I due che erano tre: don Ricossa scrive ad Aldo Maria Valli
Segnalazione del Centro Studi Federici
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di don Francesco Ricossa
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Sono disponibili i filmati della conferenza tenutasi a Roma il 1 Marzo 2014: Mons. Benigni con San Pio X contro il modernismo
relatore: Don Francesco Ricossa
Nacque a Perugia nel 1862, fu ordinato sacerdote nel 1884 e subito dopo iniziò la collaborazione ad alcuni giornali cattolici locali.
Nel 1892, dopo la promulgazione della Rerum Novarum, insieme a don Cerruti, promotore delle Casse Rurali, fondò la prima rivista cattolica sociale d’Italia, Rassegna Sociale e divenne caporedattore de L’Eco d’Italia di Genova.
Nel 1895 si trasferì a Roma, dove per dieci anni si occupò di storia ecclesiastica, prima come addetto alla Biblioteca Vaticana e poi come professore al Seminario Romano.
Dal 1900 al 1903 fu anche direttore del quotidiano intransigente La Voce della Verità.
Dal 1902 curò la pubblicazione della Miscellanea di storia e cultura ecclesiastica, primo periodico italiano consacrato alla storia ecclesiastica, che uscirà sino al 1907.
È possibile che gli studi pubblicati sulla Miscellanea siano stati alla base della sua monumentale Storia Sociale della Chiesa, in sette volumi, che si interrompe purtroppo all’età medioevale.
Nel 1904, dopo l’elezione di Pio X, per don Umberto si aprirono le porte dei vertici della Curia vaticana: divenne infatti Sottosegretario degli Affari ecclesiastici straordinari, ritrovandosi ad assumere la quinta carica d’importanza all’interno della Segreteria di Stato.
Si deve al genio di Benigni la paternità della sala stampa vaticana. Per invogliare i quotidiani laici (“indipendenti”) a occuparsi correttamente delle vicende ecclesiastiche, Benigni pensò di ingraziarsi una parte di giornalisti (che oggi chiamiamo “vaticanisti”), riunendoli quotidianamente (ecco la “sala stampa”) e fornendo loro esaurienti (e ben impostate) informazioni, che il giorno seguente erano poi pubblicate su tutti i giornali. La strategia risultò efficace per preparare sulla stampa laica il terreno alla pubblicazione dell’enciclica Pascendi e per neutralizzare, almeno in parte, le successive campagne denigratorie della fazione modernista. Nacque così l’agenzia di stampa Corrispondenza di Roma (il n. 1 uscì il 23/5/1907, il 1282° e ultimo numero il 31/12/1912), che ebbe presto un’edizione francese, Corrispondance de Rome (dall’ottobre 1907). Bollettino “né ufficiale né ufficioso”, rifletteva gli orientamenti della Segreteria di Stato e non tardò a suscitare grandi polemiche negli ambienti cattolici e in quelli politici, come le aspre reazioni del governo massonico della III Repubblica francese.
Dal 1910 al 1912 un settimanale in lingua francese, Cahiers contemporaines, riportava gli articoli più importanti della Corrispondenza.
Nel 1912, pochi mesi prima della chiusura della Corrispondenza, mons. Benigni aprì una seconda agenzia d’informazioni, l’A.I.R. (“Agenzia Internazionale Roma”), col bollettino quotidiano Rome et le monde e il settimanale Quaderni romani, che usciva anche in edizione francese.
Le notevoli capacità organizzative di mons. Benigni diedero vita ad altri organi di stampa, come il Borromeus, per i componenti romani del SP, e il Paulus, indirizzato agli amici giornalisti.
All’estero SP disponeva di alcune pubblicazioni come La Vigie in Francia, la Correspondance Catholique nel Belgio, la Mys Katolycka in Polonia.
Inoltre Benigni era in stretta collaborazione con altre riviste antimoderniste indipendenti da SP, come La Riscossa dei fratelli Scotton e La Critique du libéralisme del sacerdote Barbier, in Francia.
Per dedicarsi maggiormente e più liberamene all’opera intrapresa, don Benigni lasciò l’incarico agli Affari ecclesiastici, sostituito da mons. Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, che nel processo per la canonizzazione di Pio X rimase indifferente alle pressioni di coloro che dipinsero Benigni come l’anima nera di Papa Sarto per impedire che il Pontefice fosse elevato agli altari.
Nel 1911 san Pio X creò per don Umberto un’ottava carica di Protonotario Apostolico Partecipante, il più alto titolo prelatizio, che sino ad allora era limitato a soli sette membri. Il prestigioso titolo fece capire al novello monsignore due cose: innanzitutto la preclusione a una eventuale futura nomina episcopale, ma anche l’incoraggiamento papale a continuare sulla strada intrapresa.
Fin dal 1909 Benigni lasciò l’appartamento in Vaticano e aprì in Via del Corso la “Casa san Pietro”, sede delle sue attività. Qui nacque il Sodalitium Pianum, di cui si è parlato diffusamente nella prima parte di questo numero.
Dopo lo scioglimento definitivo del SP, avvenuto il 25/11/1921, mons. Benigni, seppur amareggiato, seppe trovare la forza d’animo per proseguire le battaglie per l’integralità della Fede. Nel 1923 rilanciò l’AIR con il nome di Agenzia Urbs, che continuò le attività sino al 1928, curando la pubblicazione del bollettino settimanale Veritas e poi del mensile Romana.
Nel 1928 fondò l’Intesa Romana per la Difesa Sociale (IRDS), col motto “Religione, Patria, Famiglia”. È la fase fascistizzante della vita di mons. Benigni, certamente la meno originale e rappresentativa: Benigni cercò di usare il Fascismo in chiave anti-democristiana nello stesso modo in cui il regime usava in modo strumentale la Religione.
Mons. Benigni, calunniato e perseguitato dai suoi nemici, condusse gli ultimi anni della sua vita nella povertà più assoluta. Nella Disquisitio uno dei testimoni, il padre Saubat, intimo collaboratore di Benigni assicurò che Mons. Benigni, pur non avendo la cura delle anime, celebrava ogni giorno la Messa e si confessava ogni settimana nella chiesa di S. Carlo al Corso da un padre mercedario.
Mons. Benigni si spense a Roma il 27 febbraio 1934, “abbandonato e disprezzato dal clero”: al funerale presenziarono “7 o 8 senatori, da 12 a 15 deputati, una legione di giornalisti e persino 12 carabinieri in alta uniforme” ma furono presenti solamente due sacerdoti: il padre Saubat e il padre Jeoffroid.
Quasi 50 anni dopo la sua morte, il pensiero e l’opera di mons. Benigni divennero il punto di riferimento per la nostra rivista Sodalitium (fondata nel 1983).
[Estratto da Sodalitium n. 61]
Riceviamo e pubblichiamo questo articolo del sito di Aldo Maria Valli affinché sempre più persone possano capire cosa sia la “Contro-Chiesa” bergogliana:
di Aurelio Porfiri
Nei giorni scorsi abbiamo letto su Duc in altum [qui e qui] di una Messa secondo il rito tradizionale negata, nella diocesi di Trento, per il funerale di un uomo di quarantasei anni. In merito è forse il caso di fare qualche riflessione.
La diocesi ha affermato di non aver mai negato la celebrazione della Messa tridentina (con cui il defunto si era sposato e aveva celebrato il battesimo dei figli) ma che la famiglia stessa aveva ventilato l’ipotesi di usare il cimitero come alternativa alla chiesa parrocchiale. La diocesi afferma in un comunicato: “Al parroco di Revò il quale, a fronte della richiesta di celebrare in chiesa con il rito antico, correttamente si rivolgeva all’Ordinario diocesano per una valutazione del caso, gli stessi familiari ventilavano, contestualmente, l’ipotesi di celebrare le esequie presso il cimitero di Revò. Non si è quindi nemmeno posto il problema di autorizzare o meno la celebrazione, che è avvenuta in uno spazio pubblico e secondo il rito richiesto dai familiari. Va peraltro precisato che la celebrazione è stata presieduta da un sacerdote appartenente all’Istituto Mater Boni Consilii, associazione che apertamente non riconosce l’autorità pontificia, collocandosi di fatto fuori dalla comunione con la Chiesa cattolica”.
Ora, ci sono alcune cose poco chiare. Perché i familiari avrebbero ventilato di celebrare al cimitero se non c’era nessun problema per la chiesa? Se il problema fosse stato il sacerdote dell’Istituto Mater Boni Consilii, perché non proporre un sacerdote a scelta del vescovo che poteva celebrare la Messa tridentina in chiesa?
L’istituto ha precisato che il defunto era un caro amico di uno dei loro sacerdoti, don Ugolino Giugni, a cui è stato quindi chiesto di celebrare. In quanto alla loro posizione nella Chiesa, hanno precisato: “In linea di principio, il nostro Istituto (e ciascuno dei suoi membri) crede fermamente nella Chiesa, una, santa, cattolica, apostolica e romana, fuori della quale non vi è salvezza, e crede altrettanto fermamente nel primato di giurisdizione del Sommo Pontefice, Vicario di Cristo e Successore di Pietro”. Allora, qual è il problema? Il problema per la diocesi è che l’istituto segue la tesi di Cassiciaco, redatta da padre Michel Guérard de Lauriers (1898-1988), da alcuni anche chiamata sedeprivazionismo, secondo cui la cattedra di Pietro dal 7 dicembre 1965 sarebbe vacante e coloro che l’anno occupata successivamente (da Paolo VI in poi) sarebbero papi solo materialmente ma non formalmente. (Sulla posizione dell’Istituto Mater Boni Consilii si veda il libro di don Francesco Ricossa e Aldo Maria Valli Non ponti, ma scale. Dialogo sulla Chiesa dalle due sponde di un fiume, edito da Chorabooks).
Quindi, se questo (come immagino) può aver creato problemi alla diocesi, si sarebbe potuto proporre in alternativa un altro sacerdote che poteva celebrare lo stesso rito.
Su questo anche l’istituto risponde al comunicato della diocesi: “In linea di fatto, l’uso della chiesa parrocchiale è stato effettivamente richiesto al parroco di Revò il quale, come ammette la precisazione dell’arcivescovado, si è rivolto all’Ordinario, il quale ha rifiutato detto uso e concesso solo l’uso del cimitero. Se la Curia nega questo fatto, dobbiamo pensare che in un caso analogo verrà concesso, un domani, l’uso di una chiesa, parrocchiale oppure no? In realtà, concordiamo col principio che le chiese cattoliche non devono concedersi in uso ai non cattolici, ma la Curia non osa rammentare questo principio, di cui evidentemente si vergogna, giacché è ormai prassi comune concedere, temporaneamente o anche in maniera permanente, delle chiese ai non cattolici in grazia del cosiddetto ecumenismo, negandole solo ai cattolici che desiderano restare integralmente fedeli alla Tradizione della Chiesa e al rito promulgato da San Pio V, come pure è ormai prassi comune, seppur contrariamente al diritto canonico, concedere la sepoltura ecclesiastica anche ai pubblici peccatori, rifiutandola, come in questo caso, a un buon cristiano e padre di famiglia”.
Ora un’altra domanda si pone: il problema è la Messa o il sacerdote appartenente all’istituto?
Oltretutto il fatto che si sia concesso l’uso del cimitero fa sorgere altri dubbi: la Chiesa è un luogo sacro, ma in un certo modo non lo è anche il cimitero? Forse il fatto che lo stesso è comunale esonera la Chiesa dal sentirsi parte in causa? Se pure si volessero considerare i membri dell’istituto come in situazione irregolare, non è forse vero che è prassi consolidata invitare membri di altre religioni, anche non cristiane a parlare, e pure a predicare, nelle chiese? Un cristiano irregolare vale meno di un aperto non cristiano?
Nella Lumen gentium, parlando dei cristiani non cattolici (e non direi è il caso dell’istituto), viene detto: “La Chiesa sa di essere per più ragioni congiunta con coloro che, essendo battezzati, sono insigniti del nome cristiano, ma non professano integralmente la fede o non conservano l’unità di comunione sotto il successore di Pietro. Ci sono infatti molti che hanno in onore la sacra Scrittura come norma di fede e di vita, manifestano un sincero zelo religioso, credono amorosamente in Dio Padre onnipotente e in Cristo, figlio di Dio e salvatore, sono segnati dal battesimo, col quale vengono congiunti con Cristo, anzi riconoscono e accettano nelle proprie Chiese o comunità ecclesiali anche altri sacramenti. Molti fra loro hanno anche l’episcopato, celebrano la sacra eucaristia e coltivano la devozione alla vergine Madre di Dio. A questo si aggiunge la comunione di preghiere e di altri benefici spirituali; anzi, una certa vera unione nello Spirito Santo, poiché anche in loro egli opera con la sua virtù santificante per mezzo di doni e grazie e ha dato ad alcuni la forza di giungere fino allo spargimento del sangue. Così lo Spirito suscita in tutti i discepoli di Cristo desiderio e attività, affinché tutti, nel modo da Cristo stabilito, pacificamente si uniscano in un solo gregge sotto un solo Pastore. E per ottenere questo la madre Chiesa non cessa di pregare, sperare e operare, esortando i figli a purificarsi e rinnovarsi perché l’immagine di Cristo risplenda più chiara sul volto della Chiesa”.
Se si ha una tale apertura verso questi cristiani perché tanta durezza verso l’istituto? Certo, ci sono questioni teologiche non secondarie in ballo, ma la politica dei gesti di buona volontà e del dialogo non vale anche per loro?
Troppe domande senza risposta.
di Matteo Castagna
di Redazione
Non tutti possono camminare assieme. Le istruzioni di don Francesco Ricossa saranno particolarmente importanti per la nostra formazione, soprattutto per i nuovi arrivati, al fine di comprendere come si diventa dei buoni militanti cattolici.
Segnalazione del Centro Studi Federici
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Quest’anno, il 14-15 Maggio un bel numero di amici del Circolo Christus Rex ha partecipato al Pellegrinaggio a Loreto organizzato dai sacerdoti dell’Istituto Mater Boni Consilii.
E’ stata occasione di santificazione, adorazione e preghiera, ma anche di riflessione su chi siamo e sotto quale stendardo combattiamo, come ha spiegato molto bene don Francesco Ricossa al sacrario di Castelfidardo. E’ fortemente consigliato l’ascolto, per comprendere quale sia, oggi, la parte che teniamo noi cattolici, in seno alla Chiesa di Cristo Re:
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