L’egemonia sub-culturale della sinistra

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di Marcello Veneziani

O noi o la Meloni, ripete Letta in versione tigrata. Un tempo la contrapposizione politica tra i due poli aveva una linea di confine: quelli di sinistra avevano un pensiero politico alle spalle, un’ideologia su cui fondavano l’egemonia culturale, nutrita da intellettuali; gli altri, invece, dai democristiani alle destre, dai berlusconiani ai leghisti, dai moderati ai conservatori, erano i pragmatici, che puntavano diritti sulla realtà, sui fatti, sulla pancia, sulle condizioni reali di vita. Il pensiero politico ha attecchito sempre poco alla politica di centro, di destra o di anti-sinistra. Il pregio e il limite della sinistra era l’approccio politico mediato dalla cultura, dagli intellettuali, dai temi ideologici.

Oggi, il retropensiero della sinistra non è un pensiero, non c’è una cultura politica alle spalle, gli intellettuali non contano nulla, spesso le menti migliori sono in dissenso sui temi cavalcati dai dem, dalle misure restrittive sulla pandemia all’interventismo militare filo-Nato, dall’insistenza ossessiva sui cavalli di battaglia del politically correct alla perdita di ogni visione sociale.

Spariti i grandi temi che facevano della sinistra la forza politica più vicina ai ceti proletari e operai, perdute le visioni politiche e sociali che caratterizzavano la lotta politica, cancellata ogni residua critica al sistema capitalistico e al modello occidentale, cosa è rimasto oggi nella sinistra, qual è la sua spina dorsale, il suo asse culturale, il perimetro dei suoi valori non negoziabili?

La difesa a oltranza dell’Unione Europea, il filo-atlantismo e la subalternità assoluta alla Nato e ai Dem americani, la difesa delle oligarchie e degli assetti di potere vigenti, la subalternità della politica alla tecnofinanza. Tutto questo ha un nome che è una password: la dragocrazia. Vista l’impossibilità di prevalere con una candidatura politica di sinistra, si rifugiano dietro il volto “neutrale” del Commissario straordinario, nel nome dell’Emergenza e del grido di guerra “Ce lo chiede l’Europa”. E’ quello che alcuni a sinistra denunciano come la riduzione del messaggio politico democratico e progressista al Verbo di Calenda e alle sue priorità draghiane.

Sul piano sociale e civile, la priorità effettiva della sinistra è il catechismo del politically correct, a partire dai temi legati ai sessi. Proprio ieri con grande, accorato dolore, la sinistra parlamentare con la sua stampa piangeva come se fosse una sciagura storica la mancata approvazione di una norma “inclusiva” sulla parità di genere, bocciata dal Senato grazie al prevalere del centro-destra. Era un provvedimento lanciato da una senatrice grillina e sostenuto da tutta la sinistra. La battaglia campale era, per spiegarci, su “il presidente” o “la presidente”, o sul “sindaco” e la “sindaca”. Che oltre ad essere una questione del tutto priva di sostanza e d’incidenza nella vita reale delle persone, ha solo una ricaduta ideologica e feticistica funzionale ai movimenti femministi e lgbtq+.

Infine, il terzo elemento ideologico su cui si fonda la sinistra odierna è la ripresa virulenta dell’antifascismo, ma di un antifascismo esagitato e puerile, di cui portavoce sono i quotidiani padronali de la Repubblica e del suo fratello minore torinese, e il loro vecchio cugino milanese, il Corriere. Con la benedizione di Mattarella. Ma a differenza del passato, quando c’era pur nella visione ideologica manichea e militante dell’antifascismo, uno sforzo di storicizzazione con argomentazioni derivate dalla ricerca storica, l’attuale antifascismo è solo viscerale, “di pancia”, allergico, basato sull’insulto, l’anatema e la demonizzazione. Il fascismo è ridotto a romanzo criminale e Mussolini a delinquente. Passi indietro non solo rispetto alla ricerca storica seria, quella alla De Felice per intenderci; ma anche rispetto alla storiografia antifascista più schierata, che almeno articolava un discorso storico e non ne faceva una questione di cronaca nera o di pura criminalità. E questa caricatura criminale del fascismo viene estesa senza una minima riflessione e mediazione culturale al centro-destra attuale, in totale continuità.

Dunque riduzione della politica a periferia delle oligarchie, draghizzazione della sinistra, riduzione del messaggio sociale alle idiozie del politicamente, sessualmente e lessicalmente corretto; più l’antifascismo al ketch-up, ignorante e sanguinolento. Qual è alla fine il risultato di questa nuova linea? L’avvento dell’egemonia deculturale della sinistra. Non più egemonia fondata sulla cultura organica e militante, però almeno erudita e pensante; ma egemonia fondata sulla deculturazione di massa, in cui la politica, la cultura, il dibattito delle idee, i percorsi di pensiero, vengono imbarbariti e ridotti a mere caricature. E’ nata l’egemonia sub-culturale della sinistra.

Negli anni scorsi la sinistra ha perso la sua anima popolare e proletaria, la sua critica al capitalismo, riducendosi a un radicalismo da ztl, snob e presuntuoso; ora si completa il processo e la sinistra diventa un centro di potere culturale privo di cultura, di pensiero politico, di elaborazione delle idee. Resta il potere sulla cultura al posto del potere della cultura. Gli ideologi sono gli influencer o i conduttori televisivi. Sparisce non solo Gramsci, ridotto a una caricatura liberale, una specie di personaggio da fumetto; ma perfino Eco viene sostituito da Veltroni, Asor Rosa e Cacciari da Fedez e Ferragni…

Insomma l’antico gap culturale tra destra e sinistra è stato finalmente abbattuto, ma la parificazione è avvenuta al ribasso: nel senso che anche la sinistra non ha più un orizzonte culturale, uno straccio di pensiero politico. Sicché alla destra resta una maggiore aderenza alla realtà, o almeno al gergo della realtà; alla sinistra manco quello. La sua egemonia mafiosa sulla cultura vige ancora ma sul piano dei contenuti è ridotta a un asterisco… Bella ciao.

 La Verità (29 luglio 2022)

Fonte: http://www.marcelloveneziani.com/articoli/legemonia-sub-culturale-della-sinistra/?fbclid=IwAR2KMjgNSgI1NwuFKasr4GWBsUi_EyDRT1WmW7bFPGEzTWEHSLA-yPHW_oU&fs=e&s=cl

La democrazia è nociva, abroghiamola!

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QUINTA COLONNA

di Marcello Veneziani

Cade la Dragocrazia, s’intravede malconcia la democrazia che torna con la politica e col popolo sovrano, con grave scorno dei poteri alti, di Mattarella e del Pd. Ma andiamo con ordine.

S’i fosse Drago arderei lo governo. Mettetevi nei panni, anzi nelle squame, di Mario Draghi: perché restare ancora al governo? Accettò di guidare un governo d’emergenza con la prospettiva finale di andare dopo un anno di graticola al Quirinale. Dove avrebbe potuto svolgere il suo ruolo extra partes e la sua missione umanitaria di rappresentare l’Italia nel mondo e tra i poteri che contano.
Un anno fa era acclamato dal Paese, ci liberava da un governo e un premier insopportabili, offriva una tregua politica a un paese lacerato, pur essendo riconosciuto come la longa manus dei Poteri Alti. Ora, invece, la situazione si è fatta difficile perché dopo essersi accollato le conseguenze della pandemia, Draghi è accorso ad accollarci le conseguenze della guerra in Ucraina, dove abbiamo fatto davvero poco per ribaltare le sorti del conflitto e neutralizzare Putin, ma abbiamo fatto davvero tanto per inguaiarci noi, indebitarci, veder schizzare l’inflazione e mettere a repentaglio le forniture energetiche.
I consensi nei confronti suoi e del suo governo erano calati molto con l’aria condizionata; tante ironie si sprecavano sul governo dei migliori e in autunno s’annunciava la catastrofe economico-energetico-sanitaria; era il momento giusto per tagliare la corda, e i grillini gliene stavano offrendo una mezza possibilità. Era anche un modo per restituire la pariglia a Mattarella, ai dem e ai loro soci di minoranza che non lo hanno voluto al Quirinale ma solo a tirare le castagne dal fuoco. Invece è partito il pressing mondiale, dal più grande leader al più piccolo sindaco, da Mattarella ai Dem, dalla grande finanza ai clochard, mancavano solo l’Onu e la Croce Rossa per bloccarlo a Palazzo Chigi. Perché un uomo di 75 anni, che ha già ottenuto i maggiori incarichi di potere, avrebbe dovuto lasciarsi friggere in padella e giocarsi il nome costruito in una vita? Il suo interesse era andarsene, ma non poteva, perché doveva rispondere a un’entità superiore che non è lo Stato, la Democrazia, l’Interesse generale, ma una cupola di poteri intrecciati che non passano dalle urne e che sono dietro la sua luminosa carriera.

E che consideravano un imperativo categorico restare a ogni prezzo al governo e non andare al voto. Allora Draghi ha deciso di andare avanti all’infinito, magari restando poi il Santo Protettore di un campo largo filodraghiano dopo l’inevitabile voto del ’23. O in alternativa, aspettarsi altri incarichi prestigiosi a livello internazionale, più la vigile attesa con tachipirina fino a che Mattarella lasci in un modo o nell’altro il Quirinale. Ma la strada di quest’autunno era tutta in salita e piena di burroni. Poi Draghi in Parlamento ha bistrattato i partiti, fingendo di lusingarli, ha maltrattato i grillini pur lanciando occhiate dolci, e ha chiesto un governo più suo, con più ampi poteri. E lì qualcosa si è interrotto, qualcosa è saltato. Salvini e Berlusconi che avevano compiuto l’errore madornale di mandare Mattarella anziché Draghi al Quirinale, accettando la linea del Pd, vista ora la deriva oligarchica che voleva imbrigliare il paese, si sono ricongiunti alla Meloni, anche per non dare solo a lei i consensi degli scontenti. Ed è venuto fuori il papocchio di ieri in Parlamento.
Per carità, sarà sbagliato andare di corsa a votare, è un salto nel buio, quando invece nel buio ci stavamo andando seduti nel treno guidato da Drago Draghi. Ma se è per questo tra un anno circa, diciamo tra nove mesi per essere ostetrici, quando cioè si doveva andare a votare per forza di scadenza, cosa sarebbe cambiato? Ci avrebbero detto ancora di non fare salti nel buio e qualcuno avrebbe ripetuto quel che dice oggi e diceva un anno fa: o Draghi o morte. Dopo aver ripetuto pochi mesi fa: o Mattarella o morte.

Ma come sono responsabili, loro, vogliono preservarci dall’avventurismo e dalle cadute nel buio… Faccio solo osservare, sommessamente, che quella catastrofe da voi prefigurata, quel precipizio tremendo che ci aspetta, un tempo si chiamava diversamente: il suo nome era democrazia, alternanza di governo, libertà di voto e sovranità di popolo. Ora voi direte: ma il rischio è troppo alto, e perciò vogliono tenerci ancora sotto tutela, come ai tempi della pandemia, come ai tempi di Berlusconi da cacciare, come ai tempi di Monti, Napolitano, Gentiloni, e via dicendo…
Nei prossimi manuali di scienza politica si definiranno ottimi i governi che non passano dal voto, pessimi quelli che ne scaturiscono; poi si definiranno responsabili i governi che contengono i dem, irresponsabili i governi senza di loro. E si aggiungerà che i migliori politici sono per definizione coloro che non lo sono, cioè i tecnici, gli oligarchi, i commissari internazionali.
Condivido tutte le riserve sull’armata brancaleone della politica e non nutro fiducia per nessuno di loro, sia esso tribuno della plebe o affiliato della Cupola. Però vi dico, a questo punto perché tenere ancora in vita la democrazia, pur nella forma ipocrita di democrazia delegata o parlamentare?

Perché non dichiarare ormai superata quella fase chiamata della sovranità popolare e libero voto in libero Stato? Non vediamo che o vincono i suddetti emissari della Cupola o la democrazia corre gravi pericoli, e martellanti campagne già si attrezzano per demolire in partenza governi con Meloni indigesti? E allora anziché cominciare prima con le campagne, poi con le intimidazioni, quindi con le minacce internazionali, gli assalti giudiziari e i ricatti economici, e infine boicottare i governi non allineati alla Cappa, perché non dichiarare ufficialmente che siamo nell’era delle oligarchie e dei governi calati dall’alto? Perché inventarsi un’emergenza dopo l’altra se possiamo più lealmente dichiarare che siamo passati a un’altra forma di governo e non sono più ammesse defezioni da parte del popolo sovrano alla linea imposta dai Grandi Poteri che contano? Avete anche un magnifico alibi a vostra portata, l’esempio disastroso dei grillini al governo e in parlamento, e dunque potete ben dire: vedete dove porta e come finisce il populismo e il voto sovrano?

Allora dichiarate che abbiamo eterno e infinito bisogno dei Draghi come dei Mattarella, e quel bisogno si abbrevia semplicemente in bis. Bene bravi bis, for ever. L’Italia senza di loro è una terra abitata solo da cinghiali, da incapaci e da dementi: per fortuna che abbiamo loro, Drag Queen e King Mattarel, i nostri sovrani a vita, come la Regina Elisabetta, ma loro non si sono limitati a regnare, come lei, ma sottogovernano con i poteri conferiti dalla Cupola internazionale. Mario per sempre, con Papa Sergio. Poi è arrivata la ventata di pazzia e ci siamo ritrovati, ma guarda un po’, in una situazione analoga a quella della Gran Bretagna: senza un governo in piena guerra, ancora in pandemia, in grave crisi economica ed energetica. Ma se cade Johnson eletto dal popolo sovrano è cosa buona e giusta, se cade Draghi, non eletto, è una tragedia. Salvo colpi di coda, si andrà a votare nel primo autunno. Torna malconcio e in vesti grottesche quel mostro chiamato democrazia, o perlomeno un suo parente o sosia.

(La Verità, 21 luglio 2022)