L’ermeneutica della continuità tra il giovane Ratzinger e l’anziano Benedetto XVI
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
“Il cuore del problema: il modernismo agnostico”, lezione di don Francesco Ricossa al seminario di studi “Noi vogliamo Dio! 1962 – 2012: il Concilio contro la fede, i cattolici contro il Concilio” (Modena, 8/13/2012, VII giornata per la regalità sociale di Cristo):
Foto: Julia Kristeva, la psicanalista e filosofa atea invitata da Benedetto XVI a tenere un discorso alla giornata di Assisi del 2011.
Carlisti… italiani
Segnalazione del Centro Studi Federici
di don Francesco Ricossa
Strenne natalizie: il n. 73 della rivista Sodalitium
Segnalazioni del Centro Studi Federici
Il latino unisce le diocesi di tutto il mondo alla Chiesa Romana e alla Sede di Pietro
L’EDITORIALE DEL LUNEDI
di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/11/28/il-latino-unisce-le-diocesi-di-tutto-il-mondo-alla-chiesa-romana-e-alla-sede-di-pietro/
PERCHÉ ANDARE ALLA MESSA IN LATINO
Anche se Paolo VI celebrò, per la prima volta, la Messa in italiano Domenica 7 Marzo 1965, la data dell’entrata in vigore del Novus Ordo Missae in tutte le parrocchie è quella della Prima Domenica di Avvento del 1969 ossia 52 anni fa, da ieri.
Dal Giovedì Santo dell’anno 33 d.C., giorno in cui Nostro Signore Gesù ha celebrato la prima Messa, insegnando agli Apostoli, ossia ai primi Vescovi, i fondamentali del mirabile Mistero della Transustanziazione, ovvero sulla trasformazione di pane e vino nel Suo corpo, sangue, anima e divinità, attraverso formule ben precise, che solo il sacerdote può realizzare, la Chiesa ha elaborato il rito romano aggiungendo, progressivamente, preghiere conformi al Dogma per arricchire la liturgia.
Questa Messa fu celebrata sempre e codificata da san Pio V, a seguito della Controriforma e del Concilio di Trento. Questo atto si rese necessario per ovviare alle eresie di Lutero. La Bolla Quo Primum Tempore servì da accompagnamento al Messale e stabilì l’indulto perpetuo per la Sua celebrazione, prevedendo l’anatema per chiunque ne avesse l’ardire di cambiare anche uno iota.
Una risposta magisteriale potente della Chiesa Cattolica che, dunque, estendeva a tutti, non solo a Lutero, il dovere di attenersi all’unico rito che esprimeva in maniera perfetta la Fede tramandata fin dai secoli precedenti.
“La lingua propria della Chiesa Romana è la latina“, scrive san Pio X nella “Tra le sollecitudini” del 22 novembre 1903.
Leone XIII ha insegnato che “Gesù Cristo scelse per sé e consacrò la sola città romana. È qui che volle restasse in perpetuo la sede del suo Vicario“.
Papa Gelasio disse che “per mirabile disposizione di Cristo“, san Pietro scelse Roma come sede episcopale del Principe degli Apostoli. L’utilizzo della lingua latina unisce le diocesi di tutto il mondo alla Chiesa Romana e alla Sede di Pietro.
“La Chiesa – scrisse Pio XI nell’Officiorum Omnium del 1° agosto 1922 – abbracciando nel suo seno tutte le Nazioni […] esige per la sua stessa natura una lingua universale“.
Al contrario, lo scisma orientale e la pseudo-riforma protestante rompendo l’unità cattolica, hanno creato “chiese” autocefale e nazionali.
Pio XII, nell’enciclica Mediator Dei del 20 novembre 1947, attesta che l’uso della lingua latina, come vige nella gran parte della Chiesa, “è un chiaro e nobile segno di unità”, poiché l’unità si può fare solo nella Verità, non nella convivenza tra essa e l’errore.
Come possono rispondere oggi alla domanda “perché dite la Messa in latino?” i sacerdoti che lo fanno? In maniera succinta ma che dice tutto don Francesco Ricossa ha risposto così: “semplicemente perché così lo vuole la Chiesa Cattolica, nelle sue rubriche liturgiche e nelle sue leggi canoniche (can. 819 e 1257). Semplicemente, perché siamo Sacerdoti cattolici di rito latino“.
La domanda è stata posta recentemente anche al sottoscritto durante un dibattito sul canale televisivo nazionale La7. Ho replicato così: “andiamo alla Messa in latino perché siamo fedeli cattolici di rito romano; perché la Messa di San Pio V esprime in maniera perfetta la Fede che professiamo e non tolleriamo che la Tradizione venga adulterata, perché il Depositum Fidei non è ‘proprietà privata’ di nessuno, ma un tesoro da tramandare ed arricchire“.
Perciò non abbiamo alcuno scrupolo di coscienza nell’andare alla stessa Messa in cui si sono santificati tutti i più grandi santi della storia della Chiesa, da san Francesco d’Assisi a Padre Pio da Pietrelcina, da san Domenico a Massimiliano Kolbe e tanti altri.
I due che erano tre: don Ricossa scrive ad Aldo Maria Valli
Segnalazione del Centro Studi Federici
Calendario Sodalitium 2023: Leone XIII e il suo magistero a 120 anni dalla morte
Segnalazione del Centro Studi Federici
di don Francesco Ricossa
SEMPRE ANTICOMUNISTI
Segnalazione del Centro Studi Federici
I 60 anni del Concilio
Segnalazione del Centro Studi Federici
Mons. Benigni con San Pio X contro il modernismo
Sono disponibili i filmati della conferenza tenutasi a Roma il 1 Marzo 2014: Mons. Benigni con San Pio X contro il modernismo
relatore: Don Francesco Ricossa
Monsignor Umberto Benigni
Nacque a Perugia nel 1862, fu ordinato sacerdote nel 1884 e subito dopo iniziò la collaborazione ad alcuni giornali cattolici locali.
Nel 1892, dopo la promulgazione della Rerum Novarum, insieme a don Cerruti, promotore delle Casse Rurali, fondò la prima rivista cattolica sociale d’Italia, Rassegna Sociale e divenne caporedattore de L’Eco d’Italia di Genova.
Nel 1895 si trasferì a Roma, dove per dieci anni si occupò di storia ecclesiastica, prima come addetto alla Biblioteca Vaticana e poi come professore al Seminario Romano.
Dal 1900 al 1903 fu anche direttore del quotidiano intransigente La Voce della Verità.
Dal 1902 curò la pubblicazione della Miscellanea di storia e cultura ecclesiastica, primo periodico italiano consacrato alla storia ecclesiastica, che uscirà sino al 1907.
È possibile che gli studi pubblicati sulla Miscellanea siano stati alla base della sua monumentale Storia Sociale della Chiesa, in sette volumi, che si interrompe purtroppo all’età medioevale.
Nel 1904, dopo l’elezione di Pio X, per don Umberto si aprirono le porte dei vertici della Curia vaticana: divenne infatti Sottosegretario degli Affari ecclesiastici straordinari, ritrovandosi ad assumere la quinta carica d’importanza all’interno della Segreteria di Stato.
Si deve al genio di Benigni la paternità della sala stampa vaticana. Per invogliare i quotidiani laici (“indipendenti”) a occuparsi correttamente delle vicende ecclesiastiche, Benigni pensò di ingraziarsi una parte di giornalisti (che oggi chiamiamo “vaticanisti”), riunendoli quotidianamente (ecco la “sala stampa”) e fornendo loro esaurienti (e ben impostate) informazioni, che il giorno seguente erano poi pubblicate su tutti i giornali. La strategia risultò efficace per preparare sulla stampa laica il terreno alla pubblicazione dell’enciclica Pascendi e per neutralizzare, almeno in parte, le successive campagne denigratorie della fazione modernista. Nacque così l’agenzia di stampa Corrispondenza di Roma (il n. 1 uscì il 23/5/1907, il 1282° e ultimo numero il 31/12/1912), che ebbe presto un’edizione francese, Corrispondance de Rome (dall’ottobre 1907). Bollettino “né ufficiale né ufficioso”, rifletteva gli orientamenti della Segreteria di Stato e non tardò a suscitare grandi polemiche negli ambienti cattolici e in quelli politici, come le aspre reazioni del governo massonico della III Repubblica francese.
Dal 1910 al 1912 un settimanale in lingua francese, Cahiers contemporaines, riportava gli articoli più importanti della Corrispondenza.
Nel 1912, pochi mesi prima della chiusura della Corrispondenza, mons. Benigni aprì una seconda agenzia d’informazioni, l’A.I.R. (“Agenzia Internazionale Roma”), col bollettino quotidiano Rome et le monde e il settimanale Quaderni romani, che usciva anche in edizione francese.
Le notevoli capacità organizzative di mons. Benigni diedero vita ad altri organi di stampa, come il Borromeus, per i componenti romani del SP, e il Paulus, indirizzato agli amici giornalisti.
All’estero SP disponeva di alcune pubblicazioni come La Vigie in Francia, la Correspondance Catholique nel Belgio, la Mys Katolycka in Polonia.
Inoltre Benigni era in stretta collaborazione con altre riviste antimoderniste indipendenti da SP, come La Riscossa dei fratelli Scotton e La Critique du libéralisme del sacerdote Barbier, in Francia.
Per dedicarsi maggiormente e più liberamene all’opera intrapresa, don Benigni lasciò l’incarico agli Affari ecclesiastici, sostituito da mons. Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, che nel processo per la canonizzazione di Pio X rimase indifferente alle pressioni di coloro che dipinsero Benigni come l’anima nera di Papa Sarto per impedire che il Pontefice fosse elevato agli altari.
Nel 1911 san Pio X creò per don Umberto un’ottava carica di Protonotario Apostolico Partecipante, il più alto titolo prelatizio, che sino ad allora era limitato a soli sette membri. Il prestigioso titolo fece capire al novello monsignore due cose: innanzitutto la preclusione a una eventuale futura nomina episcopale, ma anche l’incoraggiamento papale a continuare sulla strada intrapresa.
Fin dal 1909 Benigni lasciò l’appartamento in Vaticano e aprì in Via del Corso la “Casa san Pietro”, sede delle sue attività. Qui nacque il Sodalitium Pianum, di cui si è parlato diffusamente nella prima parte di questo numero.
Dopo lo scioglimento definitivo del SP, avvenuto il 25/11/1921, mons. Benigni, seppur amareggiato, seppe trovare la forza d’animo per proseguire le battaglie per l’integralità della Fede. Nel 1923 rilanciò l’AIR con il nome di Agenzia Urbs, che continuò le attività sino al 1928, curando la pubblicazione del bollettino settimanale Veritas e poi del mensile Romana.
Nel 1928 fondò l’Intesa Romana per la Difesa Sociale (IRDS), col motto “Religione, Patria, Famiglia”. È la fase fascistizzante della vita di mons. Benigni, certamente la meno originale e rappresentativa: Benigni cercò di usare il Fascismo in chiave anti-democristiana nello stesso modo in cui il regime usava in modo strumentale la Religione.
Mons. Benigni, calunniato e perseguitato dai suoi nemici, condusse gli ultimi anni della sua vita nella povertà più assoluta. Nella Disquisitio uno dei testimoni, il padre Saubat, intimo collaboratore di Benigni assicurò che Mons. Benigni, pur non avendo la cura delle anime, celebrava ogni giorno la Messa e si confessava ogni settimana nella chiesa di S. Carlo al Corso da un padre mercedario.
Mons. Benigni si spense a Roma il 27 febbraio 1934, “abbandonato e disprezzato dal clero”: al funerale presenziarono “7 o 8 senatori, da 12 a 15 deputati, una legione di giornalisti e persino 12 carabinieri in alta uniforme” ma furono presenti solamente due sacerdoti: il padre Saubat e il padre Jeoffroid.
Quasi 50 anni dopo la sua morte, il pensiero e l’opera di mons. Benigni divennero il punto di riferimento per la nostra rivista Sodalitium (fondata nel 1983).
[Estratto da Sodalitium n. 61]