LA SINERGIA TRA LE FORZE DEL MULTIPOLARISMO

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Discorso alla 1° Conferenza europea sul multipolarismo del 4 settembre 2023

La transizione dall’amministrazione di Donald Trump a quella guidata da Joe Biden ha portato a un significativo cambiamento della politica estera statunitense.

Il miliardario newyorkese è stato formalmente issato alla Casa Bianca per soddisfare le richieste della classe media americana impoverita e delusa dall’eccessiva esposizione militare degli Stati Uniti nel mondo, sfruttando un sentimento di frustrazione che, non a caso, era già stato evidenziato da uno dei massimi analisti dei circoli di potere a stelle e strisce, Samuel Huntington.

In realtà, si è trattato dell’ennesimo “bait and switch” della geopolitica statunitense; Trump – il candidato ideale per raccogliere le proteste di questa componente risentita della società americana – è stato utilizzato per cercare di bloccare l’ascesa pacifica della Repubblica Popolare Cinese e soprattutto il suo progetto di Nuova Via della Seta terrestre e marittima che stava trasformando il processo di globalizzazione da unipolare a multipolare (facendo perdere agli Stati Uniti il loro dominio universale). Da qui la retorica della Casa Bianca sull’America First, sul protezionismo e sulle tariffe commerciali, metodi che si sono però rivelati inefficaci vista la stretta interconnessione tra le prime due economie del mondo.

Al protagonismo di Pechino, basato sui principi BRICS di non ingerenza negli affari interni degli Stati sovrani, di rispetto delle differenze culturali-religiose dei singoli Paesi (anche per quanto riguarda il modello di sviluppo) e di sostegno all’economia reale ma non speculativa, si è ovviamente unita anche Mosca, soprattutto dopo le sanzioni euro-atlantiche del 2014 per la questione della Crimea; il Cremlino ha reagito ad esse con un più intenso riavvicinamento economico alla Cina e con un intervento militare in Siria che ha sconvolto i piani statunitensi per il “Grande Medio Oriente”, secondo una logica che si potrebbe definire di “divisione internazionale del lavoro eurasiatico”. (La Russia usa lo strumento militare, la Cina quello economico). Fallito il tentativo trumpiano di staccare la Russia dalla Cina, con il pretesto della pandemia si è via via riproposto il vecchio schema della “guerra fredda”, della divisione del mondo in blocchi, dello scontro anche ideologico tra “autocrazie” e “democrazie”. A quel punto, il candidato naturale per l’establishment statunitense è diventato Joe Biden, il presidente che più probabilmente recupererà l’Europa all’interno del blocco guidato da Washington attraverso la NATO dopo le tribolazioni dell’era Trump.

Prima di insediare la Cina – considerata dagli Stati Uniti il vero rivale strategico per la governance mondiale – Washington cerca di sbarazzarsi del principale alleato di Xi Jinping, ovvero Vladimir Putin, per sostituirlo con un “fantoccio” disposto ad accettare il ruolo marginale di Mosca all’interno dell’ordine unipolare statunitense e la frammentazione della Federazione Russa.

A questo punto è necessario un ulteriore chiarimento. Molti parlano già di multipolarismo come di un processo pienamente avviato, in realtà siamo ancora in una fase di transizione che la diplomatica russa Marija Chodynskaja Goleniščeva ha brillantemente definito qualche anno fa come “dualismo policentrico”: “L’unipolarismo e l’unipolarismo pluralista (quello che gli americani chiamano multilateralismo), modelli tipici degli anni Novanta e dei primi anni Duemila, cominciano a cedere il passo all’ordine mondiale policentrico. Questo processo, difficile e irregolare, incontra la resistenza di Stati abituati a dominare la scena mondiale e che hanno perso la capacità di negoziare per raggiungere compromessi che tengano conto degli interessi delle altre parti e presuppongano la disponibilità a fare concessioni. D’altra parte, la crescita del peso politico specifico degli “attori non convenzionali” (in primo luogo dei Paesi della regione) sulla scena internazionale, il loro desiderio di partecipare più attivamente al processo decisionale su questioni mondiali fondamentali porta a un profondo coinvolgimento di questi Stati nei conflitti che riguardano i loro interessi nazionali. Tutto ciò rende la situazione imprevedibile, porta alla “frammentazione” dei conflitti in aree di intersezione degli interessi degli attori politici globali e regionali e rende la risoluzione delle crisi mutevole in assenza di una metodologia adeguata alla realtà odierna.

Il filosofo geopolitico eurasiatico Aleksandr Dugin ha giustamente separato e distinto il concetto di multilateralismo – una comoda situazione di facciata che serve solo a distinguere la disuguaglianza tra l’egemone (gli USA) e i suoi vassalli (le nazioni dell’Alleanza Atlantica) – da quello di multipolarità, concetto caro a chi non accetta l’egemonia unipolare statunitense sul pianeta. Non ci possono essere compromessi tra i sostenitori dei due campi, tanto più che l’enunciazione di principi guida da parte di Putin e la sistematizzazione di strumenti militari ed economici alternativi (CSTO, Banca dei BRICS, OCS…) ha ulteriormente ampliato il divario tra le rispettive parti. Tornando a Dugin, egli sostiene che “un mondo multipolare non è un mondo bipolare perché nel mondo di oggi non c’è nessuna potenza che possa resistere con le proprie forze al potere strategico degli Stati Uniti e dei Paesi della NATO, e inoltre non c’è nessuna ideologia generale e coerente in grado di unire gran parte dell’umanità in chiara opposizione ideologica all’ideologia della democrazia liberale, del capitalismo e dei diritti umani, su cui gli Stati Uniti fondano ora una nuova, unica ideologia. Né la Russia moderna, la Cina, l’India o qualsiasi altro Stato possono pretendere di essere un secondo polo in queste condizioni. Il ripristino del bipolarismo è impossibile per ragioni ideologiche e tecnico-militari…”. In realtà, proprio il rispetto da parte dei BRICS e dei loro alleati dei principi condivisi di non ingerenza negli affari interni degli Stati sovrani, unito all’affermazione delle specificità culturali, dei modelli economici specifici (produttivi contro finanziari) e delle diverse visioni del mondo (basti pensare al concetto di “famiglia”), ha già diviso lo scacchiere geopolitico tra due poli in costante competizione tra loro in tutte le aree del pianeta. L’accelerazione della competizione tra i due campi negli ultimi anni ha infatti costretto in un modo o nell’altro tutti gli Stati nazionali a schierarsi da una parte o dall’altra. In conclusione, se è vero che attualmente non viviamo ancora in un sistema geopolitico multipolare, è altrettanto vero che la conditio sine qua non del suo completamento è il passaggio a una nuova fase bipolare che, pur non basandosi più sulla storica contrapposizione ideologica tra capitalismo e marxismo, conserva comunque differenze epocali di visione del mondo. Non si tratta quindi solo di proporre una riorganizzazione delle relazioni internazionali o di interpretare l’attuale fase storica come il passaggio dalla competizione geopolitica a quella geoeconomica, ma di approfondire ulteriormente la sinergia già esistente tra le forze che tendono a favorire il multipolarismo per far capire che l’attuale precario equilibrio bipolare può essere rotto solo con il ridimensionamento strategico degli Stati Uniti d’America. Solo quando Washington accetterà o sarà costretta a rinunciare al suo tentativo di egemonia mondiale, di fronte all’evidenza della sua incapacità di guidare il pianeta, si realizzerà l’agognato sistema multipolare; nel frattempo, la fase intermedia non potrà che essere sempre più bipolare, come gli ultimi avvenimenti stanno evidenziando: il trinceramento del mondo atlantico, Europa compresa, a difesa della supremazia del dollaro statunitense.

Allo stesso tempo, la fine dell’eurocentrismo richiede una nuova idea-forza da parte dei sostenitori del mondo multipolare che imponga la fine dell’assunto di occidentalizzazione-modernizzazione-liberismo-democrazia-diritti umani/individuali come unico progresso possibile dell’umanità. Un processo di cambiamento culturale che dovrebbe essere coordinato con i Paesi BRICS, ai quali potrebbero presto aggiungersi almeno altre 20 nazioni di varie parti del globo.

Dovrebbero poi riconoscere il ruolo della Russia come Piemonte d’Europa e cercare di coagulare tutte quelle forze genuinamente antiamericane presenti all’interno del Vecchio Continente (tenendo presente la subordinazione e la complicità dell’Unione Europea con l’imperialismo statunitense).

Una transizione pacifica dall’unipolarismo al multipolarismo potrebbe essere più conveniente per tutti. Il mondo sarebbe diviso in zone d’influenza in cui le potenze regionali e vicine si attivano per risolvere eventualmente le varie questioni in modo pacifico: è il modello che ho definito globalizzazione multipolare, perché si basa su diversi attori-civiltà e sulla composizione possibilmente win-win degli interessi. Ma la vittoria militare russa in Ucraina e il completamento del processo di dedollarizzazione già in atto costituiscono le premesse indispensabili.

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/la-sinergia-tra-le-forze-del-multipolarismo

In guerra la verità è la prima vittima

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/10/31/in-guerra-la-verita-e-la-prima-vittima/

ELON MUSK HA ACQUISTATO TWITTER PER 44 MILIARDI DI DOLLARI. IL MAGNATE AMERICANO PROMETTE CHE IL SUO SOCIAL NON AVRÀ PIÙ PARTICOLARI CENSURE

Elon Musk ha appena acquistato Twitter per 44 miliardi di dollari. Il magnate americano promette che il suo social non avrà più particolari censure. Detto, fatto: l’analista di guerra, sempre americano, Scott Ritter torna, dopo la sospensione, ricevuta in primavera, per aver messo in discussione la versione ufficiale sulla strage di Bucha. E il primo tweet è: “Sono tornato, test test test…Bucha è stato un crimine di guerra commesso dall’Ucraina“.

I progressisti vanno nel panico. Per Musk si prospetta il “trattamento Zuckerberg”, per portarlo dal “Lato Giusto della Storia”. Pare che le sinistre globali, quelle che a parole sono sempre paladine del pluralismo e della libertà di espressione, siano in preda ad un vero e proprio tracollo nervoso, con annesso travaso di bile. Abbiamo, dunque, l’opportunità di comprendere cosa le élite occidentali globaliste intendano effettivamente col termine “libertà di parola”. Ne hanno parlato il docente di giornalismo Jeff Javis e Brynn Tannehill con un articolo sul The New Republic.

La tesi di fondo è che un internet, ovvero Twitter, liberi, in cui le informazioni circolano in maniera non controllata, costituirebbero un ritorno alla dittatura fascista. Il timore è direttamente rivolto nei confronti di Donald Trump e suoi fiancheggiatori, che diffonderebbero menzogne, favorendo una disinformazione che, nel tempo, andrebbe a coprire la verità, compromettendo la democrazia. Eppure, Trump ha guidato per un intero mandato gli Stati Uniti d’America, che non appaiono minimamente come una forma di dittatura di estrema destra. Ma, tant’è. Secondo Tannehill le cattive idee non si combattono con le buone idee, ma con la censura. Perciò, il mondo progressista americano arriva a dire che sarebbe la libertà a portare alla dittatura. Non solo. Poche le rimostranze provengono tutte dalla galassia di sinistra, la libertà è propaganda di destra.

Il New York Times ha già etichettato Elon Musk come “un agente del caos geo-politico”, proprio per alcune sue posizioni lontane dalla narrativa mainstream e per lo spazio che ha dichiarato di voler dare a Donald Trump e a gente come Scott Ritter, ex ufficiale dei servizi segreti della Marina degli Stati Uniti, già nello staff del generale Schwarzkopf durante la Guerra del Golfo, e dal 1991 al 1998 ispettore delle Nazioni Unite.

Nel VI secolo a.C. il grande drammaturgo greco Eschilo scriveva che “in guerra, la verità è la prima vittima” perché domina la propaganda di parte. Il terribile video della dozzina di cadaveri legati a terra, mentre a Bucha passa un convoglio ucraino, ha sconvolto il mondo. Gli americani hanno immediatamente dato la colpa dell’assassinio dei civili alla Russia e detto che Putin va considerato un criminale di guerra. Il Cremlino ha fermamente smentito le responsabilità ma, oggi, tutti credono che Bucha sia il simbolo della ferocia dei russi sul popolo ucraino. La gente sta, dunque, “dal Lato Giusto della Storia” perché glielo ha assicurato il Presidente Joe Biden e tutti i leader occidentali.

Ma Ritter scrive, il 7/4/2022: “La verità su ciò che è accaduto a Bucha sta là fuori, in attesa di essere scoperta. Purtroppo, questa verità sembra essere scomoda per coloro che si trovano nella posizione di poterla perseguire in modo aggressivo attraverso un’indagine forense eseguita sul posto. Se alla fine emergesse che la Polizia Nazionale ucraina ha ucciso civili ucraini per il crimine di aver presuntivamente collaborato con i russi durante la loro breve occupazione di Bucha, e che le forze che rappresentano il diritto internazionale sono pronte ad agire contro i veri perpetratori di questo crimine, ogni vera ricerca della giustizia dovrebbe includere i governi sia degli Stati Uniti che del Regno Unito come cospiratori consapevoli dei crimini presi in esame”. Questa sarebbe la “disinformazione” che andrebbe censurata, secondo gli anglo-americani, Ue a traino. Vi ricorda nulla del passato?

Orban: “L’unica speranza per la pace in Ucraina è Donald Trump”

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Joe Biden non è il mediatore adatto a causa degli attacchi verbali sferrati contro Putin

“La tregua non deve avvenire fra Russia e Ucraina, ma fra l’America e la Russia”.

Lo ha detto il premier ungherese, Viktor Orban, a Berlino, intervenendo a una conferenza promossa dal media online Cicero e dalla Berliner Zeitung.

Joe Biden non è il mediatore adeguato, secondo il leader del Fidesz, a causa degli aspri attacchi verbali sferrati nei mesi scorsi contro Putin: “adesso suonerà brutale quello che dico, ma la speranza per la pace si chiama Donald Trump”.

Orban ha espresso esplicita nostalgia per la leadership di Angela Merkel: “Quello che ha fatto durante la crisi della Crimea è stato un capolavoro”. Alla domanda se la cancelliera avrebbe potuto evitare la guerra attuale, la sua risposta è sì: “già nel 2014 Merkel ha evitato che si arrivasse a una guerra a causa dell’annessione russa”.

“Non hanno permesso che la cosa andasse in un’escalation e che ci coinvolgesse tutti”, ha concluso. Orban ha incontrato ieri Olaf Scholz in cancelleria.

Fonte: https://lavocedinewyork.com/news/2022/10/11/orban-lunica-speranza-per-la-pace-in-ucraina-e-donald-trump/

Afghanistan, “dietro ai talebani c’è la Cina”. Fonti qualificate: “Li stanno sommergendo di denaro e non solo”

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Franco Frattini è stato due volte ministro degli Esteri nei governi di Silvio Berlusconi, quindi sa bene di cosa parla quando si tratta di Afghanistan. I talebani hanno appena ripreso il potere e fatto ripiombare nell’oscurità l’intero Paese. Intervistato dal Tempo, Frattini ha definito quanto accaduto in Afghanistan un “fallimento terribile”, soprattutto perché gli afghani “dovevano ancora essere accompagnati per lunghi anni verso il consolidamento della normalizzazione”.

A capirlo, secondo l’ex ministro, sarebbero stati soltanto i russi: “Conoscono bene gli afghani, così come li conoscono anche i paldstani. Il Pakistan di chi è grande alleato? Della Cina, che in questo momento sta sommergendo lo stesso Pakistan e i talebani di denaro e non so cos’altro. Un’alleanza diabolica Cina-Pakistan vuol dire consegnare l’Afghanistan alla Cina”. Ma cosa si può fare a questo punto? “La comunità internazionale non può abbandonare l’Afghanistan – ha dichiarato Frattini – la Cina ha un interesse vitale di cui nessuno parla. In questo Paese c’è la riserva di minerali sotterranei maggiore del mondo”.

Inoltre secondo l’ex ministro degli Esteri in Afghanistan si è consumata la sconfitta degli Stati Uniti: “Si può certo parlare dello storico e clamoroso errore delle amministrazioni americane degli ultimi anni. A partire dagli annunci trionfanti di Donald Trump che diceva di ‘accordo fatto con i talebani’. Da qui il ritiro delle truppe Use dall’Afghanistan. Certo, Joe Biden ha sbagliato tutto in questa fase, seguendo i tempi dettati da Trump. Il presidente Usa doveva calibrare la tempistica”.

Fonte: https://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/28337870/afghanistan-dietro-talebani-cina-li-stanno-sommergendo-denaro-cosa-vogliono-davvero.html

L’intervista che Facebook censura: ecco cosa ha detto Trump in tv

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L’intervista a Donald Trump condotta dalla nuora Lara, moglie di Eric, è stata rimossa da Facebook. Prosegue la guerra dei Colossi Big Tech contro l’ex Presidente Usa. Ira dei repubblicani

di Roberto Vivadelli

L’ex Presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump non solo non può avere un account su Facebook e Instagram – oltre a YouTube – ma non può nemmeno essere intervistato.

Non è un lontano mondo dispotico ma è la realtà che stiamo vivendo, dove i colossi Big Tech stanno, sempre di più, decidendo chi può prendere parola o meno, cosa è verità e cosa non lo è, in maniera del tutto arbitraria e pericolosamente ideologica, ovviamente a danno dei conservatori di tutto il mondo. Lara Trump, moglie del figlio del tycoon, Eric, ha intervistato suo suocero sulla sua pagina in un videoclip subito rimosso da Facebook. Come riporta l’agenzia Adnkronos, si tratta di un’ulteriore mossa adottata da Facebook nei confronti di Trump, dopo che a gennaio aveva chiuso il suo profilo Twitter in seguito all’assalto al Congresso da parte dei suoi sostenitori. “In linea con il blocco che abbiamo posto agli account Facebook e Instagram di Donald Trump, ulteriori contenuti pubblicati con la voce ‘Donald Trump’ verranno rimossi e comporteranno ulteriori limitazioni sull’account“, si legge in un’e-mail. Una decisione che Lara Trump ha definito “orwelliana”. “Stiamo andando verso 1984 di George Orwell, è proprio così” ha commentato sui social media. Continua a leggere

Il discorso della giudice Barret, nominata da Trump alla Corte suprema

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Lei si dichiara cattolica, tradizionalista, è pro-life, ostile all’ideologia gender, ha 7 figli e perfino una bella presenza. Quindi è già bocciata dai soloni del politicamente corretto. Per loro è già cattivissima. (n.d.r.)

Donald Trump ha nominato Amy Coney Barrett come candidata a prendere il posto alla Corte Suprema lasciato libero dalla morte di Ruth Bader Ginsburg. La nomina, la terza di questo tipo in appena quattro anni di mandato per Trump, era attesa (e aveva già sollevato il solito tristo coro contrario) ed è stata ufficializzata dal presidente americano alle 17 di sabato a Washington.

La Barrett, cattolica e pro-life, ha contro tutto il bel mondo abortista e liberal, perché nel 2020 puoi avere tutte le idee e i valori che vuoi, tranne alcuni.

Ora la sua candidatura dovrà passare al vaglio di un’apposita commissione, il Senate Committee on the Judiciary, comunemente chiamato “Senate Judiciary Committee”, che, con audizioni e disamine, deciderà se inviare lei, come fa con qualsiasi federale, al voto finale dell’intero Senato con parere positivo, negativo o neutrale, 100 seggi che si esprimeranno, come è oramai prassi, a maggioranza semplice.

Pubblichiamo di seguito una nostra traduzione di lavoro del discorso che la Barret ha tenuto alla Casa Bianca in occasione della sua nomina.

Di Amy Coney Barret*

Molte grazie, signor presidente. Sono profondamente onorata della fiducia che avete riposto in me. Sono molto grata a voi e alla First Lady, al Vice Presidente e alla Second Lady e a tanti altri qui per la vostra gentilezza in questa occasione piuttosto travolgente.

Capisco perfettamente che questa è una decisione importante per un presidente. E se il Senato mi farà l’onore di confermarmi, mi impegno ad adempiere alle responsabilità di questo incarico al meglio delle mie capacità. Amo gli Stati Uniti e amo la Costituzione degli Stati Uniti.

Sono veramente onorata dalla prospettiva di prestare servizio alla Corte Suprema, se dovessi essere confermata. Mi ricorderò di chi è venuto prima di me. La bandiera degli Stati Uniti sventola ancora a mezz’asta in memoria del giudice Ruth Bader Ginsburg per ricordare la fine di una grande vita americana. Il giudice Ginsburg ha iniziato la sua carriera in un momento in cui le donne non erano le benvenute nella professione legale. Ma non solo ha rotto queste barriere, le ha frantumate. Per questo ha conquistato l’ammirazione delle donne in tutto il paese e anche in tutto il mondo.

Era una donna di enormi talenti e successi, e la sua vita di servizio pubblico è un esempio per tutti noi. Particolarmente toccante per me è stata la sua lunga e profonda amicizia con il giudice Antonin Scalia, il mio mentore. I giudici Scalia e Ginsburg dissentirono ferocemente sulla stampa senza rancori personali. La loro capacità di mantenere un’amicizia calda e ricca, nonostante le loro differenze, ha persino ispirato un’opera. Questi due grandi americani hanno dimostrato che gli argomenti, anche su questioni di grande importanza, non devono necessariamente distruggere l’affetto. Sia nei miei rapporti personali che professionali, mi sforzo di soddisfare questo standard.

Ho avuto la fortuna di lavorare per il giudice Scalia e, data la sua incalcolabile influenza sulla mia vita, sono molto commossa all’idea di avere qui oggi membri della famiglia Scalia, inclusa la sua cara moglie Maureen. Ho lavorato per il giudice Scalia più di 20 anni fa. Ma le lezioni che ho imparato risuonano ancora. La sua filosofia giudiziaria è anche la mia. Un giudice deve applicare la legge come è scritta. I giudici non sono decisori politici e devono essere risoluti e mettere da parte le opinioni politiche che potrebbero avere. Il presidente mi ha chiesto di diventare il nono giudice e, guarda caso, sono abituato a stare in un gruppo di nove: la mia famiglia.

La nostra famiglia include me, mio ​​marito Jesse, Emma, ​​Vivian, Tess, John Peter, Liam, Juliet e Benjamin.

Vivian e John Peter, come ha detto il presidente, sono nati ad Haiti e sono venuti da noi a cinque anni di distanza quando erano molto piccoli, e il fatto più rivelatore di Benjamin, il nostro più giovane, è che i suoi fratelli e sorelle lo identificano senza riserve come loro fratello preferito. I nostri figli ovviamente rendono la nostra vita molto piena. Sebbene sia un giudice, sono meglio conosciuto a casa come rappresentante dei genitori, autista di car-pool e organizzatore di feste di compleanno. Quando le scuole sono passate alla modalità da remoto la scorsa primavera, ho provato un altro ruolo. Jesse e io siamo diventati co-presidi della Barrett E-Learning Academy. E sì, l’elenco degli studenti iscritti era molto lungo. I nostri figli sono la mia gioia più grande, anche se mi privano di ogni ragionevole quantità di sonno.

Non potrei gestire questa vita molto piena senza il sostegno incrollabile di mio marito, Jesse. All’inizio del nostro matrimonio, immaginavo che avremmo gestito la nostra famiglia come partner. Come si è scoperto, Jesse fa molto di più della sua parte di lavoro. Con mio grande dispiacere, ho appreso recentemente a cena che i miei figli lo considerano il cuoco migliore. Per 21 anni, Jesse mi ha chiesto ogni singola mattina cosa può fare per me quel giorno. E anche se dico quasi sempre “niente”, trova ancora il modo di sparecchiare. E non perché ha molto tempo libero. Ha uno studio legale molto attivo. È perché è un marito superbo e generoso e io sono molto fortunata.

Io e Jesse abbiamo una vita piena di relazioni non solo con i nostri figli, ma anche con fratelli, amici e babysitter senza paura, una delle quali è con noi oggi. Sono particolarmente grata ai miei genitori, Mike e Linda Coney. Ho trascorso la maggior parte della mia età adulta come un Midwesterner, ma sono cresciuto nella loro casa di New Orleans. E come possono testimoniare anche mio fratello e le mie sorelle, la generosità di mamma e papà si estende non solo a noi, ma a più persone di quante ne potremmo contare. Sono un’ispirazione. È importante in un momento come questo riconoscere la famiglia e gli amici. Ma questa sera voglio ringraziare anche voi, miei concittadini americani. Il presidente mi ha nominato per far parte della Corte suprema degli Stati Uniti e quell’istituzione appartiene a tutti noi.

Se confermata, non assumerei quel ruolo per il bene di chi fa parte della mia cerchia e certamente non per il mio bene.  Assumerei quel ruolo solo per servire. Adempirei al giuramento giudiziario, che mi richiede di amministrare la giustizia senza riguardi per le persone, dare lo stesso diritto ai poveri e ai ricchi e adempiere fedelmente e imparzialmente i miei doveri ai sensi della Costituzione degli Stati Uniti.

Non mi illudo che la strada davanti a me sarà facile, sia a breve che a lungo termine. Non avrei mai immaginato di trovarmi in questa posizione. Ma ora che lo sono, vi assicuro che affronterò la sfida con umiltà e coraggio. Membri del Senato degli Stati Uniti, non vedo l’ora di lavorare con voi durante il processo di conferma e farò del mio meglio per dimostrare che sono degna del vostro sostegno.

Grazie.

*Giudice, candidata alla Corte Suprema degli Stati Uniti

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Il formidabile (e censurato) discorso di Trump all’Onu

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di Giovanni Sallusti

Scusate, ma mentre nell’Italietta il partito scomparso dalle urne festeggia la vittoria elettorale e i leader dell’opposizione si rinfacciano le rispettive candidature sbagliate, fuori da qui è avvenuto qualcosina. Per esempio, un discorso alle Nazioni Unite del presidente della più grande democrazia globale, Donald Trump. Un discorso epocale, perché forse mai così esaustivamente quello che i media liberal ci presentano come un improvvisato col parrucchino aveva spiegato la sua visione dell’America, dunque del mondo. E lanciato le sue sfide geopolitiche, che non sono fumosa dottrina, ma urgenze dirimenti, chiariranno se vivremo liberi o a rischio internamento nei laogai cinesi, tanto per dire. Un discorso che i giornaloni hanno nascosto a pagina 23 e i tiggì accennato prima della pubblicità, pare che sia più importante per i nostri destini la probabile depressione di Michelle Obama.

Il doppiopesismo su Trump

Ebbene, proviamo a rimediare noi, che abbiamo molti difetti ma certo non la sudditanza alla narrazione modaiola, quella che vuole Trump come un restauratore del Ku Klux Klan. “75 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, siamo ancora una volta impegnati in una grande lotta globale”, debutta secco il Potus. Infatti, e qui Trump persevera in un suo vizio politicamente scorretto, quello di dare alle cose il loro nome, “siamo impegnati in una feroce battaglia contro il nemico invisibile, il virus cinese”.

Insiste, l’ostinato populista, anzi rilancia. Non solo da mesi chiama un agente patogeno che è deflagrato ovunque partendo da Wuhan “cinese”, ma ora lo fa nel tempio dell’ipocrisia internazionale, l’Onu. A scanso di equivoci: “Dobbiamo ritenere responsabile la nazione che ha scatenato questa piaga nel mondo: la Cina”. Nessun complottismo, bastano le omissioni e le menzogne iniziali, bastano gli arresti di medici e infermieri, basta il tentativo, chiaro fin da subito, di volgere l’epidemia sanitaria in pandemia economica a proprio vantaggio. “Nei primi giorni del virus, la Cina ha bloccato i viaggi a livello nazionale, consentendo però ai voli di lasciare la Cina e infettare il mondo”. Perché questo doppiopesismo, se non per una perversa politica “virale” di potenza? Un’ovvietà che nessuno aveva mai sbattuto in faccia al Dragone, tantomeno alle Nazioni Unite. Del resto, “il governo cinese e l’Organizzazione mondiale della Sanità- che è virtualmente controllata dalla Cina- hanno dichiarato falsamente che non c’erano prove di trasmissione da uomo a uomo”. Stanate infine dall’evidenza, “successivamente hanno falsamente detto che le persone senza sintomi non avrebbero diffuso la malattia”. Continua a leggere

I veri cattolici voteranno Trump

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Con la ripresa delle attività del gruppo dopo la pausa estiva, abbiamo avuto l’opportunità di conoscere Leonardo Motta, che vive in Sudamerica e che scriverà un Editoriale in esclusiva per noi, a partire da oggi , ogni lunedì. Si tratterà di argomenti piccati e interessanti, provocatori e di riflessione, di formazione e informazione.

L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Leonardo Motta

Il prossimo tre novembre i cattolici statunitensi non potranno votare che per Donald Trump.

Non stiamo parlando dei “cattolici” tra virgolette, cioè gli atei che vanno in Chiesa e sono favorevoli ad aborto, eutanasia, nozze gay ecc.

Stiamo parlando di coloro che professano la fede in Gesù Cristo, nella Chiesa Cattolica voluta dal Divino Maestro, nella fedeltà alla bimillenaria tradizione ecclesiale.

Utilizzando fenomeni incontrollabili (la cosiddetta pandemia da Covid-19) e controllabili (e fomentati) come le proteste razziali di stampo anarco-socialista (con venature anticristiane) e i media di regime, i Democratici hanno fatto e stanno facendo di tutto per screditare Donald Trump ed hanno persino candidato un falso cattolico (Joe Biden) per abbattere il miliardario newyorkese.

Ma Trump, impegnato in una corsa contro il tempo, senza aver recuperato terreno nei sondaggi (che non valgono poi così tanto, visto cosa è accaduto 4 anni fa per la prima elezione del Presidentissimo del Make America Great Again) e per molti osservatori nordamericani (quelli europei hanno i paraocchi, come 4 anni fa) dovrebbe spuntarla.

Il blocco dei gruppi evangelici che lo ha molto sostenuto si è ricompattato. E stavolta si uniranno anche i veri cattolici, cioè quelli fedeli alla tradizione, che certo non voteranno un abortista, garante delle lobby (come Planned Parenthood e le multinazionali del farmaco) e chi più ne ha più ne metta, come Biden.

I veri cattolici, unitamente agli evangelici e agli ebrei ortodossi, non permetteranno la vittoria di Biden e la conseguente scristianizzazione degli Stati Uniti. Continua a leggere

La fine del mondo e i falsi profeti

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Riceviamo e pubblichiamo una lunga ma interessante riflessione di una nostra attenta lettrice, che preferisce usare, pubblicamente, uno pseudonimo e che ci inoltra un suo scritto per la prima volta.

Le opinioni scritte dai lettori sono espressione del loro pensiero. Noi pubblichiamo qui, solo le lettere che ci appaiono avere spunti interessanti di riflessione ed eventualmente di discussione.

 

di Greta

“E tutti i signori temporali e i prelati ecclesiastici saranno dalla parte dell’Anticristo. E quelli che sono divisi tra loro, i Papi, i Re, i Vescovi e il clero, diranno: “Se il mio avversario mi denuncia a quest’uomo tanto potente, sono morto. Meglio che vada io prima di lui”. Così tutti gli presteranno obbedienza, e non ci saranno né Re né prelati senza che egli lo voglia.”

San Vicente Ferrer, Sermone sulla venuta dell’Anticristo

*****

(L’ ‘altro Vangelo’ di Monsignor Viganò)

Il 7 giugno del 2020, Monsignor Carlo Maria Viganò ha scritto una lettera aperta al presidente degli Stati Uniti Donald Trump, elogiandolo come “coraggioso difensore del diritto alla vita, che non si vergogna di denunciare le persecuzioni dei Cristiani nel mondo, che parla di Gesù Cristo e del diritto dei cittadini alla libertà di culto”.

Ma non solo; dopo avere descritto la battaglia spirituale che contrappone le forze del bene a quelle del male (“i figli della luce e i figli delle tenebre”), Viganò arriva a dichiararsi apertamente “compagno di battaglia” del presidente americano.

Donald Trump ha risposto dicendosi “molto onorato per l’incredibile lettera inviatagli dall’arcivescovo”, e augurandosi “che ognuno, religioso o meno, la legga”.

Di fatto la lettera è rimbalzata su tutta la stampa cattolica, senza esclusione per gli ambienti tradizionalisti, raccogliendo approvazioni unanimi. Il consenso ha riunito schieramenti fino ad oggi inconciliabili, perché a tessere le lodi di Monsignor Viganò sono state sia le pagine ufficiali della Fraternità San Pio X che quelle della Società Sacerdotale fondata da Monsignor Faure (SAJM), ma anche pagine apertamente sedevacantiste come la Catholica Pedia di Luis Hubert Remy e il Blog ufficiale di Monsignor Sanborn.

Il 27 giugno i quattro Vescovi della Resistenza hanno dichiarato ufficialmente il loro sostegno a Monsignor Viganò, e dal momento che la Società Sacerdotale degli Apostoli di Gesù e Maria, per esplicita dichiarazione del suo fondatore, si propone di “essere la continuazione dell’opera e della battaglia di Mons. Lefebvre nella fedeltà alla Fede di sempre”, è doveroso fare alcune osservazioni su quella che è “la Fede di sempre”.

1) Donald Trump ha divorziato due volte e si è sposato tre volte. Secondo “la fede di sempre” è un peccatore pubblico; per lo stesso peccato il Re d’Inghilterra Enrico VIII fu scomunicato dal Papa Clemente VII nel 1533. Continua a leggere

Qasem Soleimani era un patriota, per noi Sovranisti

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No. Non era un terrorista il generale Qasem Soleimani. Così come nessun rango militare di nessuna Nazione al mondo lo è. Quello che gli americani chiamano terrorista, imitati imprudentemente da qualche Pierino italiota, colui che è stato assassinato a Bagdad insieme al capo degli sciiti iracheni era non solo un militare coraggioso, uno stratega, ma addirittura un vero eroe per la larga maggioranza degli iraniani. Non era un criminale che si nascondeva e colpiva gli inermi Soleimani, ma un comandante militare al servizio della sua Nazione.

Uno talmente preparato e determinato da sconfiggere quei banditi sanguinari dell’Isis nati coi dollari Usa della psicotica Hillary Clinton e del Nobel per la pace Barak Obama. Uno che ha liberato e restituito al mondo intero, insieme ad un contingente di volontari russi, lo stupendo sito di Palmira che quelle bestie immonde volevano distruggere. Uno che, musulmano sciita, ha riconsegnato al culto di migliaia di cattolici iracheni e siriani le chiese che i tagliagole di al Bagdadi avevano chiuso e devastato. Strano esempio davvero di “terrorista”, questo Qasem Soleimani.

Come gli iraniani tutti. Che sono indoeuropei, non arabi. Nostri fratelli in tutti e per tutto. Per millenarie radici. Rispettosi della cristianita’ e della nostra identità. Ma da tempo additati come nemici per puro calcolo politico e per interesse economico.Quanto suona strana inoltre l’accusa di terrorismo al generale iraniano quando poi si omaggia e si armeggia con quella sorta di orrido Cicciobello saudita di nome Bin Salman che, fatto letteralmente a pezzi il giornalista Khashoggi nell’ambasciata di Istanbul, si compra l’impunità e il silenzio del mondo coi petrodollari della Aramco. Prima o poi ovunque, anche a Washington, dovranno arrendersi alla verità.

Prima o poi Donald Trump o chi gli dovesse succedere dovrà ammetterla questa elementare verità. Se non lo faranno loro sarà la Storia a costringerli.
Dovranno ammettere che non è l’Iran, la Persia culla di civiltà, il problema. Che non sono gli indoeuropei di Teheran che vogliono il male del mondo e attaccano questo Occidente tanto tronfio quanto pavido. Non un solo persiano è mai stato coinvolto, né mai lo sarà, in attentati contro popolazioni inermi. Sono tutti arabi e tutti sunniti quelli che hanno colpito e colpiranno. Dalle Torri gemelle in poi.Arabi istigati, istruiti e foraggiati da sauditi ed emirati.Qasem Soleimani non era un terrorista. Amava e serviva la sua Patria. Come tutti i patrioti del mondo.

Da https://www.secoloditalia.it/2020/01/qasem-soleimani-non-era-un-terrorista-era-un-patriota/

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