Moody’s avverte: Italia a rischio declassamento del rating

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Segnalazione Wall Street Italia

di Mariangela Tessa

Si addensano le nubi sull’economia italiana su cui ora pesa anche sul rischio di una bocciatura sul credito sovrano da parte di Moody’s. Lo ha preannunciato ieri l’agenzia di rating, spiegando che un probabile declassamento avverràin presenza di un significativo indebolimento delle prospettive di crescita, ma anche per la mancata attuazione delle riforme, comprese quelle delineate nel   Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) del paese. Un altro fattore di declassamento sarebbe un aumento significativo del debito pubblico italiano.

Venerdì scorso Moody’s non ha aggiornato il rating italiano, che è quindi restato a “Baa3”, con outlook negativo. Nonostante la revisione fosse in programma per quel giorno, 30 settembre, diversi analisti avevano previsto l’eventualità che Moody’s scegliesse di non cambiare il rating sull’Italia e prendesse tempo per osservare gli sviluppi politici e la formazione del nuovo Governo.

I rischi al ribasso per Moody’s

Tra i rischi al ribasso citati dall‘agenzia di rating, spicca quello relativo al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). “Se la coalizione di destra che ha vinto le recenti elezioni dovesse tentare di rinegoziare alcuni aspetti del PNRR, ciò probabilmente ritarderà la sua attuazione, esercitando una pressione al ribasso sulla spesa per investimenti in un momento in cui l’inflazione elevata e i rischi per l’approvvigionamento energetico stanno già pesando sull’attività economica”.

Avrebbero un impatto negativo sui rating anche “segnali sull’avvio di una crescita significativa del debito sia a causa di prospettive di crescita sostanzialmente più deboli, sia a causa di un aumento del costo degli interessi o di un concreto allentamento fiscale”.  Inoltre, “politiche fiscali e/o economiche che avessero causato un indebolimento del sentiment del mercato e l’aumento del livello del debito nel medio termine porterebbero anch’esse a pressioni al ribasso dei rating”.

Moody’s sottolinea di ritenere improbabile un miglioramento del rating nel prossimo futuro, ma potrebbe alzare l’outlook “se le istituzioni italiane, le prospettive di crescita e la traiettoria del debito si dimostrassero resistenti ai rischi derivanti dall’incertezza politica, dalla sicurezza energetica e dall’aumento dei costi di finanziamento”.

La dimostrazione che il prossimo governo è impegnato all’attuazione delle riforme strutturali a sostegno della crescita, comprese quelle delineate nel PNRR del paese, porterebbero verosimilmente a una stabilizzazione dell’outlook se accompagnata da un piano credibile di consolidamento fiscale di medio termine che impedisse un aumento significativo del debito”.

 

La Germania esporta la sua crisi in una Europa in via di dissoluzione atlantica

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di Luigi Tedeschi

Fonte: Italicum

La retorica dell’Europa unita, delle risposte comuni e della solidarietà europea indispensabile per affrontare le emergenze, si infrange dinanzi al piano di 200 miliardi stanziati dalla Germania per far fronte al caro energia e proteggere quindi famiglie ed imprese tedesche dagli effetti dei rincari energetici. I 200 miliardi di finanziamenti erogati dalla Germania contro il caro energia e l’inflazione (che si aggira attualmente intorno al 10%), costituiscono un programma di aiuti pubblici unilaterali. L’importo di 200 miliardi equivale al totale dei fondi del Pnrr concessi all’Italia in 6 anni e supera del 40% i 140 miliardi di entrate previsti per la tassa sugli extra profitti delle imprese energetiche. Tale manovra sarà finanziata dal Fondo di stabilizzazione dell’economia, ma sarà esclusa dal bilancio ordinario, così come gli investimenti di 100 miliardi stanziati dalla Germania per il riarmo. Pertanto, secondo la prassi tedesca ormai consolidata del ricorso agli artifici contabili, tali finanziamenti non costituiranno nuovo debito pubblico.

Chi sanzionerà la Germania?
Non si comprende tuttavia lo scalpore destato in sede europea dall’unilateralismo prevaricatore tedesco, da sempre praticato nella UE, in aperta violazione delle normative europee e a danno degli altri partner. Il ventennale primato tedesco in Europa si è potuto realizzare infatti solo mediante la sistematica violazione delle norme europee. La UE si è di fatto un’area unitaria di espansione economica tedesca.
L’export tedesco ha invaso l’Europa e destrutturato le economie degli altri paesi membri ignorando i limiti imposti ai surplus commerciali dai trattati europei. Le norme sulla concorrenza e sul divieto di aiuti di stato sono state da sempre eluse dalla Germania che, con il ricorso ai finanziamenti pubblici ha realizzato il salvataggio di un sistema bancario già inondato da titoli spazzatura e prossimo al default a seguito della crisi dei subprime del 2008. La Germania, con larghi sforamenti dei parametri di bilancio della UE, nel 2003 ha erogato sussidi a pioggia per sostenere la sua industria. La stessa Germania, con massicce concessioni di “credito facile” ai paesi del sud europeo ha provocato crisi del debito devastanti, salvo poi imporre alla Grecia politiche di austerity e rigore finanziario con annessa macelleria sociale, al fine di rientrare dei crediti insoluti.
La crescita esponenziale dell’export tedesco è inoltre dovuta alla adozione della moneta unica europea. Dato che la quotazione dell’euro sui mercati dei cambi dipende dall’andamento complessivo delle economie dell’intera Eurozona, l’export tedesco ha potuto giovarsi di un tasso di cambio assai favorevole, dal momento che il valore dell’euro è assai inferiore a quello che avrebbe avuto il marco. Al contrario la moneta unica penalizzato l’export dell’Italia, che con l’euro non ha più potuto giovarsi della flessibilità dei cambi.
La UE non ha prodotto crescita e stabilità in Europa, ma ha generato un trasferimento di ricchezza dal sud al nord dell’Europa e pertanto, alla crescita tedesca ha fatto riscontro il declassamento dei paesi più deboli.
Il primato tedesco è dunque frutto di una politica economica fraudolenta messa in atto dalla Germania. Ma chi, ieri come oggi, è in grado di sanzionare la Germania?

Il rapace nazionalismo tedesco e la dissoluzione prossima della UE
Lo stesso paradigma si ripropone nell’emergenza energetica. Il piano di finanziamenti tedesco di 200 miliardi è palesemente una erogazione di fondi pubblici a sostegno dell’economia tedesca in crisi, falcidiata dal caro energia e dall’inflazione. Si deve considerare che tutti i paesi della UE nelle fasi di crisi (sia pandemica che energetica), hanno fatto ricorso a programmi di sostegni pubblici. Emerge però una scandalosa sproporzione circa l’entità dei finanziamenti pubblici effettuati dai singoli paesi dal settembre 2021 al settembre 2022: la Germania ha stanziato 384,2 miliardi, la Gran Bretagna 238,4, la Francia 81,3, l’Italia 73,2, la Spagna 35,5.
Si rileva quindi che si è instaurata una vera e propria competizione tra gli aiuti di stato erogati dai singoli paesi, in cui gli effetti distorsivi della concorrenza hanno favorito le posizioni economiche dominanti della Germania e dei suoi alleati, a danno comunque dei paesi più deboli. L’Italia infatti ha ristretti spazi di manovra di bilancio a causa dell’elevato debito pubblico. L’economia italiana, inserita nella catena di valore dell’industria tedesca, si rivela particolarmente vulnerabile, dato che sarà penalizzata nella sua competitività, a causa dei più elevati costi energetici a carico delle imprese italiane. La Germania ha giustificato tale misura unilaterale di sostegno all’economia sulla base dei grandi spazi di manovra di bilancio, resi possibili dalla sua proverbiale virtuosità finanziaria rigorista. Ma certo è che la sua potenza finanziaria si è potuta realizzare mediante l’espansione dell’export e quindi in virtù di surplus commerciali prodottisi a discapito dell’Italia e di altri paesi.
La UE è dunque succube degli egoismi prevaricatori dei paesi economicamente più forti. La sua disunione è apparsa evidente nel rifiuto della Germania di aderire alla iniziativa dell’Italia, della Francia e di altri paesi per la fissazione di un tetto europeo al prezzo del gas. La Germania infatti, oltre a sostenere la sua economia con un gigantesco piano di aiuti pubblici, può giovarsi dei contratti a termine tuttora in vigore (ma in scadenza a fine anno), con la Russia per forniture di gas a basso prezzo.
L’Olanda ha espresso il suo rifiuto sia al price cup che alla proposta di disallineamento del prezzo del gas da quello dell’energia elettrica. L’Olanda è ovviamente intransigente, dati gli enormi profitti speculativi realizzati con il rialzo delle quotazioni dei titoli energetici alla borsa di Amsterdam. E la crisi energetica, come si sa, non è dovuta alla guerra ma alla speculazione finanziaria sul prezzo del gas.
La Norvegia, che non è membro della UE ma della Nato, ha innalzato il prezzo dell’esportazione di gas fino al 70% e il suo fondo sovrano ha ricavato profitti per circa 80 miliardi. Nella guerra e nella crisi esiste quindi una parte dell’Europa che si arricchisce a spese dell’altra.
E’ stata spesso esaltata la compattezza unitaria dimostrata dall’Europa dinanzi alla crisi pandemica, con la creazione di un debito comune europeo, con il varo cioè del Recovery fund. Ma sulla politica vaccinale della UE incombono ombre assai oscure. Si è rilevata la scarsa trasparenza delle trattative intercorse tra la Von der Leyen e il presidente della Pfizer Albert Bourla in merito all’acquisto dei vaccini, svoltesi attraverso una corrispondenza avvenuta tramite sms il cui contenuto è stato inspiegabilmente cancellato. Bourla non si è poi presentato per testimoniare dinanzi alla commissione sul Covid del parlamento europeo, che sta svolgendo indagini su tali trattative. E’ emerso altresì un palese conflitto di interessi che investe la Von der Leyen, il cui marito è dirigente della Orgenesis, società del settore biotech controllata dai fondi di investimento Vanguard e Black Rock, che a loro volta controllano anche la Pfizer. Il Recovery fund fu inoltre ostacolato dalla opposizione dell’Olanda e dei paesi frugali, che diedero il loro assenso in cambio della concessione nei loro confronti di sgravi fiscali da parte della UE.
Analoga politica non è stata invece replicata in occasione della crisi energetica. A causa della opposizione tedesca non verrà creato alcun fondo europeo a sostegno dei paesi in difficoltà per il caro energia. Dato che non verrà alla luce alcun fondo comune europeo per l’energia, ogni paese europeo dovrà far fronte alla crisi con le proprie risorse. I paesi della UE non sono produttori di materie prime né potenze finanziarie di rango mondiale. L’Europa ha costruito la sua potenza economica sull’industria manifatturiera. Quindi dovrà affrontare la crisi energetica mediante scostamenti di bilancio e manovre in deficit. Ma è evidente lo squilibrio di risorse finanziarie disponibili da parte della Germania rispetto agli altri paesi per implementare politiche fiscali atte a contrastare efficacemente l’impatto di questa crisi.
E’ dunque lecito definire la politica economica di Scholz come una forma di rapace nazionalismo fiscale che condurrà fatalmente alla dissoluzione di fatto della UE.

La Germania esporta la sua crisi
La guerra tra USA e Russia in Ucraina ha comportato un drastico ridimensionamento sia geopolitico e economico della Germania. La potenza economica tedesca ha potuto svilupparsi mediante la crescita del suo export, le forniture di gas russo a basso prezzo e le delocalizzazioni industriali nell’Europa orientale. La guerra e le successive sanzioni imposte alla Russia stanno determinando progressivamente la fine dei legami economici ed energetici tra la Germania e la Russia stessa. La guerra in Ucraina ha provocato parallelamente l’interruzione della via della seta su rotaia che collega la Cina con l’Europa (traversando l’Ucraina), e pertanto, sia l’export tedesco che le catene di approvvigionamento di semiconduttori, di materiali tecnologici e infrastrutturali per l’industria hanno subito un drastico tracollo. Il modello economico tedesco basato sull’export è in via di dissoluzione.
Questa guerra ha quindi indotto la Germania ad effettuare un suo riposizionamento sia economico che geopolitico nell’ambito della Nato. Scholz, in considerazione della scelta di campo atlantica e del ridimensionamento del ruolo economico e geopolitico della Germania, vuole tuttavia riaffermare il primato tedesco in Europa.
Con la crisi energetica la Germania ha imboccato la via della recessione. A causa dell’aumento dei prezzi del gas, l’inflazione si attesterà all’8,4% nel 2022 e all’8,8% nel 2023. Il Pil tedesco è in calo, la crescita si ridurrà nel 2022 all’1,4%, mentre nel 2023 è previsto un calo dello 0,4%. L’indice della fiducia dei consumatori (Esi), registra un calo di 3,5 punti ed ha raggiunto i minimi storici.
Scholz pertanto, dinanzi alla recessione incombente, al dissenso dilagante nell’opinione pubblica e alle scadenze elettorali prossime in alcuni laender tedeschi, ha varato questo piano di aiuti per 200 miliardi di fondi pubblici destinati alle imprese e ai cittadini onde far fronte al caro energia. Data la sperequazione dei costi energetici che si verificherà tra le imprese tedesche e quelle degli altri paesi della UE, la Germania ha messo in atto una manovra shock che si configura come una gigantesca operazione di dumping industriale e finanziario ai danni del resto dell’Europa. L’intento di Scholz è quello di arginare il declassamento economico della Germania scaturito dalla chiusura dei principali mercati dell’export tedesco e al rilevante calo di competitività subito dall’industria tedesca nei confronti del mercato americano. Il rafforzamento dell’export tedesco in Europa, realizzato manovre atte a produrre rilevanti distorsioni della concorrenza, sarà sufficiente a far fronte alla recessione interna e a colmare le perdite subite dall’export verso la Russia e i mercati asiatici? Certamente no. Il dumping tedesco infatti avrà solo l’effetto di esportare nella UE la sua stessa crisi. La recessione europea produrre solo decrementi della domanda che si ripercuoteranno negativamente anche sull’economia tedesca.
L’Italia è particolarmente esposta alla concorrenza sleale della Germania. In una Italia, già depauperata nella sua struttura industriale da decenni dalle manovre aggressive franco – tedesche, potranno verificarsi con la recessione incombente nuove crisi del debito, a cui faranno seguito rinnovate politiche di austerity. In tale contesto, si riproporranno nuove iniziative aggressive della Germania, da sempre ansiosa di appropriarsi del patrimonio immobiliare e del risparmio italiano, che è tra i più elevati d’Europa.

La strategia americana di aggressione all’Europa
L’Europa non sarà certo smembrata dalla politica di ricatto energetico di Putin, ma da un processo di decomposizione interna già in stato avanzato.
Occorre inoltre rilevare il silenzio doloso della Von der Leyen riguardo alle iniziative di nazionalismo predatorio della Germania. Si è solo limitata a retorici appelli all’unità della UE. Quella stessa Von der Leyen che ha sanzionato il sovranismo dell’Ungheria di Orban e si è resa responsabile di gravi ed indebite ingerenze nelle elezioni italiane affermando che “se le cose andranno in direzione difficoltosa, abbiamo gli strumenti per agire”, ora tace nei confronti del nazionalismo predatorio di Scholz.
In realtà, con la fine della Guerra fredda e l’espansione della Nato nell’est europeo, è venuta meno la rilevanza del ruolo strategico della Germania nel contenimento della Russia. Tale ruolo è oggi ricoperto dalla Polonia e dai paesi baltici che confinano direttamente con la Russia.
La guerra tra USA e Russia in Ucraina ha determinato il riposizionamento geopolitico dell’Europa nell’ambito della Nato in funzione russofobica. Ma, in perfetta coerenza con la strategia geopolitica americana, si sta verificando anche la decomposizione interna della UE. L’Europa, priva di una soggettività geopolitica autonoma nel contesto mondiale, ridimensionata nella sua potenza economica e resa dipendente dagli USA nel campo energetico, non potrà che frantumarsi progressivamente, dilaniata dalle conflittualità interne. Il declino dell’euro ne è una prova evidente. L’euro si sta svalutando nei confronti del dollaro a causa della politica antinflazionistica messa in atto dalla FED che comporta rialzi progressivi dei tassi di interesse. E i rialzi dei tassi deliberati dalla BCE avranno effetti devastanti su una economia europea in fase di recessione. Questa rincorsa della BCE ai rialzi dei tassi americani finirà col dissanguare l’Europa.
La strategia imperialista americana di aggressione all’Eurasia implica la destrutturazione dalla UE. La crisi economica incombente si tramuterà presto in crisi politico – istituzionale che coinvolgerà tutti i paesi europei. Esploderà anche una conflittualità sociale alimentata dall’accentuarsi delle diseguaglianze che si rivelerà insanabile. Emergeranno ben presto le responsabilità delle classi politiche riguardo alle suicide scelte atlantiste dell’Europa. Solo dalla dissoluzione interna della UE e dalla implosione del modello neoliberista potrà emergere la nuova Europa dei popoli e delle patrie europee. E’ questa una utopia? Ebbene, solo questa utopia può salvarci.

DEXIT: LA GERMANIA ROMPE IL PATTO DI STABILITÀ E PREPARA IL SUO ADDIO ALL’EURO

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Se la Germania, locomotiva dell’euro, lo abbandonerà tornando al marco, è evidente che se vorranno sopravvivere, anche gli altri Stati membri dell’Unione Europea dovranno fare altrettanto, con una moneta nazionale svalutata. In Italia, potrebbero, dunque, esservi delle sorprese entro la fine dell’anno, in merito al ritorno alla Lira svalutata, come conseguenza dell’addio all’Euro di chi ne era il perno sostanziale. (n.d.r.)

Segnalazione di Federico Prati

di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)

“E’ la Germania a tenerci dentro l’euro…..” – quante volte avete sentito ripetere questa frase dai nostri politici e dai ventriloqui del potere per voce della stampa di regime.

Per decenni ci hanno rifilato questa “sola” con la maggior parte della gente a crederci. I bravi ricchi tedeschi da una parte e gli spreconi italiani dall’altra. Quelli che perennemente vivono sopra le loro possibilità. Salvo poi scoprire che siamo da sempre contributori netti verso l’Unione Europea e che da 30 anni consecutivi (eccetto l’anno del Covid), il nostro governo consegue avanzi primari di bilancio.

Ricordo ai meno esperti che l’avanzo primario in soldoni significa: lo Stato incassa dai cittadini più soldi in tasse di quello che versa loro con la spesa pubblica.

Avete capito bene: lo Stato italiano da tre decadi è in surplus.. ma quale aver vissuto sopra in nostri mezzi!

Un concetto questo, che se anche volessimo ragionare con il pensiero dottrinale fraudolento imposto dalle regole europee, come vedete viene ribaltato dalla realtà dei fatti, ovvero abbiamo vissuto al di sotto dei nostri mezzi.

L’euro non fa comodo ai tedeschi, come non fa comodo ai francesi ed al resto dei paesi europei, intesi come popolo ovviamente. L’euro, come scriviamo da tempo, non è un progetto di lotta e competizione tra stati, ma è lo strumento essenziale che serve all’élite per vincere in quella che è la loro eterna battaglia contro il popolo. Insomma una vera e propria lotta di classe, questo è quello che si cela dietro al sistema-euro.

Quindi il nostro nemico non è assolutamente il popolo tedesco, e tutt’ora credere a coloro che infondono questo falso pensiero, certifica l’ingenuità disarmante che ancora regna fra noi.

Megas ha finito le parole e gli scritti: solo e soltanto i poteri profondi di casa nostra sono gli unici responsabili e beneficiari del fatto che, ancora, siamo tenuti a forza e con la frode, dentro questa gabbia.

Del resto, stare dentro l’euro – ed accettare di usare una moneta che non emettiamo, per non dire del sottostare a regole di bilancio assurde che non hanno nessun riscontro a livello di dottrina economica – è solamente frutto di una decisione politica e niente più.

Una decisione politica, esattamente come quella che ha preso il governo di Berlino nei giorni scorsi. Quando tra la salvezza della moneta euro e quella del proprio popolo e del loro sistema economico, senza indugio, ed al contrario del nostro governo, ha scelto la seconda.

Nella sostanza un deficit di 200 miliardi deliberato dal governo per riportare il prezzo del gas a livelli sostenibili per le imprese e le famiglie tedesche. Una semplicissima misura di politica fiscale che senza il plagio mentale indotto dal sistema euro nelle nostre menti, rappresenterebbe la normalità operativa e funzionale di un qualsiasi governo rappresentativo di un paese democratico.

Per chi comprende di economia, nel leggere le poche righe del titolo e sottotitolo sopra riportato dalla testata HuffPost, ci sarebbe materiale per una tesi di laurea.

Ma quello che ci interessa, è far capire come, attraverso questo atto di Berlino e le relative reazioni (o meglio prese di posizioni), del governo italiano, vengono a cadere tutte le menzogne e le falsità su chi veramente tiene il popolo italiano dentro l’euro.

I poteri italiani ora hanno perso la maschera e la scusa principe, dei “cattivi tedeschi”, da rivendere alla massa.

Da oggi, la novella sarà credibile solo per gli inguaribili “fessi”!

Intanto fa sorridere l’affermazione con la quale l’HuffPost, farebbe credere che questi 200 miliardi per il governo tedesco, arriverebbero da un fantomatico “bilancio ombra”. Quasi come se a Berlino avessero delle riserve nascoste derivanti da chissà che cosa.

Soprassediamo per pura pietà!

Questi 200 miliardi, è bene dirlo chiaro ancora una volta, non sono in qualche forziere o in qualche conto nascosto del Tesoro tedesco alle Cayman.

Semplicemente il governo delibera il deficit, il Tesoro emette i titoli e la BCE li garantisce.. finito!

Già sento qualcuno di voi, come del resto anche Draghi (“Non possiamo dividerci a seconda dello spazio nei nostri bilanci nazionali”) [1], affermare che i tedeschi hanno più spazio nel loro bilancio; questo sempre ragionando secondo le assurde regole europee.

Eh no, cari miei! Uno dei mantra del fiscal compact, ovvero il rapporto debito pubblico/ prodotto interno lordo riguardo alla Germania, è già ben oltre il 60% imposto dai trattati. Per la precisione viaggia sul 72%. E se deliberano un extra-deficit di 200 miliardi, che corrisponde a circa il 5% del PIL, siamo fuori anche dall’altro dogma di Maastricht, che indica come il deficit annuale non debba superare il 3%.

Come potete bene immaginare un MMTers come Megas fa una fatica enorme a ragionare all’interno delle frodi dottrinali del sistema euro, ma devo farlo per cercare di spiegare come, di fatto, ad oggi la Germania si sia posta fuori dall’euro.

In pratica, il governo tedesco sta facendo quello che da tempo scriviamo essere possibile e che più volte, nei nostri articoli, abbiamo esortato il governo italiano a fare per risolvere il problema occupazionale che affligge il nostro paese.

Oggi, la Banca Centrale Europea, di fatto, garantisce il debito dei paesi membri e lo fa ormai dal lontano 2011 e l’alternativa del non garantirlo non è realizzabile senza la conseguente rottura del sistema euro.

Quindi è solo una questione politica, per la quale spetta ad ogni governo di prendere la decisione di fare o meno tutto il deficit necessario per salvare il proprio popolo.

Ed il governo tedesco, ripeto ancora, al contrario di quello italiano, questa decisione l’ha presa!

Mentre da noi, a distanza di più di un anno dall’inizio della speculazione sull’energia, siamo ancora posizionati sulla totale difesa dei profitti degli oligarchi di casa nostra, ovvero di coloro che oggi hanno in mano ogni nostra istituzione, di fatto non più democratica.

Siamo ancora a discutere sul famoso “tetto” al prezzo del gas. Ma attenzione, mica un tetto per i rivenditori, visto che è questo il problema principale (vedasi TTF e speculazione al seguito), ma un limite, che addirittura si vorrebbe imporre al produttore, in questo caso Putin.

In pratica il price-cap ideato da Draghi, sentite bene cosa sarebbe e che finalità avrebbe: il tetto al prezzo del gas impedirebbe alle parti di concordare un prezzo superiore a una determinata soglia, riducendo i ricavi di Gazprom e della Russia e favorendo un approvvigionamento più economico di questa materia prima.

L’indole di devozione satanica di Super Mario alla grande finanza non poteva non venir fuori anche questa volta. Qui l’obiettivo principale non è far pagare meno il gas alla gente ma quello di mantenere intatti i profitti colossali di ENI. Raggiungere un accordo con Putin, quantunque fosse possibile (ma lui ha già detto no.. stante le sanzioni), certamente non ferma il motore della speculazione che a pieno ritmo sta viaggiando a tutta velocità nella borsa dei TTF di Amsterdam (ripeto principale causa del caro bollette).

Quello che però ci deve lasciare ancora più preoccupati – a conferma del fatto che a volersi tener stretto l’euro sono le potenti fratellanze italiche – è la devastante (ma prevista da Megas) realtà, che Giorgia Meloni, premier in pectore, sia completamente allineata al pensiero di Draghi, sul tema deficit e su come risolvere il problema energetico attraverso l’insensata e per niente risolutiva proposta del tetto al prezzo al produttore.

Intanto il ministro dell’economia tedesco Robert Habeck prepara la strada per l’uscita ed avverte Draghi e c.: “con l’interruzione delle forniture di gas si rischia la fine dell’UE”:

Il messaggio è chiarissimo come è altrettanto chiaro quale sia la priorità per chi ha le leve di comando in Germania: “una carenza di gas in Europa non potrà essere tollerata politicamente”.

In Germania non hanno la minima intenzione di sacrificare il proprio popolo con follie quali il razionamento che porterebbe a far fallire il loro sistema economico, la morte sociale e fisica dei più bisognosi e dei più fragili.

Se le crisi infinite, il Covid ed i prospettati razionamenti sull’energia fanno parte, come sembra del piano del Grande Reset, per ridurre la popolazione mondiale, oggi, pare proprio che la Germania se ne stia ufficialmente chiamando fuori.

Mentre la realtà ci dice che rimangono dentro a pieno titolo Mario Draghi e Giorgia Meloni, e con loro il popolo italiano come vittima sacrificale sull’altare degli interessi dei poteri ai quali il nostro premier attuale e quello in  arrivo, rispondono.

Un folle e delinquenziale razionamento del gas che, di fronte alle ultime dichiarazioni di Putin, assume anche la certezza della non necessarietà:

NON POSSONO NUTRIRE E SCALDARE I LORO CITTADINI CON LA CARTA DEI DOLLARI.
NON POTETE NUTRIRE LE PERSONE CON LE VOSTRE MENZOGNE.
LI DOVETE SCALDARE CON L’ENERGIA.
PER QUESTO CERCANO DI CONVINCERVI A MANGIARE DI MENO, CORPRIVI DI PIU’ E CI CHIAMANO NEMICI, ORIGINE DI TUTTI I MALI
Non è Warren Mosler che parla ma Vladimir Putin, che pare proprio aver compreso che lui il gas ce lo fornisce in cambio di semplici estratti conto denominati in dollari o euro.
Cosa volete da me? Pare dire il presidente russo: io accetto la vostra carta in cambio del gas per riscaldarvi; sono i vostri governanti che attraverso le menzogne vi convincono che la carta non c’è e vi costringono a mangiare di meno e coprirvi di più, facendovi credere che la Russia è il nemico.
Piu chiaro di così! 

di Megas Alexandros

Fonte: La Germania rompe il Patto di Stabilità. Di fatto è già fuori dall’euro! – Megas Alexandros

Draghi tenta la fuga per la seconda volta: in alternativa, i pieni poteri

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di Redazione

Quando in Italia si prospetta una crisi di governo, generalmente diventiamo tutti politologi. Tutti vorrebbero dire la loro per essere i primi ad aver azzeccato il pronostico. E’ la solita mentalità da tifoseria, che ci caratterizza e rende, anche un po’ macchiette, come quelle che ben scimmiottava Alberto Sordi. Onde evitare il toto-governo e le paventate elezioni che servono a far scrivere i giornali d’estate, con l’editoria già in crisi perenne, riteniamo opportuno affidarci a una analisi equilibrata. Ricordiamo che la data del 24 Settembre è fondamentale per i parlamentari, in quanto è quella che garantisce loro il vitalizio. Infine, sappiano bene i nostri lettori che in Italia non ci può essere vera crisi finché essa non produce effetti di radicale cambiamento. A nostro avviso, non c’è alcun partito, oggi, che dia garanzie di questa intenzione.

di 
Rispetto alla prima volta situazione più grave: rischio crollo del Btp e l’ora delle scelte ultime. A Chigi un Draghi con pieni poteri, o un premier sacrificabile

La crisi di governo è stata assai ben inquadrata da Federico PunziSua Competenza ha “fin dall’inizio inteso questa esperienza di governo come un’anticamera, un dazio da pagare prima di salire con tutti gli onori al Colle”, mentre invece era una trappola giacché “al Quirinale il piano era dall’inizio la riconferma di Mattarella, e la sua chiamata a Chigi un modo elegante per mettere fuori gioco un titolato pretendente”. Cioè, il nostro aveva già tentato la fuga da Chigi.

Visto che quel primo tentativo di fuga era andato male, continua Punzi, Sua Competenza ne sta tentando un secondo: “coglierebbe al volo l’occasione di una fuoriuscita dei 5 Stelle per sfilarsi anche lui”.

Infatti, egli oggi usa esattamente le stesse parole che usava l’altra volta che ha tentato la fuga: martedì egli “ha rivendicato che tutti gli obiettivi del Pnrr sono centrati … ricordiamo che già mesi fa, poco prima dell’apertura delle votazioni per il Quirinale, fu lo stesso Draghi ad affermare in conferenza stampa di ritenere compiuta la missione assegnatagli”.

E però, pure stavolta i suoi carcerieri cercano di impedirgli la fuga. Conclude Punzi: “ha provato ad andarsene, ma accettando di essere rimandato davanti alle Camere per la verifica, di fatto ha concesso ai suoi carcerieri, Mattarella e Pd, altri cinque giorni, che questi useranno per inchiodarlo alla croce che dovrà portare fino a fine legislatura”.

Differenze fra i due tentativi di fuga

I due tentativi di fuga sono diversi fra loro, per quanto riguarda la crisi energetico-ucraina: perché allora Biden ed i suoi alleati erano persuasi di poter vincere la Russia con le sanzioni e le armi a Kiev, mentre oggi tale esito è tutto meno che scontato.

E sono diversi fra loro, per quanto riguarda la crisi del Btp: perché allora Bce aveva annunciato che avrebbe smesso di comprare titoli di Stato, mentre oggi ha smesso per davvero e, anzi, sta per aumentare i tassi ufficiali di interesse.

Se, fin dal primo tentativo, la situazione appariva a Sua Competenza abbastanza compromessa da spingerlo a puntare tutte le proprie carte su una fuga al Quirinale … figurarsi oggidì che le cose si son fatte molto più gravi.

E non è tutto, perché presto potrebbero farsi ancora più gravi: giovedì 21 luglio, il giorno dopo il previsto reddere rationem al Parlamento italiano, Bce si riunirà e dovrebbe scoprire le carte sul fantasmagorico scudo anti-spread salva-Btp.

Se quest’ultimo confermerà le attese rivelandosi un accrocchio inservibile … e tanto più se esso coinvolgerà strutturalmente il MES (cioè la Troika), allora il Btp crollerà. E con esso le residue speranze di Chigi in un decisivo indebolimento tedesco nel contesto dello scontro in corso fra Usa e Germania. Nonché la residua legittimazione magico-politica di Sua CompetenzaL’Iceberg sarebbe infine giunto.

Quindi, se è vero che i due carcerieri son riusciti a tenerlo in gabbia a Chigi quella prima volta, non è detto ci riescano questa seconda volta.

Lo Stato Italiano di fronte alle scelte ultime

Per intanto, Sua Competenza ed i suoi carcerieri hanno guadagnato un vantaggio tattico: i cinque giorni bastano ad anticipare parte di quel crollo del Btp che avverrebbe comunque dopo la presentazione dello scudo anti-spread.

E servono a trovare una scusa per il carattere inservibile di quest’ultimo. Addossandone la colpa su Giuseppe Conte e scaricandola dalle spalle di Bce e di Sua Competenza (che pure il Parlamento tutto pensava avrebbe esercitato una magica influenza su Francoforte).

Un vantaggio tattico, appunto, ma tutt’altro che strategico visto che, se lo scudo anti-spread si presenterà davvero come inservibile, allora la caduta del Btp non potrebbe far altro che proseguire come e peggio di prima. Reuters già scrive che il Btp crollerà comunque, perché il problema è la crescita del Pil: “la situazione fiscale non è la causa, è la conseguenza di quella debolezza” e specifica che Sua Competenza non la ha risollevata.

Sicché, chiunque siederà a Chigi, la Repubblica Italiana si troverà presto di fronte alle scelte ultime: la ristrutturazione del Btp, o l’esproprio di massa di una quota degli immobili, o la mega-patrimoniale sui conti correnti, seguite da un bail-in di massa ed accompagnate dal controllo dei movimenti dei capitali; oppure, meglio, il solo controllo dei movimenti dei capitali … garantendo così il finanziamento del Btp.

Da notare, che il controllo dei movimenti dei capitali sarebbe comunque necessario anche se inevitabilmente avvia la dissoluzione dell’Euro. Esito che è comprensibile non ecciti l’amor proprio di Sua Competenza: trovarsi lui, che firmava le banconote dell’€unico, a firmare quelle dell’€sud o, meglio ancora, della Nuova Lira Italiana.

Un premier sacrificabile, o una mano forte

Orbene, tali scelte ultime non possono essere consensuali: troppi gli interessi ed i diritti (anche costituzionali) in gioco, troppo forti le proteste che verrebbero scatenate, troppa la gente che ha troppo da perdere. Per vararle, servirà un primo ministro sacrificabile, o una mano forte.

Sua Competenza preferirebbe la prima soluzione: andarsene, passando la mano ad un primo ministro sacrificabile (tipo Fernando de la Rúa), per poi magari ricomparire come salvatore della patria ma a cose fatte. Solo, egli non accetta di essere lui il sacrificato.

In subordine, Sua Competenza potrebbe accettare di essere lui la mano forte. Forte, per poteri a disposizione: i poteri di un primo ministro che gode della obbedienza assoluta della larghissima maggioranza del Parlamento, come al principio di questo governo, magari pure oltre la scadenza prevista della legislatura.

A meno di non voler ricorrere ai poteri speciali di uno stato di eccezione, come pure è stato fatto col Covid ed è pure stato immaginato di istituzionalizzare ma, sin qui, senza esito definitivo.

Sicché, sarebbe sbagliato interpretare le preoccupazioni di Sua Competenza come un fatto caratteriale. Non di capriccio si tratta, ma di seri argomenti di una seria trattativa: se davvero i suoi carcerieri preferiranno tenerlo incatenato a Chigi, ebbene in cambio gli dovranno dare tutti i poteri che egli pretende. In difetto, entrerà in scena il primo ministro sacrificabile.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/atlanticoquotidiano/quotidiano/politica/draghi-tenta-la-fuga-per-la-seconda-volta-in-alternativa-i-pieni-poteri/?utm_source=nicolaporro.it&utm_medium=link&utm_campaign=atlantico

 

Euro/Dollaro: prezzo vicino alla parità, cosa sta succedendo

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di Gianmarco Carriol

Nelle ultime settimane l’andamento del cambio euro/dollaro si sta avvicinando alla parità complici le prossime mosse della Fed e della Bce che si apprestano ad alzare i tassi di interesse per cercare di frenare la fiammata dell’inflazione.

Grafico settimanale EUR/USD - Tradingview

Grafico settimanale EUR/USD – Tradingview

Il grafico settimanale dell’EUR/USD mostra chiaramente una formazione Testa-Spalle a lungo termine, convalidata nel 2021. Tale pattern grafico, conosciuto proprio per la sua caratteristica di segnalare una possibile inversione, prefigurava grandi perdite per la valuta europea. Sebbene ci sia voluto del tempo per concretizzarsi completamente, la tesi ribassista è stata valida, con il tasso di cambio che è sceso decisamente verso la zona a 1.1125 nel primo trimestre del 2022.

Sebbene il mercato ribassista sembri maturo, non vi sono ragioni convincenti per ritenere che una ripresa sia dietro l’angolo, nonostante dal punto di vista fondamentale, la valuta europea sia molto più “stabile” del dollaro. Con i prezzi al di sotto delle medie mobili a 200, 100 e 50 giorni e una serie distinta di massimi e minimi inferiori, i sellers rimangono saldamente radicati alla guida.

Analisi tecnica EUR/USD

Grafico giornaliero EUR/USD - Tradingview

Grafico giornaliero EUR/USD – Tradingview

Il cambio EUR/USD è attualmente scambiato a 1,0497, il livello più basso da marzo 2020, crollo dovuto al COVID-19. Il calo della coppia è iniziato a gennaio 2021, anche se a maggio si è sviluppata un’inclinazione ribassista più ripida che ha visto accelerare la caduta. Lunedì, EUR/USD ha registrato il calo di un giorno più grande dal 31 marzo 2022.

Attualmente ci troviamo in un canale ribassista, con massimi e minimi decrescenti che si susseguono, con il prezzo che poterebbe raggiungere il supporto in zona 1,0500. Nel breve periodo potremmo assistere ad un ritraccio del prezzo fino a zona 1,0800, considerando la confluenza del canale e il supporto psicologico a 1,0500, ma sarà importante vedere anche la chiusura giornaliera di oggi e domani per comprendere molto più chiaramente. Una chiusura sotto 1,0500 portare il prezzo direttamente al livello di supporto successivo a 1,0350.

Vincolante sarà osservare l’indice del dollaro USA (DXY), dato che in caso di un possibile indebolimento di quest’ultimo, l’euro ne gioverebbe. Inoltre se il canale dovesse essere rispettato, successivamente ad un ritraccio del prezzo, ci troveremmo in presenza di un’onda impulsiva di Elliot che potrebbe portare il prezzo fino a zona 1,0350.

Fonte: Wall Street Italia

BAGNAI. CADE L’ULTIMA BALLA DELL’EURO FORTE CHE CI PROTEGGE

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Oggi cadono le ultime balle. Lorenzo Bini Smaghi è stato costretto a confessare la verità: un euro eccessivamente forte metterà in crisi la ripresa nell’euro. Anche lui, economista abituato a mentire di mestiere, è stato costretto ad ammettere che, ahimè, i prezzi contano. I prezzi guidano la domanda e l’offerta, sono quelli che definiscono le scelte economiche, quindi quando l’euro ha tolto un importante elemento della flessibilità dei prezzi, cioè la possibilità di svalutare o rivalutare il cambio, ma questi “Economisti per ogni stagione”per anni hanno raccontato che erano altri gli elementi importanti, come, ad esempio, la “modernità”, “L’efficienza”, il fatto di essere nordici, etc.

Ora anche questi si rendono conto che, con un euro al di sopra 1,2 dollari, forse non ci sarà crescita. Allora il cambio è importante, allora il cambio ha un valore, allora sarebbe meglio avere il nostro cambio flessibile…

Ecco , finite il discorso.

Ringraziamo Inriverente.

 

Fonte. https://scenarieconomici.it/bagnai-cade-lultima-balla-delleuro-forte-che-ci-protegge/

Le illusioni sono finite

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Fonte: Il Giornale

Professor Tremonti, oggi è Il suo compleanno. Un giorno di bilanci non solo personali ma anche politici e soprattutto filosofici. Come vede il nostro Paese?

Comici e “crematisti”: queste sono le figure nuove, anzi antichissime, che in questi giorni si presentano sulla scena, occupandola con le loro “arti” e con le loro “magie” applicate alla politica, mettendo in scena la mediocrità o il peggio del nostro possibile futuro. Un tipo di futuro che, invece, dobbiamo e possiamo evitare, mettendoci dal lato giusto della storia.

Da dove partiamo?

Da un po’ lontano, ma forse neanche troppo lontano. Partiamo da Roma, ma arriveremo anche ad Atene, i due luoghi dove tutto, o tanto, è cominciato. Nell’antica Roma agli attori era fatto divieto di fare politica e questo per una ragione molto seria: degli attori si conosceva, ma anche si temeva, la capacità di suggestionare ed influenzare il popolo. Lo stesso valeva, ed a maggior ragione, per i comici. Una categoria, questa, certo non minore, di quell’arte, anzi superiore nella capacità di impressionare la plebe e per questo, a ragione, temuta.

Immagino che ogni riferimento a fatti e persone dei giorni d’oggi sia da considerare casuale…

Nella Roma di oggi è l’opposto di quanto era nella Roma antica. Non è all’arte comica che si vieta la politica, ma è la politica che si sottomette o insegue l’arte comica. Del resto, le grandi maschere italiane appaiono nel Seicento, nella decadenza e nella sottomissione allo straniero di quella che è stata una grande civiltà.

Però Grillo ha rappresentato una vera e propria rivoluzione in Italia… Continua a leggere

LIRA O EURO, L’IMPORTANTE CHE L’EMISSIONE SIA DELLO STATO

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di Emilio Giuliana

Oggi più che mai, con l’avanzare della crisi economica e il conseguente impoverimento degli italiani, per tornare a condizione economiche dignitose si fa sempre più strada l’idea, che la soluzione al problema è il ritorno alla moneta lira dalla moneta euro. In parte,  la maggioranza delle persone, ha percepito che la capitolazione economica è determinata dall’utilizzo che se ne fa della carta moneta, però i più non hanno compreso il meccanismo che disciplina e regolamentazione il conio e la stampa dei “soldi”. I soldi vengono creati da Banche private, oggi l’Euro dalla BCE, ieri la Lira dalla Banca d’Italia privata. Questo è l’inghippo, l’anomalia monetaria, non se europea o nazionale, no se Euro o Lira, ma le Banche private. Dunque è necessario, che sia essa la  Lira o l’Euro, che siano Banche dello Stato a stampare soldi, così come sotto spiegato.

Dopo l’unità d’Italia, nel 1863 la lira carta non poté più essere cambiata in oro. Oltre ai conseguenti danni per il risparmio di tutte le popolazioni della penisola, da qui incominciò a nascere il «Debito Pubblico»: lo Stato, in pratica, per finanziarsi iniziò a chiedere carta moneta ad una banca privata (qual è la Banca d’Italia). Lo Stato, quindi, a causa del «genio» di Cavour e soci, cedette da allora la sua sovranità in campo monetario affidandola a dei privati, che non ne hanno alcun titolo (la sovranità per sua natura non è cedibile perché è del popolo e dello Stato che lo rappresenta). Settant’anni più tardi si cercò di porre rimedio alle scelte bancarie capestro operate dagli statisti risorgimentali. Nel gennaio del 1933, un regio decreto creò l’Istituto di Ricostruzione Industriale (IRI), con Beneduce alla presidenza e direttore generale Donato Menichella (1896-1984, ex-Bankitalia). Il 13 aprile 1934, le tre grandi banche trasferirono all’IRI l’intero loro patrimonio di partecipazioni industriali. L’IRI si trovò così a detenere il controllo del 94% di Comit e del Banco di Roma, nonché del 78% di Credito Italiano . In cambio dello sgravio dell’immane massa di crediti irrealizzabili – i titoli tossici di allora – i banchieri privati dovettero impegnarsi per iscritto a fare «investimenti di pronta liquidità, escluso ogni immobilizzo di carattere industriale, anche sotto forma di partecipazioni azionarie». Questa la disposizione della legge Glass-Steagal, finalizzata alla separazione del credito ordinario da quello della banca d’affari. I grandi privati si dimostrarono pronti a riprendersi le aziende “irizzate” risanate dalla gestione Beneduce-Menichella.

Nell’assegno in bianco – conosciuto come Armistizio Lungo – accettato, firmato il 29 settembre del 1943 dal maresciallo Badoglio per il Regno d’Italia, l’art. 33 è il più significativo, perché di fatto pretende l’abrogazione della sovranità monetaria. ”Il Governo italiano adempirà le istruzioni che le Nazioni Unite potranno impartire riguardo alla restituzione, consegna, servizi o pagamenti quale indennizzo (payments by reparation of war) e pagamento delle spese di occupazione”. Di conseguenza, nel 1945, persa la guerra, gli Americani richiesero l’abolizione dell’IRI e la sua privatizzazione, nell’intento di comprare le banche con i depositi trovati nelle banche stesse. La depredazione fu tuttavia rimandata a tempi migliori e a migliori “padri della patria”: Carlo A. Ciampi, Romano Prodi e Mario Draghi. Continua a leggere

Flat Tax, aiuti alle famiglie: così l’Ungheria cresce 4 volte la zona Euro

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di Stelio Fergola

Flat Tax al centro di un lavoro impostato alla crescita: un dato a cui l’Ungheria di Viktor Orban, in senso buono, non è sfuggito negli ultimi anni. Che mostrano tendenze sempre confortanti: il Paese è cresciuto del 4% nel 2017 e prevedeva chiudere il 2019 al + 3,2%. Il tempo è al passato non a caso: al 2 ottobre, i numeri sono ancora più alti. E i salari seguono lo stesso andazzo. Il tutto mentre la zona Euro, come sempre, arranca.

Flat Tax e crescita

La Flat Tax ungherese, in vigore dal 2011, è pari al 15% per le persone fisiche. Dal 2017 c’è anche il 9% per le società. Le previsioni di crescita sopracitate si sono rivelate sbagliate. I magiari stanno chiudendo il 2019 a livelli ancora più alti, ben + 5,2, come riporta il quotidiano La Verità. Un dato di 4 volte superiore alla media Ue, che oscilla tra l’1,5 e l’1,6%.

Flat Tax, stipendi, Pil

Tasse abbattute, stipendi che svettano, Pil idem. Pare un processo naturale: il salario minimo ungherese nel 2019 è di circa 464 euro mensili, nel 1999 era inferiore a 100 euro. Quello medio nel 2015 era di 333 euro, nel 2018 supera i 600. Il Pil sale già del 4% considerevole sopracitato nel 2017, per un valore di 139 miliardi di euro, e le previsioni per il 2019 sono sempre state smentite da rialzi. Continua a leggere

Brexit, “passo storico”: il governo britannico ha cancellato le leggi Ue

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di Adolfo Spezzaferro

Londra, 19 ago – Il premier britannico Boris Johnson sta portando il Regno Unito dritto dritto verso l’uscita dalla Ue. Il ministro per la Brexit, Steve Barclay, ha firmato un decreto che cancella l’atto del 1972 che sanciva l’adozione delle leggi europee da parte del Regno Unito. Lo annuncia Downing Street con una nota. Si tratta, si legge nel comunicato del governo britannico, “di un passo storico per riportare il potere legislativo da Bruxelles al Regno Unito. Stiamo riprendendo il controllo delle nostre leggi come il popolo ha chiesto nel 2016“. L’abolizione dell’European Communities Act del 1972 sarà efficace nel momento in cui la Gran Bretagna lascerà formalmente la Ue, il prossimo 31 ottobre, con o senza accordo.

“Chiaro segnale che non si torna indietro” Continua a leggere

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