Joe Biden grazia i condannati a morte, bufera negli Usa: l’umanitarismo in salsa Dem che disonora le vittime

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EDITORIALE
di Matteo Castagna, Editoriale per Affaritaliani.it del 29/12/2024 https://www.affaritaliani.it/esteri/joe-biden-condanna-morte-federali-dem-usa-950677.html
Si avvicina per lui l’importante traguardo dei 100 articoli/editoriali, circa uno a settimana, per la prima testata giornalistica online in Italia, fondata nel 1997 da Angelo Perrino
Biden criticato per aver graziato i condannati a morte: i racconti dagli Usa
Affaritaliani.it ha trattato in più occasioni dei condoni di pena, prima paventati, e poi effettivamente eseguiti dal Presidente uscente degli Stati Uniti Joe Biden.
L’aggiornamento, che proviene da Fox News Digital appare interessante, per chiudere il cerchio e gli atti del suo mandato, nella maniera controversa classica di molti suoi provvedimenti degli ultimi quattro anni.
Brandon Council è stato condannato a morte da una giuria federale il 3 ottobre 2019, dopo essere stato dichiarato colpevole di aver ucciso due donne che lavoravano in una banca della Carolina del Sud, durante una rapina, nel 2017.
La giornalista Elizabeth Pritchett aggiunge che l’ex procuratore afferma che è difficile vedere un “assassino senza rimorsi”, sollevato dalla sua condanna. Council era uno dei 37 assassini condannati che ora trascorreranno l’ergastolo, senza possibilità di libertà vigilata, dopo che Biden ha riclassificato le loro condanne a morte.

Derek Shoemake, ex procuratore aggiunto degli Stati Uniti per il distretto della Carolina del Sud e uno dei procuratori federali nel caso contro Council, ha detto a Fox News Digital che è stato “uno dei più grandi onori professionali” della sua vita cercare giustizia per le vittime Donna Major, 59 anni, e Kathryn Skeen, 36 anni, e il suo cuore si spezza per le loro famiglie dopo la decisione di Biden.

Donna Katie erano donne straordinarie, madri meravigliose e fari di luce nella loro comunità. Oggi i miei pensieri e le mie preghiere sono con le loro famiglie e il mio cuore si spezza per loro mentre elaborano questa notizia”, ha detto Shoemake in una dichiarazione.

Ha anche detto che i suoi pensieri e le sue preghiere sono con il team che “ha lavorato per più di un anno” per ottenere giustizia per Major e Skeen“assicurando che un assassino senza rimorsi ricevesse una sentenza che parlasse della natura orribile dei suoi crimini insensati”. Il 21 agosto 2017, Council è entrato nella CresCom Bank a Conway, nella Carolina del Sud, con l’intenzione di rapinare l’attività e uccidere i suoi dipendenti, secondo un comunicato stampa del 2017 dell’ufficio del procuratore degli Stati Uniti per il distretto della Carolina del Sud (USAO-SC).

Dopo essere entrato, Council ha sparato a Major, che era l’impiegata di banca, più volte con un revolver, ha affermato all’epoca l’USAO-SC. Poi è corso nell’ufficio di Skeen, dove lavorava come direttrice della banca, e le ha sparato più volte, mentre si nascondeva sotto la scrivania.

Prima di fuggire dalla banca, ha rubato le chiavi delle auto di entrambe le vittime, le loro carte di credito e più di $ 15.000 in contanti. Prese uno dei veicoli per andare al motel in cui alloggiava, fece i bagagli e partì.

“È difficile vedere una sentenza cancellata a 400 miglia di distanza dopo che è stata legalmente imposta da una giuria di uomini e donne della Carolina del Sud che hanno trascorso settimane ad ascoltare le prove, a deliberare e a decidere attentamente la punizione appropriata”, ha detto Shoemake.

Ha anche detto che fa male che le famiglie delle vittime “festeggeranno un altro Natale senza i loro cari”, mentre Council è tra i 37 assassini condannati a livello federale “che celebrano una vittoria politica”. Shoemake ha detto che il suo obiettivo non è il dibattito politico che circonda le commutazioni di Biden, ma “l’eredità di amore, famiglia e fede” che Major e Skeen incarnavano.

“Prego per le loro famiglie, come faccio spesso, e prego per tutte le famiglie delle vittime colpite oggi”, ha affermato.

In una dichiarazione della Casa Bianca che annunciava le commutazioni di lunedì, Biden ha detto di condannare gli assassini e i loro “atti spregevoli” e di essere addolorato per le vittime e le famiglie che hanno subito “perdite inimmaginabili e irreparabili”, ma “non può tirarsi indietro e lasciare che una nuova amministrazione riprenda le esecuzioni che ho interrotto”.

Solo tre detenuti rimangono nel braccio della morte federale. Sono Robert Bowers, l’attentatore della sinagoga Tree of LifeDylann Roof, l’attentatore della chiesa di Charleston, e Dzhokhar Tsarnaev, l’attentatore della maratona di Boston.

Quale differenza fra questi 3 attentatori che verranno uccisi dagli USA con iniezione letale e gli altri 37 che hanno assassinato brutalmente e, forse senza un reale pentimento o pubblico segnale di resipiscenza, che hanno ricevuto la grazia presidenziale?
Difficile spiegare le motivazioni di queste tre mancate commutazioni di pena, dal momento che Biden ha detto di essere “contrario in coscienza” alla pena capitale federale. “A pensar male si fa peccato, ma alle volte ci si azzecca”, diceva uno statista italiano di grande esperienza. Parliamo, dunque, di “umanitarismo in salsa Dem” o di “mancata grazia politica”, data l’essenza sostanzialmente suprematista dei tre, ai quali permane la massima pena?

Il futuro dell’identità umana

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/08/14/il-futuro-dellidentita-umana/ https://www.2dipicche.news/il-futuro-dellidentita-umana/ e in spagnolo, tradotto dall’Ordine dei Giornalisti dell’America Latina: https://vocesdelperiodista.mx/voces-del-periodista/opinion/el-futuro-de-la-identidad-humana/

Il futuro dell’identità umana – San Tommaso d’Aquino affermava che i filosofi si valutano in rapporto alla verità o falsità delle loro argomentazioni; dal confronto tra le tesi della filosofia tomista e di quella rahneriana emerge con evidenza che mentre il tomismo è una filosofia realista, il cui oggetto di indagine è l’analisi della realtà come è in se stessa, quella di Rahner è una filosofia antirealista, di origine cartesiana, che ha posto al centro della riflessione l’io umano e il suo pensiero.

Nell’età moderna, la concezione realista di S. Tommaso appare essere talmente vera, da esser utile a chiunque ad osservare ciò che lo circonda, traendone un pensiero critico. In un certo senso siamo tutti filosofi, se ci atteniamo a questo principio. Il filosofo che si fa chiamare tale, nel III° millennio sembra, invece, solo un furbacchione, che cerca un modo “stimabile” per non lavorare.

La realtà odierna ci fa osservare che, mentre nel passato le strategie, le lobby di potere, gli interessi economici più importanti erano mantenuti in una certa riservatezza, oggi, nell’era digitale e dei social, tutto è di pubblico dominio.

Viviamo nell’era dell’Intelligenza Artificiale.

E così, in libreria troviamo liberamente un testo molto interessante che a “L’era dell’ Intelligenza Artificiale“, sottotitola “il futuro dell’identità umana”.

Anche la casa editrice è prestigiosa: Mondadori, 2023.

“Tre fra i pensatori più autorevoli e lucidi di oggi riflettono sull’intelligenza artificiale e su come stia trasformando il nostro modo di sperimentare la realtà, la politica e la società”.

I tre sono: Henry Kissinger, ex Segretario di Stato americano e consigliere geopolitico dei grandi della Terra; Eric Schmidt, ex amministratore delegato di Google e l’informatico e decano del MIT Daniel Huttenlocher. Essi ci spiegano cosa rappresenta l’IA: “un terreno di gioco fondamentale che determinerà gli assetti geopolitici futuri”.

Non certo una cosa da poco. Curioso che a spiegarci un qualcosa che stravolgerà le nostre vite siano tre distinti signori che immagino seduti in un caffé, a discutere sulle sorti dell’umanità. Per loro, l’Intelligenza Artificiale è un grande fattore di progresso, che viene assimilato a tutti gli altri mezzi tecnologici che nel corso dei secoli hanno caratterizzato la nostra storia.

Essa è un’impresa grandiosa con enormi potenziali vantaggi. “Noi la stiamo sviluppando, ma la useremo per rendere la nostra vita migliore o peggiore?

Reca con sé la promessa di medicine più efficaci, di un’assistenza sanitaria più efficiente e più equa, di pratiche ambientali più sostenibili e di altri progressi.

Allo stesso tempo, però, può distorcere o come minimo aggravare, la complessità del consumo dell’informazione e dell’identificazione della verità, spingendo alcune persone a lasciar atrofizzare la propria capacità di ragionamento e giudizio indipendente” (pag.196 ibidem).

Una “Commissione”

I tre pensatori sognano una commissione composta da figure di massimo livello del governo, dell’imprenditoria e del mondo accademico statunitensi, che abbia almeno due funzioni:

  1. Sul piano nazionale: massima attenzione alla competitività dell’ IA.
  2. Sul piano globale: studio delle implicazioni connesse all’intelligenza artificiale e promozione della consapevolezza verso questa nuova tecnologia.

“L’intelligenza umana e artificiale si stanno incontrando, proprio mentre vengono applicate a obiettivi di scala nazionale continentale e persino globale”.

Servirà, secondo i tre big della strategia mondiale, sviluppare un’etica che ci permetta di orientarci attraverso di essa, col contributo di scienziati, strateghi, statisti, filosofi, religiosi e amministratori delegati.

“È’ ormai giunto il momento di definire tanto la nostra collaborazione con l’IA quanto la realtà che verrà così a formarsi”.

Stiamo parlando quindi di una nuova etica, di cui ancora non conosciamo i contenuti che vada a interagire con l’Intelligenza Artificiale.

Si opera al contrario, dando per buona l’IA e solo dopo creare un’etica tramite una commissione di ignoti.

Solo per questo, potremmo dire che l’IA priva di regole definite è immorale e non andrebbe utilizzata, perché troppo pericolosa.

La teologia morale ci insegna che il problema fondamentale dell’etica filosofica è la ricerca della norma suprema dell’agire umano; e la sua soluzione dipende necessariamente dalle linee generali dei singoli sistemi filosofici.

Il danno del “liberalismo”

Molto difficile, se non impossibile, al mondo d’oggi, avere una “norma suprema dell’agire umano” perché secoli di liberalismo hanno imposto all’Occidente e, poi, al resto del mondo, il relativismo e il soggettivismo come paradigmi della giustizia sociale.

Sperando di essere smentito, credo si voglia sostituire l’uomo con le macchine in molti settori, creando disoccupazione e povertà.

L’unico criterio intrinseco a cui lo sviluppo tecnico-economico risponde è quello dell’efficienza, della massimizzazione dell’utile, sull’altare del quale ogni altro principio o valore deve venir sacrificato in quanto fonte di inerzia, perdite, in una parola: di inefficienza.

Perciò non può esistere alcuna etica in questo processo di sostituzione.

Il futuro pare, dunque, pressoché scritto: le élite sono pronte a sacrificare l’uomo sull’altare della tecnocrazia, mentre l’uomo viene distratto dai tantissimi mezzi di intrattenimento.

La consapevolezza di cui ragiona Kissinger è profondamente diversa da quella nostra. Quando l’umanità anestetizzata e distratta dal Sistema, si accorgerà della realtà, ovvero del predominio delle macchine, sarà troppo tardi, salvo che qualcosa o qualcuno intervengano per fermare l’abisso dell’autodistruzione.

La Russia, tra provocazioni ed etica

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di Matteo Castagna

IL PRESIDENTE RUSSO È RICERCATO IN 123 PAESI DEL MONDO, MA NON NEGLI STATI UNITI ED IN UCRAINA!

La Corte Penale internazionale ha emesso un mandato di arresto contro Putin per la deportazione dei bambini ucraini. La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha dichiarato: “La Russia non è parte dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale e non ha alcun obbligo ai sensi di esso. La Russia non collabora con questo organismo e le possibili ‘ricette’ per l’arresto provenienti dalla Corte internazionale di giustizia saranno legalmente nulle per noi”.

Il Presidente russo è ricercato in 123 Paesi del mondo, ma non negli Stati Uniti ed in Ucraina. L’atto farebbe già ridere così, ma giunge al grottesco con la dichiarazione del magistrato italiano Cuno Tarfusser, già procuratore di Bolzano, sostituto procuratore generale a Milano e, soprattutto per undici anni, dal marzo 2009, alla Corte penale internazionale, della quale è stato anche vice presidente: “Putin non sarà mai formalmente processato”.

Sul piano politico, è facile dedurre che una simile farsa sia solamente l’ennesima provocazione nei confronti del leader russo, che si riverbera in Occidente come una barzelletta. Poiché il sistema mediatico leccapiedi degli americani non racconta la verità, c’è, chi, conoscendola, non teme di dirla. E’ il caso del senatore USA Roger Marshall, che ha affermato pubblicamente: “Non sono Iran, Russia, Cina o Corea del Nord a rappresentare una minaccia per l’America, ma il debito di 31 trilioni di dollari del governo USA”.

Proprio per questo il sistema americano cerca una guerra, e poiché Putin lo sa, non gli fa questo favore. Osserva con acume Doug Bandow sulla rivista Limes: “Assuefatti al soccorso americano via NATO, gli europei condannano Mosca con forti riserve e scarse risorse. L’escalation è disastrosa anche per gli USA. Le ipocrisie occidentali. Kiev dovrebbe scegliere: continuare la guerra senza di noi o finirla, presto, con il nostro aiuto”.

Il filosofo Aleksandr Dugin ha parlato di cosa esattamente gli Stati Uniti e l’Europa stiano sbagliando nel costruire le relazioni con il resto del mondo. L’Occidente sta commettendo due errori fondamentali, persino logici. In primo luogo, dice che noi [l’Occidente] siamo la civiltà e voi [la Russia] non siete la civiltà. In altre parole, Washington e Bruxelles si arrogano il diritto di definire gli altri Stati e le altre nazioni e nel frattempo sono sicuri di essere l’unica civiltà del pianeta. Il secondo errore è che le autorità americane ed europee, le élite globaliste, cercano di sostituire esclusivamente a se stesse un concetto così vasto come quello di “Occidente”.

La moderna civiltà occidentale liberale e globalista non è la stessa cosa della civiltà occidentale in senso lato. Il secondo concetto implica qualcosa di completamente diverso: negando i valori tradizionali, tuttavia, i globalisti sferrano un colpo sia a noi che all’Occidente. Noi russofili siamo sostenitori del vero Occidente, non vogliamo affrontare la russofobia che ci viene riversata addosso con l’odio per l’Occidente, amiamo la cultura occidentale, lo sappiamo, ma ciò che viene imposto oggi dalla moderna élite liberale non ha alcuna relazione con i profondi valori occidentali, greco-romani, cristiani medievali, così come con la filosofia e la cultura in generale”, ha concluso l’interlocutore.

Questa affermazione è talmente vera e sotto gli occhi di tutti che fa venire alla mente la forte affermazione della Lettera di S. Paolo agli Efesini (6:11-12): “Rivestite l’intera armatura di Dio, affinché possiate resistere alle astuzie del diavolo, perché la nostra lotta non è contro gli esseri umani, ma contro i poteri e le autorità, contro i governanti di questo mondo oscuro…”.

Un aneddoto adeguato riguarda la risposta che diede il grande matematico arabo Al-Khawarizmi sul valore dell’essere umano. “Se ha Etica [ovvero la dottrina dei costumi, il diritto naturale e quello divino, n.d.r.], allora in suo valore è 1. Se in più è intelligente, aggiungete uno zero e il suo valore sarà 10. Se è ricco aggiungete un altro zero e il suo valore sarà 100. Se, oltre a tutto ciò, è una bella persona, aggiungete un altro zero e il suo valore sarà 1000. Però se perde l’uno che corrisponde all’Etica, perderà tutto il suo valore perché gli rimarranno solo gli zeri. Poiché la saggezza è, anch’essa multipolare, il matematico arabo conclude il suo ragionamento con queste parole: “E’ molto semplice: senza valori Etici né principi solidi non rimane nulla. Solamente delinquenti, corrotti e cattive persone”.

Per la lettura dell’articolo: https://www.informazionecattolica.it/2023/03/20/la-russia-tra-provocazioni-ed-etica/ 

 

IL SEME DELL’ETICA: LA VITA E LA TESTIMONIANZA DI ROSARIO LIVATINO PER LA MAGISTRATURA

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Segnalazione del Centro Studi Livatino

QUINTA COLONNA

di Gianluca Grasso

Testo della relazione di Gianluca Grasso, presentata al Convegno “L’attualità del Beato Rosario Livatino” il 18 gennaio 2023 presso la biblioteca di Santa Maria sopra Minerva, Roma, organizzato da Centro Studi Rosario Livatino.

Sommario: 1. Il seme dell’etica. – 2. L’etica e la Magistratura. – 3. La formazione sull’etica giudiziaria nell’esperienza della Scuola superiore della magistratura.

1. Il seme dell’etica.

«26 (..) “Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme in terra, 27 dorme e si alza, la notte e il giorno; il seme intanto germoglia e cresce nel modo che egli stesso ignora. 28 La terra da sé stessa dà il suo frutto: prima l’erba e poi la spiga, poi nella spiga il grano ben formato. 29 E, quando il frutto è maturo, subito il mietitore vi mette la falce perché è giunta l’ora della mietitura» (Marco 4, 26-29).

In questa parabola il seminatore pianta in fede e raccoglie in gioia. Dopo aver finito di piantare, egli un giorno si sveglia per scoprire che i suoi semi sono diventati maturi.

Rosario Livatino, all’età di 38 anni, veniva assassinato dalla “stidda agrigentina” il 21 settembre del 1990, mentre percorreva, senza scorta per sua scelta, la strada per il Tribunale di Agrigento.

La storia del giudice Livatino, proclamato beato il 9 maggio 2021, ci dona la prospettiva di una figura di riferimento non solo per la Magistratura ma per tutti gli operatori di giustizia[1].

In questo mio breve intervento vorrei soffermarmi su uno dei semi piantati da Livatino con la sua vita e la testimonianza di giudice fedele alla Costituzione e alle leggi. E si badi non magistrato bigotto ma un laico consapevole del suo ruolo nella società, che ha ricoperto anche un incarico di carattere associativo, quale quello di segretario della sezione di Agrigento dell’Associazione nazionale magistrati.

Due sono gli interventi a metà degli anni 80 che Livatino ci ha lasciato e che delineano in maniera puntuale il suo itinerario di fede e di azione: Il ruolo del giudice nella società che cambia (17 Aprile 1984) e Fede diritto (30 Aprile 1986).

Bastano pochi passaggi per delineare il ruolo del magistrato, il cui compito non si esaurisce nelle aule di giustizia ma prosegue nel quotidiano; non con l’atteggiamento di un giustiziere o del moralista, ma della persona semplice e umile, lontana dai riflettori ma al tempo stesso  consapevole del proprio ruolo e dell’esempio (positivo o negativo) che da lui può derivare: “quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili” .

Queste le parole di Livatino[2], ben note ma ogni volta illuminanti:

«Si è bene detto che il giudice, oltre che essere deve anche apparire indipendente, per significare che accanto ad un problema di sostanza, certo preminente, ve n’è un altro, ineliminabile, di forma.

L’indipendenza del giudice, infatti, non è solo nella propria coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrifizio, nella sua conoscenza tecnica, nella sua esperienza, nella chiarezza e linearità delle sue decisioni, ma anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta anche fuori delle mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella vita sociale, nella scelta delle sue amicizie, nella sua indisponibilità ad iniziative e ad affari, tuttoché consentiti ma rischiosi, nella rinunzia ad ogni desiderio di incarichi e prebende, specie in settori che, per loro natura o per le implicazioni che comportano, possono produrre il germe della contaminazione ed il pericolo della interferenza; l’indipendenza del giudice è infine nella sua credibilità, che riesce a conquistare nel travaglio delle sue decisioni ed in ogni momento della sua attività.

Inevitabilmente, pertanto, è da rigettare l’affermazione secondo la quale, una volta adempiuti con coscienza e scrupolo i propri doveri professionali, il giudice non ha altri obblighi da rispettare nei confronti della società e dello Stato e secondo la quale, quindi, il giudice della propria vita privata possa fare, al pari di ogni altro cittadino, quello che vuole.

Una tesi del genere è, nella sua assolutezza, insostenibile.

Bisogna riconoscere che, quando l’art. 18 della legge sulle guarentigie dice “che il magistrato non deve tenere in ufficio e fuori una condotta che lo renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere”, esprime un’esigenza reale.

La credibilità esterna della magistratura nel suo insieme ed in ciascuno dei suoi componenti è un valore essenziale in uno Stato democratico, oggi più di ieri. “Un giudice”, dice il canone II del già richiamato codice professionale degli U.S.A. “deve in ogni circostanza comportarsi in modo tale da promuovere la fiducia del pubblico nell’integrità e nell’imparzialità dell’ordine giudiziario”.

Occorre allora fare un’altra distinzione tra ciò che attiene alla vita strettamente personale e privata e ciò che riguarda la sua vita di relazione, i rapporti coll’ambiente sociale nel quale egli vive.

Qui è importante che egli offra di se stesso l’immagine non di una persona austera o severa o compresa del suo ruolo e della sua autorità o di irraggiungibile rigore morale, ma di una persona seria, sì, di persona equilibrata, sì, di persona responsabile pure; potrebbe aggiungersi, di persona comprensiva ed umana, capace di condannare, ma anche di capire.

Solo se il giudice realizza in se stesso queste condizioni, la società può accettare che gli abbia sugli altri un potere così grande come quello che ha. Chi domanda giustizia deve poter credere che le sue ragioni saranno ascoltate con attenzione e serietà; che il giudice potrà ricevere ed assumere come se fossero sue e difendere davanti a chiunque. Solo se offre questo tipo di disponibilità personale il cittadino potrà vincere la naturale avversione a dover raccontare le cose proprie ad uno sconosciuto; potrà cioè fidarsi del giudice e della giustizia dello Stato, accettando anche il rischio di una risposta sfavorevole».

2. L’etica e la Magistratura.

In qualsiasi società, qualunque sia il modo in cui vengono assunti, la formazione e la portata del loro mandato, i magistrati sono investiti di poteri penetranti, che consentono di intervenire in ambiti che riguardano gli aspetti essenziali della vita dei cittadini e dell’economia.

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo sancisce, dal punto di vista del cittadino, che «ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge» (art. 6, par. 1). Lungi dall’enfatizzare l’onnipotenza del giudice, la norma mette in evidenza le garanzie fornite ai contendenti e stabilisce i principi su cui si basano i doveri del giudice: indipendenza e imparzialità.

È pertanto necessario che, sia all’interno degli uffici giudiziari, sia al di fuori, vi siano regole di condotta concepite per mantenere la fiducia in queste aspettative, quello che va sotto il nome di etica giudiziaria.

Qui va chiarito che l’etica va intesa come complesso di principi e di regole che devono orientare il corretto comportamento del magistrato, a prescindere da una sanzione prevista dall’ordinamento per la loro violazione. Si ha così riguardo alla sfera delle azioni buone o cattive e non già di quelle giuridicamente permesse o proibite o di quelle politicamente più adeguate[3]. In tal senso, le regole dell’etica rappresentano il modello a cui tendere, il “massimo etico”, mentre il disciplinare costituisce il cosiddetto “minimo etico”, ovvero la soglia di accettabilità al di sotto della quale il comportamento deve essere oggetto di sanzione[4].

L’etica giudiziaria ha assunto nel corso degli anni un posto di rilievo nel contesto internazionale, a partire dall’adozione dei principi di Bangalore  (2001), nel quadro delle Nazioni unite, cui hanno fatto seguito il parere n. 3 del Consiglio consultivo dei giudici europei (Ccje) sull’etica e la responsabilità dei giudici  (2002), il codice ibero-americano di etica giudiziaria  (2006), la dichiarazione di Londra sull’etica dei giudici con cui è stato approvato il rapporto intitolato “Etica dei giudici – Principi, valori e qualità” come linee guida per la deontologia dei magistrati europei  (2010), promossa dalla Rete europea dei consigli di giustizia, la Raccomandazione R(2010)12 del 17 novembre 2012 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa sui giudici: indipendenza, efficacia e responsabilità.

Negli ultimi anni la gran parte dei Paesi dell’Ue si è dotata di testi di etica giudiziaria (codici, guide, raccolte di principi) di diversa origine (Consigli di giustizia, associazioni giudiziarie, conferenze dei giudici, presidenti di tribunali, ecc.).

L’ordinamento italiano è stato tra i precursori di questo orientamento tra i paesi di civil law, essendosi dotato di un codice etico fin dal 1994.

3. La formazione sull’etica giudiziaria nell’esperienza della Scuola superiore della magistratura.

Costituisce talvolta un luogo comune che l’etica professionale non si insegna e a sostegno di questo assunto si evidenzia il fatto che l’etica – interessantissima, coinvolgente, divisiva quando si affrontano i singoli casi concreti e le questioni controverse – rischia di risultare banale quando si enunciano in astratto principi e regole di comportamento, senza esplorarne la genesi storica e senza discuterne le contaminazioni con la realtà.

L’etica, è vero, si insegna innanzitutto con l’esempio; Livatino ne costituisce un modello paradigmatico perché vivendo tutti i giorni la sua professione con serietà e dedizione costituiva un riferimento per tutti i colleghi che lo incontravano e il suo esempio continua a produrre frutti e proprio quel tragico martirio li ha moltiplicati, essendo divenuto un modello non solo per le persone che lo conoscevano ma per tutti gli operatori di giustizia. Si deve allora rinunciare all’idea di realizzare attività di formazione sull’etica?

L’esperienza maturata nel corso degli anni dalla Scuola superiore della magistratura mostra che è possibile realizzare questa formazione, coniugando la riflessione sui principi e le regole dell’etica dei comportamenti con la dimensione applicativa. Essa si inserisce in un contesto europeo (Rete europea di formazione giudiziaria), internazionale (Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga, UNODC) e comparato dove, specie nei paesi di tradizione di common law, questo tipo di formazione è particolarmente sentita.

La magistratura italiana ha affrontato uno dei momenti più complessi e difficili degli ultimi decenni. Il Presidente della Repubblica, nel suo intervento del 18 giugno 2020, in occasione della cerimonia commemorativa del quarantesimo anniversario dell’uccisione di Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Guido Galli, Mario Amato e Gaetano Costa e del trentennale dell’omicidio di Rosario Livatino ha evidenziato che la magistratura deve necessariamente impegnarsi «a recuperare la credibilità e la fiducia dei cittadini, così gravemente messe in dubbio da recenti fatti di cronaca».

E per far sì che la correttezza sia costantemente praticata, tanto nell’esercizio delle funzioni quanto al di fuori dell’ufficio, un utile ausilio risiede nelle attività di formazione che fanno capo alla Scuola, a cui il Capo dello Stato ha rivolto l’invito a dedicare sessioni specifiche all’etica dei comportamenti.

La Scuola ha raccolto questo invito dedicando specifiche sessioni all’etica giudiziaria sia nei corsi dedicati ai magistrati in tirocinio sia nella formazione permanente.

Le attività di formazione sui profili etici formano oggetto delle linee programmatiche annuali sulla formazione e l’aggiornamento professionale dei magistrati e sul tirocinio e a tali temi la Scuola dedica specifici momenti di approfondimento, anche nella dimensione europea nei programmi dedicati alla formazione iniziale (programmi THEMIS e AIAKOS).

Nel settore della formazione iniziale, alla fine del 2020, grazie al lavoro svolto da un gruppo di magistrati esperti in materia, è stata elaborata una raccolta sistematica di questioni etiche con cui ciascun magistrato si può trovare a confrontare all’interno e al di fuori dell’ufficio. Le questioni sono state poste in forma interrogativa al fine di consentire a ciascun partecipante alla sessione di proporre delle soluzioni. Esse spaziano dai rapporti con i colleghi, il personale amministrativo, le parti, all’uso dei social network, ai rapporti con la stampa, alle frequentazioni, alla spendita del nome, solo per fare alcuni esempi. Per aiutare a trovare le risposte più adeguate abbiamo raccolto i testi principali in materia di etica sul piano nazionale e internazionale. Le questioni etiche e i principi vengono condivisi per tempo con coloro che dovranno prendere parte alla sessione, mentre un ulteriore testo, che contiene le possibili soluzioni, viene distribuito solo in prossimità dell’evento. I partecipanti vengono organizzati in gruppi ristretti di 15/20 persone affidate al coordinamento di un esperto, chiamato a facilitare la discussione.

Questa metodologia, che ha riscontrato grande apprezzamento tra i magistrati in tirocinio, è stata utilizzata con successo anche nei corsi di formazione permanente realizzati negli ultimi due anni: il primo[5] caratterizzato dallo sguardo alla situazione interna, il secondo[6], inserito nel semestre di Presidenza italiana del Comitato di ministri del Consiglio d’Europa, con una prospettiva internazionale e mandato in streaming con interpretariato in inglese in tutti i paesi del Consiglio d’Europa. Entrambi i corsi sono disponibili tra i seminari pubblicati sul canale YouTube della Scuola[7]. A fine anno, il corso riguarderà l’etica della giustizia, in una prospettiva allargata a tutte le professioni legali a partire dall’Avvocatura, con la cui Scuola il seminario è organizzato.

La raccolta sistematica delle questioni etiche è liberamente disponibile e consultabile  sul sito della SSM[8], così come il volume sull’etica giudiziaria[9], inserito nella collana dei Quaderni della Scuola, che contiene i contributi tratti dai corsi degli ultimi due anni.

Per ampliare ulteriormente la formazione sull’etica al di là di coloro che abbiano partecipato ai corsi di formazione permanente, il Comitato direttivo, partendo dai materiali del corso del 2021, ha deliberato di invitare tutte le formazioni decentrate della Scuola a realizzare in ciascun distretto, nel corso del 2021, un corso sull’etica del magistrato secondo un format condiviso. Il documento diffuso alle strutture di formazione decentrata in tutta Italia contiene in premessa un estratto testuale dalla conferenza di Livatino su Il ruolo del giudice nella società che cambia. Diverse sono le strutture di formazione decentrata che hanno realizzato con successo questo seminario.

Questa metodologia casistica, inoltre, è alla base di un volume recentemente portato a compimento sull’etica della magistratura onoraria e che a breve verrà pubblicato sul sito della SSM allo scopo di fornire un manuale operativo per la formazione dei magistrati onorari anche su queste tematiche, fin qui mai fatte oggetto di un’analisi sistematica.

Da ultimo, va segnalato il seminario in programma nel gennaio 2024 su “Etica giudiziaria in Europa e nel mondo arabo: una panoramica comparata” che la Scuola ha in programma presso la sede di Napoli nell’ambito delle attività della Rete euro araba di formazione giudiziaria. Attingendo al quadro internazionale e alla giurisprudenza pertinente, il corso mira a un confronto sui dilemmi etici nell’esercizio dei doveri professionali tra realtà europea e araba.

Queste attività che ho provato a rappresentare sono la testimonianza di come il seme di Rosario Livatino abbia fruttificato anche nell’ambito dell’etica giudiziaria.

Gianluca Grasso


[1] Significativa la letteratura che riguarda la figura del magistrato. Tra i più recenti contributi: A. Mantovano, D. Airoma, M. Ronco, Un giudice come Dio comanda. Rosario Livatino, la toga e il martirio, Milano, 2021; I. Abate, Il piccolo giudice. Fede e giustizia in Rosario Livatino, Roma, 2021; A. Mira , Rosario Livatino. Il giudice giusto, Alba, 2021;  R. Mistretta, Rosario Livatino. L’uomo, il giudice, il credente, Nuova ediz., Alba, 2022. Si v. altresì A. Balsamo in collaborazione con il Centro Studi “Nino Abbate” di Unità per la Costituzione, Rosario Livatino: il “giudice ragazzino” e la lotta alla mafia tra giustizia e fedehttps://www.unicost.eu/rosario-livatino-il-giudice-ragazzino-e-la-lotta-alla-mafia-tra-giustizia-e-fede/

[2] R. Livatino, Il ruolo del giudice nella società che cambia. Conferenza tenuta dal giudice Rosario Livatino il 7 aprile 1984, presso il Rotary Club di Canicattì https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_6_9.wp?contentId=NOL82525

[3] Etica, Enciclopedia on line Treccani, https://www.treccani.it/enciclopedia/etica/

[4] G. Natoli, Etica & deontologiahttp://movimentoperlagiustizia.org/non-ci-posso-credere/186.html

[5] P21040 L’etica del magistrato, in https://tinyurl.com/mr2bs4kc

[6] P22022 L’etica e la deontologia del magistrato, in https://tinyurl.com/yc23tpym; Judicial Ethics, https://www.scuolamagistratura.it/web/portalessm/judicial-ethics

[7] https://www.youtube.com/c/ScuolaSuperioredellaMagistratura

[8] https://tinyurl.com/yt8sb85h

[9] https://www.scuolamagistratura.it/web/portalessm/nuovi-quaderni-ssm-frontend

 

Fonte: https://centrostudilivatino.us18.list-manage.com/track/click?u=36e8ea8c047712ff9e9784adb&id=443b532327&e=d50c1e7a20

Amministrative, i tre mali del centrodestra (o quattro?)

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IL COMMENTO POST ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2021

di Giuseppe De Lorenzo

È inutile nasconderselo: le elezioni amministrative 2021, che già iniziavano sotto cattivi auspici, sono andate persino peggio del previsto. Al di là del premio di consolazione – la Calabria e, forse, qualche Comune che la coalizione riuscirà a conservare – il centrodestra viene stracciato al primo turno a Milano e Napoli, a Torino parte in svantaggio e a Roma, probabilmente, soccomberà al ballottaggio (mai dare nulla per scontato, ma all’alba del giorno dopo, questa è la proiezione).

I tre motivi della disfatta

L’analisi della sconfitta non può prescindere da tre elementi di riflessione. I tre vicoli ciechi che hanno eroso una squadra, fino a poco tempo fa, col vento in poppa e dai quali non è detto sia possibile uscire.

1. L’incapacità di offrire una classe politica all’altezza, unita alla paura di amministrare. Un fattore abbastanza sorprendente soprattutto nel caso della Lega, che tradizionalmente aveva nel buongoverno locale un suo punto di forza. L’indisponibilità di big da giocarsi nelle metropoli, in realtà, è stata solo uno dei fattori in gioco: sicuramente, a spingere verso la scelta di candidati estranei ai partiti e oggettivamente deboli e impreparati, sono stati il timore di raccogliere sfide pericolose come banco di prova nazionale (Roma), le liti e le fratture interne alla coalizione e la costituiva difficoltà del messaggio sovranista a penetrare nei grandi centri urbani (Milano). Anche se – valga come monito a quelli di scuola giorgettiana – non hanno scaldato i cuori degli elettori nemmeno candidati tutt’altro che radicali, come i borghesissimi Luca Bernardo nel capoluogo lombardo e Paolo Damilano sotto la Mole.

2. È indubbio, tuttavia, che sulla disillusione dei sostenitori della coalizione – è il secondo spunto – abbia pesato la sostanziale irrilevanza politica dei sovranisti. Gli uni (Fdi), in quanto ancorati a una scelta d’opposizione coerente quanto si vuole, ma alla fine improduttiva: il partito di Giorgia Meloni ha un’indiscutibile forza critica, però è inevitabilmente marginale rispetto alle decisioni che contano e che esso deve limitarsi a subire. Gli altri (il Carroccio), nonostante avessero scelto di entrare nell’esecutivo di Mario Draghi proprio “per incidere”.

La realtà è che anche l’ala moderata o governista, alimentata dai presidenti delle Regioni del Nord e capitanata da Giancarlo Giorogetti, non ha portato a casa nulla: non l’apertura delle discoteche, non i tamponi gratis per il green pass, non la propulsione alla produzione di vaccini italiani, mentre l’abbandono dei lockdown duri derivava prevalentemente da un’intima convinzione di Draghi, il quale di sicuro non si concepisce come un uomo chiamato a gestire un Paese fermo. Giorgetti, per adesso, ha solo l’onere di affrontare le crisi industriali al Mise. Un ministero che appariva un grande riconoscimento alla Lega e che, a ben vedere, potrebbe essere stato un trappolone. Nel frattempo, Draghi & company preparano un’imboscata fiscale già nel cdm odierno. Tutto ciò ha suscitato una sensazione di disempowerment e di scoramento nell’elettorato d’area: la gente ormai ha capito che, comunque vadano le elezioni, non cambierà nulla.

3. Questo ci porta al terzo, più buio vicolo cieco: l’inagibilità politica. Un centrodestra a trazione sovranista finirebbe in un cul de sac, quand’anche vincesse le elezioni 2023. Da un lato, resterebbe esposto, com’era già successo ai gialloverdi nel 2018-2019, alle imboscate dei mercati finanziari e dell’élite europea. Dall’altro, sarebbe comunque vincolato in partenza agli impegni sottoscritti col Pnrr e modellati sulla base delle “raccomandazioni” dell’Ue all’Italia. Cercare di sottrarsi alla tenaglia significherebbe, con ogni probabilità, perdere l’accesso alle fonti di finanziamento del debito pubblico e le risorse garantite dal Next generation EU.

Noi di “Christus Rex” aggiungeremmo un quarto motivo: la mancanza più assoluta di un orizzonte valoriale metapolitico chiaro e condiviso da tutto il centrodestra. Ricordiamo che Salvini faceva incetta di voti quando parlava da cattolico e proponeva principi con solide radici cristiane, senza timore di andare controcorrente. Ci sarà ancora posto, nel centrodestra, per incidere come cristiani? Crediamo che nei fatti, nelle aperture anche alle persone maggiormente rappresentative di quest’area conservatrice e tradizionalista, della quale si sente orfano di rappresentanza almeno un milione di “tradizionalisti” anonimi, si possa e si debba ragionare. Se si annacqua il tutto per paura del politicamente corretto e del Pensiero Unico, il centrodestra è destinato, a nostro avviso, a continue debacle. Le linee siano chiare fin da principio, senza tentennamenti, ricordando che, anche in politica, come nella vita, nella morale, nell’etica, due + due fa sempre e solo quattro. (N.d.R.)

Come scrivemmo già su questo blog, il Recovery fund commissaria la destra per i decenni a venire. Il che, peraltro, rende quanto mai incerte le geometrie parlamentari del 2023, fermo restando che, per formulare ipotesi, è necessario scoprire chi arriverà al Quirinale. Ad esempio, se Draghi restasse a disposizione di un incarico a Palazzo Chigi, mettereste la mano sul fuoco sul fatto che Forza Italia s’imbarcherebbe in un’impresa con leghisti e meloniani, anziché riproporre una grande coalizione, ovvero una conventio ad excludendum contro i sovranisti?

Era ieri, quando il caos immigrazione metteva il turbo alla Lega di Matteo Salvini. Eppure, è come se fosse passata un’eternità.

Giuseppe De Lorenzo, 5 ottobre 2021

Fonte: https://www.nicolaporro.it/amministrative-i-tre-mali-del-centrodestra/

 

 Leggi anche

IL FINE DELLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA SIA IL BENE COMUNE: NESSUNO TOCCHI ABELE!

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L’EDITORIALE

di Matteo Castagna*

La questione della riforma della Giustizia, in Italia, è annosa e costante. Ora, sembrerebbe che vi fosse un’accelerata verso qualcosa che appare necessario, se non indispensabile. Sarebbe, però, riduttivo, se non addirittura fuorviante, dividersi tra “giustizialisti” e “garantisti”. 
Non possiamo giungere ad una “giustizia giusta” se non partiamo con le idee chiare sul concetto di bene comune. Il Prof. Danilo Castellano, dell’Università di Udine, col quale ho avuto il piacere di discutere a lungo nei giorni scorsi, è un maestro in materia, perché nel suo “Politica. Parole chiave” (collana De Re Publica – Edizioni Scientifiche italiane, 2019) al Capitolo IV ci dà una risposta ad una domanda fondamentale, che può divenire la radice di una vera e strutturata riforma.
 
Siamo davanti a tre modi di intendere il bene comune, che sono diversi tra loro ed erronei. Due di questi sono accomunati pur nella loro opposizione: il bene comune come bene pubblico e il bene comune come bene privato, infatti, fanno propria la “libertà negativa” anche se il primo ne assegna l’esercizio allo Stato, il secondo all’individuo (proletariato). Il terzo modo di intendere il bene comune è dato da una mancanza di chiarezza anche se si continua a riconoscere che la giustizia è il fine e la regola della politica. Già Sant’Agostino insegnava che fine e regola della politica è la giustizia, ma senza consentire l’accoglimento della “libertà negativa”, sotto nessuna forma e in nessun settore, perché propria del liberalismo, che va rifiutato in toto, perché relativista e anticattolico. La “libertà negativa” indica la possibilità che qualcuno abbia di agire senza che nessuno intervenga a ostacolarlo o anche la decisione di rimanere passivo, senza che nessuno lo costringa a non agire. La stessa situazione vale, se uno dei due soggetti contrastanti (chi agisce o chi vuole fermarlo), o ambedue, non sia rappresentato da esseri umani come quando, per esempio, si dica di essersi liberati dal timore delle forze della natura o quando un ente naturale come un fiume è libero di seguire il proprio corso, quando non ne è impedito da sbarramenti o dighe.
Il bene è ciò che cui ogni cosa tende per natura. La comunità politica è naturale; non può, quindi, che avere un fine naturale. Dunque, un bene da conseguire che è sottratto alla scelta, vale a dire all’opzione, alla disponibilità degli esseri umani. La loro stessa vita associata è un dato naturale e necessario, che non dipende da valutazioni, calcoli, decisioni. E’ evidente che ci deve essere, come c’è, un bene proprio della comunità politica. Con Aristotele potremmo rispondere che il bene politico è lo stesso bene del singolo uomo, seppur il bene della polis è manifestatamente qualcosa di più grande e di più perfetto rispetto al bene del singolo, perché perseguire e salvaguardare quello comune è più bello e più divino (Etica a Nicomaco, I, 1094b). Il bello è inteso come lo splendore della forma, che rivela l’essenza perfetta di una cosa. Divino è ciò che è dato dagli dei e agli dei solamente appartiene. Quindi è da comprendere, da rispettare e, nel caso politico, da assecondare. Per giungere all’organizzazione migliore della comunità politica serve conoscere la sua natura ed il suo fine (Aristotele, Etica a Nicomaco, X, 1181b).
Perciò si può concludere che il bene comune è il bene proprio di ogni uomo in quanto uomo e, perciò, bene comune a tutti gli uomini. Si tratta di un bene intrinseco alla natura dell’essere umano e inalienabile. Esso è anche il bene proprio della comunità politica, poiché questa è costituita da uomini e da altre società umane naturali (famiglia e società civile) che esistono in funzione dei beni dell’uomo ma che non sono nella condizione di aiutare l’uomo (cosa che la comunità politica fa principalmente con l’ordinamento giuridico giusto) a conseguire il bene che, per quel che riguarda il tempo, è la vita autenticamente umana, cioè la vita condotta in conformità all’ordine naturale proprio dell’essere umano. 

Ci si ricordi che il bene comune si raggiunge attraverso una giustizia giusta, ovvero costruita affinché nessuno tocchi Abele, non Caino!
*Responsabile Nazionale del “Circolo Christus Rex-Traditio” – articolo messo a disposizione di riviste e giornali

Un consiglio cattolico al premier Mario Draghi

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di Matteo Castagna

 
“Troppo capitalismo non significa troppi capitalisti, ma troppo pochi capitalisti” – sosteneva Gilbert Keith Chesterton.
 
La proprietà privata è importante, così come il principio di sussidiarietà, che rende equa una società sbilanciata tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. Soprattutto in questo periodo di crisi economica, dovuta alla pandemia ed alla rimodulazione dell’economia globale, la dottrina sociale della Chiesa può costituire il principio cardine di chi ha costruito la sua formazione in un collegio gesuita. Il “principio di sussidiarietà” è un principio antropologico che esprime una concezione globale dell’uomo e della società, in virtù del quale è la persona umana ad essere fulcro dell’ordinamento giuridico, intesa sia come individuo sia come legame relazionale; altresì viene intesa in senso politico come solidarietà tra le comunità e interazione tra i poteri.
 
Nelle attuali circostanze il pragmatismo è necessario. (…) Dobbiamo accettare l’inevitabilità del cambiamento con realismo e, almeno finché non sarà trovato un rimedio, dobbiamo adattare i nostri comportamenti e le nostre politiche. Ma non dobbiamo rinnegare i nostri principii”. Sono parole del Prof. Mario Draghi allo scorso Meeting di Rimini. Sull’Osservatore Romano del 9 luglio del 2009, titolo: “Non c’è vero sviluppo senza etica”, Draghi, all’epoca Governatore della Banca d’Italia, paragona il pensiero economico alle varie Encicliche ed esprime giudizi importanti sul pensiero economico contemporaneo: “Negli ultimi decenni l’espulsione dell’etica dal campo d’indagine della scienza economica è stata messa in discussione, perché ha generato un modello incapace di dar conto compiutamente degli atti umani in ambito economico e di spiegare l’esistenza delle istituzioni rilevanti per il mercato solo come risultato della mera interazione di agenti razionali ed egoisti. È una critica avanzata fra gli altri da Amartya Sen, che analizza gli effetti delle considerazioni di natura etica sui comportamenti economici, e da Akerlof, che sottolinea l’importanza delle valutazioni di equità nella determinazione dei salari”.Uno sviluppo di lungo periodo – scrive a conclusione del suo contributo sull’Osservatore – non è possibile senza l’etica”. 

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Riflessioni sulla “idolatria del migrante”

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di Anonimo Pontino  (da “Sí Sí No No”, n. 5, anno XLIV, 15 marzo 2018)


Le promesse di felicità che si rovesciano nel loro contrario sono il più antico trucco di Satana.

Le seduzioni del benessere e del divertimento facile ci sono state date solo il tempo necessario per toglierci le risorse spirituali che saranno invece necessarie nel futuro di privazioni e desolazione che ci attende.

Il popolo, in gran parte, è stato condizionato a vivere di consumi indotti, spettacoli idioti, calcio, giochi, lotterie, sesso libero, droghe, per dimenticare vite vuote distrutte da una regressione morale, civile e sociale senza precedenti.

Abbiamo perso la strada.

Volete  l’educazione alla disciplina ed ai valori cristiani nelle scuole, magari una rivalutazione dei valori della Cavalleria in una società in cui i calciatori e le veline sono i modelli proposti ai nostri figli? allora vi troverete tutti contro, compresi i cattolici “evoluti”, quelli “aperti”, impegnati a stroncare con la misericordia qualsiasi opposizione all’ “accoglienza ad ogni costo” conforme alla nuova “idolatria del migrante”. Continua a leggere