d’Avvento del 1969 determinò l’accettazione della riforma di Paolo VI da parte di molti e il suo rifiuto da parte di una minoranza di cattolici.
L’accettazione o il rifiuto della “nuova messa” fu quasi sempre la conseguenza della stessa posizione avuta nei confronti dei testi del Concilio Vaticano II. I refrattari al Concilio e alla riforma furono chiamati “tradizionalisti”.
Dal 1969 a oggi molte cose sono cambiate (in peggio) e sorprendentemente il termine “tradizionalista” viene utilizzato, in modo improprio, anche per indicare dei personaggi che hanno accettato i decreti conciliari e i nuovi riti.
Riferendoci al tradizionalismo storico, segnaliamo la recensione (giustamente critica) al libro “Storia dei tradizionalisti” dello storico francese Yves Chiron.
“L’histoire des Traditionalistes” di Yves Chiron, recensione di don Francesco Ricossa, Sodalitium n. 73, da pag. 72 a pag. 77.
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Calendario Sodalitium 2024: San Tommaso d’Aquino a 750 anni dalla sua morte

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Editoriale

di don Francesco Ricossa

Il 18 luglio 1323 il grande pontefice Giovanni XXII, con la Bolla Redemptionem misit, canonizzava Tommaso d’Aquino iscrivendolo nell’albo dei Santi. Ricorreva quindi nell’anno che sta per concludersi il settimo centenario dell’elevazione alla gloria degli altari del grande teologo domenicano. Durante l’anno 2024 festeggeremo invece il 750° anniversario della morte di san Tommaso, avvenuta nell’abbazia cistercense di Fossanova il 7 marzo 1274, mentre il Santo si recava al Concilio di Lione. Il prossimo anno ricorrerà infine l’ottavo centenario della sua nascita, avvenuta a Roccasecca, nella contea di Aquino, nel 1225 appunto. Il nostro Istituto Mater Boni Consilii e la nostra rivista Sodalitium non potevano certo non unirsi alla gioia di tutta la Chiesa nei festeggiamenti indetti per questo triplice anniversario, tanto più che la festività di san Tommaso d’Aquino era uno dei “giorni di preghiera speciali” del Sodalitium Pianum di Mons. Benigni (a proposito di anniversari: il 27 febbraio cade il 90° della morte del nostro prelato!) secondo la circolare del 12 marzo 1913 dello stesso Sodalizio. Né poteva essere altrimenti giacché la magna carta della lotta al modernismo, l’Enciclica Pascendi, denunciava nella lotta alla Scolastica l’arte insidiosa dei modernisti, e proponeva nella fedeltà a san Tommaso il rimedio a questa sintesi di tutte le eresie che ancor oggi combatte la Chiesa: “Deridono perciò continuamente e disprezzano la filosofia e la teologia scolastica (…) la smania di novità va sempre in essi congiunta con l’odio della Scolastica; né vi ha indizio più manifesto che taluno comincia a volgere al modernismo, che quando incominci ad aborrire la Scolastica. Ricordino i modernisti e quanti li favoriscono la condanna che Pio IX inflisse alla proposizione che diceva (Sillabo, proposizione 12): ‘Il metodo e i principi, con cui gli antichi dottori scolastici trattarono la teologia, più non si confanno ai bisogni dei nostri tempi ed ai progressi della scienza’”. San Pio X quindi proseguiva – al seguito del suo predecessore Leone XIII – imponendo qual primo rimedio al modernismo “che a fondamento degli studi sacri si ponga la filosofia scolastica”. “Ciò che conta anzi tutto è che la filosofia scolastica, che Noi ordiniamo di seguire, si debba precipuamente intendere quella di San Tommaso di Aquino. (…) Ammoniamo poi quelli che insegnano, di ben persuadersi che il discostarsi dall’Aquinate, specialmente in cose metafisiche, non avviene senza grave danno”. Non a caso il Santo Pontefice insiste sulla filosofia scolastica e la metafisica di san Tommaso, che dietro suo ordine la Sacra Congregazione degli Studi fissò, contro il Suarez, nelle famose XXIV Tesi, quasi avvertendo che i modernisti e dopo di loro il neo-modernismo della Nouvelle théologie avrebbero cercato di sostituire una filosofia all’altra pretendendo di non mutare il deposito della Fede, mentre invece il deviare dai retti principi della retta ragione naturale avrebbe immancabilmente condotto ad adulterare lo stesso concetto di Fede e le verità rivelate. Già nel passato, infatti, prima il volontarismo e poi il nominalismo, allontanandosi dai principi di san Tommaso, avevano guastato la filosofia scolastica aprendo la via agli errori ben più gravi, alle vere eresie, di Lutero e di Calvino.

La Chiesa invece, seguendo saldamente i lumi della Fede e della Ragione, ha sempre custodito fedelmente le verità rivelate grazie anche al pensiero di san Tommaso: così al Concilio di Firenze (1439), a quello di Trento (1545-1563) e a quello Vaticano (1870), specialmente nella costituzione Dei Filius. L’11 aprile 1567, con la Bolla Mirabilis Deus, san Pio V lo proclamò dottore della Chiesa, al pari dei quattro grandi dottori della Chiesa latina, Ambrogio, Agostino, Girolamo e Gregorio Magno, dichiarati tali da Bonifacio VIII. San Pio V – nella sua bolla – notava come già durante la sua vita il suo confratello domenicano aveva “illustrato la Chiesa apostolica infinitis confutatis hæresibus: avendo confutato un’infinità di eresie”. E così anche in seguito “con la forza e la verità della dottrina dell’angelico dottore” venivano confutate e convinte d’errore le nuove eresie ed il mondo intero liberato da questi pestiferi errori: non ci piacciono i tomisti a parole che di san Tommaso non hanno lo spirito di “pugil fidei” e nemico delle eresie.

San Tommaso è dottore comune della Chiesa, pertanto. E questo nella metafisica, come abbiamo visto, come nella teologia, la quale, essendo una scienza “una”, abbraccia la dogmatica quanto la morale, e nell’una e nell’altra branca della “sacra dottrina” san Tommaso è sempre dottore indiscusso.

Del grande dottore vogliamo ricordare in particolare la sua dottrina sulla dimostrabilità dell’esistenza di Dio, così necessaria ai nostri giorni, dottrina impugnata o abbandonata dalla moderna filosofia, dal Tradizionalismo ottocentesco e dal Modernismo; la sua difesa dei primi principi metafisici; la sua lotta al Naturalismo che ne ha fatto, con san Paolo e sant’Agostino, il dottore della Grazia. Nell’attuale, diabolico attacco al Santo Sacrificio della Messa, al Santissimo Sacramento e al Sacerdozio Cattolico, san Tommaso è guida sicura come esimio teologo, santo, mistico e poeta, cantore dell’Eucarestia e baluardo contro tutti gli errori nel definire il dogma della Transustanziazione. All’opposto dello spirito moderno, mise a principio e ultimo fine del suo pensiero Iddio Santissimo, Uno e Trino, e Gesù Cristo come Via, Verità e Vita, e non l’uomo, come si iniziò sventuratamente a fare fin dal XVI secolo.

Perciò ritengo che non a caso la Divina Provvidenza, in questa tempesta che sta attraversando la Chiesa scossa dai flutti dell’eresia modernista, abbia dato alla Chiesa un valido aiuto nel pensiero di un confratello e discepolo di san Tommaso, nella persona di Mons. Michel-Louis Guérard des Lauriers o.p.

Il presente calendario permetterà al lettore di seguire, lungo i mesi di quest’anno 2024, la vita di questo Santo a noi così caro, ma soprattutto caro al Signore: che sia un anno colmo di grazie divine, di meriti abbondanti, di amore di Dio e dei fratelli. San Tommaso, intercedi per noi!

FONTE: https://www.sodalitium.biz/calendario-sodalitium-2024-san-tommaso-daquino-a-750-anni-dalla-sua-morte/

I moderati contro i cattolici integrali. Dallo scioglimento del Sodalitium pianum di Mons. Benigni alla “vittoria” conciliare del modernismo.

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XIX convegno di studi Albertariani – novembre 2023

I moderati contro i cattolici integrali. Dallo scioglimento del Sodalitium pianum di Mons. Benigni alla “vittoria” conciliare del modernismo.

FONTEhttps://www.sodalitium.biz/video-del-19-convegno-di-studi-albertariani-milano-18-11-2023/

 

Primo video: Papa san Pio X e i cattolici integrali: Mons. Benigni, il cardinal Merry del Val e la battaglia contro il modernismo.

Secondo video: La svolta moderata sotto Benedetto XV. Il cardinal Gasparri; lo scioglimento del Sodalitium Pianum

Lezioni della giornata di Vignola (MO) 2023 sul Modernismo

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Le tre lezioni tenute da don Francesco Ricossa al seminario di studi tenuto sabato 7/10/2023 alla giornata per la regalità sociale di Cristo che si è svolta a Vignola (MO), cui ha partecipato una nutrita delegazione del nostro Circolo Christus Rex:

DAL MODERNISMO DOGMATICO AL MODERNISMO SOCIALE E RITORNO. Per le altre due lezioni cliccate su: https://www.sodalitium.biz/lezioni-della-giornata-di-vignola-mo-2023/

Milano, 18/11/23, Centro Studi Albertario: “I moderati contro i cattolici integrali”

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XIX CONVEGNO di studi Albertariani Milano,

Milano Sabato 18 novembre 2023 ore 15,00 presso

Hotel Andreola, via Domenico Scarlatti 24

I moderati contro i cattolici integrali.

Dallo scioglimento del Sodalitium pianum di Mons. Benigni alla “vittoria” conciliare del modernismo

 

 

Relatore: don Francesco Ricossa

 

1° Intervento
Papa san Pio X e i cattolici integrali: Mons. Benigni, il cardinal Merry del Val e la battaglia contro il modernismo.
2° Intervento
La svolta moderata sotto Benedetto XV. Il cardinal Gasparri; lo scioglimento del Sodalitium Pianum

 

Fonte: https://www.davidealbertario.it/2023/07/04/xix-convegno-di-studi-albertariani/

 

L’argomento è molto importante per comprendere meglio l’attualità. Il nostro Circolo Christus Rex-Traditio parteciperà e, allo stesso tempo invita tutti gli amici e conoscenti a partecipare numerosi. La nostra Fede autentica, ovvero integrale, nel senso di integralmente cattolica ed i cambiamenti che hanno prodotto i risultati per cui molti sono delusi e disorientati vanno conosciuti e approfonditi. Inoltre, ad essi occorre saper dare le risposte corrette delle Sacre Scritture, del Magistero Perenne e della Tradizione, per evitare di cadere nelle maglie dei conservatori, di pseudo-tradizionalisti, santoni, visionari, guru, confusi, disagiati sociali e prezzolati personaggi in cerca di visibilità e denari (n.d.r.).

La condanna del modernismo sociale in nome di Cristo Re

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Sabato 7 ottobre 2023 presso l’hotel La Cartiera di Vignola (MO), Via Sega 2, si svolgerà la XVI edizione della GIORNATA PER LA REGALITÀ SOCIALE DI CRISTO, col seminario di studi tenuto don Francesco Ricossa, direttore della rivista Sodalitium, dal tema:
“IL MODERNISMO SOCIALE: DALLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA ALLA SUA NEGAZIONE. DA SAN PIO X A J.M. BERGOGLIO”.
Programma
ore 10,00 Arrivo dei partecipanti e apertura dell’esposizione di libri e riviste.
ore 10,45 Inizio dei lavori.
ore 11,00 Prima lezione: “DAL MODERNISMO DOGMATICO” AL “MODERNISMO SOCIALE” E RITORNO.
ore 12,30 pranzo.
ore 14,30 Seconda lezione: AUTORITÀ, CAPITALE E LAVORO, STATO E CHIESA, RELIGIONE E PATRIA. IDEE CHIARE PER UN CATTOLICESIMO INTEGRALE E NON LIBERALE.
ore 16,00 Terza lezione: J. M. BERGOGLIO, E L’APOLOGIA DI GIUDA, CAPOSTIPITE DEI NEMICI INTERNI (“Sono usciti da noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; sono usciti perché fosse manifesto che non tutti sono dei nostri”, 1 Jo 3,19).
ore 17,30 Conclusione dei lavori.
PRANZO: quota di 28,00 euro a persona, prenotazione obbligatoria entro giovedì 5/10/2023 sino a esaurimento dei posti (gradita una caparra di 10,00 euro che verrà trattenuta in caso di mancata partecipazione).
Anche coloro che non si fermano a pranzo sono invitati a segnalare la loro partecipazione, per poter predisporre nella sala conferenza i posti sufficienti.
Non è permessa la distribuzione di materiale informativo senza l’autorizzazione dell’organizzazione.
Come raggiungere l’hotel la Cartiera a Vignola (MO)
– Per chi arriva da Firenze/Padova/Bologna in autostrada: uscita al casello di Valsamoggia, poi prendere la Via Bazzzanese/SP569 in direzione di Vignola (dal casello: 12,9 km).
– Per chi arriva da Piacenza/Milano/Verona in autostrada: uscita al casello di Modena-Sud, poi prendere la strada provinciale SP623 in direzione Spilamberto – Vignola (dal casello: 9,8 km).
Organizzatori della Giornata: la rivista “Sodalitium” e il Centro Studi “Giuseppe Federici”.
Per informazioni e iscrizioni:
tel. 0541.758961 – info.casasanpiox@gmail.com

La crisi della Chiesa

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Abbiamo pensato, su richiesta di molte persone che ci contattano, di riunire in un unico articolo, i numerosi articoli importanti sulla crisi della Chiesa, che sono tutti consultabili sul sito www.crisidellachiesa.it  rimandando ad esso per ogni ulteriore approfondimento, fotografia, o altro. Il sito fa riferimento all’Istituto Mater Boni Consilii di Verrua Savoia (TO): www.sodalitium.biz

«Abbiamo deciso lo Spirito Santo e noi…» (At 1528).

tu es petrus

– Articoli sulla crisi nella Chiesa

– Articoli sulla liturgia

– Articoli sullecumenismo

– Articoli sulle eresie

– Articoli sui movimenti ecclesiali

– Articoli sul problema dell’Autorità

– Articoli sulle apparizioni

 Articoli sul Concilio Vaticano II

– Articoli su Chiesa e Massoneria

– Articoli su Chiesa ed ebraismo

– Articoli su Chiesa e islam

 

In questa pagina è possibile visualizzare diverse immagini che documentano visivamente gli effetti devastanti della rivoluzione conciliare sulla componente umana della Chiesa cattolica.

 

In questa pagina sono disponibili le omelie domenicali o festive dei sacerdoti dell’Istituto Mater Boni Consilii predicate nella chiesa di Albarea (Ferrara).

apostasia postconciliare

 

rudolf steiner - concilio vaticano II

abbé paul roca e il concilio

 

 

vergine addolorata

Perseveriamo nel dedicare il santo Rosario a questa unica intenzione:

riparare alle orribili colpe commesse contro Dio dagli ecclesiastici.

ratzinger o bergoglio?

Di fronte agli atti, alle omissioni e ai discorsi  farneticanti di Jorge Mario Bergoglio, un certo numero di persone (da annoverare tra i cosiddetti «conservatori») ha iniziato a rimpiangere la presunta ortodossia del «papa emerito» Joseph Ratzinger, contrapponendo il suo insegnamento a quello di Francesco. Alcuni sono giunti addirittura ad affermare che Bergoglio non sarebbe il vero papa, ma lo sarebbe Benedetto XVI. Alle «vedove» ratzingerine riproponiamo la lettura di un articolo molto interessante di qualche anno fa (2013) sulla figura dell’ex professore di Teologia dogmatica presso l’università di Tubinga (leggi l’articolo).

la nuova cresima è valida?

 

francesco

«Marco Pannella è una persona […] di cui non si poteva non apprezzare l’impegno totale e disinteressato per nobili cause […]. Lo ricordo con stima e simpatia. Pensando che ci lascia un’eredità umana e spirituale importante».

marco pannella

– Padre Federico Lombardi, portavoce di Francesco I, Radio Vaticana, 19 maggio 2016.

le nobili cause di marco pannella

Sopra: le «nobili cause» per cui Marco Pannella si è battuto per tutta la vita: la legge sul divorzio, la liberalizzazione della droga e l’aborto libero. Davvero «un’eredità umana e spirituale importante»!

 

sincretismo di bergoglio

Il 6 gennaio scorso 2016 è stato diffuso nel mondo intero, in lingua spagnola con sottotitoli in varie lingue, tra le quali l’italiano, un video, detto «video del Papa», come «inziativa globale sostenuta dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa (Apostolato della Preghiera) per collaborare alla diffusione delle intenzioni mensili del Santo Padre sulle sfide dell’umanità». Ecco un commento a questo filmato… (leggi).

Sito online da martedì 6 ottobre 2010

Ultimo aggiornamento: martedì 25 luglio 2017

QUESTO SITO È FORT

 

 

titolo articoli sulla crisi nella chiesa cattolica

SITO È FORTEMENTE SCONSIGLIATO

A CHI HA PAURA A GUARDARE INo FACCIA ALLA VERITÀ

EMENTE SCONSIGLIATO

A CHI HA PAURA A GUARDARE IN FACCIA ALLA VERITÀ

 

Sulla validità e legittimità della Messa “tridentina”

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Sul blog di Aldo Maria Valli sono stati pubblicati alcuni interventi sulla questione dell’assistenza alla Messa di San Pio V: prima la lettera di un lettore, poi la risposta di don Nicola Bux e infine la replica del Distretto italiano della Fraternità Sacerdotale San Pio X.
Un lettore di Sodalitium ha chiesto a don Francesco Ricossa un parere sul contenuto degli interventi. Pubblichiamo prima la risposta di don Ricossa (breve e incisiva) e poi gli interventi precedenti.

Caro F.
su ‘monsignor’ Bux ho già scritto su Sodalitium n. 65 (l’articolo sui tre anelli): è un vero modernista adepto del dialogo interreligioso. Che sia creduto un conservatore o tradizionalista la dice lunga su come i modernisti stiano ‘gestendo l’opposizione’ mettendo loro esponenti a capo dell’opposizione tradizionalista.
Quanto alla Fraternità, essa è ancora più irritante. Da un lato invoca lo stato di necessità (che esiste certamente, ma che richiede che il Papa non ci sia o sia impedito ad agire), dall’altro obietta a Bux tutti i privilegi loro concessi da “Papa Francesco” e predecessori, che li regolarizza di fatto. Ma se la Chiesa è in stato di necessità in quanto governata da modernisti, come mai i modernisti dicono che la Fraternità è cattolica, e le danno il diritto di celebrare, confessare, benedire le nozze ecc. (cosa che non fanno con noi)? Con questi argomenti i sacerdoti della Fraternità si danno la zappa sui piedi.
Infine, paradossalmente, Bux ha ragione, seppur per il motivo sbagliato: le messe della Fraternità sono valide (se dette da sacerdoti ordinati col rito cattolico, da vescovi consacrati col rito cattolico, cosa che ormai nella Fraternità non è più scontata) ma sono illecite, anzi sacrileghe. Non perché sarebbero fuori dalla comunione con Bergoglio, come dice Bux, ma per il motivo opposto: perché sono in comunione con Bergoglio.
don Francesco Ricossa

1) “Ho scoperto la Messa tridentina. Ma quanti dubbi!” / Con una risposta di monsignor Nicola Bux

Caro Valli, sono stato alla Messa in rito tridentino nella chiesa di Santi Celso e Giuliano, a Roma. Il celebrante era un giovane sacerdote, mi sembra dell’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote.
Nella chiesa c’è una bella immagine di san Giovanni Paolo II (sono molto devoto a questo santo) e da tale particolare deduco che i sacerdoti lì non siano lefebvriani. Pertanto non rischio scomuniche latae sententiae se decido di andarci più spesso, giusto?
Del resto, lo stesso san Giovanni Paolo II era stato nella sostanza tollerante con i fedeli “tradizionalisti” a condizione che riconoscessero l’autorità del pontefice e la liceità delle Messe in volgare.
Inoltre, se non sbaglio, il motu proprio del 2007 emanato da Benedetto XVI ha comunque permesso a tutti i fedeli che ne abbiano il desiderio di partecipare a Messe in rito tridentino, purché celebrate da sacerdoti lecitamente ordinati e in comunione con Roma.
La Messa tridentina è considerata una forma straordinaria del rito romano, e di per sé non è mai stata bandita. La regola dovrebbe essere questa fintantoché non ci siano nuove decisioni di papa Bergoglio. Conferma?
Le confesso che, come tutti quelli della mia generazione (sono nato nel 1982), sono cresciuto con le Messe in rito ordinario e non ho per niente dimestichezza con la liturgia tridentina, ma ne sono attirato.
Tra le differenze più evidenti, noto l’assenza della preghiera dei fedeli e del segno della pace (come mi era stato raccontato dai miei genitori). Non so se il brano del Vangelo coincide con quello del rito ordinario.
Nel complesso, si ha la sensazione che Cristo sia davvero il protagonista della celebrazione e non l’assemblea o il suo “presidente”.
Non vi sono i canti (con chitarre annesse!) che in base alla mia personale esperienza in alcuni contesti sembrano essere diventati più centrali della celebrazione eucaristica stessa.
Inoltre, il testo del Padre nostro dovrebbe rimanere quello tradizionale (a sua volta corrispondente quasi perfettamente alla versione greca risalente alla fine del primo secolo), senza gli adattamenti leciti ma poco convincenti che entreranno in vigore a novembre. Ho capito bene?
Lo ripeto: riconosco di non essere abituato alla liturgia tridentina e mi ci vorrà un po’ di tempo per acquisire familiarità. Ma ora che l’ho scoperta non la lascerò.
Mi può consigliare qualche lettura per aiutarmi in tal senso?
Lettera firmata

2) Risponde monsignor Nicola Bux

Caro Valli, la chiesa romana dei Santi Celso e Giuliano era la parrocchia nella quale fu battezzato Eugenio Pacelli, ilvenerabile papa Pio XII.
L’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote, a cui appartiene il celebrante della Messa di cui parla il lettore, è di diritto pontificio e quindi cattolico a pieno titolo. Esso celebra la Santa Messa nella forma straordinaria, chiamata comunemente tridentina.
È vero che in questa Messa risalta maggiormente la centralità di Cristo, perché il sacerdote appare davvero come ministro, servitore di Dio, decentrato rispetto all’altare e alla Croce.In questa Messa, poi, l’ordine delle letture è proprio, risalente a san Girolamo. Invece l’ordine delle letture della Messa nella forma ordinaria è stato confezionato dopo il Vaticano II.
L’Istituto di Cristo Re è uno degli istituti addetti a ciò. Invece la Fraternità Sacerdotale San Pio X, composta dai sacerdoti e fedeli che hanno seguito lo scisma dell’arcivescovo Lefebvre, non è rientrata nella comunione della Chiesa cattolica, nonostante l’atto di revoca delle scomuniche e la licenza del papa regnante riguardante la celebrazione dei sacramenti del matrimonio e della penitenza.
Quanto alla Santa Messa celebrata dai loro sacerdoti, valida anche se non legittima – appunto a motivo della perdurante non comunione – dovrebbe valere quanto stabilito dal Direttorio ecumenico per le confessioni separate da Roma; ossia, i fedeli che si trovano in regioni ove non fosse facile accedere a luoghi di culto cattolico possono supplire andando dagli ortodossi e appunto dai lefebvriani. Dove invece vi fossero chiese cattoliche, non dovrebbe esserci motivo per non andare alla Santa Messa celebrata da ministri in comunione con la Chiesa cattolica.
La ragione è che la legittima celebrazione dell’Eucaristia e la vera partecipazione ad essa, presuppongono come esistente la comunione ecclesiale, per consolidarla e portarla a perfezione(cfr Giovannni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 35). Tra comunione ecclesiale e comunione eucaristica c’è un nesso ineludibile.
Forse tutto ciò, nella confusione attuale, diventa difficile da comprendere. D’altronde se perdurasse lo scisma, e alla morte degli attuali vescovi della Fraternità subentrassero altri vescovi ordinati senza il mandato di Roma, costoro aprirebbero una successione di vescovi illegittimi analogamente a quanto avvenne per gli scismatici orientali ortodossi. E ciò è già avvenuto, in quanto monsignor Williamson, uno dei vescovi consacrati da monsignor Lefebvre, ha a sua volta consacrato altri due-tre vescovi. Le loro ordinazioni sarebbero valide, ma del tutto illegittime. Speriamo quindi che la FSSPX rientri nella comunione cattolica.
Sul Padre nostrorimando al recente libretto a più mani da lei curato, caro Valli: Non abbandonarci alla tentazione? Riflessioni sulla nuova traduzione del “Padre nostro” (Chorabooks, 2020).
Consiglio come letture utili: Claude Barthe, Storia del Messale tridentino, Solfanelli 2018. E, perdonando l’autocitazione: Nicola Bux, Come andare a Messa e non perdere la fede, II edizione, Il Giglio, 2016.
In Domino Iesu
Nicola Bux
https://www.aldomariavalli.it/2020/02/20/ho-scoperto-la-messa-tridentina-ma-quanti-dubbi-con-una-risposta-di-monsignor-nicola-bux/

3) “Valide ma illegittime”? Un intervento dei sacerdoti del Distretto italiano della Fraternità San Pio X

Nei giorni scorsi sul blog di Aldo Maria Valli è apparsa una risposta di monsignor Nicola Bux a una lettera, inviata da un lettore, che chiedeva maggiori lumi sulla Messa tridentina, dopo aver assistito ad una celebrazione dell’Istituto Cristo Re in una chiesa dell’Urbe.
Il sacerdote ne approfittava per spiegare diverse cose, tirando in ballo la Fraternità San Pio X, le cui Messe vengono definite “valide ma illegittime”, e che viene trattata alla stregua di una comunità non cattolica. Ne esce un discorso che, prima ancora di essere teologicamente e canonicamente lontano dalla realtà, è anche incoerente in sé stesso.
Monsignor Bux sostiene che la Fraternità San Pio X sia scismatica, mettendola al pari con le “chiese ortodosse” e dicendo che solo nel caso in cui non vi fosse altra possibilità, sarebbe lecito ricevere i sacramenti da noi (come dagli ortodossi). Facciamo solo notare che, anche da un punto di vista puramente legalistico (come è quello di mons. Bux), già nel 1994 (quindi nel pieno vigore delle cosiddette “scomuniche”) la Pontificia Commissione per l’Unità dei Cristiani, nella persona del cardinal E. Cassidy, rispondeva che la questione della Fraternità non era di sua competenza, essendo questa “una questione interna alla Chiesa cattolica”. Ugualmente, nel 2002 e 2003, la Pontificia Commissione Ecclesia Dei aveva precisato che l’assistenza alla Messa presso la Fraternità San Pio X poteva essere ammessa per soddisfare il precetto domenicale, e non solo in casi estremi. Le stesse concessioni del potere di confessare ovunque e di celebrare matrimoni e Messe nuziali, fatte da Papa Francesco ai preti della Fraternità (e citate dallo stesso mons. Bux), dovrebbero quantomeno fargli capire che il nostro caso non è considerato dalle “norme” alla stessa stregua di quello delle comunità separate. Quindi il parallelo fatto da mons. Bux è impietosamente smentito dai Papi stessi a cui fa riferimento; casomai è la Fraternità a chiedersi in che modo sia ancora cattolico chi ha alterato vistosamente le verità della fede per piacere al mondo, dal Concilio in poi. Per essere sacramentalmente uniti, infatti, ci vuole unità di governo, ma questa stessa è al servizio dell’unità nella vera fede, che mons. Bux nemmeno cita.
Mons. Nicola Bux ci dice che la comunione ecclesiale è essenziale per ricevere insieme la comunione sacramentale. Un principio bellissimo e giustissimo, smentito, però, da quella concessione di ricevere i sacramenti da membri di altre “chiese” da lui citata. A questa nuova dottrina del Vaticano II, contraria al Magistero di sempre, si oppone la Fraternità San Pio X, che appunto ritiene che la Chiesa sia Una. Proprio per opporsi a questa ed altre nuove dottrine, monsignor Lefebvre e la Fraternità sono incorsi in censure da noi sempre ritenute invalide. Mons. Bux, invece, contesta volentieri il Papa regnante, ma non ne assume alcuna conseguenza. Per lui, gravissime eresie possono essere diffuse nella Chiesa senza che questo renda lecita e necessaria una resistenza come quella che, coraggiosamente, intraprese monsignor Lefebvre.
Ma andiamo avanti: nella prima versione del testo, poi modificata (ma leggibile in copia cache e da noi salvata) mons. Bux scriveva quanto segue: «D’altronde se perdurasse lo scisma, e alla morte degli attuali vescovi della Fraternità subentrassero altri vescovi ordinati senza il mandato di Roma, costoro non sarebbero solo illegittimi come i primi, ma anche invalidi, e quindi le eventuali ordinazioni sacerdotali sarebbero nulle». Una tale enormità teologica, poi corretta perché, evidentemente, saltata agli occhi di qualcuno, non può essere scritta nemmeno per sbaglio da chi ha una conoscenza anche elementare della teologia sacramentaria, e fa il paio con quelli che dicono che se si nomina Papa Francesco nel canone la Messa diventa invalida. Mons. Bux aveva detto poco prima che si può andare a Messa dagli ortodossi in certi casi, perché la loro Messa è valida sacramentalmente: ma gli ortodossi ordinano vescovi senza mandato papale da mille anni, e nessuno dubita della validità di tali ordinazioni, che sono “solamente” illecite. Non solo: mons. Rangel, consacrato vescovo per L’Unione Sacerdotale San Giovanni Maria Vianey (Campos, Brasile) dai vescovi della Fraternità San Pio X nel 1991, si riconciliò con Roma nel 2001, e fu considerato (logicamente) dalla Santa Sede come validamente ordinato. Fortunatamente per lui, mons. Bux ha corretto un errore così grossolano; ma, intanto, ha lanciato il sasso e molti lettori possono essersi “bevuti” la prima versione.
Al lettore che ha scoperto la Messa tridentina, noi suggeriamo di andare ancora un po’ oltre: la sua «sensazione che Cristo sia davvero il protagonista della celebrazione e non l’assemblea o il suo “presidente”» è un ottimo punto di partenza per capire che, se i due riti esprimono concetti contraddittori, non possono convivere, ma si escludono. Non sono due versioni di uno stesso rito, ma due linguaggi per esprimere idee opposte su presenza reale, sacrificio della Messa e sacerdozio. Gli consigliamo anche noi delle letture: il Breve esame critico del Novus Ordo Missae, dei Cardinali Ottaviani e Bacci, facilmente reperibile in rete; il libro La Messa di sempre, di Mons. Lefebvre (disponibile presso le edizioni Piane); e anche, sempre di Mons. Lefebvre, Lo hanno detronizzato. Potrà, così, scoprire che, ad essere incompatibili, non sono solo i due riti, ma anche le due teologie, quella cattolica e quella modernista dei Papi del post concilio. Se vedrà che questo è vero, capirà anche le ragioni della resistenza della Fraternità San Pio X che, a differenza di alcuni contestatori dell’attuale Pontefice, non si è limitata a delle velleità, ma ha ritenuto la preservazione della Fede un bene fondamentale, più alto del diritto puramente positivo e da difendere ad ogni costo. Capirà che per poter avere dei preti che non vanno in un seminario dove devono accettare degli errori per essere ordinati, occorreva fare ciò che Monsignor Lefebvre ha fatto. Mons. Bux e alcuni prelati conservatori convengono che almeno in questo pontificato ci siano gravissimi errori, disseminati dalle più alte autorità della Chiesa. Possibile, allora, che questo per loro non sia importante, e che la professione della Fede non conti niente per loro? Un candidato al sacerdozio che si rende conto degli errori di Amoris laetitia o del Sinodo “amazzonico” dovrà fare lo gnorri per tutto il corso del suo seminario, fingendo di essere d’accordo? È questa una situazione accettabile per mons. Bux? O non è forse una situazione eccezionale, che rende leciti mezzi eccezionali, come quelli presi da mons. Lefebvre contro gli errori conciliari e post-conciliari?
Se il lettore seguirà la sua buona ispirazione, unirà la Messa tridentina alla Dottrina cattolica che la esprime e si troverà logicamente ad escludere gli errori: cioè entrerà nella realtà della Fede e non nello sterile legalismo. Non farà, cioè, come mons. Bux e scoprirà che la Messa tradizionale esprime delle verità che l’altro rito nega. In breve, sarà portato a fare una scelta di principio. Non di comodo.
A tutti quelli che volessero approfondire la questione, consigliamo le stesse letture, accompagnate anche da un buon manuale di teologia sacramentaria e da uno di ecclesiologia (magari il De Sacramentis di Padre Cappello, e il De Ecclesia di Billot o di Franzelin). Sulla situazione canonica della Fraternità potrebbe giovare il libro del Prof. Pasqualucci, La persecuzione dei “Lefebvriani”, Edizioni Solfanelli.
I Sacerdoti del Distretto italiano della Fraternità San Pio X

Don Ricossa scrive a Valli sul caso Gnocchi

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di Redazione

Interpellato sulla questione da più parti nel mondo della cosiddetta “tradizione cattolica” e non, il nostro Responsabile Nazionale Matteo Castagna ha così risposto: “Ho conosciuto Alessandro Gnocchi ai tempi in cui scriveva libri e teneva conferenze con Mario Palmaro. Le differenze dottrinali ci hanno sempre diviso, al di là della simpatia umana. Chi è “una cum” e comprende la critica necessaria alle presunte autorità romane, nel medio e lungo termine si trova in un conflitto interiore. Io l’ho risolto nel 2007, aderendo a quella che mi pare la soluzione che la Chiesa stessa propone a credere nei Suoi diversi atti: il sedevacantismo, per non incorrere nell’errore fallibilista, che fa molto male alle anime. Gnocchi ha compiuto un grave atto di apostasia, che mi ha sorpreso anche perché non credo che, oltre a Dio, il suo scrittore preferito, Giovannino Guareschi approverebbe. Mi dispiace e pregherò per lui, vittima di ambienti di dottrina ambigua, un po’ modernista, un po’ tradizionalista, fondamentalmente fallibilista. Nella sostanza quel “Centro che porta a sinistra” di cui è in libera vendita un ottimo libricino, dove la Fede diventa dialettica intellettualista”.

Dal sito di Sodalitium:

Don Francesco Ricossa è intervenuto sul blog di Aldo Maria Valli sul caso relativo al passaggio di Alessandro Gnocchi dal Cattolicesimo all’eterodossia moscovita.

Caro Valli,

 ho letto su Duc in altum la recensione del libro di Alessandro Gnocchi Ritorno alle sorgenti. Il mio pellegrinaggio a Oriente nel cuore dell’Ortodossia e sto seguendo il dibattito in corso nel blog, dibattito che reputo di una assoluta gravità. Non si può mettere infatti tra le questioni disputate l’appartenenza o meno alla Chiesa cattolica romana, fuori della quale non vi è salvezza.

La cosa più paradossale è che questa simpatia per l’“ortodossia” (uso le virgolette giacché i discepoli di Fozio e Michele Cerulario non sono ortodossi ma eterodossi, veri scismatici, senza virgolette, ed eretici), nasce tra cattolici stimati come più o meno “tradizionalisti”, e pertanto più o meno, in teoria, avversi al modernismo e agli errori del Vaticano II.

Da un lato, infatti, essi denunciano la protestantizzazione del “cattolicesimo” (scambiando erroneamente la Chiesa cattolica con i modernisti che l’hanno occupata e dei quali riconoscevano l’autorità), dall’altro ne sono degli esemplari rappresentanti.

Infatti, il Vaticano II promuove l’ecumenismo, in primis proprio con le “chiese ortodosse”, che da tempo fanno parte del Consiglio ecumenico delle Chiese; la riforma liturgica ha sistematicamente abbandonato la tradizione romana non solo in favore del protestantesimo, ma anche della tradizione liturgica orientale; ha cercato di mettere da parte il Primato papale e la monarchia pontificia, per sostituirla con un modello collegiale e sinodale di Chiesa simile al modello orientale; si orienta con Amoris laetitia all’accettazione del divorzio prendendo anche qui a modello la disciplina degli scismatici orientali, e potremo continuare a lungo con le similitudini tra le riforme conciliari e gli errori bizantini

È veramente paradossale che per disgusto del modernismo si cada in un’altra forma di modernismo, ignorando tra l’altro quanto la cosiddetta “ortodossia” sia influenzata dalla teologia protestante, in particolare anglicana. Nel suo articolo Gulisano esprime persino l’opinione che Lewis, che non entrò mai nella Chiesa cattolica ma che avrebbe appartenuto a un cristianesimo non confessionale, non sarebbe stato scismatico o eretico, quando la sua posizione assomiglia tanto agli esperimenti di Taizé.

Se poi ci si chiede come sia possibile che dei cattolici “tradizionalisti” abbiano potuto compiere questo passo o lo giustifichino, si deve rispondere che questi cattolici “tradizionalisti” non lo sono stati mai, ma sono piuttosto dei confusionari, influenzati nel contempo dal cattolicesimo modernista e dal Tradizionalismo fallibilista. 

In particolare a Paolo Gulisano, dopo aver letto la sua recensione, vorrei chiedere: ha aderito anche lui, come Gnocchi, alla “chiesa” moscovita (sempre pronta ad obbedire al padrone di turno, fosse anche Stalin)? E se non lo ha fatto, cosa lo trattiene dal farlo? Dal suo articolo, sinceramente, non lo capisco.

don Francesco Ricossa

https://www.aldomariavalli.it/2023/02/02/no-duc-in-altum-non-sostiene-la-religione-scismatica-come-potete-pensarlo/

Fonte: https://www.sodalitium.biz/don-ricossa-e-il-caso-gnocchi/

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