Un grande movimento conservatore da contrapporre al globalismo progressista

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EDITORIALE DEL LUNEDI per https://www.informazionecattolica.it/2021/11/22/un-grande-movimento-conservatore-da-contrapporre-al-globalismo-progressista/

di Matteo Castagna

L’APPELLO DI MARCELLO VENEZIANI ALL’UNITÀ DELLA “MAGGIORANZA SILENZIOSA” IN UN GRANDE MOVIMENTO CONSERVATORE

L’astensionismo come diffidenza o addirittura repulsione verso la politica, da parte di molte persone, costituisce il grande partito di massa di tutti i periodi decadenti. L’Italia non fa eccezione. Persino nei sondaggi vediamo ridursi drasticamente la disponibilità a rispondere, tanto la gente è stufa.

Alle ultime elezioni amministrative, si è presentata alle urne la metà degli aventi diritto. Il nostro è, fondamentalmente, un Paese conservatore, ove oggi la maggioranza fatica a trovare chi lo rappresenti. Il grillismo, col suo abbondante ed ipocrita decennio di antipolitica ha implementato, in maniera decisiva, questa tendenza alla disaffezione verso la cosa pubblica.

L’appello all’unità in un grande movimento conservatore, proposto da Marcello Veneziani in una recente intervista a Destra.it, ove l’orizzonte valoriale sia sempre chiaro e ben definito, ancorato nella tradizione e nell’identità classico-cristiana dell’Europa, nella difesa e nella riappropriazione del diritto naturale e negli intenti comuni su principi morali, non in contrasto con la Dottrina sociale della Chiesa, è da guardare con grande interesse. Soprattutto perché, sul fronte progressista e globalista, si stanno muovendo in nome del mero diritto positivo per un transumanesimo sistemico cui va assolutamente contrapposto un forte blocco che non sia mai subalterno né culturalmente, né idealmente, né politicamente e neppure economicamente. Altrimenti, vinceranno sempre loro.

Oggi si tende a confondere “politica” con “partitica” o “parlamentarismo”. La metafisica classica greca (Socrate, Platone, Aristotele), la filosofia morale e il diritto romano (Cicerone e Seneca) vengono perfezionati dalla patristica (da S. Agostino a S. Bernardo di Chiaravalle), dalla metafisica dell’essere scolastica e particolarmente tomistica (da S. Tommaso d’Aquino a Cornelio Fabro) e dal Diritto Pubblico Ecclesiastico (da Papa Gelasio I a Pio XII) costituiscono la “filosofia perenne” che definisce le radici dell’Europa come greco-romane e, poi, cattolico-romane.

Da essa traiamo la linfa vitale per depurarci degli errori della modernità e della post-modernità. Il vero inquinamento, quello da combattere con una vera politica green, è il veleno del “politicamente corretto”, che fa risalire tutto alla Rivoluzione francese, a Machiavelli, al luteranesimo, all’umanesimo ed al rinascimento.

Il catto-liberalismo ed il modernismo-democristiano ci presentano un’ immagine deformata della Dottrina politica cattolico-romana. “La Civiltà Cristiana è esistita. Non occorre inventarla, ma bisogna instaurarla e continuamente restaurarla contro gli assalti dell’utopia malsana” (San Pio X, Notre charge apostolique, 25/12/1910).

Quando Veneziani parla di un ritorno alle origini, vuol dire che non dobbiamo essere passatisti, ma imparando dal nostro glorioso passato, pensare il presente e guardare al futuro in linea di continuità. Per cui, l’uomo deve vivere coi piedi per terra, con la mente e il cuore rivolti al Cielo e con l’azione a fianco dei propri simili, ovvero la “comunità di destino”, di cui parla Gustave Thibon, in Diagnosi (1940).

Per S. Tommaso d’Aquino la politica o “morale sociale” è la scienza di ciò che l’uomo, come animale socievole, deve fare, orientandosi verso un determinato fine (De Regimine Principum, lib. I, cap. 1 e In Ethicorum, lib. I, lect. 1, n.3) che è il benessere comune materiale subordinato al fine ultimo spirituale.

Per S. Tommaso la Politica è la parte sociale della filosofia morale. La filosofia politica è una scienza pratica, che dà i principi per agire al cittadino che vive in una Società e che deve operare da uomo sociale. In breve, essa è riflessione razionale, seguita da azione concreta, sulla e nella vita sociale. La morale sociale o politica si fonda sulla metafisica, che ci fa conoscere: a) la vera natura dell’uomo, creatura immortale, e quindi il Fine ultimo al quale è destinato, che è Dio, per rapporto al quale gli atti umani sono moralmente buoni o cattivi, secondo che vi conducano o no (Summa contra Gentiles, lib. III, cap. 25); b) l’esistenza di un Dio personale e trascendente il mondo, maestro. legislatore e giudice dell’umanità, autore della legge morale, naturale e rivelata, oggettiva ed obbligatoria per tutti. (liberamente tratto da “La Sintesi del Tomismo”, Ed. Effedieffe, 2017).

Leggendo l’Etica Nicomachea (I, 1106b 36; ivi, I, 1099a, ivi, II, 1107a22-23; ivi, X, 1174a2-8) comprendiamo che da Aristotele in poi si parla di di politica come di una scienza architettonica, che regge, coordina e dirige tutte le altre scienze pratiche, quali il diritto, l’economia, la medicina, l’edilizia, ecc., che essa applica per regolamentare l’effettiva convivenza della comunità. Per Aristotele il fine dell’uomo è nella felicità che non consiste nei piaceri dei sensi, “che rendono l’uomo simile alle bestie” (G. Reale, Introduzione a Aristotele, cit., p. 129), né nell’onore fine a se stesso, né nell’accumulo di ricchezze ma nella vita virtuosa che il Cristianesimo ha portato a compimento con il rispetto dei Comandamenti e dei precetti della Chiesa Cattolica, che è Una, Santa, Apostolica e Romana.

La Regalità Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo è la sublimazione del ritorno alla Civitas Christiana, che è l’unica risposta metafisica e pratica alle crisi contemporanee.

Perché non dobbiamo disperare in questi tempi bui

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2021/10/18/ecco-perche-non-dobbiamo-disperare-in-questi-tempi-bui/

I TEMPI CHE VIVIAMO SONO DI CRISI, DECADENZA E TRIBOLAZIONI, MA…

I tempi che viviamo sono di crisi, decadenza e tribolazioni. A livello sociale, alcuni articoli d’attualità svelano uno scenario preoccupante, perché tutti gli studi rilevano un aumento degli stati di insicurezza, di irritabilità, di malessere, frustrazione, depressione e, soprattutto, a salire è il numero dei suicidi, correlabile alla situazione generale di instabilità. Sono più di 700.000 (una su cento) le persone che si sono tolte la vita nel 2019. Un numero allarmante quello che emerge dall’ultimo studio condotto dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS).

Dai licenziamenti alle difficoltà economiche, insieme all’interazioni a distanza, il COVID ha portato a galla diverse problematiche emotive e fisiche, che hanno reso il fenomeno del suicidio più popolare a soggetti sotto stress. L’OMS ha dichiarato, infatti, che i programmi di prevenzione sono “addirittura più importanti ora” rispetto ad altri tempi. Secondo i dati del Suicide Worldwide 2019, i suicidi sono la quarta causa di morte fra i giovani dai 15 ai 29 anni, seguiti dai casi di incidenti stradali, tubercolosi e violenze interpersonali (in comunità o in famiglia) ed il Covid ha amplificato il fenomeno.

L’aiuto della Fede può risultare, dunque, fondamentale, in questa situazione angosciosa, in cui la vita normale è sospesa da circa due anni. Il dolore, qualunque esso sia, va posto ai piedi della Croce di Cristo, evitando la disperazione, trasformandola in speranza. Ha scritto in proposito padre Réginald Garrigou-Lagrange (1877-1964): “L’abbagliante luce soprannaturale con cui Dio acceca l’anima, rivela ad essa le sue miserie, le sue impotenze, la sua povertà, essa vede che per se stessa non è che un nulla, e che da sè non può che ritornare al nulla, sbagliare e peccare, chiudendosi. Nel medesimo tempo, l’anima si sente impotente a fare qualsiasi cosa per la propria salvezza; ha l’impressione che tutto ciò che intraprende fallisca, mentre le altre anime riescono. Invece di avanzare, le sembra di retrocedere“.

Il Signore ha insegnato a diventare miti e umili di cuore a sua somiglianza, per mezzo della croce, attraverso la quale Egli purifica la fede: “La fede è la virtù che consiste nel credere ciò che Dio ha rivelato solo per il motivo che Lui l’ha rivelato. Ma noi crediamo anche perché sperimentiamo in noi l’azione di Dio tramite le consolazioni che ci dà e dei progressi che ci fa compiere, perché le cose che intraprendiamo per Lui ci riescono, perché vediamo l’armonia dei dogmi tra di loro e con le grandi verità naturali. […] Nostro Signore permette che in piena aridità spirituale e desolazione noi ci sentiamo completamente smarriti. Qui le tentazioni del demonio (anche il suicidio) si fanno più forti, perché siamo in una condizione di maggior debolezza, e dunque le prove si fanno sempre più gravose da sopportare. Ma il Cristo ha detto che non ci verrà data nessuna prova superiore a quella che possiamo sopportare”.

E’ ancora Réginald Garrigou-Lagrange OP che assicura: “la Speranza è la virtù che ci fa desiderare di raggiungere e possedere Dio appoggiandoci sul suo stesso aiuto. In realtà, per raggiungere il cielo e vivere la nostra la nostra vita religiosa ci appoggiamo su Dio, – ed è questo il motivo principale della speranza – ma ci appoggiamo anche su noi stessi, sulle nostre virtù, sulla riuscita delle nostre opere, suoi nostri amici e sull’aiuto dei nostri superiori. Ma se Dio ci togliesse d’improvviso tutti questi soccorsi umani, – i nostri affini, l’affetto, la stima dei nostri superiori, – se ci rivelasse le nostre miserie e la nostra reale impotenza, spereremmo ancora in Lui? I santi hanno aperto contro ogni speranza umana, perché Dio è infinitamente potente e buono; non è Lui che ci abbandona per primo; Egli vuole sempre rialzarci dalle nostre colpe quando l’anima nostra grida verso di Lui. Così Gesù purifica, nel crogiolo del dolore, la speranza dei suoi più intimi amici. E dopo la speranza è la volta della carità. E’ la virtù suprema che ci fa amare Dio per se stesso, perché infinitamente buono e perché ci ha amati per primo (1 Gv. 4,10). Quando all’anima non proviene che amarezza da parte di Dio e degli uomini, quando è ridotta nello stesso stato di nostro Signore che esclamava sulla Croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?“. E’ allora che il suo atto di amore salva il mondo ed essa diventa, in qualche modo, corredentrice come la Madre Dolorosa.

Da quanto detto ricaviamo il modo di portare la Croce. E’ necessario evitare di lamentarci di soffrire a causa degli altri, per imparare a sopportare le croci, che Egli decide per noi. L’esercizio della virtù sta nel “sopportarle con rassegnazione, amore e riconoscenza. E’ necessario, infatti, soffrire. Il progresso moderno che cerca di sopprimere la croce, come quei “nemici della croce” di cui parla San Paolo (Fil. 3,18) non conseguirà mai ciò che desidera. “Se ci agitiamo come il cattivo ladrone, la nostra irritazione non farà che accrescere la nostra sofferenza. Nostro Signore ci chiede di lasciarlo fare, di lasciarlo lavorare per riprodurre in noi la sua immagine. La sofferenza va amata come mezzo di salvezza così come si può amare una medicina molto amara ma che ci ridarà la salute“.

Il Signore non ci chiede di sentire sensibilmente quest’amore, ma di trarne la prova perseverando, nonostante le tribolazioni, nella pratica dei doveri di stato, dei doveri religiosi, specialmente nella preghiera. Gesù attende che ci rivolgiamo a Lui con una preghiera ardente, perché Egli ha già deciso di esaudirci e di condurci molto più in alto di quanto possiamo desiderare noi stessi. L’accettazione della croce ha l’effetto di accrescere in noi le tre virtù propriamente divine di fede, speranza e carità, rendendo la nostra anima simile all’anima di Cristo e, perciò, simile a Dio. La croce conduce tutti i cristiani alla vera luce di Dio, preludio del cielo”. “Per crucem, ad lucem”! (R. Garrigou-Lagrange, Vita Spirituale, Ed. Effedieffe, Milano 2019, pp. 192-198, I^ Edizione Città Nuova, 1965).