La riforma fiscale

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Segnalazione Wall Street Italia

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Questa settimana parliamo di riforma fiscale, analizzando le principali misure contenute nella legge delega di Governo e fornendo una valutazione d’impatto su famiglie e imprese. Spazio anche alla riforma pensioni, ai trend della finanza, ai retroscena del crack SVB e alle novità UE destinate ad avere un effetto dirompente sull’Italia…

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Speriamo che ci leggerai presto!

Guerra Ucraina, cosa può succedere in caso di prolungamento o de-escalation?

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di Redazione Wall Street Italia

di Simone Borghi

A più di un anno dallo scoppio della guerra in Ucraina, mercati e investitori si chiedono come cambierà lo scenario nei prossimi mesi. Scontato dire che molto dipenderà dagli sviluppi del conflitto sia sul campo di battaglia che sul lato diplomatico. A questo proposito, gli esperti si dividono tra coloro che temono una guerra prolungata con un peggioramento della situazione geopolitica e quelli che credono in una de-escalation ancora possibile.

Innanzitutto, c’è da dire che i mercati non amano l’incertezza e ciò si visto dall’andamento dei listini a cavallo dei periodi di guerra e tensione geopolitiche. Ad apprendere dalla storia dell’ultimo secolo, la maggiore volatilità dei mercati è sempre stata dovuta all’incertezza del clima politico ed economico che precede l’esplosione di un conflitto importante. Gli investitori, infatti, non temono tanto le guerre quanto piuttosto la mancanza di controllo sugli eventi in corso.

A giudicare da quanto sta accadendo ai mercati globali in questo momento, che sono praticamente tornati sui livelli pre-conflitto, ci sono le premesse per supporre che anche il conflitto tra Russia e Ucraina determini conseguenze borsistiche coerenti a quanto avvenuto nella storia. Le ondate di volatilità che si sono viste sui listini sono una delle caratteristiche chiave del clima dei mercati nelle fasi subito precedenti o appena iniziali di un conflitto e storicamente tale clima si è sempre disteso a conflitto in corso i listini tornano invece a crescere. La storia insegna che le borse non “disdegnano” le guerre, ma la domanda che ci poniamo tutti è quando finirà il conflitto Russia-Ucraina.

Gli effetti di un prolungamento della guerra

La guerra senza fine potrebbe esacerbare la crisi energetica. È quello che pensano gli esperti di S&P Global Ratings, secondo cui c’è un rischio significativo che il conflitto militare tra Russia e Ucraina si protragga, esacerbando la crisi energetica dell’Europa, mentre i tassi d’interesse nei mercati sviluppati potrebbero essere costretti a salire ancora più bruscamente rispetto allo scenario di base, per mitigare le crescenti pressioni inflazionistiche. Ciò potrebbe portare a una recessione più profonda del previsto in Europa e, in misura minore, negli Stati Uniti, con un concomitante aumento della disoccupazione.

Considerando l’aumento dei rischi e la loro potenziale attuazione, S&P Global Ratings ha sviluppato uno scenario negativo, con una probabilità che si verifichi pari a uno su tre. In Europa, lo scenario negativo vedrebbe prezzi energetici elevati e razionamenti. La Bce sarebbe costretta a seguire la Fed a causa del deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro, alimentando l’inflazione importata. Dal punto di vista borsistico, questo porterà al perdurare del clima di incertezza, che ai mercati proprio non piace, con ritorno di volatilità nel caso la situazione geopolitica peggiori.

Gli effetti di una de-escalation del conflitto

Uno scenario di de-escalation è quello invece prospettato dagli analisti di Barclays, i quali ritengono che qualsiasi forma di cessate il fuoco tra la Russia e l’Ucraina potrebbe ridurre la pressione sui mercati europei del gas, oltre che su quelle aziende che hanno un’esposizione più ampia alla Russia.

Guardando oltre, la storia degli ultimi cento anni ci insegna che il più delle volte i mercati reagiscono con grande forza alla fine di eventi dal grave impatto socio-economico. Il rimbalzo che solitamente si innesca a fine guerra viene dato dalla tempestività degli investitori nel modificare gli asset economici dalla fase bellica all’investimento post-bellico. Ed è tutta qui che si gioca la partita della ricostruzione.

Nei principali conflitti della storia i mercati azionari hanno impiegato circa 15 sedute per riprendersi. L’equilibrio dei mercati e le prospettive di ripresa sono in mano a tutte queste dinamiche, che gli investitori, anche nel caso del conflitto in corso, non possono ignorare.

Facciamo attenzione ai segnali silenziosi

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Segnalazione Wall Street Italia

di Leopoldo Gasbarro

Dove stiamo andando? Che futuro ci aspetta? Probabilmente tra gli editoriali fatti per questo giornale questo è quello a cui tengo di più. Perché vi chiederete voi? Ma perché servirà a sottolineare un momento che definire complicato è quanto mai eufemistico. Al momento in cui scrivo queste righe, il Nasdaq sta perdendo quasi il 30% da inizio anno. I mercati obbligazionari hanno visto vaporizzare quasi 10 miliardi di euro in fuoriuscite dai fondi comuni.

Tantissimi di voi che stanno leggendo queste righe stanno perdendo importanti quantità di denaro. E non è finita, almeno fino al momento in cui sto scrivendo queste righe, non è finita. Eppure, per parlare come facciamo noi di investimenti, dobbiamo parlare del futuro, perché quello è l’unico posto verso cui stiamo andando. E purtroppo oggi ne abbiamo paura.

Chi saprà tradurre quel grosso punto interrogativo dipinto davanti ai nostri occhi avrà la capacità di trasformare il suo futuro. Già, perché c’è chi guarda al rumore generale e chi invece si guarda attorno con attenzione, elimina il rumore di fondo, e si sofferma su quei segnali che sembrano deboli ma che caratterizzano realmente il percorso verso il domani. Sembrerebbe assurdo parlare di Metaverso in momenti come questo. Ma ci sembrava assurdo anche guardare all’uomo sulla luna prima che ci arrivassero gli americani, prima che l’impronta dell’uomo si poggiasse indelebilmente sul suolo del nostro satellite. E la Luna sembra la nostra nuova impresa da raggiungere, e poi Marte e poi chissà cosa?

Il mondo ci sta stretto, non sta finendo. La Cina, fedele alleato della Russia, ha deciso di costruire una ferrovia che porterà le proprie merci direttamente sui mercati europei. Sapete che caratteristiche ha questa linea? Eviterà ogni territorio russo. è un po’ come se Xi avesse detto a Putin: “Ciccio, siamo compari, ma gli affari sono affari. Tu continua i tuoi giochi di guerra e non fare troppo rumore. Io penso a fare altro”.

Intanto crescono gli investimenti per cercare soluzioni all’uso del gas e del petrolio. Le energie rinnovabili? Il nucleare pulito? La fusione? Chissà cos’altro ancora? Credo che l’età della pietra, lasciandoci in eredità un mucchio di pietre sparse qua e là dovrebbe farci capire che succederà lo stesso anche stavolta: finirà l’era del gas senza che il gas finisca.

Si accettano scommesse.

L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di ottobre 2022 del magazine di Wall Street Italia

Ecco come si può ridurre il costo dell’energia

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19/10/2022

Le bollette energetiche sono aumentate all’inizio di ottobre ed i rincari previsti sono di circa 2500 euro a famiglia

Le misure di risparmio energetico non compenseranno il forte aumento dei prezzi. Ma presi insieme, tanti piccoli cambiamenti potrebbero far risparmiare centinaia di euro all’anno. Qui di seguito ecco una serie di accorgimenti che ppotranno aiutarci a migliorare il nostro conto economico.

1. Utilizzare una friggitrice ad aria o un microonde invece del forno

I forni possono essere un modo inefficiente di cucinare poiché comportano il riscaldamento di uno spazio relativamente grande. Usare invece un forno a microonde, una pentola a pressione o una friggitrice ad aria potrebbe far risparmiare denaro.

I microonde di solito risparmiano energia poiché cuociono più velocemente. Ad esempio, una patata al forno potrebbe impiegare 90 minuti in forno, 45 minuti in una friggitrice ad aria e 10 minuti in un microonde.

2. Passa alle lampadine a LED

L’ illuminazione rappresenta l’11% del consumo energetico medio di una famiglia

Passare alle lampadine a LED può fare una grande differenza.

Una famiglia che utilizza una dozzina di lampadine a incandescenza o alogene da 40 W per quattro ore al giorno potrebbe spendere circa 238 euro all’anno. Le lampadine a LED possono costare di più, ma hanno una durata maggiore e faranno risparmiare denaro nel tempo.

3. Prendi il controllo del tuo riscaldamento centralizzato

Imposta il termostato alla temperatura più bassa confortevole (spesso da 18 a 21°C).

Abbassare il termostato di un solo grado potrebbe ridurre le bollette di circa 145 euro all’anno, afferma l’Energy Saving Trust. Si tratta di una casa bifamiliare con il riscaldamento acceso dalle 7:00 alle 9:00 e dalle 16:00 alle 23:00 nei giorni feriali e dalle 7:00 alle 23:00 nei fine settimana.

Nelle case più piccole, come una villetta a schiera o un appartamento, il risparmio sarà inferiore.

Puoi anche spegnere il riscaldamento nelle stanze che non usi.

Spurgare i radiatori per rimuovere l’aria intrappolata e spostare i mobili lontano da essi aiuta a riscaldare il flusso d’aria più facilmente in una stanza.

4. Isola e proteggi la tua casa

Se la tua casa è scarsamente isolata, perderà calore più facilmente e sarà più difficile tenersi al caldo. L’isolamento e la protezione dalle correnti d’aria – per impedire la fuoriuscita di calore intorno a porte e finestre , aiutano a intrappolare il calore.

Anche le opzioni fai-da-te come le strisce autoadesive per le fessure delle finestre e le tende pesanti possono farti risparmiare denaro. La maggior parte del calore viene disperso attraverso il tetto, quindi l’isolamento del sottotetto dovrebbe essere una priorità.

Per gli affittuari, l’installazione dell’isolamento potrebbe non essere un’opzione poiché i proprietari sono responsabili di importanti miglioramenti. Tuttavia, i proprietari possono essere multati per l’affitto di immobili che non soddisfano gli standard minimi di efficienza energetica .

  • Come possono gli affittuari rendere le loro case più calde ed ecologiche?
  • Come può un migliore isolamento ridurre le bollette energetiche?

5. Fare un uso migliore degli elettrodomestici

Lavatrici e asciugatrici possono essere affamate di energia, secondo Emily Seymour. Ma ci sono modi per usarli in modo efficiente, dice. Usa qualsiasi impostazione eco e spegni la macchina, in particolare se i vestiti non sono così sporchi.

Lavare i vestiti a 30 °C e utilizzare un ciclo in meno a settimana potrebbe far risparmiare £ 28 all’anno, afferma l’Energy Saving Trust.

Se puoi, asciuga i vestiti all’esterno invece che nell’asciugatrice.

6. Fai docce più brevi

Una famiglia tipica con riscaldamento a gas vedrà circa il 12% della sua bolletta energetica utilizzata per riscaldare l’acqua per docce, bagni e rubinetti.

Tuttavia, se hai una doccia multigetto, il risparmio potrebbe essere inferiore poiché utilizzerai più acqua calda. Nel frattempo, ridurre il tempo della doccia da otto a quattro minuti potrebbe far risparmiare 70 euro all’anno. Questo si basa su cinque docce a settimana.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/economia-finanza/energia/ecco-come-si-puo-ridurre-il-costo-dellenergia/?utm_source=nicolaporro.it&utm_medium=link&utm_campaign=economiafinanza

Caro bollette: quasi 5 milioni di italiani hanno già saltato pagamenti

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di Mariangela Tessa

Mentre le famiglie italiane si preparano ad un 2023 bollente sul fronte dei rincari dell’energia, sono quasi 5 milioni gli utenti che, negli ultimi nove mesi, non hanno saldato il pagamento di una o più bollette di luce e gas.

Maxi rincari nel 2023, spesa famiglie sfiorerà i 5 mila euro l’anno

Partiamo dai rincari. Secondo gli ultimi dati diffusi dal Codacons, la stangata sulle bollette di luce e gas degli italiani raggiungerà nel 2023 la maxi cifra di 4.724 euro a famiglia, con un incremento di spesa di quasi 2.500 euro a nucleo familiare rispetto alle tariffe in vigore a fine 2021.

Già l’ultimo incremento delle tariffe elettriche disposto da Arera (+59% da ottobre) porterebbe la bolletta media della luce a raggiungere quota 1.782 euro su base annua a famiglia, con una crescita del 122% rispetto all’ultimo trimestre del 2021, che corrisponde a un aggravio di spesa pari a 662 euro a nucleo.

Per conoscere l‘ultimo aumento del gas occorrerà invece attendere i primi di novembre, quando Arera comunicherà i nuovi dati: ma se saranno confermate le previsioni degli analisti, con un rialzo delle tariffe nell’ordine del 70% la bolletta per il gas è destinata a raggiungere una media di 2.942 euro a famiglia su base annua, con una crescita del 117% rispetto all’ultimo trimestre del 2021 e una maggiore spesa da 1.586 euro a nucleo.

Tra luce e gas – sottolinea quindi il Codacons – una famiglia media deve prepararsi a mettere in conto una spesa complessiva di 4.724 euro (con un maggiore esborso rispetto i prezzi in vigore nell’ultimo trimestre del 2021 pari a +2.476 euro a nucleo), nell’ipotesi di prezzi costanti e sempre che le tariffe non subiscano nuovi incrementi nel corso del 2023.

E sul caro bollette è intervenuto anche il presidente di Confindustria Carlo Bonomi che, durante la trasmissione “Mezz’ora in più” su Rai 3, ha sottolineato la necessità di un governo autorevole e competente al più presto” per gestire “l’emergenza energetica” che quest’anno comporterà una stangata da “110 miliardi” con gli aumenti delle bollette di luce e gas.

Circa 5 milioni di italiani indietro con il pagamento delle bollette

La situazione di emergenza si evince anche da un altro dato: un’indagine commissionata da Facile.it agli istituti mUp Research e Norstat ha rilevato che negli ultimi nove mesi circa 4,7 milioni di italiani hanno saltato il pagamento di luce e gas: quasi 2 morosi su 3 (62%) hanno detto che è stata la prima volta che hanno saltato il pagamento delle bollette.

Un numero destinato ad aumentare in maniera significativa nei prossimi mesi: ci sono infatti 3,3 milioni di italiani che hanno dichiarato che, in caso di ulteriori rincari, potrebbero trovarsi nell’impossibilità di far fronte alle prossime bollette energetiche.

A livello nazionale la percentuale di chi ha dichiarato di non aver pagato una o più bollette negli ultimi 9 mesi si attesta intorno al 10,7%, il fenomeno è più diffuso nelle regioni del Centro Italia (11,5%) e al Sud e nelle Isole (11,2%). E in prospettiva dei prossimi aumenti, le aree più a rischio sono quelle del Meridione (9,4% a fronte di una media nazionale pari al 7,7% ).

 

Schiaffo dai Sauditi: perché Biden non può che rimproverare se stesso

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Riyad allineata a Mosca? Lettura semplicistica e autoconsolatoria, ecco gli errori Usa: produzione nazionale bloccata da agenda green; sauditi maltrattati; Europa abbandonata

di Federico Punzi

Alla fine è arrivato il sonoro schiaffone dell’Arabia Saudita all’amministrazione Biden. Ieri, a Vienna, l’Opec+, il cartello che riunisce i principali Paesi produttori di petrolio più la Russia, ha deciso un taglio della produzione di ben 2 milioni di barili al giorno. E questo nonostante da mesi Washington chieda a Riyad di aumentare la produzione per raffreddare i prezzi.

Il presidente Joe Biden si era speso in prima persona recandosi in visita nel Regno, nel luglio scorso, e ricevendo critiche in patria per un saluto pugno a pugno ritenuto troppo complice con il principe ereditario Mohammad bin Salman.

Atto ostile: ma di chi?

Qualche ora prima della decisione la Casa Bianca aveva fatto circolare, via Cnnparole durissime sulla prospettiva di un taglio della produzione: “disastro totale”“atto ostile”.

La reazione alla decisione non si è fatta attendere. “Il presidente è deluso dalla miope decisione” e “si consulterà con il Congresso sugli strumenti per ridurre il controllo dell’Opec+ sui prezzi dell’energia”.

Un proposito che suona beffardo, perché Washington avrebbe un modo molto semplice per “ridurre il controllo” dell’Opec: aumentare la sua produzione nazionale, che invece, fin dal primo giorno in cui si è insediata, l’amministrazione Biden ha sistematicamente sabotato.

Ora Biden torna a supplicare l’industria petrolifera Usa, la stessa che in campagna elettorale aveva promesso che avrebbe fatto chiudere (letteralmente: “I guarantee you, we’re going to end fossil fuel”), di abbassare i prezzi dei carburanti.

E apre ad un nuovo rilascio di riserve strategiche per calmierare i prezzi. Di fatto, le sta prosciugando nel tentativo di evitare una sonora sconfitta alle elezioni di midterm, che si terranno tra circa un mese.

Un funzionario dell’amministrazione ha rivelato che la Casa Bianca ha segretamente offerto all’Opec+ di acquistare fino a 200 milioni di barili del suo petrolio a 80 dollari al barile per rimpinguare le riserve strategiche, oggi ai minimi storici, in cambio della rinuncia a tagliare la produzione.

E bisogna ricordare che nel 2020 i Democratici bloccarono la proposta di Trump di riempire le riserve con il petrolio dei produttori Usa, provati dalla pandemia, acquistandolo ad un prezzo di soli 24 dollari al barile.

Il vero atto ostile è quello dell’amministrazione Biden contro l’industria oil & gas Usa, ostacolata con ogni mezzo, fermando progetti infrastrutturali e bloccando nuove concessioni, come abbiamo già raccontato su Atlantico Quotidiano. Oggi la produzione in America, stima Robert Bryce (The Power Hungry podcast), è inferiore del 7 per cento al periodo pre-Covid.

Biden ha pensato di cavarsela ottenendo dall’Opec+ un aumento della produzione, evitando così di dover aumentare la produzione nazionale, e quindi di scontentare i gretini del suo partito. Quello che ha ottenuto, invece, è aver reso l’America più vulnerabile alle decisioni dell’Opec+, aver aiutato Putin e alimentato l’inflazione.

La mossa dell’Opec infatti va anche a contrastare gli sforzi della Fed per raffreddare l’inflazione. Se il rialzo dei tassi diminuisce la domanda di petrolio, abbassandone i prezzi, il taglio della produzione deciso ieri lo compensa almeno in parte, costringendo la Fed ad un ulteriore rialzo, che però spingerà ancor di più l’economia Usa verso la recessione.

Lo ripetiamo: in America, così come in Europa, l’obiettivo della decarbonizzazione, di uscire dalle fonti fossili, è una follia insostenibile. Ma lo è ancor di più in concomitanza con la guerra economica alla Russia.

Riyad si schiera con Mosca?

Fin troppo facile concludere che l’Arabia Saudita ha deciso di schierarsi con la Russia e contro l’Occidente. È proprio così? La realtà è più complessa.

L’Opec+ si mostra “allineata con la Russia“, ha affermato la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, e leggerete molte analisi in tal senso. Ma è proprio questo genere di letture a far letteralmente imbufalire Riyad, perché dimostrano come a Washington gli interessi sauditi siano totalmente snobbati.

Per dare la misura dell’irritazione di Riyad su questo tema, proprio ieri, durante la conferenza stampa al termine della riunione dell’Opec+, il ministro dell’energia saudita, il principe Abdulaziz bin Salman, si è rifiutato di rispondere ad un giornalista della Reuters, rimproverando all’agenzia di aver pubblicato una falsa storia di collusione tra Arabia Saudita e Russia utilizzando una fonte anonima. Purtroppo ormai certa stampa si è fatta prendere la mano dalle storie di collusione con la Russia…

Alla base della decisione di ieri dell’Opec+ ci sono valutazioni certo economiche e innegabilmente anche di natura politica. Ma non banalmente dettate dalla volontà di “schierarsi” dalla parte di Putin e contro l’Occidente. Questa lettura caricaturale, anzi, rischia di essere un regalo a Mosca.

Una reazione al price cap

Non solo i segnali di recessione globale e l’obiettivo dei Paesi Opec+ di tenere il prezzo del petrolio al di sopra dei 90 dollari (fino a ieri era poco sopra gli 80). Come molti avevano avvertito, questa decisione è una reazione – economica e politica – al price cap sul petrolio russo, esteso anche ai Paesi terzi che volessero rivenderlo.

Se il miglior modo per tagliare gli introiti di Putin è tenere bassi i prezzi di gas e petrolio, la misura ha avuto un effetto contrario, spingendo gli altri Paesi produttori a difendere il prezzo del petrolio, ma soprattutto a sanzionare quello che viene giustamente considerato, dal loro punto di vista, un precedente pericoloso.

Gli interessi sauditi

Questi Paesi, Arabia Saudita in testa, non si sono schierati ideologicamente con Mosca, ma sono stati costretti dalle nostre scelte a difendere il loro interesse nazionale con esiti che li fa apparire vicini alla Russia.

Come ha spiegato Mohammed Alyahyasenior fellow dell’Hudson Institute, questo genere di letture sembra negare a Ryad il suo diritto a considerare i propri interessi e sembra presumere che l’Arabia Saudita sia un attore irrazionale e inaffidabile. Ma questo è un presupposto “falso e pericoloso”.

E ricorda come nell’aprile 2020, in piena pandemia, Riyad abbia combattuto “con le unghie e con i denti” una guerra dei prezzi contro la Russia, vincendola. Non per ragioni politiche, ma per proteggere l’Opec+ e difendere la propria leadership nei mercati energetici, il suo ruolo di gestore e stabilizzatore del mercato.

Nulla è cambiato oggi, si tratta di interessi. L’interesse saudita è anche oggi proteggere l’Opec+ in quanto organizzazione. Ma questo a Washington non sono sembrati in grado di comprenderlo.

Tra l’altro, fa notare lo studioso, il taglio effettivo è di un milione di barili, non due, perché molti Stati membri dell’Opec+ già oggi non riescono a soddisfare le loro attuali quote di produzione, nella misura di un milione di barili.

Con il taglio odierno, sostiene Alyahya, gli Stati del Golfo avranno una maggiore capacità inutilizzata per far fronte alle interruzioni che saranno causate dalle sanzioni Usa-Ue sul petrolio russo. Senza questa ulteriore capacità inutilizzata, non sarebbero in grado di mantenere i mercati in equilibrio.

Un’analisi condivisa da Gregg Carlstrom dell’Economistil mercato petrolifero è un “casino” in questo momento. L’Opec+ ha poca capacità inutilizzata; molti produttori non riescono a rispettare le proprie quote; le sanzioni alla Russia stanno “biforcando” il mercato.

I sauditi hanno “un interesse razionale” a mantenere prezzi alti e stabili, e il settore petrolifero abbastanza redditizio da consentire alle compagnie di investire nella costruzione di nuova capacità – cosa che a quanto pare a noi occidentali non interessa più.

Gli affronti di Biden a Riyad

Detto questo, la decisione dell’Opec+ non può che apparire come un “affronto” dei sauditi a Washington, a soli tre mesi dalla visita del presidente Joe Biden a Jeddah per ricucire i rapporti con Riyad.

Ma secondo Carlstrom si tratta di un problema di aspettative eccessive: i tempi della visita e alcuni messaggi hanno suggerito che Biden si fosse assicurato un aumento della produzione di petrolio. Ma “questo non è mai stato realistico, come ti avrebbe detto chiunque nel Golfo prima della sua visita”.

Da una parte, dunque, la percezione americana e occidentale che i sauditi non stiano rispettando la loro parte dell’accordo quasi secolare con gli Usa e si stiano schierando con la Russia. Dall’altra, però, va detto che i sauditi hanno buone ragioni per ritenere che l’America non stia rispettando i propri impegni sulla “sicurezza”, a cominciare dalle politiche occidentali che conferiscono potere all’Iran a livello regionale.

Gli errori dell’amministrazione Biden con l’Arabia Saudita risalgono infatti ai primi giorni del suo mandato: la diffusione del rapporto dell’Intelligence che accusava il principe ereditario Mohammed Bin Salman di aver personalmente approvato e ordinato l’omicidio di Jamal Khashoggi; lo stop alla vendita di armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti; la revoca della designazione dei ribelli Houthi come organizzazione terroristica; la decisione di riprendere i colloqui con Teheran per un nuovo accordo sul programma nucleare. Quattro veri e propri affronti, tutti all’inizio del mandato.

Già in campagna elettorale, inoltre, Biden aveva avvertito che con lui alla Casa Bianca le cose tra Washington e Riyad sarebbero cambiate, spingendosi fino a definire il Regno “un pariah” della comunità internazionale.

Gestione disastrosa della crisi energetica

Ma ancora peggio, per tutto il 2021 e fino all’inizio del 2022, incredibilmente l’amministrazione Biden non ha fatto nulla per riparare i rapporti con Riyad, nonostante avesse acquisito e diffondesse informazioni sempre più credibili e precise circa le intenzioni e i preparativi di Mosca per invadere l’Ucraina, dunque pur essendo consapevole che ci saremmo potuti trovare presto nel bel mezzo di uno shock energetico e di una guerra economica con la Russia.

Se la gestione del conflitto ucraino da parte dell’amministrazione Biden è stata efficiente dal punto di vista militare e di intelligence (sebbene a nostro avviso poteva essere più coraggiosa nello stabilire linee rosse e più rapida nell’invio di armamenti a Kiev), è stata senza alcun dubbio niente meno che disastrosa sul piano energetico.

Dai già menzionati rapporti con l’Arabia Saudita alla crisi del gas che attanaglia l’Europa, completamente abbandonata, che rischia di sgretolare il supporto europeo alla causa ucraina.

Nel momento in cui i Paesi Ue, a cominciare da Italia e Germania, hanno assunto la decisione di liberarsi dalla dipendenza dal gas russo, sarebbe stata opportuna una iniziativa di Washington per una gestione coordinata e solidale della crisi energetica tra gli alleati Nato (di cui fa parte la Norvegia, importante produttore di gas), in modo da tenere il più possibile sotto controllo i prezzi.

L’alternativa all’hub del gas russo-tedesco

Venendo meno l’hub energetico russo-tedesco per ovvie ragioni, l’amministrazione Biden, piuttosto che fare promesse di forniture LNG impossibili da mantenere, avrebbe dovuto impegnarsi da subito per sostituirlo con un hub di gasdotti italiano, su cui far convergere tutto il gas proveniente dal Mediterraneo e dall’Africa.

Un progetto, però, che non avrebbe fatto piacere a Erdogan, che infatti sembra aver giocato d’anticipo. Proprio ieri è arrivata la notizia che Turchia e Libia – o meglio, il governo libico riconosciuto ma attualmente sfiduciato dal Parlamento di Tripoli – hanno firmato accordi di collaborazione nel settore petrolio e gas, scatenando l’ira sia del Parlamento di Tobruk, che di Grecia ed Egitto.

Ebbene, non solo gli Usa non hanno finora rilanciato il progetto Eastmed, ma non hanno nemmeno mosso un dito per la risoluzione della crisi libica.

Una latitanza di Washington – e di Roma – che denota la miopia sia dell’amministrazione Biden che del governo Draghi, che avrebbero potuto almeno avviare lo sviluppo di alternative in grado nel medio-lungo termine di risolvere il problema dell’approvvigionamento di gas all’Europa.

Moody’s avverte: Italia a rischio declassamento del rating

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Segnalazione Wall Street Italia

di Mariangela Tessa

Si addensano le nubi sull’economia italiana su cui ora pesa anche sul rischio di una bocciatura sul credito sovrano da parte di Moody’s. Lo ha preannunciato ieri l’agenzia di rating, spiegando che un probabile declassamento avverràin presenza di un significativo indebolimento delle prospettive di crescita, ma anche per la mancata attuazione delle riforme, comprese quelle delineate nel   Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) del paese. Un altro fattore di declassamento sarebbe un aumento significativo del debito pubblico italiano.

Venerdì scorso Moody’s non ha aggiornato il rating italiano, che è quindi restato a “Baa3”, con outlook negativo. Nonostante la revisione fosse in programma per quel giorno, 30 settembre, diversi analisti avevano previsto l’eventualità che Moody’s scegliesse di non cambiare il rating sull’Italia e prendesse tempo per osservare gli sviluppi politici e la formazione del nuovo Governo.

I rischi al ribasso per Moody’s

Tra i rischi al ribasso citati dall‘agenzia di rating, spicca quello relativo al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). “Se la coalizione di destra che ha vinto le recenti elezioni dovesse tentare di rinegoziare alcuni aspetti del PNRR, ciò probabilmente ritarderà la sua attuazione, esercitando una pressione al ribasso sulla spesa per investimenti in un momento in cui l’inflazione elevata e i rischi per l’approvvigionamento energetico stanno già pesando sull’attività economica”.

Avrebbero un impatto negativo sui rating anche “segnali sull’avvio di una crescita significativa del debito sia a causa di prospettive di crescita sostanzialmente più deboli, sia a causa di un aumento del costo degli interessi o di un concreto allentamento fiscale”.  Inoltre, “politiche fiscali e/o economiche che avessero causato un indebolimento del sentiment del mercato e l’aumento del livello del debito nel medio termine porterebbero anch’esse a pressioni al ribasso dei rating”.

Moody’s sottolinea di ritenere improbabile un miglioramento del rating nel prossimo futuro, ma potrebbe alzare l’outlook “se le istituzioni italiane, le prospettive di crescita e la traiettoria del debito si dimostrassero resistenti ai rischi derivanti dall’incertezza politica, dalla sicurezza energetica e dall’aumento dei costi di finanziamento”.

La dimostrazione che il prossimo governo è impegnato all’attuazione delle riforme strutturali a sostegno della crescita, comprese quelle delineate nel PNRR del paese, porterebbero verosimilmente a una stabilizzazione dell’outlook se accompagnata da un piano credibile di consolidamento fiscale di medio termine che impedisse un aumento significativo del debito”.

 

E’ in atto il “disordine complesso”: così ci spinge nel caos economico

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di Leopoldo Gasbarro

Vi ho raccontato in questi giorni con i miei ultimi articoli di quanto stia accadendo alla filiera produttiva mondiale, a tutte le strozzature e alle difficoltà che stanno generando interruzioni nella produzione di beni e servizi. Il tema sta diventando sempre più scottante e il mio scopo non è certo quello dì creare tensioni, isterismi, come ha scritto qualcuno, o inutili allarmismi.

Il ruolo di un giornalista è quello di informare, anche se a volte l’informazione stessa può risultare scomoda da ricevere. Personalmente credo sia sempre meglio conoscere che non conoscere, sapere che non sapere. La possibilità di scelta nelle nostre vite, oppure la libertà di scelta, sta nella conoscenza.

Chi ci lascia o ci vuole ignoranti non ha intenzione di permetterci di essere liberi.

Proprio per incrementare i livelli di conoscenza sugli argomenti trattati in questi giorni, soprattutto relativamente ai due argomenti principe da me trattati: Gas e grano, vi riporto integralmente un articolo pubblicato su Bloomberg a firma di Tyler Cowen che spiega, con estrema semplicità, ciò di cui vi ho già parlato.

La cattiva notizia è che i problemi della catena di approvvigionamento mondiale sono più persistenti e più gravi di quanto si pensasse in precedenza. La notizia peggiore è che non c’è un unico motivo e quindi nessuna soluzione semplice. E la notizia ancora peggiore è che nessuno sa davvero quando la situazione migliorerà.

Per quanto riguarda la buona notizia?

Sta almeno diventando possibile ricostruire una storia di come tutto questo è successo. Fondamentalmente, alcuni centri nevralgici chiave dell’economia mondiale sono stati colpiti da un mix di Covid e sfortuna, soprattutto nell’ultima parte di quest’anno.  Il trasporto, l’energia e i chip semiconduttori di alta qualità stanno tutti vivendo grossi problemi allo stesso tempo, per ragioni diverse ma ampiamente correlate.

Inizia con il trasporto. Mentre alcuni porti cinesi sono rimasti inattivi o operano a capacità ridotta a causa del Covid, questo non è certo l’unico problema. Un robusto commercio di beni durevoli ha messo a dura prova container, navi e operazioni portuali in tutto il mondo. Il prezzo dei container è salito alle stelle e può essere più di 10 volte superiore a quello di appena due anni fa. In breve, molto commercio internazionale ha subito un notevole rallentamento, inoltre parte di esso non è più redditizio.

In alcuni casi, i servizi relativi ai trasporti vengono razionati, poiché i prezzi vengono mantenuti bassi, forse per evitare di allienarsi gli acquirenti fedeli, o forse perché i venditori non sono sicuri che gli attuali shock della domanda siano permanenti. Ancora una volta, il risultato netto è che molti scambi semplicemente non avvengono in modo tempestivo.

Molti fornitori richiedono componenti commercializzati a livello internazionale per completare la produzione e la distribuzione dei loro beni e servizi. Ora sono bloccati. Inoltre, molte attività portuali e il relativo trasporto locale richiedono molta manodopera. Molte parti del mondo stanno affrontando carenze di manodopera, poiché le persone non sono sicure di come riconfigurare il loro futuro lavorativo post-Covid, o in alcuni casi i benefici del governo potrebbero impedire loro di lavorare. Ciò aggiunge ulteriori ritardi alle reti commerciali.

Una tipica risposta del mercato potrebbe essere quella di produrre più container (è più difficile e più lento aumentare il numero di navi o porti). Ma ciò richiederebbe proprio alle reti commerciali e di trasporto che attualmente sono malfunzionanti. Man mano che l’intero processo procedeva, le scorte si sono esaurite, il che significa che l’economia globale è stata molto meno fiacca.

Poi ci sono i problemi energetici del mondo, che hanno radici più profonde. Molti paesi hanno cercato di passare a forniture di energia più verdi, ma senza prima disporre di alternative sufficienti. Giappone e Germania hanno deciso di abbandonare i loro precedenti impegni sull’energia nucleare e, più recentemente, la Cina ha visto carenze di energia.

Le reti energetiche globali sembravano funzionare bene un anno fa, ma con l’avanzare della ripresa la fornitura di gas naturale non è stata sufficiente per soddisfare la nuova domanda. La produzione e l’esplorazione di gas sono state respinte nelle prime fasi della pandemia e la ripresa è stata più forte e più rapida di quanto previsto dal settore energetico.

Nel Regno Unito, i prezzi del gas naturale sono aumentati del 700% nell’ultimo anno, mentre l’Europa corre il rischio di non avere abbastanza energia per il prossimo inverno.
Naturalmente l’energia è un input significativo nella produzione di molti altri beni e servizi. Quindi questo crea un’altra serie di effetti a catena. E se le reti per l’energia e il commercio internazionale non funzionano bene, molte altre parti dell’economia saranno malfunzionanti.

Un’ulteriore area problematica sono i chip per computer di alta qualità. L’economia globale dipendeva già troppo da due paesi per l’approvvigionamento: Taiwan e Corea del Sud. Poi sono successe tre cose: le fabbriche di chip sono state chiuse durante i blocchi, una serie di sfortunati disastri naturali ha danneggiato l’offerta di chip e la domanda di chip è aumentata con l’aumento della domanda dei consumatori di beni durevoli come automobili ed elettrodomestici. Ai margini attuali, la produzione di automobili è gravemente limitata dalla disponibilità di chip, motivo per cui i prezzi delle auto nuove e usate rimangono così alti.

Quindi da un lato dell’equazione ci sono ritardi negli scambi, ritardi negli input, maggiori costi commerciali e di trasporto, prezzi dell’energia molto più alti e carenza di chip. Dall’altra ci sono i consumatori americani ed europei, che hanno risparmiato enormi quantità di denaro nel corso del 2020 e all’inizio del 2021 e che ora lo stanno spendendo.

Questa combinazione ha alimentato l’inflazione dei prezzi. La domanda sta colpendo il mercato e l’offerta non riesce a recuperare. E non è solo un problema che ha una soluzione facile e diretta, ma piuttosto una serie di percorsi interconnessi di caos economico e ritardo.

Questi problemi con la catena di approvvigionamento alla fine si risolveranno da soli, anche se nessuno può dire esattamente quando. Nel frattempo, fornitori e distributori – così come i consumatori – possono forse trarre qualche piccola consolazione dal fatto che stanno navigando, e si spera perseverando, attraverso un disordine complesso che non ha un parallelo stretto nella storia recente.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/economia-finanza/economia/e-in-atto-il-disordine-complesso-cosi-ci-spinge-nel-caos-economico/?utm_source=nicolaporro.it&utm_medium=link&utm_campaign=economiafinanza

In Borsa è il momento di investire sul Pil della felicità

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di Massimo Di Guglielmo

Ciascuno di noi dovrebbe iniziare a immaginare la propria vita come cinque palline che deve far roteare in aria con l’abilità di un giocoliere. Solamente una di queste è tuttavia di gomma, infrangibile e rappresenta il lavoro perché, persa un’occupazione, se ne può trovare una diversa. Le altre quattro sfere – famiglia, salute, amici, anima – sono invece di cristallo, pertanto se cadessero si romperebbero in maniera irreparabile. L’ammonimento che l’ad di Google, Sundar Pichai ha affidato di recente alla rete riflette il forte cambiamento di mentalità in atto nella nostra società. Complice la tragedia del Coronavirus, sempre più persone sono alla ricerca di una felicità che non corrisponde alla carriera o alla ricchezza ma a una migliore qualità dell’esistenza. Ecco perché questo è momento di applicare il paradigma della felicità anche al mondo delle Borse e degli investimenti. A invitare i piccoli risparmiatori a questa presa di coscienza è Schroders, colosso del risparmio gestito responsabile di un patrimonio di 815,8 miliardi di euro in 37 Paesi nel mondo. Un decennio fa – sottolinea Piya Sachdeva, Economista di Schroders – il premio Nobel Joseph Stiglitz aveva commissionato un rapporto chiamato La misura sbagliata delle nostre vite. Perché il Pil non basta più per valutare benessere e progresso sociale”, dimostrando la necessità di sostituire il Pil con il benessere. Il prodotto interno lordo, infatti, non solo è un parametro aggregato ma nulla o quasi dice del reddito effettivamente disponibile. E le riserve di Stiglitz non solo erano in parte già state anticipate nel 1968 da Bob Kennedy in un celebre discorso all’università del Kansas, ma sono state rafforzate e ulteriormente sviluppate dal movimento Beyond Gdp (Oltre il Pil), impegnato a costruire uno sviluppo appunto sostenibile. Ma vediamo come il benessere” si integra strettamente con i principi Esg (acronimo di Environmental, Social e Governance), che guidano oggi gli investimenti verdi, consapevoli e a impatto di cui Schroders è uno dei grandi alfieri. 

Piya Sachdeva, Economista di Schroders
Benessere e Sostenibilità, due grandi direttrici del futuro

L’idea di usare il benessere, e non più il Pil, come misura per valutare una società si è diffusa in parallelo all’aumento degli investitori che scelgono su quali aziende puntare in base ai principi ESG e nello specifico di quella “S”, che esprime la dimensione “Sociale”. Questo dimostra come il denaro possa comprare la felicità ma solo fino a un certo punto, sottolinea l’economista di Schroders, decidendo di condividere la sua personale esperienza durante i ripetuti lockdown dello scorso anno. “Ogni giorno scrivevo tre cose che apprezzavo nella mia vita: questo mi ha permesso di riflettere su ciò che mi rendeva felice. Recentemente ho ritrovato quel diario della gratitudine, e rileggendolo è chiaro che le cose che mi rendevano più felice tendevano a essere cose che il denaro non può comprare”. Certo, ammette Sachdeva, “questo va contro tutto ciò che mi è stato insegnato nella mia carriera di economista”. A ben guardare, tuttavia, non è così perché – prosegue – sebbene il Pil pro capite abbia una forte relazione con la felicità nazionale, più una persona è agiata, minore è la spinta alla felicità che le deriva dal diventare più ricca. Più precisamente, secondo alcune stime, la felicità si stabilizza quando il reddito medio della società raggiunge la soglia dei 70mila dollari. Insomma, i Paesi sviluppati hanno un modo più efficace per aumentare la felicità della loro popolazione rispetto al solo obiettivo di una maggiore crescita economica, e consiste in una saggia politica distributiva.

La corruzione erode felicità; Salute sempre più centrale

L’Ocse è stato tra i primi a cercare di scattare una fotografia più accurata del benessere mondiale, riunendo misure comparabili nel suo “Better Life Index”. Bisogna però tenere conto che alcuni fattori pesano più di altri, nello specifico quattro: il reddito personale, la disoccupazione a lungo termine, la salute auto-percepita e la corruzione percepita. Proprio la “corruzione” erode la fiducia di famiglie e imprese verso le istituzioni; quindi in ultima istanza mina la felicità. A confermarlo è anche l’ultimo “World Happiness Report”, che vede in fondo alla classifica, per percezione della corruzione, alcuni Paesi emergenti e dell’est Europa ma va detto che neppure l’Italia e la Grecia occupano un posto invidiabile. All’opposto i Paesi nordici sono ai massimi livelli.

 

Classifica per percezione della corruzione dei paesi europei

 

L’altro architrave su cui poggia la felicità delle popolazioni è poi la salute e il Covid ha potenziato tale convinzione: in questo caso la misura impiegata è la “salute autovalutata”, che combina quella mentale con quella fisica.

I rischi per l’economia globale e le Borse 

I fattori sociali non hanno ancora un grande impatto quando analisti e agenzie di rating stilano la pagella dei singoli Paesi, a meno non siano in corso forti disordini sociali. Il quadro cambia molto quando i report si riferiscono alle imprese quotate in Borse: le società sono infatti già punite dagli investitori se vengono allo scoperto problemi nella governance o non si impegnano per l’ambiente. Ne deriva – suggerisce Sachdeva – che “gli investitori macro che integrano l’ESG nelle loro analisi dovrebbero considerare i rischi per i loro investimenti dai mercati infelici”, come i Paesi emergenti o di frontiera. L’economista di Schroders indica in particolare tre rischi per la ripresa mondiale involontariamente insiti nella ‘Sostenibilità’: 1) La Fed, con i massicci aiuti stanziati per la ripresa post Covid a favorire l’occupazione, sta riconoscendo il proprio ruolo nella riduzione della disuguaglianza. Ma questo potrebbe portare a una reazione tardiva al rialzo dell’inflazione che potrebbe tradursi in una nuova recessione di cui pagherebbero le spese in primis i redditi più bassi. 2) La gestione del cambiamento climatico è cruciale per la crescita sostenibile e la creazione di nuovi posti di lavoro relativamente ben pagati sul lungo termine, nell’immediato provocherà dei costi sociali. 3) È possibile che, davanti alle macerie economiche lasciate dalla pandemia, aumentino i disordini nei Paesi più “infelici”, che di fatto sono delle polveriere pronte esplodere.

Un nuovo contratto sociale per investire in Borsa

“La nostra scoperta che i Paesi con bassa corruzione sono più felici dimostra che le considerazioni sociali derivano da una forte governance”, prosegue l’economista di Schroders; insomma nell’approccio ESG la “S” di “Sociale” non solo è inscindibile ma è sostenuta dalla “G” di “Governance”. Il risultato è la nascita di un nuovo ‘contratto sociale’ che dal lato delle società quotate impone già scelte virtuose; complice anche il ruolo dei gestori di fondi attivi nel selezionare le imprese da privilegiare e spingere a migliorarsi le realtà ora in ritardo. Ora però bisogna approfondire l’analisi e applicare questo stesso contratto sociale anche quando si analizzano i singoli Stati. E – conclude Sachdeva – “gli investitori macro che integrano i fattori ESG, piuttosto che cercare un ritorno dai mercati felici, dovrebbero invece considerare i rischi per i loro investimenti dai mercati infelici”.

 

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L’ITALIA SALVATA DAI NONNI

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Il Censis rivela: sono stati gli anziani a tirare i consumi più di tutti gli altri, con effetti sul Pil. Hanno pensioni bassine, ma vogliono godersi la vita. Spendono per viaggi, cultura e balli

Da https://www.iltempo.it/economia/2019/10/30/news/censis-nonni-salvano-italia-spese-consumi-ricchezza-pil-pensioni-viaggi-cultura-balli-1232545/

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