IL SACCHEGGIO DI UNA NAZIONE: LA STORIA DELLE PRIVATIZZAZIONI

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di Nico Arena e Matteo Castagna

MC – La politica era la passione della mia famiglia, sia per parte paterna che materna. Entrambi ferventi cattolici, impegnati nel sociale, mi crebbero a pane, religione e politica. Nel 1989, quando avevo solo 13 anni, la scuola, i media e, ovviamente mamma, papà e loro amici, discutevano del crollo del Muro di Berlino. Era caduto il comunismo. In una famiglia in cui mio nonno materno veniva minacciato dagli ex partigiani rossi di impiccagione ad un pilone elettrico in Piazza del Popolo a San Michele Extra, quartiere di Verona, mentre i miei genitori si distinguevano assieme a molti altri per il loro viscerale anticomunismo accanto alla mia pro-zia che fece il Consigliere Comunale in città, era praticamente naturale che io seguissi giovanissimo quella strada, mai abbandonata. Nel 1990 mi avvicinavo alla Liga Veneta di Franco Rocchetta, leggevo ogni giornalino ed opuscolo. Ero affascinato da quel mondo, che non era mai appartenuto alla mia famiglia, ma si poneva come una novità politica che mi attraeva sui temi del federalismo e per la storia della Serenissima Repubblica di Venezia: 1.100 anni di vita, che a scuola si liquidava in quattro righe. D’altro canto, il pensiero al nonno paterno, aviatore durante la R.S.I. tornato a casa, nel 1950, dopo 5 anni di deportazione in Russia, quando era già stato seppellito tra i dispersi, mi fece approfondire un ambiente che già frequentavo per motivi di tifo calcistico, che era il M.S.I. ed in particolare alcuni esponenti dell’epoca del Fronte della Gioventù. A loro devo letture importanti che mi hanno formato (Evola, Romualdi, Rauti, Pound ecc.) e l’esempio militante per un ideale mai morto, seppur sconfitto. C’era fermento negli anni di Tangentopoli. Per un sedicenne come me era, assieme agli amici di allora, era un grande momento di ricostruzione nazionale, in cui vedevamo molti aspetti compatibili tra la Lega Nord di Bossi e il M.S.I. di Pino Rauti. Poi arrivarono le liti e il M.S.I. veniva smantellato a Fiuggi da Gianfranco Fini, mentre a Verona nasceva la federazione della Fiamma Tricolore in cui confluirono tutti i miei amici e conoscenti di allora. Nel 1993 avevo fatto la mia scelta: portare nella Lega Nord quanto potevo di un’Idea immortale, adeguandola ai tempi con un federalismo che non dispiaceva nell’ambiente missino scaligero. Ricordo che tutti eravamo dei gran forcaioli nei confronti di quelli che consideravamo dei “ladroni”, in particolare la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista. All’epoca delle monetine a Bettino Craxi fuori dall’Hotel Excelsior tifavamo per i sampietrini. Ma la storia non è mai quella che sembra. Tutto va approfondito e colto in un’analisi razionale non passionale come quella di un manipolo di giovanissimi incendiari.

di Nico Arena col contributo di Matteo Castagna

I veri responsabili della distruzione del sistema economico italiano.
Lo scempio delle privatizzazioni in Italia 
Dopo la seconda guerra mondiale e la nascita della Repubblica, i maggiori partiti italiani dell’epoca, la DC e la sinistra facente capo al PCI, si trovarono a decidere insieme quale struttura economica dare al ri-nascente Stato italiano. Vennero rifiutati entrambi i sistemi dominanti dell’epoca, cioè il liberismo statunitense e il collettivismo sovietico; la nuova forma economica che prese vita fu quella dello stato imprenditore. Con questo modello il potere economico statale si trovava a competere con le leggi del mercato, in concorrenza con i privati, con lo scopo di incoraggiare, anche con l’ausilio privato, l’economia del paese. Questo è il sistema della cosiddetta “terza via”, che aiuterà l’Italia a crescere dal dopoguerra in avanti.
Alla base dello stato imprenditore vi era l’IRI, nato nel 1933 come ente di “salvataggio”, che dopo il 1948 divenne il vero e proprio regolatore dei rapporti statali nel mondo industriale ed economico. Dagli anni cinquanta in poi fu il vero strumento di ammodernamento del paese; il suo campo d’azione era vastissimo. E’ giusto ricordare agli odiatori di professione che l’IRI fu una creatura del Fascismo, così ben riuscita da far da asse per tutto ciò che vedremo dopo, in particolare la sua svendita. E smantellarlo gradualmente, non fu un bene per l’Italia. Probabilmente lo direbbe Mussolini, l’ha detto Bettino Craxi ad Hammamet.
Esso comprendeva: acciaierie, autostrade, telecomunicazioni, settore finanziario, settore alimentare, trasporti, ecc. Sostanzialmente l’IRI fu una delle strutture produttive nazionali complesse, capace di misurarsi e competere con i settori di alta tecnologia e alta produttività sorti nel resto d’Europa. Un altro ente importante per comprendere al meglio la presenza dello stato nell’economia era l’ENI, impegnato nel settore degli idrocarburi. Ente Pubblico Economico nel 1953, sotto la direzione di Enrico Mattei, fascista per la CIA, che fu presidente fino alla sua morte nel 1962 Esso gestiva le partecipazioni statali nel settore dell’industria petrolifera e nei settori della petrolchimica, e fu all’avanguardia nella ricerca, lo sfruttamento e il trasporto degli idrocarburi. Da menzionare per la loro relativa importanza nel campo dell’intervento statale, l’EFIM (ente finanziamento industria meccanica) e l’EGAM (ente gestione aziende minerarie). Al fine di coordinare al meglio lo Stato imprenditore, nel 1956 fu istituito il “ministero delle partecipazioni statali”, che si basava sull’idea dell’azienda pubblica come motore di sviluppo economico e strumento di politiche sociali ed occupazionali.
Fin qui la storia sembrerà sicuramente didascalica e scolastica, però tutto ciò è necessario conoscerlo, per affrontare la parte interessante e “sconvolgente” di questa narrazione avendo acquisito una buona dose di concetti base.
Entriamo finalmente nel vivo, e arriviamo alle avvisaglie di quello sarà poi il grande saccheggio della nostra Nazione.
Anni ’80: qui incontriamo i primi due personaggi chiave: Romano Prodi e Carlo De Benedetti. Il primo venne nominato presidente dell’IRI nel 1982, il secondo, invece, era ed è il proprietario del gruppo Repubblica/Espresso. Prodi, nei 7 anni che sarà alla guida dell’IRI, darà prova di grande ambiguità e scaltrezza, infatti, in qualità di presidente concederà alla società di consulenze finanziarie “Nomisma”, della quale è dirigente, incarichi miliardari (alla faccia del conflitto di interesse). Il primo grande colpo di Prodi alla presidenza dell’IRI fu la vendita dell’Alfa Romeo alla FIAT, dalla quale la sua Nomisma prese grosse somme in tangenti, per soli 1000 miliardi a rate, mentre la FORD offriva 2000 miliardi in contanti (il fiuto per gli “affari” è sicuramente innato!).[3] E’ nel 1986 che Carlo De Benedetti sale in cattedra. Infatti, un anno prima, il governo presieduto da Bettino Craxi decise di privatizzare il comparto agro‐alimentare dell’IRI, la SME, che presentava bilanci in deficit. Il consiglio di amministrazione dell’IRI fu incaricato dell’operazione, anche se la decisione finale spettava al governo.[4] Il buon Romano Prodi si mise subito all’opera. Con accordi privati con la Buitoni (presieduta da De Benedetti), svende il 64,36% della SME a soli 393 miliardi, quando il valore complessivo di mercato era di circa 3.100 miliardi.
Naturalmente, secondo chissà quale visione economica naif, Prodi non prende neanche in esame le offerte maggiori degli altri acquirenti interessati alla SME. Alla fine, comunque, a rompere le uova nel paniere al duo De Benedetti‐Prodi è Bettino Craxi, il quale non diede autorizzazione di vendita e ritenne di mantenere la SME nell’ambito pubblico.[6] Queste sono solo le prime avvisaglie di un “colpo grosso”, che porterà allo smantellamento completo dell’assetto economico italiano.
Anni ’90: si aprirono subito con grandi sconvolgimenti e grandi temi da affrontare: iniziò la stagione di “mani pulite”, furono assassinati i giudici antimafia Falcone e Borsellino, il debito pubblico arrivò ai massimi storici e vi fu un attacco speculativo alla lira e alle altre valute europee, da parte del finanziere George Soros, che portò alla distruzione del “sistema monetario europeo”.
Andiamo con ordine, è il 2 giugno 1992, sul panfilo “BRITANNIA” di sua Maestà la Regina Elisabetta, ci fu un incontro più o meno riservato tra top manager italiani e britannici. Erano presenti i presidenti di ENI, INA, AGIP, SNAM, ALENIA e Banco Ambrosiano, oltre all’ex ministro del Tesoro Beniamino Andreatta e al direttore generale del Tesoro “Mario DRAGHI”. La discussione fu incentrata sul tema delle “privatizzazioni” del comparto pubblico italiano, e la discussione si basò soprattutto su una critica al sistema italiano, reo di essere “lontano da un vero processo di privatizzazioni per ragioni culturali, di sistema politico e di specificità delle aziende da cedere”, come ebbe a dire sullo “yacht reale” il presidente dell’INA Lorenzo Pallesi.[8] Ad inasprire il dibattito ci pensò il consigliere di Confindustria Mario Baldassarri, che incalzò:” Per privatizzare servono 4 condizioni: una forte volontà politica; un contesto sociale favorevole; un quadro legislativo chiaro; un ufficio centrale del governo che coordini tutto il processo di privatizzazioni. Da noi oggi non se ne verifica nemmeno una”.[9]
Quindi, se in quell’Italia la volontà politica non era propensa alle privatizzazioni, i vari manager pubblici e persone del calibro di Draghi, uomo della finanza internazionale, erano già catapultati verso il nuovo indirizzo economico, e la loro volontà veniva incontro agli interessi degli “amici” britannici, che avevano fretta nel spartirsi una bella torta dal valore di circa 100 mila miliardi di lire.
Torniamo indietro di 5 mesi, andiamo al 17 febbraio 1992, data dell’arresto di Mario Chiesa, che darà avvio alla stagione di “mani pulite”. Da lì a pochi mesi un’intera classe politica sarà spazzata via dalle inchieste di Di Pietro & co. I partiti letteralmente distrutti da questa stagione giudiziaria furono la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista, i quali avevano una caratteristica comune: erano fortemente intrisi di “statalismo”, cioè erano fortemente inseriti nella concezione delle partecipazioni statali, e non avevano scrupoli ad offrire prebende ed elargizioni di Stato per comprare il consenso dei cittadini. Sicuramente, questo era un sistema lontano anni luce da quello degli affaristi della “city” di Londra e dei nuovi liberal/liberisti italiani. Da qui inizia la fase dei cosiddetti “governi tecnici” e nel 1993 il Presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi e il suo governo istituiscono il “Comitato Permanente di Consulenza Globale e Garanzia per le Privatizzazioni”, con presidente Mario Draghi (vedi “Britannia”), e il ministro degli Esteri Beniamino Andreatta (vedi “Britannia”) istituirà accordi con il commissario europeo alla concorrenza Karel Van Miert, affinché le aziende di Stato possano diventare appetibili per il capitale privato.
Avete notato cosa è successo? Ricordate le 4 condizioni per le privatizzazioni del “Britannia”?
Numero 1 (una forte volontà politica): dopo la scomparsa, causa Tangentopoli, dei partiti storici DC/PSI, si avvicendarono al governo vari “tecnici”, tutti fortemente propensi al nuovo corso economico; i nomi e cognomi di questi tecnici sono: Carlo Azeglio Ciampi, Giuliano Amato, Lamberto Dini, i già citati Andreatta e Draghi ed in seguito anche altri protagonisti.
Numero 2 (un contesto sociale favorevole): beh, in quegli anni di grande caos, dove l’indignazione contro una classe politica “corrotta”(e statalista) che veniva spazzata via dalle inchieste(?) era alta, e dove il debito pubblico schizzava alle stelle, anche se non era un reale problema, il contesto era sicuramente favorevole per lasciare spazio alle privatizzazioni.
Numero 3 (un quadro legislativo chiaro): il quadro normativo cominciò ad essere chiaro dal 1993, con il già citato accordo Andreatta/Van Miert, che regolava la ricapitalizzazione del settore siderurgico a patto che lo si privatizzasse e l’azzeramento del debito delle imprese statali. [12] Inoltre, con il cosiddetto “decreto Amato” si trasformarono in società per azioni l’IRI, l’ENI, l’ENEL e l’INA, e con successivi decreti verrà regolamentata la pratica delle privatizzazioni.
Numero 4 (un ufficio centrale del governo che coordini tutto il processo di privatizzazioni): ed ecco anche l’ufficio, cioè il “Comitato Permanente di Consulenza Globale e Garanzia per le Privatizzazioni”, presieduto dal tecnocrate Draghi.
Ecco, ora i tasselli del puzzle sembrano incastrarsi meglio, nel giro di pochi anni gli interessi della grande finanza sono riusciti a mettere tutte le cose in ordine, grazie a: tangentopoli (giustizia a orologeria?) e ad una classe politica completamente asservita (vedi sopra). Vediamo ora il secondo step di questo processo e cioè le privatizzazioni vere e proprie. Nel corso del 1993 ritorna in auge un personaggio che abbiamo già incontrato nella nostra storia: Romano Prodi. Ritornato alla presidenza dell’IRI, dopo esser stato consulente per la Goldman Sachs, Prodi procedette alla svendita del gruppo Cirio-Bertolli-De Rica (comparto SME), alla società Fisvi, la quale non aveva i requisiti necessari per l’acquisto. Ed ecco perché questo giochetto: la Fisvi acquista a due soldi il gruppo, e a sua volta cederà il controllo della Bertolli all’UNILEVER (multinazionale alimentare anglo-olandese). Chi era “l’advisory director” (direttore per le consulenze) dell’UNILEVER?? La risposta è semplice: l’impareggiabile Romano Prodi.[14]
Risale al 1993 anche la prima privatizzazione di una delle grandi banche pubbliche, il “Credito Italiano”. La “Merril Lynch” (banca d’affari americana), incaricata come consulente dall’IRI, valuterà il prezzo di vendita del Credito Italiano in 8/9.000 miliardi, ma alla fine verrà svenduta per 2.700 miliardi, e cioè il prezzo stabilito dalla “Goldman Sachs”(altra banca d’affari americana).
Sempre quell’anno verranno cedute anche le quote della COMIT, che assieme al Credito Italiano e alla BNL detenevano il 95% delle azioni della Banca d’Italia. Come consulenti per la cessione delle banche furono chiamati uomini come Mario Monti, Letta, Tononi e Draghi, tutti gravitanti nell’orbita “Goldman Sachs”.[16]
Nel 1994, dopo le prime elezioni post Tangentopoli, al governo andrà il centrodestra guidato dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, sul quale peserà il sospetto di eccessiva accondiscendenza ad Alleanza Nazionale, che aveva in Antonio Parlato, sottosegretario al Bilancio, e nel vicepremier Giuseppe Tatarella due posizioni fortemente contrarie alle privatizzazioni.[16] Comunque, il governo Berlusconi durò pochi mesi, e alla presidenza del consiglio fu sostituito dal “tecnico” Dini.
Con Dini, nel 1995, cominciò la prima fase di privatizzazione dell’ENI, dove fu dismesso circa il 15% dell’intero pacchetto azionario.[18] Nel 1996, a vincere le elezioni è il centrosinistra guidato dal “santo spirito” Romano Prodi, che cede un altro 16% delle quote ENI ed inoltre privatizzò la Dalmine e la Italimpianti appartenenti al gruppo IRI. E’ nel 1997 che Prodi dà il meglio di sé, infatti, ritorna a “trattare” col suo vecchio amico l’Ingegner Carlo De Benedetti. Sugli “affari” fatti dai due, l’ex segretario del Partito Liberale ed ex ministro dell’Industria Renato Altissimo sentenziò: “Infostrada — cioè la rete telefonica delle Ferrovie dello Stato – fu ceduta all’Ingegnere per 750 miliardi di lire da pagare in comode rate.
Subito dopo De Benedetti vendette tutto per 14mila – ripeto – 14mila miliardi di lire ai tedeschi di Mannesman”.[19] Un vero e proprio regalo si direbbe! Sempre quell’anno Prodi mise sul mercato “Telecom”, con le azioni che furono vendute ad un prezzo irrisorio, infatti, appena un anno dopo le stesse azioni varranno sul mercato 5 volte di più (+ 514%).Dopo la caduta del governo Prodi nell’Ottobre 1998, a prendere il suo posto è Massimo D’Alema, uno dei tanti post-comunisti convertitisi alla causa liberista, che nel Novembre dello stesso anno privatizzerà la BNL, con la consulenza della JP Morgan (altra banca d’affari americana).[21] Nel 1999, dopo il “decreto Bersani” che liberalizzava il settore dell’energia, venne privatizzata l’ENEL e sempre quell’anno venne ceduta la società Autostrade alla famiglia Benetton (quella delle magliette). L’ultima fase di privatizzazione riguarda quel poco che era rimasto all’ENI, infatti, l’onnipresente Goldman Sachs acquisterà l’appetibile patrimonio immobiliare dell’ente per il valore di 3000 miliardi di lire. La cara Goldman farà incetta anche di altri immobili, come quelli della Fondazione Cariplo, mentre la Morgan Stanley (ennesima banca d’affari americana) si catapulterà all’acquisto dei patrimoni di Unim, Ras e Toro. Secondo studi eseguiti dal “Sole 24 ore”, i gruppi esteri oramai posseggono più patrimoni ex-pubblici di quanti ne posseggano gruppi italiani.[22] La fase delle privatizzazioni si può ritenere chiusa nel 2002, con la dismissione e la liquidazione dell’IRI.
Così, in meno di 10 anni, un intero sistema economico viene distrutto e tutto quello che ha reso l’Italia uno dei più grandi paesi a livello internazionale viene ridotto a poco più che uno spezzatino. Grazie allo scempio di queste svendite l’Italia si è giocata il 36% del suo PIL, e cioè della sua ricchezza. I maggiori artefici di questo processo predatorio dello Stato italiano sono gli stessi uomini che ci hanno consegnato nelle mani dell’Europa e nella morsa della moneta unica. Sono gli stessi che oggi vengono pontificati come profeti della buona politica, “grandi statisti”; ma prima o poi arriverà anche per loro, il giorno in cui dovranno rispondere al tribunale della storia e a tutti gli italiani per il loro alto tradimento alla patria. Per gli affaristi, che hanno svenduto l’Italia e gli italiani al peggiore offerente, quel giorno arriverà. “Ridurranno l’Italia in miseria, la venderanno, per poi umiliarla” – diceva Craxi nel lontano 1997. Ci siamo quasi?

Gazprom torna a fornire gas russo all’Italia: cosa è successo

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di Alessandro Della Guglia

Roma, 5 ott – Riprenderanno le forniture di gas dalla Russia all’Italia, attraverso l’Austria. E’ quanto fatto sapere da Gazprom, con un comunicato ripreso dall’agenzia Tass. “Gazprom e gli acquirenti italiani sono riusciti a trovare un accordo sul formato di cooperazione tra i cambiamenti normativi in Austria alla fine di settembre. L’operatore austriaco ha comunicato la sua disponibilità a confermare le nomine di trasporto di Gazprom Export, il che rende possibile la ripresa delle forniture di gas russo attraverso il territorio austriaco”, si legge nella nota del colosso russo del gas.

Gazprom torna a fornire gas all’Italia. I fatti

Il motivo dello stop ai flussi del gasdotto Tag (Trans Austria Gas Pipeline) a Tarvisio, da dove passa la gran parte del gas russo diretto nella nostra nazione, era stato spiegato bene dall’ad di Eni, Claudio Descalzidue giorni fa. “Si sarebbe dovuto dare una garanzia fisica in funzione del passaggio di questo gas al trasportatore che porta il gas dall’Austria all’Italia”, aveva detto Descalzi al termine della cerimonia Eni Award, svoltasi al Quirinale. Il problema è che “Gazprom non ha pagato, quindi diventa difficile pensare che una società che vuole pagare in rubli possa mettere delle garanzie in euro per un passaggio”.

Lo stesso Descalzi aveva poi affermato che Eni sarebbe stata disposta a intervenire per risolvere la situazione, valutando se “subentrare o al trasportatore o a Gazprom. Si parla di 20 milioni di garanzie su miliardi di euro che passano quindi adesso vediamo se riusciamo a subentrare e facciamo questo sforzo”. In parole povere Eni si era detta pronta a pagare per sbloccare i flussi di gas diretti in Italia, auspicando così di risolvere la situazione “entro questa settimana”. Descalzi aveva inoltre specificato che il gas in questione “è già in Austria e Germania in questo momento”, dunque “non è nelle mani di Gazprom”.

Fonte: https://www.ilprimatonazionale.it/economia/gazprom-torna-a-fornire-gas-russo-italia-cosa-e-successo-245690/

Abbassare il costo di energia e bollette si può, ma i politici non lo fanno

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Abbassare il costo di energia e bollette si può, ma i politici non lo fanno
La ricetta per vincere la crisi energetica. Cosa dovrebbe fare il governo che verrà eletto, visto che quello che c’è è inerte. La trasparenza sui prezzi d’acquisto e come uscire dal fittizio mercato di Amsterdam

C’è un’alternativa a questo disastro annunciato sull’energia. Ne abbiamo parlato con l’esperto Salvatore Carollo, autore del saggio “C’era una volta il prezzo del petrolio” (Scheiwiller, 2008) e di “Understanding Oil Prices: A Guide to What Drives the Price of Oil in Today’s Markets” (Wiley 2012). Carollo ha sviluppato la sua carriera in Eni nel settore del trading di Oil & Gas ed è stato lecturer in Eni Corporate University. Scrive correntemente in riviste specializzate in materia energetica e tiene conferenze internazionali sul tema. A fine 2015 è rientrato da Londra, dove ha passato gran parte della sua carriera. 

“Sì. Le vie alternative però vanno costruite. Quello che noi paghiamo è la mancanza di una strategia energetica nazionale”

Sì…

“Abbiamo contato sul fatto che la buona sorte continuasse a funzionare. All’inizio degli anni 2000 avevamo quasi 21 miliardi di metri cubi di produzione all’anno di gas nazionale. Ma questa cosa l’abbiamo fermata e abbiamo fatto in modo che i cosiddetti ambientalisti avessero il sopravvento. In realtà si sono incrociati ideologie con interessi specifici e molto concreti”

A quanto siamo scesi?

“A circa 3,5 miliardi ed è un fatto grave”

Alcuni dicono che bisognerebbe tentare di uscire dalla Borsa di Amsterdam. Il prezzo del gas negli Stati Uniti o in Giappone o nei Paesi extra Ue è triplicato, da noi è invece 11 volte di quanto era nel 2020…

“Qui c’è un equivoco di fondo. Chiamiamo Borsa di Amsterdam qualcosa che è poco più di una fiera paesana. Mi spiego. Il Brent, il prezzo del petrolio Brent si genera in Borsa, alla borsa di Londra. Per dare un’idea bisogna ricordare che lì vengono scambiati al giorno tra i 2000 e i 3000 miliardi di dollari di contratti petroliferi, cioè più del Pil italiano. Un mercato di queste dimensioni dà la garanzia di un indicatore degli equilibri di mercato. Quando invece andiamo ad Amsterdam… veda se riesce ad avere una dimensione dei volumi scambiati nel TTF (Title Transfer Facility, mercato di riferimento olandese per lo scambio del gas naturale e che determina i prezzi attuali). Ci sono tutti i grafici che ci dicono come va il prezzo ma non sulla quantità di volumi scambiati, cioè su quale scambio di volume è basato questo prezzo. Da quello che ho potuto esaminare si tratta di scambi insignificanti, tra un gruppetto di traider ,che generano questi numeri. E accade che in una Borsa piccolissima, dove si scambiano pochi volumi, basti un nulla per generare aumenti del 100% o del 200%”

Ipotizziamo che Carollo diventi presidente del Consiglio, che fa per salvare gli italiani dalla speculazione energetica?

“Bisognerebbe che l’Italia dicesse subito: il prezzo del gas non lo basiamo sul TTF olandese. Poi una seconda cosa”.

Quale?

“Abbiamo i due più grandi importatori di gas che sono società quotate in Borsa ma di proprietà del ministero del Tesoro. L’azionista di maggioranza, il ministero, ha il diritto di sapere qual è il prezzo a cui il gas viene importato. Questa informazione il ministro del Tesoro e dell’Economia deve fornirla al presidente del Consiglio che a sua volta può informare il ministero della Transizione Energetica, cioè in questo momento Cingolani. Cingolani ha provato a sapere il prezzo a cui viene importato il gas in Italia ma non gli è stato riferito dalle società pubbliche perché sostengono che essendo quotate in Borsa non possono dirlo. Ma non è reale tutto questo. Le società devono comunicarlo. Negli Stati Uniti, che è la patria del libero mercato, le società petrolifere, siccome operano su concessione dello Stato, come in Italia, sono obbligate ad essere trasparenti con lo Stato e quindi a comunicare il prezzo d’acquisto, che infatti è noto. Quindi il mercato americano funziona in modo corretto. Noi dovremmo disporre di questa informazione trasparente da parte dei grandi importatori di gas e questa cosa non c’è. Alla fine ci attacchiamo a questa finzione del TTF per coprire il fatto che non abbiamo un mercato trasparente in Italia. Però il monopolio e questa segretezza si traducono in un danno per i consumatori. Facendo queste due semplici operazioni il costo del gas si allinea agli effettivi costi d’importazione che sono 10-20 volte più bassi del TTF”

Come si generano i famosi extra profitti?

“Si generano nella differenza tra costo d’importazione e il TTF”

Chiunque vinca le elezioni, i trend dicono che sarà il centro destra, dovrebbe intanto fare questi interventi urgenti e poi un piano…

“Sì, dovrebbe farlo subito. Lo dico da tecnico. Lasciamo Amsterdam. Vogliamo prendere come riferimento il mercato più caro di tutti? Il gas liquido americano? Bene, quel mercato che si chiama Henry Hub è molto grande ma è trasparente, il prezzo è pubblicato ora per ora. Se uso anche quel mercato come riferimento intanto mi accorgo che dà un valore dieci volte minore del TTF, molto più basso e non subisce queste speculazioni di quattro amici perché è un mercato globale”

Intanto che il governo attua un nuovo piano energetico…

“Per quanto riguarda il piano grazie dei veti degli ecologisti e anche di una parte del Pd ogni tentativo è andato in fumo, e non è stata ripresa la produzione in Adriatico”

Chiaro. Dalla sua analisi emergono però due problemi: da un lato manca una politica che sia tale, dall’altro delle authority che facciano rispettare questi processi di trasparenza…

“Esattamente. Se anche prendessimo quel mercato come riferimento ci garantiremmo due cose: primo, un prezzo sufficientemente alto da consentire le importazioni di qualunque tipo di gas in Italia; secondo, dimezziamo il prezzo al consumo perché non mi riferisco più all’ Hub di Amsterdam. Questa cosa si può fare domani mattina”

Quindi?

“Riprendiamo la produzione nazionale, ma intanto cambiamo questi riferimenti di prezzo. Basta che intervenga Arera perché queste cose non sono strategie o cose complesse… Ricordate quando Draghi disse al Consiglio d’Europa che la Borsa di Amsterdam era al centro di grandi speculazioni? E il primo Ministro olandese si risentì? Stanno facendo la stessa speculazione che avvenne con la…”

la Bolla dei tulipani…

“Sì, con il bulbi dei tulipani nel 1600… Draghi ha detto una cosa vera solo che avendo individuato il problema non ne ha tratto le conseguenze facendo qualcosa”

E perché non si interviene anche subito? Manca la competenza sulla materia?

“L’ho scoperto dalla reazione ad alcuni mie articoli. Le faccio un esempio: è come se dovessi girare un film sul ‘700. Il film è pieno di dame, siamo in una corte, abbiamo bisogno di acconciature, abbiamo necessità di parrucchieri bravi. Immagini se il regista invece di assumere dei parrucchieri esperti di acconciature vada a prendere studiosi di tricologia che sanno tutto sul capello ma nulla sull’acconciatura! Chiaro!? Questa è la situazione in cui siamo, in cui ci troviamo nei ministeri e nelle authority per l’energia. Abbiamo lì dentro personaggi di altissimo livello ma sono come dei ‘tricologi’ che non sanno nulla o quasi nulla del mercato quando si trovano a trattare sul campo internazionale”

Ma perché non si sono fatti interventi di estrazione del gas che potessero convivere con l’ecologia?

“La produzione di gas nel mare dell’Adriatico e in Sicilia, dove ci sono giacimenti importantissimi come al sud di Gela, sono stati fermati per dare spazio all’ideologia. Pensate che gli impianti in Adriatico sono tra i più rispettosi dell’ambiente che ci sono al mondo. Molte delle piattaforme sono diventate praticamente parchi marini, quindi sotto si è ricreata una fauna e una flora marina che è strepitosa”

Quindi ci sono strade per evitare un inverno disastroso?

“Sì ma quando in primavera è scattato l’allarme non si è lavorato pancia a terra, si è chiaccherato. Se guarda i dibattiti televisivi questo è un argomento che non viene citato”

Sì, ho notato, anche durante le elezioni si glissa sul cosa fare e la gente paga

“…quando è un fattore prioritario”

Ma la Commissione Europea non può fare un intervento diverso, adottando strategie differenti rispetto a quelle in atto finora che mi sembrano abbastanza fragili?

“Si è molto discusso, si è inserita l’energia nucleare tra i fattori non inquinanti ma c’è anche la delibera del parlamento europeo che dice che dal 2035 non dobbiamo più avere auto a combustibili fossili. Una pura follia. Uno perché non è realizzabile, secondo perché l’Europa è all’avanguardia nel campo delle tecnologie automobilistiche e noi dovremmo abbandonare questa supremazia mondiale per attaccarci ad una tecnologia che è importata ed è cinese!?”

Sta già accadendo anche in Emilia Romagna, nella terra dei motori. Sarebbe devastante continuare su questa strada…

“Si parla di guerre a livello globale e noi diventiamo dipendenti dalle tecnologie cinesi? Ma dove è la ratio? Poi c’è un altro errore gravissimo”

Quale?

“Stiamo pensando che nella cosiddetta transizione ecologica noi arriveremo alla fine del processo con tutta la catena di approvvigionamento di cui disponiamo oggi, cioè che continueremo ad avere benzina, gasolio, il jet fuel per gli aerei. Non è scritto da nessuna parte che accada perché noi abbiamo un sistema di raffinazione vecchissimo. La nostra industria di raffinazione è vecchissima, la più giovane che abbiamo costruito è del 1976, la Isab di Siracusa che è della Lucoil che vuole anche metterla in vendita. Senza un sistema di raffinazione adeguato chi è che ci darà la benzina pulita, il jet fuel, il gasolio?”

Quindi ci vuole un piano energetico nazionale che non faccia perno su ideologie ma che si basi sui numeri e sulle necessità…

“Sì e anche su valutazioni realistiche che si dovranno fare perché questa benedetta transizione non è dietro l’angolo”

Fonte: https://www.affaritaliani.it/politica/abbassare-il-costo-di-energia-bollette-si-puo-perche-i-politici-non-lo-fanno-812294.html

Benzina alle stelle: quando l’Italia puntava all’autosufficienza energetica

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LETTERE DEL LETTORE

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera pervenuta e pubblicata anche su https://www.ilmiogiornale.net/benzina-alle-stelle-quando-litalia-puntava-allautosufficienza-energetica/

di Ferdinando Bergamaschi

Il forte aumento della benzina, ai massimi dal 2014 malgrado il prezzo del petrolio stia tenendo, apre di nuovo il dibattito su quanto il fisco incida nel prezzo dei combustibili. E pensare che l’Italia è stato uno dei primi Stati occidentali a muoversi verso la ricerca di una sovranità energetica che mirasse a tutelare i consumatori. Vediamo allora dove inizia questa storia.

Le tesi di Canali

In un libro dello storico antifascista Mauro CanaliIl delitto Matteotti (Il Mulino, 2004), accanto a una tesi pregiudiziale sull’omicidio del deputato socialista (quella della responsabilità diretta di Mussolini, su cui non siamo d’accordo), si fa luce con una pregevole ricerca storica su quella che è stata “La questione petrolifera e la convenzione Sinclair”. Nell’omonimo capitolo del suo libro Canali approfondisce infatti la vicenda, preambolo nel quale si è generato il delitto del deputato socialista. 

Figura centrale di questi avvenimenti del 1923-1924 legati alla questione petrolifera italiana è stato l’allora ministro dell’Agricoltura del governo Mussolini. Stiamo parlando del liberale di destra Giuseppe De Capitani D’Arzago, uomo politico di indiscussa competenza e capacità, come peraltro si evince anche dai giudizi positivi che su di lui dà Canali e dalla ricostruzione della sua opera di ministro che lo storico ci riconsegna.

Chi era De Capitani? Un liberale di destra, dapprima di orientamento salandrino, che durante la sua reggenza al dicastero dell’Agricoltura aveva sempre cercato di mantenere autonoma la sua posizione e il suo ministero, non senza polemizzare con Mussolini quando questi voleva riunire, riuscendovi, il ministero dell’Agricoltura con quello dell’Industria (creando il Ministero dell’Economia nazionale). 

Italia e trust del petrolio

De Capitani e con lui il funzionario Arnaldo Petretti, direttore generale dei combustili e servizi diversi, volevano proseguire la politica energetica del governo Giolitti e rafforzarla in senso nazionale (oggi si direbbe “sovranista”). De Capitani infatti era un tenace avversario dei trust internazionali, nemico delle loro brame monopolistiche e oligopolistiche. Canali giustamente rileva a tal proposito: «Nel discorso programmatico davanti al Senato, De Capitani confermava la sua intenzione di intensificare la ricerca di petrolio nel sottosuolo nazionale, e di avviare a soluzione in tempi brevi il grave problema dell’approvvigionamento, altrimenti – aveva concluso – “sarà per sempre rinsaldata la dipendenza del nostro mercato dai trust internazionali”».

Addirittura il trust mondiale del petrolio, e la Standard Oil in particolare, vedevano De Capitani come un grande pericolo per le loro strategie. Da un lato infatti era un deciso sostenitore dell’esplorazione del nostro sottosuolo, col fine di rendere indipendente l’Italia nell’approvvigionamento e nella distribuzione del petrolio; e dall’altro lato, visto che comunque ciò non sarebbe bastato, il ministro, non accettando che il mercato fosse così fortemente condizionato dai grandi trust, voleva approvvigionarsi presso compagnie indipendenti. De Capitani addirittura, pur di non piegarsi al monopolio della Standard Oil, aveva tentato la strada di acquistare direttamente all’estero i pozzi da sfruttare. 

Da De Capitani a Mattei

Questo contesto, come si è detto, è quello in cui nasce l’affaire Matteotti che ovviamente per la sua complessità non può in questa sede essere considerato. Qui ci limitiamo ad evidenziare che De Capitani è stato l’iniziatore di quella politica di difesa e potenziamento della sovranità energetica italiana che avrebbe portato poi, due anni più tardi, nel 1926, alla creazione dell’Agip (Azienda Generale Italiana Petroli). Egli è stato il creatore e il grande sostenitore di questa politica energetica nazionale che voleva fosse basata su una partecipazione pubblica e privata.

La scelta di De Capitani, come è noto, nel secondo dopoguerra sarà portata avanti e potenziata dall’imprenditore Enrico Mattei, presidente dell’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi), che fra l’altro nel 1948 scopre il giacimento di gas e petrolio a Cortemaggiore (dal 1951 l’Agip avrà in produzione campi di gas anche a Podenzano e Pontenure), anch’egli “poco gradito”, evidentemente, ai grandi trust internazionali.
Insomma, l’opera intrapresa da un liberale di destra è stata ereditata e portata avanti da un democristiano di sinistra… a dimostrazione una volta di più che le vie del Signore sono infinite.

L’Italia vulnerabile e “commissariata”. E il disastro è appena cominciato

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di Alberto Negri

L’Italia vulnerabile e “commissariata”. E il disastro è appena cominciato

Fonte: Alberto Negri

Cacciato dalla porta del Quirinale, il populismo italico potrebbe trasformarsi in una scomposta ondata nazionalista senza precedenti in un Paese che per altro ha sempre dimostrato uno scarso attaccamento alla bandiera e uno assai maggiore al portafoglio, che oggi langue. Il Mattarella in testa a Paolo Savona, un anziano e stimato signore che si è fatto strumentalizzare dal furbetto Matteo Salvini, è stato un colpo da maestro per respingere, almeno per il momento, i Cinquestelle dalla stanza dei bottoni, ma potrebbe trasformarsi in un boomerang.

Tornare alla caduta di Gheddafi per capire

L’Italia resta un Paese vulnerabile dentro e soprattutto fuori, sui mercati e in politica estera. Vulnerabile anche alle tesi di un complotto internazionale dell’establishment europeo e interno a difesa dell’euro, citato a volte a sproposito come il padre di tutti i guai italiani. Ma un colpevole bisogna pur sempre trovarlo per giustificare la nostra insipienza. Non c’è nessun complotto, per il momento, ma l’evidenza dei fatti. L’Italia è un Paese fragile da quando nel 2011 Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti decisero di far fuori il Colonnello Gheddafi, il suo più importante alleato nel Mediterraneo che soltanto sei mesi prima, il 30 agosto 2010, aveva ricevuto in pompa magna a Roma firmando contratti per decine di miliardi e affidandosi al raìs per il controllo dei flussi migratori. Non solo l’Italia non lo ha difeso ma lo ha bombardato cedendo ai ricatti dei suoi alleati della Nato che minacciavano di colpire i terminali dell’Eni.

E’ stata la maggiore sconfitta dell’Italia dalla seconda guerra mondiale. Le conseguenze sono state devastanti: perdite in denaro colossali e un’ondata migratoria che, anno dopo anno, ha destabilizzato il quadro politico del Paese. Da quel 2011 gli alleati e concorrenti dell’Italia hanno minato i nostri interessi lasciandoci soli e allo sbando. Mentre ieri a Roma si consumava la crisi politica più lacerante degli ultimi anni, Emmanuel Macron ha convocato per domani a Parigi una conferenza internazionale sulla Libia che “si svolgerà sotto l’egida delle Nazioni Unite” per fissare la data delle elezioni. Continua a leggere