La Russia, tra provocazioni ed etica

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di Matteo Castagna

IL PRESIDENTE RUSSO È RICERCATO IN 123 PAESI DEL MONDO, MA NON NEGLI STATI UNITI ED IN UCRAINA!

La Corte Penale internazionale ha emesso un mandato di arresto contro Putin per la deportazione dei bambini ucraini. La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha dichiarato: “La Russia non è parte dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale e non ha alcun obbligo ai sensi di esso. La Russia non collabora con questo organismo e le possibili ‘ricette’ per l’arresto provenienti dalla Corte internazionale di giustizia saranno legalmente nulle per noi”.

Il Presidente russo è ricercato in 123 Paesi del mondo, ma non negli Stati Uniti ed in Ucraina. L’atto farebbe già ridere così, ma giunge al grottesco con la dichiarazione del magistrato italiano Cuno Tarfusser, già procuratore di Bolzano, sostituto procuratore generale a Milano e, soprattutto per undici anni, dal marzo 2009, alla Corte penale internazionale, della quale è stato anche vice presidente: “Putin non sarà mai formalmente processato”.

Sul piano politico, è facile dedurre che una simile farsa sia solamente l’ennesima provocazione nei confronti del leader russo, che si riverbera in Occidente come una barzelletta. Poiché il sistema mediatico leccapiedi degli americani non racconta la verità, c’è, chi, conoscendola, non teme di dirla. E’ il caso del senatore USA Roger Marshall, che ha affermato pubblicamente: “Non sono Iran, Russia, Cina o Corea del Nord a rappresentare una minaccia per l’America, ma il debito di 31 trilioni di dollari del governo USA”.

Proprio per questo il sistema americano cerca una guerra, e poiché Putin lo sa, non gli fa questo favore. Osserva con acume Doug Bandow sulla rivista Limes: “Assuefatti al soccorso americano via NATO, gli europei condannano Mosca con forti riserve e scarse risorse. L’escalation è disastrosa anche per gli USA. Le ipocrisie occidentali. Kiev dovrebbe scegliere: continuare la guerra senza di noi o finirla, presto, con il nostro aiuto”.

Il filosofo Aleksandr Dugin ha parlato di cosa esattamente gli Stati Uniti e l’Europa stiano sbagliando nel costruire le relazioni con il resto del mondo. L’Occidente sta commettendo due errori fondamentali, persino logici. In primo luogo, dice che noi [l’Occidente] siamo la civiltà e voi [la Russia] non siete la civiltà. In altre parole, Washington e Bruxelles si arrogano il diritto di definire gli altri Stati e le altre nazioni e nel frattempo sono sicuri di essere l’unica civiltà del pianeta. Il secondo errore è che le autorità americane ed europee, le élite globaliste, cercano di sostituire esclusivamente a se stesse un concetto così vasto come quello di “Occidente”.

La moderna civiltà occidentale liberale e globalista non è la stessa cosa della civiltà occidentale in senso lato. Il secondo concetto implica qualcosa di completamente diverso: negando i valori tradizionali, tuttavia, i globalisti sferrano un colpo sia a noi che all’Occidente. Noi russofili siamo sostenitori del vero Occidente, non vogliamo affrontare la russofobia che ci viene riversata addosso con l’odio per l’Occidente, amiamo la cultura occidentale, lo sappiamo, ma ciò che viene imposto oggi dalla moderna élite liberale non ha alcuna relazione con i profondi valori occidentali, greco-romani, cristiani medievali, così come con la filosofia e la cultura in generale”, ha concluso l’interlocutore.

Questa affermazione è talmente vera e sotto gli occhi di tutti che fa venire alla mente la forte affermazione della Lettera di S. Paolo agli Efesini (6:11-12): “Rivestite l’intera armatura di Dio, affinché possiate resistere alle astuzie del diavolo, perché la nostra lotta non è contro gli esseri umani, ma contro i poteri e le autorità, contro i governanti di questo mondo oscuro…”.

Un aneddoto adeguato riguarda la risposta che diede il grande matematico arabo Al-Khawarizmi sul valore dell’essere umano. “Se ha Etica [ovvero la dottrina dei costumi, il diritto naturale e quello divino, n.d.r.], allora in suo valore è 1. Se in più è intelligente, aggiungete uno zero e il suo valore sarà 10. Se è ricco aggiungete un altro zero e il suo valore sarà 100. Se, oltre a tutto ciò, è una bella persona, aggiungete un altro zero e il suo valore sarà 1000. Però se perde l’uno che corrisponde all’Etica, perderà tutto il suo valore perché gli rimarranno solo gli zeri. Poiché la saggezza è, anch’essa multipolare, il matematico arabo conclude il suo ragionamento con queste parole: “E’ molto semplice: senza valori Etici né principi solidi non rimane nulla. Solamente delinquenti, corrotti e cattive persone”.

Per la lettura dell’articolo: https://www.informazionecattolica.it/2023/03/20/la-russia-tra-provocazioni-ed-etica/ 

 

La Silicon Valley Bank è fallita, e non è un episodio accidentale

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di Andrea Zhok

La Silicon Valley Bank è fallita. Se si trattasse di un episodio accidentale di mala gestione potrebbe essere un fatto secondario.
Tuttavia, come segnalato da molti analisti, questo fallimento dipende in modo critico dall’inasprimento della linea monetaria promosso dalla FED per rispondere all’inflazione (esogena).
L’inflazione statunitense non è tanto dovuta all’aumento dei costi delle materie prime (come avviene in Europa), quanto ad un processo mondiale generale di vendita degli asset in dollari (ad una ridotta domanda di dollari corrisponde un minor valore della moneta, che si traduce in inflazione).
Questo processo ha evidenti motivazioni geopolitiche e rende esplicita la riconduzione dell’egemonia americana ai suoi limiti “naturali” post-1945: gli asset in dollari vengono ceduti da quei paesi che, sulla scorta della guerra in Ucraina, hanno percepito l’occasione di disfarsi della onerosa tutela americana.

Un passo estremamente importante nella stessa direzione si può vedere nella strategia di normalizzazione dei rapporti, promossa dalla mediazione cinese, tra Iran e Arabia Saudita (cioè tra il maggior governo sciita e il maggior governo sunnita). Il successo diplomatico esprime il nuovo ruolo della Cina rispetto al vasto mondo islamico.
Tutto lascia pensare che questo movimento sia semplicemente ai suoi inizi.
Ricordiamo che il ruolo del dollaro come valuta rifugio era finora anche la principale ragione tranquillizzante per gli USA rispetto alla traiettoria del loro debito pubblico. Gli USA hanno infatti raggiunto il loro massimo debitorio nella storia (125% del PIL) con un rapporto deficit/Pil che si attesta quasi al 16%. Finché il dollaro è una valuta rifugio, i titoli del tesoro americano hanno acquirenti garantiti, ma quanto meno si presenta tale ruolo dominante, tanto più è facile che gli acquisti di titoli si riducano.

Il problema all’orizzonte non è, naturalmente, un possibile “default” del debito americano, bensì un’operazione “restrittiva” sulle spese interne (data per certa) e operazioni di dismissione e liquidazione di asset esteri. In sostanza, arrivati a questo punto, per non smentire la propria politica tradizionale, gli USA potrebbero finire per alimentare una grande contrazione economica, che per le aree del mondo più legate agli USA si configura come una forte pressione recessiva.
Come abbiamo già visto nella crisi del 2008, gli scricchiolii dell’impero americano possono facilmente finire per scaricarsi senza mediazione sugli “alleati” (meglio sarebbe chiamarli “ammortizzatori”) europei.

L’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/03/13/loccidente-ha-provocato-la-guerra-in-ucraina/

SECONDO LO STORICO AMERICANO BENJAMIN ABELOW SONO GLI STATI UNITI E LA NATO A ESSERE I PRINCIPALI RESPONSABILI DELLA CRISI UCRAINA

Venerdì 10 Marzo 2023 il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato al programma Big Game di Channel One: “… Contro la Russia si stanno usando un linguaggio, una retorica e delle azioni estremamente aggressive, soprattutto sotto forma di sanzioni illegali e senza precedenti. L’Occidente lo ha deciso da solo che questa è una guerra all’ultimo sangue. […] La filosofia “con noi o con la Russia” è stata alimentata dall’Unione Europea fin dall’inizio della situazione geopolitica, dopo la scomparsa dell’URSS“.

Quando c’è di mezzo una guerra di potere geopolitico, la propaganda di parte domina, perciò sono necessarie letture il più possibile super partes, perché in tali frangenti e, soprattutto, quando qualcuno vincerà, scriverà la storia a modo suo, imponendo un pensiero unico, che, molto spesso è lontano dalla verità. La filosofia “o con noi [Occidente], o con la Russia” non è un’invenzione di Lavrov ma la realtà che viviamo tutti i giorni. L’impressione è che si tratti di un espediente per impedire di ricercare e raccontare i fatti, senza la mediazione della propaganda. Ma non tutti si piegano a questa superficialità, non per essere dei “bastian contrari”, ma perché se i fatti diventano crimini e le menzogne vengono scoperte, il giudizio diventa più realistico.

Nonostante un consenso generale in ascesa, il governo Meloni non trova il sostegno del 57% del popolo italiano, secondo un sondaggio condotto da Iai e Laps, in merito al sostegno militare in Ucraina. Con un debito ormai al 150% del Pil, servito interamente dal risparmio privato mondiale, l’Italia non può permettersi una politica come quella ungherese di Victor Orban, che, invece, ha un debito sovrano al 75% del Pil e vanta la possibilità di praticare una politica monetaria indipendente col 20% di inflazione annuo.

Secondo lo storico americano Benjamin Abelow sono gli Stati Uniti e la NATO a essere i principali responsabili della crisi ucraina. Attraverso una storia trentennale di decisioni politiche sbagliate e di provocazioni, iniziate durante la dissoluzione dell’Unione Sovietica, Washington e i suoi alleati europei hanno posto la Russia in una situazione considerata insostenibile da Putin e dal suo staff militare. Attraverso il libro “Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina” (Fazi Editore, Febbraio 2023 eu. 10,00) all’autore bastano 70 pagine per mostrare in modo chiaro e convincente come l’Occidente abbia innescato il conflitto ucraino, mettendo i propri cittadini e il resto del mondo di fronte al rischio reale di una guerra nucleare. Abelow dà voce ad autorevoli analisti politici, militari e funzionari governativi degli Stati Uniti – tra questi John J. Mearsheimer, Stephen F. Cohen, George F. Kennan, Douglas Macgregor – che ci fanno comprendere le ragioni più profonde, mistificate o taciute, della tragedia in corso.

Tutti questi esperti di politica estera sull’ espansione della NATO in Europa orientale dissero al loro grande e superpotente Paese che tale politica avrebbe commesso un pericoloso errore strategico. George Kennan, che si può ritenere il più insigne statista americano del secolo scorso, mise in guardia già nel 1997: “L’allargamento della NATO sarebbe l’errore più fatale della politica americana in tutta l’era post guerra fredda”. Kennan aggiungeva poi, l’anno successivo, in un’intervista a Thomas Friedman: “Ma davvero non lo capiamo? Le nostre divergenze durante la guerra fredda erano con il regime comunista sovietico. E adesso stiamo voltando le spalle proprio alle persone che hanno organizzato la più grande rivoluzione incruenta della storia per rimuovere quel regime”. Fiona Hill, ben inserita negli ambienti di Washington e convinta antirussa, in una intervista pubblicata di recente sulla rivista online “Politico” ammette che gli Stati Uniti hanno commesso dei terribili errori.

Quanto a Putin, la Hill ha specificato: “Penso ci sia un piano razionale e metodico che risale a molto tempo fa, almeno al 2007, quando [Putin] mise in guardia il mondo, e certamente l’Europa, che Mosca non avrebbe accettato un’ulteriore espansione della NATO. E poi, nel giro di un anno, nel 2008, la NATO ha aperto le porte alla Georgia e all’Ucraina. Risale certamente a quel frangente”. Ciò dimostra che già nel lontano 2007, sette anni prima dell’annessione della Crimea, l’intelligence americana era consapevole che esisteva “un rischio reale e concreto” che, in risposta all’espansione della NATO, la Russia annettesse la Crimea, così come sapeva che questa espansione ad est avrebbe potuto innescare una vasta azione militare russa, molto più ampia, estesa all’Ucraina ed alla Georgia.

Abelow analizza, di fatto, una storia controfattuale, ma molto utile a comprendere la situazione: “Se gli Stati Uniti non avessero esteso la NATO fino ai confini con la Russia; se non avessero schierato sistemi di lancio di missili con capacità nucleare in Romania e non li avessero messi in cantiere in Polonia e forse anche in altri Paesi; se non avessero contribuito al rovesciamento del governo ucraino democraticamente eletto nel 2014; se non si fossero ritirati dal trattato ABM e dal trattato sui missili nucleari a raggio intermedio, e non avessero poi ignorato i tentativi russi di negoziare una moratoria bilaterale su tali dispiegamenti; se non avessero condotto esercitazioni a fuoco vivo in Estonia per addestrarsi a colpire obiettivi all’interno della Russia; se non avessero raccordato l’esercito americano con quello ucraino, se gli stati Uniti e i loro alleati NATO non avessero fatto tutte queste cose, la guerra in Ucraina probabilmente non sarebbe scoppiata”. Penso sia una affermazione ragionevole. In una recente intervista, il professore emerito di Politica russa ed europea all’Università del Kent Richard Sakwa ha asserito che Zelensky avrebbe potuto ricercare la pace con la Russia pronunciando solo cinque parole: “L’Ucraina non aderirà alla NATO”. Ha, altresì, fatto il contrario a causa della continua ingerenza di USA e NATO.

“Oggi – conclude Benjamin Abelow – i leader politici di Washington e delle capitali europee, assieme ai mezzi di informazione allineati e codardi che riportano acriticamente le loro sciocchezze, cercano di tirarsi fuori dal fango ma ci sono dentro fino al collo. E’ difficile pensare come coloro che sono stati talmente sciocchi da infilarsi in quel fango possano trovare la saggezza per uscirne prima di affondare del tutto e portare giù con sé tutti noi”.

Guerra Ucraina, cosa può succedere in caso di prolungamento o de-escalation?

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di Redazione Wall Street Italia

di Simone Borghi

A più di un anno dallo scoppio della guerra in Ucraina, mercati e investitori si chiedono come cambierà lo scenario nei prossimi mesi. Scontato dire che molto dipenderà dagli sviluppi del conflitto sia sul campo di battaglia che sul lato diplomatico. A questo proposito, gli esperti si dividono tra coloro che temono una guerra prolungata con un peggioramento della situazione geopolitica e quelli che credono in una de-escalation ancora possibile.

Innanzitutto, c’è da dire che i mercati non amano l’incertezza e ciò si visto dall’andamento dei listini a cavallo dei periodi di guerra e tensione geopolitiche. Ad apprendere dalla storia dell’ultimo secolo, la maggiore volatilità dei mercati è sempre stata dovuta all’incertezza del clima politico ed economico che precede l’esplosione di un conflitto importante. Gli investitori, infatti, non temono tanto le guerre quanto piuttosto la mancanza di controllo sugli eventi in corso.

A giudicare da quanto sta accadendo ai mercati globali in questo momento, che sono praticamente tornati sui livelli pre-conflitto, ci sono le premesse per supporre che anche il conflitto tra Russia e Ucraina determini conseguenze borsistiche coerenti a quanto avvenuto nella storia. Le ondate di volatilità che si sono viste sui listini sono una delle caratteristiche chiave del clima dei mercati nelle fasi subito precedenti o appena iniziali di un conflitto e storicamente tale clima si è sempre disteso a conflitto in corso i listini tornano invece a crescere. La storia insegna che le borse non “disdegnano” le guerre, ma la domanda che ci poniamo tutti è quando finirà il conflitto Russia-Ucraina.

Gli effetti di un prolungamento della guerra

La guerra senza fine potrebbe esacerbare la crisi energetica. È quello che pensano gli esperti di S&P Global Ratings, secondo cui c’è un rischio significativo che il conflitto militare tra Russia e Ucraina si protragga, esacerbando la crisi energetica dell’Europa, mentre i tassi d’interesse nei mercati sviluppati potrebbero essere costretti a salire ancora più bruscamente rispetto allo scenario di base, per mitigare le crescenti pressioni inflazionistiche. Ciò potrebbe portare a una recessione più profonda del previsto in Europa e, in misura minore, negli Stati Uniti, con un concomitante aumento della disoccupazione.

Considerando l’aumento dei rischi e la loro potenziale attuazione, S&P Global Ratings ha sviluppato uno scenario negativo, con una probabilità che si verifichi pari a uno su tre. In Europa, lo scenario negativo vedrebbe prezzi energetici elevati e razionamenti. La Bce sarebbe costretta a seguire la Fed a causa del deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro, alimentando l’inflazione importata. Dal punto di vista borsistico, questo porterà al perdurare del clima di incertezza, che ai mercati proprio non piace, con ritorno di volatilità nel caso la situazione geopolitica peggiori.

Gli effetti di una de-escalation del conflitto

Uno scenario di de-escalation è quello invece prospettato dagli analisti di Barclays, i quali ritengono che qualsiasi forma di cessate il fuoco tra la Russia e l’Ucraina potrebbe ridurre la pressione sui mercati europei del gas, oltre che su quelle aziende che hanno un’esposizione più ampia alla Russia.

Guardando oltre, la storia degli ultimi cento anni ci insegna che il più delle volte i mercati reagiscono con grande forza alla fine di eventi dal grave impatto socio-economico. Il rimbalzo che solitamente si innesca a fine guerra viene dato dalla tempestività degli investitori nel modificare gli asset economici dalla fase bellica all’investimento post-bellico. Ed è tutta qui che si gioca la partita della ricostruzione.

Nei principali conflitti della storia i mercati azionari hanno impiegato circa 15 sedute per riprendersi. L’equilibrio dei mercati e le prospettive di ripresa sono in mano a tutte queste dinamiche, che gli investitori, anche nel caso del conflitto in corso, non possono ignorare.

Rischio recessione più lontano per l’Europa. E anche l’Italia crescerà

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di Luca Losito

La situazione economica dell’Europa potrebbe essere migliore di quanto previsto nei mesi scorsi e la recessione più lontana. E anche l’Italia dovrebbe restare sul trend positivo. I dati positivi emersi dall’analisi pubblicata oggi dalla Commissione europea, oltre alle ultime decisioni prese per aumentare la competitività dell’Europa rispetto a Stati Uniti e Cina, lasciano ben sperare per il futuro. Vediamo il tutto nell’analisi.

Le previsioni per l’Europa

In particolare, Bruxelles si aspetta una crescita nella zona euro dello 0,9% nel 2023 (rispetto a una previsione nell’autunno scorso dello 0,3% e rispetto a una espansione dell’economia che nel 2022 è stata del 3,5%). L’economia europea potrebbe evitare una contrazione nel primo trimestre, dopo averla evitata anche nel quarto trimestre dell’anno scorso. Le ragioni sono un calo del prezzo del gas, un recupero della fiducia e una tenuta del mercato del lavoro, spiega l’esecutivo comunitario.

La ripresa dell’Italia

Buone nuove anche per l’Italia, dove l’espansione dell’economia sarà dello 0,8% nel 2023 e dell’1% nel 2024. Mentre il dato di quest’anno registra un forte aumento rispetto alla previsione di novembre (0,3%), la stima per l’anno prossimo rimane pressoché stabile. L’inflazione è prevista del 6,1% quest’anno e del 2,6% l’anno prossimo. La Banca centrale europea ha già annunciato nuovi rialzi del costo del denaro nei prossimi mesi (attualmente il tasso di riferimento è al 3%).

La sfida globale

Nel frattempo si lavora per rilanciare l’Europa sul piano macroeconomico. Le nuove previsioni giungono mentre l’establishment comunitario si interroga sulla crisi di competitività dell’economia europea, principalmente a causa dello sconquasso energetico. I Ventisette si sono riuniti la settimana scorsa per discutere dei modi per contrastare la concorrenza non sempre leale di Stati Uniti e Cina. Tra le altre cose, hanno deciso di allentare le regole sugli aiuti di Stato, promuovere i progetti di interesse comune, e rendere più efficiente l’uso del denaro comunitario.

Insomma, il quadro globale è complesso e il Vecchio Continente sta cercando la strada migliore per ripartire. Il rebus più grande da risolvere è quello energetico, superato quel problema si potrà tornare a correre più velocemente.

L’Impero europeo

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QUINTA COLONNA

di Giorgio Agamben

Fonte: Quodlibet

Milosz ha osservato una volta che la condizione degli scrittori dell’«altra Europa» (così chiama la Mitteleuropa) era «appena immaginabile» per i cittadini degli stati dell’Europa occidentale. Parte di questa eterogeneità veniva dalla mancanza di stati nazionali e dalla presenza in loro luogo, per secoli fino alla fine della Prima guerra mondiale, dell’Impero asburgico. Per noi che siamo nati in uno stato nazionale e non distinguiamo l’essere italiano dall’essere cittadino italiano, non è facile immaginare una situazione in cui essere italiano, ungherese, ceco o ruteno non significava un’identità statuale. Il rapporto col luogo e con la lingua dei cittadini per i cittadini dell’impero era certamente diverso e più intenso, libero com’era da ogni implicazione giuridica e da ogni connotazione nazionale. L’esistenza di una realtà come l’impero asburgico era possibile solo su questa base.
È bene non dimenticarlo quando vediamo oggi che l’Europa, che si è costituita come un patto fra stati nazionali, non solo non ha né ha mai avuto alcuna realtà al di fuori della moneta e dell’economia, ma è oggi ridotta a un fantasma, di fatto integralmente assoggettato agli interessi militari di una potenza ed essa estranea. Tempo fa, riprendendo un suggerimento di Alexandre Kojève, avevamo proposto la costituzione di un «impero latino», che avrebbe unito economicamente e politicamente le tre grandi nazioni latine (insieme alla Francia, la Spagna e l’Italia) in accordo con la Chiesa cattolica e aperta ai paesi del mediterraneo. Indipendentemente dal fatto che una tale proposta sia o meno tuttora attuale, vorremmo oggi portare all’attenzione degli interessati che se si vuole che qualcosa come l’Europa acquisisca una realtà politica autonoma, ciò sarà possibile solo attraverso la creazione di un’Impero europeo simile a quello austro-ungarico o all’Imperium che Dante nel De monarchia concepiva come il principio unitario che doveva ordinare come «un ultimo fine» i regni particolari verso la pace. È possibile, cioè, che, nella situazione estrema in cui ci troviamo, proprio modelli politici che sono considerati del tutto obsoleti possano ritrovare un’inaspettata attualità. Ma per questo occorrerebbe che i cittadini degli stati nazionali europei ritrovassero un legame con i propri luoghi e con le proprie tradizioni culturali abbastanza forte da poter deporre senza riserve le cittadinanze statuali e sostituirle con un’unica cittadinanza europea, che fosse incarnata non in un parlamento e in commissioni, ma in un potere simbolico in qualche modo simile al Sacro Romano Impero. Il problema se un tale Impero europeo sia o meno possibile non c’interessa né corrisponde ai nostri ideali: nondimeno esso acquisisce un significato particolare se si prende coscienza che l’attuale comunità europea non ha oggi alcuna reale consistenza politica e si è anzi trasformata, come tutti gli stati che ne fanno parte, in un organismo malato che corre più o meno consapevolmente verso la propria autodistruzione.

Le sanzioni non funzionano. La Russia cresce più di Germania ed UK

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L’avevamo scritto e detto più volte: le sanzioni non funzionano, ma indeboliscono gli europei che le pagano…(n.d.r.)

Le stime per 2023 e 2024 del Fondo Monetario Internazionale

 

Lo dice il Fondo Monetario Internazionale. La Russia crescerà effettivamente più velocemente della Germania, Germania che, nell’immaginario collettivo, viene considerata la potenza economica dell’Europa. Gli analisti del FMI hanno pubblicato le previsioni secondo le quali nel corso di quest’anno l’economia russa crescerà più di quella tedesca, mentre quella britannica si contrarrà.

Le sanzioni non funzionano. La Russia cresce più di Germania ed UK

La Yellen, segretario al tesoro americano, aveva predetto la devastazione dell’economia russa. In tanti pensavano al crollo del Rublo. E invece?

Invece le sanzioni occidentali sembra non abbiano sortito gli effetti sperati, se non quelli di aver creato ancor più prolemi ai Paesi che le hanno pensate e messe in opera. Così i blocchi del gas, ora del petrolio, non hanno minimamente intaccato o quantomeno non lo hanno segnato, l’economia di Putin.

Anche i russi si aspettavano una crisi economica più profonda. Qualcuno pensava ad un calo del PIL  di oltre il 10% per il 2022, mentre invece ha chiuso al 2,2%. Gli analisti prevedevano un calo del pil 2023 del 2,5% mentre ora il FMI parla di crescita di almeno lo 0,3% un dato che è in linea con le nazioni europee, addirittura meglio in alcuni casi

Insomma, il crollo che ci si aspettava non c’è stato. Ma come mai?

La risposta inizia con due storie economiche distinte: la prima, su ciò che sta accadendo all’interno della Russia; e la seconda, sui legami della Russia con il mondo esterno.

Le sanzioni occidentali erano progettate per fare pressione su Mosca sia a livello nazionale che internazionale; l’idea era di “ostacolare” l’economia interna della Russia e le sue relazioni commerciali. Le restrizioni includevano misure per tagliare fuori la banca centrale russa dal sistema finanziario internazionale, bloccandone l’accesso a miliardi di dollari in attività estere, e per espellere il settore bancario privato del paese dal cosiddetto sistema SWIFT che le consentiva di effettuare transazioni con controparti globali.

La ricaduta è stata quasi immediata. I russi ordinari, preoccupati per i loro risparmi quando le notizie sulle sanzioni hanno fatto notizia, hanno fatto la fila fuori dagli sportelli automatici all’inizio di marzo, affrettandosi a ritirare tutto il denaro che potevano nel timore che le banche potessero crollare.

Ma le prove ora mostrano che la Russia ha sperimentato una sorta di ripresa interna nella seconda metà del 2022. E il paradosso è che la guerra stessa ha contribuito a guidare l’inversione di tendenza.

Mentre la spesa per vari altri programmi domestici è diminuita di circa un quarto e alcune industrie hanno subito enormi perdite , l’economia di guerra nazionale si è espansa notevolmente.  Ha più che compensato la differenza.

I picchi di produzione in tutto il settore della difesa hanno fatto sì che le statistiche complessive per l’industria russa non fossero così catastrofiche come ci si sarebbe potuto aspettare. Nonostante le sanzioni internazionali, la produzione industriale nei primi 10 mesi del 2022 è diminuita solo dello 0,1%. E ora dovrebbe crescere.

Se il quadro interno è stato sostenuto dalle spese di guerra, oltre i suoi confini la Russia ha continuato a commerciare relativamente liberamente, e per decine di miliardi di dollari, anche se le sanzioni hanno reso più difficile per le aziende russe fare affari con controparti straniere.

Ci sono due ragioni principali per questo: la capacità della Russia di convincere i principali partner commerciali a ignorare le sanzioni occidentali; e le vaste e varie risorse naturali della Russia.

La Russia continua a detenere posizioni dominanti nei mercati mondiali del petrolio e del gas. È anche il più grande esportatore mondiale di fertilizzanti. E per molti paesi, abbandonare improvvisamente le forniture russe si è rivelato troppo costoso, qualunque sia la loro opinione sulla guerra in Ucraina.

L‘India, ad esempio, ha notevolmente aumentato il suo consumo di petrolio russo. In effetti, si stima ora che l’India importi 1,2 milioni di barili di petrolio russo ogni mese, 33 volte i livelli visti un anno prima, secondo i dati di Bloomberg .

E poi la Turchia, continua a commerciare con Mosca. A dicembre, ad esempio, ha importato 213.000 barili di gasolio russo al giorno , il massimo almeno dal 2016.

Anche le importazioni in Russia si sono dimostrate più resilienti di quanto suggerirebbero i titoli sulle sanzioni, poiché Mosca approfondisce le sue relazioni con paesi come Cina e Turchia. Le importazioni in Russia dalla Turchia , ad esempio, a dicembre si sono attestate a nord di 1,3 miliardi di dollari, più del doppio rispetto ai livelli dell’anno precedente.

E nella stessa Europa, anche se il continente si affretta a porre fine alla sua dipendenza dall’energia russa, i leader hanno deciso che non potevano semplicemente chiudere il rubinetto allo scoppio della guerra. Il gruppo di campagna sul clima Europe Beyond Coal stima che, nonostante la guerra, i paesi dell’Unione Europea abbiano speso più di 150 miliardi di dollari – esatto, miliardi – in combustibili fossili russi dall’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca.

Insomma,  quasi un anno dall’inizio della guerra, e nonostante un’azione senza precedenti da parte dell’Occidente, l’economia russa non è crollata affatto e nessun indicatore ci porta in quel contesto di negatività neanche nell’immediato futuro.

03 febbraio 2023  LEOPOLDO GASBARRO

Fonte: https://www.nicolaporro.it/economia-finanza/economia/le-sanzioni-non-funzionano-la-russia-cresce-piu-di-germania-ed-uk/

Un anno di guerra in Ucraina: il bilancio dalla prima alla quarta fase (“trasformativa”)

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di Roberto Buffagni

Fonte: L’Antidiplomatico

In questo scritto ripercorro, con la massima brevità e chiarezza, il percorso e le dinamiche strategiche che hanno condotto alla presente quarta fase della guerra in Ucraina, una fase che ritengo trasformativa. Non inserisco note tranne una, relativa a un significativo studio della RAND Corp., pubblicato mentre elaboravo questo testo, a fine gennaio 2023. Chi desidera informarsi sulle mie analisi precedenti, e trovare la documentazione dei fatti e delle interpretazioni a cui qui mi riferisco, può visitare i siti italiaeilmondo.com e l’antidiplomatico.it, inserendo nella funzione di ricerca il mio nome e la parola “Ucraina”, e/o le altre parole chiave presenti nel testo.
Ringrazio sentitamente il generale Marco Bertolini, lo storico Giacomo Gabellini, e il responsabile del sito italiaeilmondo.com Giuseppe Germinario, che mi hanno usato la bontà di leggere in bozza questo testo e consigliarmi. Ovviamente è solo mia la responsabilità dei difetti e dei limiti dell’articolo.

Eziologia della guerra in Ucraina. Natura e scopi della guerra dai punti di vista russo e occidentale.
Sull’eziologia della guerra in Ucraina condivido l’interpretazione storica del prof. John Mearsheimer. È la conseguenza dell’espansione a Est della NATO, e della volontà statunitense di creare un bastione militare occidentale alla frontiera russa, integrando l’Ucraina nella NATO: una strategia che la Federazione russa ha dichiarato assolutamente inaccettabile sin dal Summit NATO di Bucarest 2008 in cui venne annunciata l’intenzione di integrare nell’Alleanza Atlantica Georgia e Ucraina.
Negli anni tra il 2008 e il 2022, gli USA integrano gradualmente l’Ucraina nella NATO, sebbene de facto e non de jure. Nel 2014 danno impulso alla destabilizzazione del governo in carica e all’insediamento di un governo ucraino a loro favorevole, e negli anni seguenti portano a livello di preparazione e armamento NATO le FFAA ucraine. Nel 2014 la Federazione russa si annette la Crimea, senza conflitto militare. Il 2021 vede una significativa accelerazione del processo di integrazione de facto dell’Ucraina nella NATO: importanti forniture di armamenti, grandi esercitazioni militari in comune, e nel novembre 2022 rinnovo della convenzione bilaterale USA – Ucraina che ribadisce la comune intenzione di integrare l’Ucraina nella NATO anche de jure.
Secondo questa interpretazione eziologica, dal punto di vista russo la guerra in Ucraina è una guerra preventiva in difesa di interessi vitali russi, e non una guerra imperialistica di annessione/conquista che, se coronata da successo, può preludere a ulteriori espansioni territoriali russe in Europa. Quest’ultima è invece la definizione della natura e degli scopi dell’intervento russo adottata dagli Stati occidentali.

Prima fase della guerra (dal 24 febbraio alla primavera 2022). Escalation militare russa: invasione dell’Ucraina. Escalation politica occidentale: rifiuto di ogni trattativa diplomatica.
Nel dicembre 2022 la Federazione russa, che nei mesi precedenti ha schierato alla frontiera ucraina un contingente militare pronto all’intervento, propone agli USA una soluzione diplomatica, nell’insolita forma di bozza di trattato resa pubblica. Le principali richieste russe sono, in sostanza: Ucraina neutrale e applicazione effettuale degli accordi di Minsk per la tutela delle popolazioni russofone del Donbass, dove dal 2014 è in corso una guerra civile appoggiata ufficiosamente dai governi ucraino e russo. Gli Stati Uniti non rispondono alla proposta in forma ritenuta soddisfacente dai russi (rinviano, traccheggiano, ricorrono alla “strategic ambiguity”).
Il 24 febbraio 2022 la Federazione russa interviene militarmente in Ucraina. Non è possibile sapere con certezza perché abbia scelto proprio questo momento. Forse – ma è solo una mia inferenza logica – perché in base alle informazioni in suo possesso, la Federazione russa ritiene che l’esercito ucraino stia per intervenire in forze contro le milizie del Donbass, schierando poi il grosso delle truppe nelle postazioni difensive fortificate ivi costruite nel corso degli anni, in modo da prevenire il possibile intervento militare russo e renderlo molto più difficile, costoso, incerto.
I russi intervengono con un contingente militare di circa 180-200.000 uomini, in condizioni di inferiorità numerica di 3:1 circa rispetto all’esercito ucraino, sebbene i manuali tattici prescrivano una proporzione inversa attaccanti/difensori (almeno 3:1 a favore dell’attaccante, per compensare il vantaggio della difesa). Sviluppano attacchi su cinque direttrici, sia al Sudest, sia al Nordovest dell’Ucraina. Gli attacchi nel Nordovest sono attacchi secondari, un’ampia manovra diversiva volta a fissare truppe ucraine a difesa di Kiev e degli altri centri interessati dalla manovra, per modellare il campo di battaglia nel Sudest, nel Donbass, dove si dirigono gli attacchi principali. Così interpretando la manovra russa aderisco all’articolata interpretazione che ne ha dato “Marinus”, probabilmente pseudonimo del Ten. Gen. (a riposo) Paul Van Riper, Corpo dei Marines, nello studio pubblicato sui numeri di giugno e agosto 2022 della “Marine Corps Gazette”, che ho tradotto in italiano, commentato e pubblicato sui siti citati in apertura.
Nel giro di tre-quattro settimane la manovra diversiva russa ha successo. A fine marzo, le truppe russe che hanno sviluppato gli attacchi secondari nel Nordovest si ritirano, mentre il grosso delle forze russe si schiera in quasi tutto il Donbass, infliggendo pesanti perdite anzitutto materiali all’esercito ucraino grazie alla netta superiorità nella potenza di fuoco d’artiglieria e missilistico. L’azione militare russa evita accuratamente di coinvolgere i civili, non tocca le infrastrutture a doppio uso civile e militare (es., la rete elettrica) e si configura insomma come “diplomazia armata”: i russi tentano di ottenere, con una moderata pressione militare, gli obiettivi che non hanno raggiunto con la pluriennale, crescente pressione diplomatica.
Fino alla fine di marzo 2022 pare che la “diplomazia armata” russa possa avere successo: tra il 24 febbraio e la fine di marzo si tengono sette incontri diplomatici tra Russia e Ucraina, e a fine marzo il presidente Zelensky dichiara ufficialmente a media russi indipendenti di essere pronto a trattare la neutralità dell’Ucraina e la soluzione del problema delle popolazioni russofone del Donbass.

Prima escalation politica occidentale
Ma il 7 aprile 2022 il Premier britannico Boris Johnson fa visita al presidente ucraino Zelensky, e dichiara ufficialmente che “L’Ucraina ha rovesciato i pronostici [“defied the odds”] e ha respinto le forze russe alle porte di Kiev, realizzando il più grande fatto d’armi del 21° secolo “. Da quel momento in poi, cessa ogni rapporto diplomatico tra Ucraina e Federazione russa.
L’interpretazione conforme la quale la piccola Ucraina ha sconfitto sul campo la grande Russia si fonda su una lettura delle prime settimane di guerra radicalmente diversa da quella che ho proposto più sopra. Secondo questa interpretazione, obiettivo russo sarebbe stato la presa di Kiev e il “regime change”, il rovesciamento del governo ucraino e la sua sostituzione con un governo fantoccio favorevole alla Russia, e gli attacchi nel Nordovest sarebbero attacchi principali falliti, non attacchi secondari nel quadro di un’ampia manovra diversiva. È una interpretazione possibile, che se rispondente al vero denuncia una grave inadeguatezza militare e politica della Federazione russa: impossibile raggiungere obiettivi tanto ambiziosi con un dispiegamento di forze così ridotto e una così bassa intensità del conflitto.
Su questa interpretazione dei fatti militari, errata o corretta, in buonafede o strumentale che sia, fanno leva le fazioni più oltranziste nel campo occidentale e nel governo ucraino. Si cristallizza in Occidente la certezza ufficiale che sia possibile infliggere una sconfitta militare decisiva alla Russia, e che sia dunque realistico proporsi obiettivi strategici massimalisti, quali il dissanguamento della Russia e la sua destabilizzazione politica per mezzo sia della pressione militare, sia delle sanzioni economiche, sia dell’attivazione delle forze centrifughe. Obiettivo finale, l’espulsione della Russia dal novero delle grandi potenze, l’insediamento di un governo favorevole all’Occidente, eventualmente la frammentazione politica della Federazione russa.
Questi obiettivi massimalisti vengono rivendicati ufficialmente il 24 aprile dai Segretari alla Difesa e di Stato USA. I paesi europei e NATO, tranne la Turchia e l’Ungheria, si allineano senza fiatare e votano con maggioranze parlamentari schiaccianti durissime sanzioni economiche alla Russia e l’invio di armi all’Ucraina. Le storicamente neutrali Svezia e Finlandia annunciano la loro intenzione di chiedere l’adesione alla NATO.

La “diplomazia armata” russa è fallita.
Seconda fase della guerra (primavera – metà estate 2022). Conquista russa del Donbass. La condizione di possibilità di una vittoria ucraina.
Prosegue con successo la conquista russa del Donbass, con scontri urbani molto violenti, casa per casa, a Mariupol e altrove. Le truppe russe impegnate sulla linea di contatto col nemico sono principalmente le milizie del Donbass, le formazioni di volontari ceceni, e il gruppo Wagner. Le formazioni dell’esercito regolare russo agiscono anzitutto (non solo) in appoggio, con l’artiglieria, i missili e il comando operativo. L’azione militare russa continua a non interessare le infrastrutture a doppio uso, militare e civile, dell’Ucraina.
Il rapporto tra le perdite ucraine e le perdite russe è nettamente sfavorevole agli ucraini, sia per la superiorità della potenza di fuoco russa, sia perché le operazioni militari ucraine sono fortemente influenzate dalla necessità di giustificare, presso i governi e le opinioni pubbliche occidentali, il colossale e quasi unanime sostegno politico e finanziario all’Ucraina, che ha gravi ricadute politico-economiche sui paesi europei, anzitutto la Germania che si vede esclusa dalla fornitura di energia russa a basso prezzo sulla quale basa le sue fortune economiche da decenni.
In sintesi gli ucraini sono costretti a “vendere” con i risultati sul campo, con una inflessibile resistenza e una costante aggressività, la sostenibilità politica dell’indispensabile appoggio occidentale: deve essere e restare plausibile la prospettiva di una futura vittoria militare dell’Ucraina sulla Russia.
Ovviamente la valorosa resistenza ucraina non va ascritta a ciò soltanto: per un’ampia quota della popolazione, il conflitto con la Russia è divenuto una guerra di liberazione nazionale, che si integra con una guerra civile e con una guerra per procura tra Russia e Stati Uniti d’America – NATO.

La condizione di possibilità di una vittoria militare ucraina
La condizione di possibilità una vittoria militare decisiva dell’Ucraina sulla Russia, però, si fonda su un presupposto.
È il presupposto che fa da principio ordinatore della strategia di deterrenza du faible au fort elaborata dal gen. Gallois in vista della creazione della force de frappe nucleare francese: rendere sfavorevole, per il fort (la potenza più forte), il rapporto costi/benefici della vittoria sul faible (la potenza più debole). Impiegando a fondo le sue maggiori risorse, la grande potenza nucleare che aggredisse la Francia potrebbe senz’altro distruggerla totalmente, ma l’attivazione della force de frappe nucleare del faible infliggerebbe comunque al fort danni politicamente inaccettabili.
In parole povere ma chiare: per vincere, la potenza più debole deve fare in modo che per la potenza più forte, il gioco della vittoria non valga la candela di una guerra a oltranza. L’Ucraina è il faible, la Russia il fort.
Anche con l’aiuto occidentale, le risorse strategiche ucraine (popolazione, potenza latente economica, potenza manifesta militare, truppe mobilitate e mobilitabili, profondità strategica) restano di interi ordini di grandezza inferiori alle risorse strategiche russe, perché la Russia ha 145 MLN di abitanti, può mobilitare un massimo di 25 MLN di uomini, ha enormi risorse naturali e la capacità di trasformarle, un’ampia base industriale militare, e una profondità strategica di 11 fusi orari. (“Profondità strategica” è lo spazio amico entro il quale un esercito attaccato e respinto può ripiegare, riorganizzarsi, passare al contrattacco, come fecero appunto i sovietici dopo la devastante serie di sfondamenti della Wehrmacht all’esordio dell’Operazione Barbarossa, quando i sovietici trasferirono oltre la catena degli Urali milioni di uomini e numerose industrie strategiche situate nella Russia europea, e fecero affluire verso il fronte i reparti militari di stanza in Oriente, integrandoli con i reparti sfuggiti agli accerchiamenti tedeschi).
Ripeto: una potenza nettamente più debole può vincere contro una potenza nettamente più forte solo se rende il rapporto costi/benefici della vittoria sfavorevole per la potenza nemica. È una vittoria a caro prezzo (guerra del Vietnam: caduti USA 58.000, caduti Vietnam 849.000 + 300-500.000 dispersi, stime governative) ma è una vittoria possibile.
È così che Vietnam e Afghanistan hanno vinto contro USA e URSS, che disponevano entrambe di risorse strategiche di gran lunga superiori. Se le due potenze maggiori avessero deciso di impegnare a fondo le loro risorse strategiche, Vietnam e Afghanistan non avrebbero potuto evitare una sconfitta totale. USA e URSS non lo hanno fatto perché lo hanno ritenuto politicamente insostenibile: perdite troppo elevate, impegno politico, economico e militare a lunga scadenza inaccettabile, crescente opposizione interna alla guerra, etc. In sintesi USA e URSS hanno deciso di perdere perché hanno valutato che per loro, il rapporto costi/benefici della sconfitta fosse più vantaggioso del rapporto costi/benefici della vittoria.

La posta in gioco per la Russia
Ma gli obiettivi strategici dichiarati ufficialmente dal governo USA e rilanciati da NATO e paesi europei sono obiettivi massimalisti: dissanguamento e permanente indebolimento della potenza economica e militare russa, destabilizzazione del governo, attivazione delle forze centrifughe interne alla Federazione russa, espulsione della Russia dal novero delle grandi potenze, possibile sua frammentazione politica. Particolarmente temibile, per la Russia che si è formata storicamente come impero multietnico, multinazionale, multireligioso, la possibilità di un’attivazione delle forze centrifughe etniche, religiose, nazionali, in uno scenario analogo allo jugoslavo degli anni Novanta.
Gli obiettivi dichiarati dall’Occidente configurano insomma una minaccia esistenziale per il governo, lo Stato, la società e le nazioni russe. I dirigenti russi dunque si persuadono che nella guerra ucraina sia in gioco la posta assoluta, sono disposti letteralmente a tutto per vincerla, e lo dicono ripetutamente in forma ufficiale. Saranno dunque disposti, anzi costretti a impiegare a fondo tutte le risorse strategiche russe per vincere la guerra: per vincere l’Ucraina, ed eventualmente, se si arrivasse a un conflitto diretto, anche la NATO.
Viene così a cadere la condizione di possibilità di una futura vittoria ucraina: che per la Russia il gioco della vittoria sull’Ucraina non valga la candela della guerra a oltranza. Per vincere la Russia, l’Ucraina e i suoi alleati occidentali devono ottenere la vittoria decisiva su una Federazione russa disposta o meglio obbligata ad impegnare a fondo, per tutto il tempo necessario, tutte le sue risorse strategiche: in sintesi, farla capitolare.
Al contempo gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali, impegnandosi pubblicamente a raggiungere obiettivi massimalistici, si chiudono lo spazio di manovra diplomatica e fanno salire fino al cielo la posta politica in gioco per le loro classi dirigenti, che rischiano di essere spazzate via da una sconfitta; malgrado che un esito sfavorevole della guerra non danneggi, in quanto tale, gli interessi vitali delle loro nazioni, nessuna delle quali rischia la destabilizzazione o peggio in seguito a una sconfitta ucraina.
L’unica nazione del campo occidentale che rischia tutto è l’Ucraina, che da una prosecuzione della guerra a oltranza e da una probabile sconfitta può attendersi solo terribili sciagure.

Terza fase della guerra (fine estate – autunno 2022). Successo della controffensiva ucraina. Escalation politica russa: annessione di quattro oblast del Donbass. Escalation militare russa: bombardamento degli obiettivi a doppio uso militare e civile. Guerra di manovra e guerra d’attrito.
Le forze russe si attestano nel Donbass, occupando quasi il 20% dell’intero territorio ucraino e schierandosi su un fronte di 1.500 km circa. Il dispositivo militare ucraino si riorganizza, amplia la mobilitazione richiamando i riservisti ed estendendo la coscrizione obbligatoria fino ai 60 anni, viene rifornito di nuovi armamenti occidentali (in larga misura equipaggiamenti ex – sovietici) in sostituzione di quelli distrutti nelle fasi precedenti del conflitto, viene innervato da un più vasto e intenso coinvolgimento di personale di comando NATO e da una più capillare strutturazione delle funzioni ISR (Intelligence, Surveillance and Reconnaissance), e nel settembre 2022 sferra una controffensiva in forze con direttrice principale su Kharkiv.
La controffensiva ucraina ha successo. I russi devono arretrare su tutto il fronte, ripiegando più o meno ordinatamente. Motivo: la coperta russa è troppo corta. I reparti russi hanno conquistato vasti territori che non sono in grado di tenere con l’esiguo numero di truppe impegnate nella “operazione militare speciale”. Essi dunque devono resistere ripiegando il più ordinatamente possibile, accorciare il fronte, ridurre i territori da difendere e fortificarli per attestarvisi, riconfigurare il dispositivo militare e rinforzarlo.
La Russia si adatta alla nuova realtà sul terreno. Viene nominato un comandante generale delle operazioni in Ucraina, il gen. Surovikin. Il governo propone alla Duma, che la vota all’unanimità, la mobilitazione parziale di 300.000 riservisti. Vengono mobilitate anche le industrie militari, che lavoreranno su tre turni di otto ore.

Escalation politica russa: annessione dei quattro oblast del Donbass
Il governo propone alla Duma, che nell’ottobre la vota all’unanimità, l’annessione di quattro oblast del Donbass: le regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhya e Kherson, previo plebiscito organizzato dalle autorità di occupazione russe.
È la più decisiva escalation politica di tutta la guerra, perché con essa la Russia si brucia le navi alle spalle e annuncia implicitamente la propria ferma volontà di impegnare a oltranza tutte le proprie risorse strategiche per ottenere la vittoria sull’Ucraina e sui suoi alleati. Per far recedere la Russia dall’annessione, riconsegnando all’Ucraina territori che per la Federazione russa sono formalmente divenuti territorio nazionale, l’Ucraina e i suoi alleati dovrebbero infliggere una sconfitta decisiva a tutta la Federazione russa, e farla capitolare.

Escalation militare russa. Bombardamento degli obiettivi a doppio uso militare e civile
Riconfigurato il dispositivo militare intorno all’unità di comando e consolidato il fronte, mentre si svolge tra varie difficoltà la mobilitazione dei riservisti (è la prima mobilitazione da ottant’anni e l’apparato amministrativo e logistico russo non è pronto; centinaia di migliaia di russi varcano le frontiere per evitare il richiamo) il comandante generale Surovikin decide l’escalation militare. Per la prima volta vengono interessati da una serie incessante di fitti bombardamenti missilistici gli obiettivi a doppio uso, civile e militare, in particolare la rete elettrica ucraina ma in generale le infrastrutture quali ferrovie, fabbriche, depositi di materiale militare e civile, etc. La Russia non prende di mira i civili, ma bersagliando le infrastrutture a doppio uso provoca gravi disagi alla popolazione, compromette il normale svolgimento della vita quotidiana, e ovviamente provoca “danni collaterali”, vittime civili colpite per errore dai suoi missili e dal fuoco contraereo ucraino.
Il gen. Surovikin prende anche la decisione, politicamente difficile e impopolare ma corretta, di abbandonare Kherson, importante centro testé formalmente annesso al territorio nazionale russo, e di far ripiegare le truppe che la occupano sulla sponda meridionale del fiume Dnepr. La decisione operativa consente di non sprecare forze per prevenire una controffensiva in un punto delicato, concentrando invece gli sforzi nel Donbass. Ne conseguiranno vantaggiosi risultati concreti sul campo di battaglia.

Guerra di manovra, guerra d’attrito. L’ esempio storico dell’Operazione Barbarossa
La “guerra di manovra”, in tedesco Bewegungskrieg, “guerra di movimento”, è l’opposto simmetrico della “guerra d’attrito”, Stellungskrieg, “guerra di posizione”. Ogni guerra combina, in percentuali diverse, manovra e attrito. La guerra d’attrito punta a logorare gradualmente le capacità di combattimento del nemico con l’applicazione prolungata e costante di una forza superiore; la guerra di manovra punta a distruggere rapidamente le capacità di combattimento del nemico trovando o creando, e sfruttando abilmente, lo Schwerpunkt, il punto decisivo vitale e debolmente difeso dello schieramento nemico, contro il quale sferrare un rapido, determinante attacco in forze.  Il vantaggio della manovra sull’attrito sembra ovvio: la manovra offre la possibilità di una vittoria rapida e decisiva, ma minaccia anche la possibilità di una sconfitta altrettanto rapida e decisiva, perché attaccare è sempre rischioso e il nemico può sempre dire la sua. Come sottolinea Clausewitz, non esiste la “scienza della vittoria”, e la logica che governa la guerra non è lineare ma paradossale, come illustra il detto romano “si vis pacem para bellum”. La guerra di manovra viene privilegiata degli eserciti che scontano un evidente svantaggio nella guerra d’attrito: eserciti meno numerosi, con capacità materiali o logistiche inferiori a quelle del nemico.
In questa fase il conflitto ucraino, che nelle due fasi precedenti ha visto una combinazione di manovra e attrito, si stabilizza in forma di guerra d’attrito, il tipo di conflitto dove pesa di più la disparità di risorse strategiche tra i contendenti. Nella guerra d’attrito, infatti, quel che più conta per la vittoria è la rispettiva capacità di generare durevolmente forze umane e materiali. È il campo in cui la Russia ha il maggior vantaggio relativo sull’Ucraina.
Accresce il vantaggio russo il fatto politico essenziale che l’Ucraina dipende in tutto e per tutto dall’appoggio occidentale, e che i dirigenti occidentali devono giustificare presso le opinioni pubbliche e l’elettorato il crescente costo politico-economico di questo appoggio. Dunque gli ucraini sono costretti dalla ragion politica a inviare costantemente truppe, anche insufficienti o impreparate, sulla linea di contatto con i russi, mantenendo vivo il conflitto, rinnovando in Occidente l’ammirazione per la loro capacità di resistenza, e alimentando la persuasione che la vittoria finale ucraina sia possibile.
Dal punto di vista militare, in realtà, agli ucraini converrebbe prendersi una pausa, riorganizzare le riserve, rinforzarle e addestrarle, e risparmiare uomini e mezzi in vista di controffensive future. Una potenza dotata di risorse strategiche nettamente inferiori al nemico, infatti, può sperare di vincerlo soltanto con un’abile, aggressiva e rapida, soprattutto rapida guerra di manovra: in una guerra d’attrito, il tempo lavora per la potenza con le maggiori risorse strategiche.
Furono queste considerazioni fondamentali a dettare la forma in cui si è sviluppata e ordinata la potenza militare prussiana prima e tedesca poi, ossia dei maestri di un’aggressiva e rapida guerra di manovra. Sia la Prussia sia la Germania, infatti, hanno dovuto fare i conti con la propria situazione geopolitica: esposizione su più fronti al centro d’Europa, frontiere indifese da ostacoli naturali, limitate risorse naturali e umane; e hanno tentato di risolvere la difficile equazione mettendo a punto un dispositivo militare altamente preparato a condurre con la massima aggressività e perizia rapide guerre di manovra. Esemplari dei successi dello stile germanico le magistrali Blitzkrieg contro Polonia e Francia nella IIGM.  Esemplare, però, anche il fallimento dell’Operazione Barbarossa. La Germania invade l’URSS, ottiene per sei mesi schiaccianti vittorie ma non riesce a provocare il collasso politico e sociale del nemico, e tocca il limite delle proprie capacità logistiche. L’URSS non capitola, si riorganizza, e comincia a generare forze umane e materiali in misura via via crescente e superiore rispetto alle forze che è in grado di generare la Germania.  Saranno necessari quattro anni di durissimo conflitto, ma il destino della Germania è segnato.
Si noti bene che al tempo dell’Operazione Barbarossa tutti gli Stati Maggiori del mondo, abbagliati dai precedenti, splendidi successi tedeschi, davano per scontata la vittoria della Wehrmacht. Essa però avrebbe potuto verificarsi soltanto se l’URSS fosse collassata in seguito ai primi mesi di devastanti sconfitte. L’Operazione Barbarossa è dunque stata un’azzardata scommessa strategica, in cui la vittoria finale dipendeva interamente dal crollo della coesione politica, militare e sociale del nemico. L’Alto Comando tedesco non ha invece tenuto nella dovuta considerazione sia le risorse strategiche attuali dell’URSS, sia, e soprattutto, la sua capacità di generare nuove forze, maggiori delle proprie, per tutto il tempo necessario a concludere vittoriosamente la guerra.
È lo stesso tipo di errore che hanno commesso gli Alti Comandi occidentali in questo conflitto ucraino.
Essi hanno gravemente sottovalutato le risorse attuali della Russia: da questo errore dell’intelligence militare i continui proclami che la Russia starebbe per terminare le sue scorte di missili, proietti d’artiglieria, etc., rivelatisi via via sempre più grotteschi e difformi dalla realtà; hanno gravemente sottovalutato la sua capacità di generare nuove forze umane e materiali nel breve, e nel medio-lungo periodo: di qui l’errata valutazione dell’impatto delle sanzioni economiche sulla Russia, a torto creduto rapidamente incapacitante; hanno gravemente sottovalutato la coesione politica e sociale della compagine russa, la sua volontà di combattere e di stringersi intorno alla bandiera: di qui gli annunci, via via più ridicoli, di un prossimo rovesciamento del governo russo in seguito al dissenso della popolazione e di decisivi settori della classe dirigente.
Quarta fase trasformativa della guerra (fine autunno 2022 – inverno 2022/23). Due fazioni nei centri direttivi statunitensi: escalation o de-escalation del conflitto? Tre fatti significativi. Stime delle perdite ucraine e russe. Previsioni. La doppia trappola strategica.
Ritengo trasformativa la presente fase della guerra perché soltanto in questa fase viene chiaramente in luce la sua natura di doppia trappola strategica.
Nella quarta fase della guerra si verificano tre fatti significativi.

Sabotaggio del Northstream 2
Nel novembre 2022 un sabotaggio subacqueo rende inutilizzabile il Northstream 2, il gasdotto costruito per trasportare il metano russo in Germania attraverso il Mar Baltico, senza passare per l’Ucraina. L’inchiesta entra subito in stallo, per l’impossibilità politica di individuarne gli autori: infatti la logica del cui prodest suggerisce che responsabili ultimi dell’attentato siano gli Stati Uniti. Probabilmente, l’operazione è frutto di una collaborazione tra Royal Navy britannica e forze speciali polacche. Motivo del sabotaggio: nella classe dirigente tedesca crescono le preoccupazioni per i disastrosi effetti a lunga scadenza (progressiva disindustrializzazione della Germania) della cessazione di forniture d’energia russa a buon mercato. Il sabotaggio del gasdotto è un vero e proprio atto di guerra contro la Germania, volto a intimidirla perché si allinei senza esitazioni alla strategia di contrapposizione frontale alla Russia decisa dagli USA. L’intimidazione ha successo. Intimidita la Germania, l’unico Stato europeo che non aderisca perinde ac cadaver alla linea statunitense è la piccola Ungheria; nella NATO, l’unico Stato con un elevato grado di autonomia politica è la Turchia.

Dichiarazioni pubbliche del gen. Milley, capo dello Stato Maggiore congiunto USA
Nel novembre e di nuovo nel dicembre 2022 il gen. Mark Milley, capo dello Stato Maggiore congiunto statunitense, rilascia irrituali dichiarazioni pubbliche, invitando all’apertura di una trattativa diplomatica con la Russia, e asserendo che “agli ucraini non si può chiedere di più”. Le dichiarazioni irrituali di Milley sono evidente indizio che nei centri decisionali statunitensi confliggono due grandi fazioni: una incentrata nell’establishment bipartisan che dirige la politica estera, favorevole alla prosecuzione a oltranza della guerra in Ucraina ed eventualmente a una sua escalation; e un’altra, incardinata nel Pentagono, favorevole a una de-escalation del conflitto. Il fatto che Milley comunichi pubblicamente le sue posizioni prova che nel dibattito interno all’Amministrazione USA la posizione del Pentagono è minoritaria e teme di restarlo, e che lo scontro tra le due posizioni è molto aspro.
A ulteriore riprova dell’esistenza di questi schieramenti interni alla direzione statunitense, il recentissimo studio pubblicato dalla RAND Corp., Avoiding a Long War: U.S. Policy and the Trajectory of the Russia-Ukraine Conflict[1], [in nota riferimento bibliografico e traduzione italiana dell’abstract] che analizza, dal punto di vista dell’interesse nazionale USA, i costi di un prolungamento della guerra ucraina, raccomanda la de-escalation, e la cauta instaurazione di un processo diplomatico che porti a una conclusione negoziata del conflitto. La RAND Corporation è un importante e prestigioso centro studi che sin dalla sua fondazione fornisce analisi e progetti soprattutto al Pentagono.

Riconfigurazione della struttura di comando russo, annuncio di riforma delle FFAA russe
Nel gennaio 2023, il governo russo riconfigura il comando militare delle operazioni in Ucraina, e annuncia una più generale riforma strutturale delle sue Forze Armate. Il militare russo più alto in grado, generale Gerasimov, Capo di Stato Maggiore delle FFAA russe, viene insignito del comando generale delle operazioni in Ucraina, mentre il gen. Surovikin riprende il suo precedente ruolo di Comandante delle Forze Aerospaziali. Il governo ristabilisce i distretti militari di Mosca e Leningrado, ordina la formazione di un nuovo gruppo d’armate in Carelia, alla frontiera finlandese, e la creazione di dodici nuove divisioni dell’esercito. Annuncia altresì che entro il 2026 aumenterà le dimensioni del suo dispositivo militare in servizio permanente effettivo, portandole a 1,5 MLN di uomini. Nel contempo, i massimi dirigenti russi iniziano a dichiarare pubblicamente che la guerra in corso in Ucraina è, in realtà, una guerra tra Russia e NATO. Queste inedite dichiarazioni pubbliche hanno anche – come sempre in guerra – una valenza propagandistica interna, ma interpretate alla luce delle riforme militari in corso suggeriscono con un elevato grado di plausibilità che i decisori russi si preparano per il caso peggiore, ossia per un intervento diretto delle forze occidentali nel conflitto ucraino.

Prosegue la guerra d’attrito. Stime delle perdite ucraine e russe
Nel frattempo, sul terreno ucraino la guerra d’attrito continua. Continuano gli attacchi missilistici alle infrastrutture ucraine a doppio uso, civile e militare. Il dispositivo militare russo si consolida sulle posizioni difensive occupate e rafforzate dopo il ripiegamento. Continua e si perfeziona l’addestramento dei riservisti richiamati, e la logistica si adegua gradualmente all’arrivo dei rinforzi e alla prosecuzione degli intensi, costanti attacchi missilistici. I reparti russi sferrano attacchi incrementali sulle linee difensive ucraine, con ridotto impiego di truppe e larghissima, prolungata preparazione d’artiglieria, per limitare il più possibile le proprie perdite. Gli ucraini, intrappolati dalla necessità politica di resistere sempre e comunque e appena possibile attaccare, per giustificare il sostegno occidentale, cordone ombelicale della prosecuzione della guerra, non sono in grado di contrattaccare in forze, ma resistono anche oltre i vantaggi militari della resistenza e subiscono gravissime perdite di uomini e di materiali.
È impossibile, finché dura la guerra, avere dati certi delle perdite. Mentre scrivo, a fine gennaio 2023, fonti occidentali quali Strategic Forecasting, un’importante agenzia di intelligence privata che abitualmente collabora con la CIA, parla di più di 300.000 morti ucraini, per un totale di perdite irrecuperabili intorno ai 400.000 uomini. Le più recenti valutazioni occidentali, non ufficiali, delle perdite irrecuperabili russe parlano di 20.000 morti e 30.000 tra dispersi e feriti gravi. Pur con tutte le necessarie cautele, è abbastanza verisimile che il rapporto tra perdite ucraine e perdite russe si situi tra 10:1 e 5:1. Nelle grandi battaglie della IIGM, il rapporto di perdite tra lo sconfitto e il vincitore fu intorno a 1,3 – 1,5: 1. L’esercito ucraino non sembra essere in grado di preparare, nel prossimo futuro, una controffensiva su grande scala: per l’elevatissimo numero di perdite, soprattutto di ufficiali e sottufficiali veterani; per la scarsità di materiale bellico, nonostante i rinnovati invii di armi occidentali; per la crescente disorganizzazione delle strutture di comando militare; per la crescente, progressiva degradazione delle condizioni economiche e sociali dell’intera Ucraina.

Scelte operative dell’Alto Comando russo. Previsioni.
In sintesi, nella quarta fase della guerra comincia a risultare chiaro che il dispositivo militare russo ha raggiunto, o è sul punto di raggiungere, le condizioni necessarie e sufficienti a imprimere al conflitto la direzione voluta dal suo comando militare e politico.
Ovviamente, solo l’Alto Comando russo sa, o saprà, quale sia questa direzione, ma attualmente esso pare in grado di:
proseguire la guerra d’attrito, applicando costantemente sul dispositivo militare ucraino, e sull’intera società ed economia ucraine, la sua forza superiore: così risparmiando la propria risorsa più preziosa, gli uomini. Gli uomini sono la risorsa russa più preziosa dal punto di vista politico, per evidenti ragioni rafforzate dall’approssimarsi delle elezioni presidenziali russe del 2024. Sono la risorsa più preziosa anche dal punto di vista militare, e in special modo lo sono i veterani, che devono addestrare e integrare nei reparti i riservisti richiamati, nessuno dei quali ha esperienza diretta di una guerra a così alta intensità (non ce l’ha nessuno al mondo tranne chi vi ha partecipato, nell’uno o nell’altro schieramento)
passare all’offensiva su grande scala, su una o più direttrici. Prevedibili obiettivi strategici, l’annientamento progressivo della capacità di combattere dell’esercito ucraino; la riconquista delle porzioni territoriali dei quattro oblast annessi alla Russia, e riprese dall’Ucraina in seguito al ripiegamento russo; l’occupazione e l’annessione alla Russia di Odessa e dell’intero territorio della Novorossiya, in modo da escludere l’Ucraina dall’accesso al mare.
Probabilmente, nelle valutazioni dell’Alto Comando russo sono presenti, e non in secondo piano, le previsioni sulla reazione occidentale all’una e all’altra decisione operativa russa. Proseguire la guerra d’attrito consente alle direzioni occidentali di rinviare le decisioni strategico-politiche su escalation o de-escalation, e probabilmente avvantaggia la fazione favorevole alla de-escalation, dandole il tempo di organizzarsi meglio, trovare alleati, diffondere pubblicamente i suoi argomenti. Passare all’offensiva le obbliga a scegliere in tempi brevi, brevissimi se l’offensiva ha presto un chiaro successo. La fazione statunitense favorevole alla de-escalation è tuttora minoritaria: la situazione sul campo la favorisce, ma le manca l’appoggio aperto di almeno uno tra i più importanti alleati europei.
A mio avviso, per la Russia è vantaggioso evitare un’accelerazione del conflitto, sia per i rischi di fallimento e i costi umani sempre associati alle azioni offensive su grande scala, sia per non servire una carta decisiva al “partito della guerra a oltranza” statunitense, che sull’onda dell’emozione potrebbe iniziare una diretta, formale implicazione di forze occidentali nella guerra; per esempio, il varo di una “coalizione dei volonterosi” come proposto nel novembre 2022 a dal gen. (a riposo) David Petraeus, ossia con truppe polacche, rumene, baltiche, etc. che intervengano sotto la propria bandiera, ma non in quanto membri della NATO, in seguito a una richiesta di aiuto militare del governo ucraino: un escamotage giuridico per evitare un aperto conflitto diretto NATO – Russia, che rischierebbe di interessare anche il territorio statunitense.
Quindi, se devo arrischiare una previsione, penso che la Russia continuerà ancora a lungo la guerra d’attrito.

Vittoria decisiva della sola Ucraina. Vittoria decisiva con intervento diretto occidentale. Possibilità e probabilità
In estrema sintesi, a un anno dall’inizio della guerra risulta chiaro che una decisiva vittoria militare ucraina sulla Russia è materialmente impossibile, per quanto possano proseguire, o anche aumentare, nelle forme attuali, gli aiuti occidentali. La situazione può cambiare solo con un diretto coinvolgimento di truppe occidentali.
Comincia però ad albeggiare il dubbio, anche nelle direzioni politico-militari occidentali, che un diretto coinvolgimento di truppe occidentali nella guerra non basti ad assicurare, o almeno a rendere altamente probabile, la vittoria decisiva sulla Russia. Dubbiosi sono soprattutto i militari: per questo la fazione statunitense favorevole alla de-escalation si incardina sul Pentagono. Motivi:
l’attuale dispositivo militare dell’intera NATO, Stati Uniti compresi, non è concepito e preparato per una guerra convenzionale ad alta intensità contro un nemico capace di condurla, come la Russia. Dalla fine della Guerra Fredda, tutte le nazioni NATO hanno fortemente ridotto i loro eserciti, dismesso gran parte delle strutture logistiche militari, indirizzato la struttura e l’addestramento delle loro FFAA, e la produzione delle loro industrie militari, a conflitti di breve durata contro nemici nettamente inferiori, in genere appartenenti al “Grande Sud del mondo”; una decisione tutto sommato ragionevole, finché la NATO non si è contrapposta alla Russia, che in effetti non la minacciava affatto.
La Russia, invece, ha strutturato le sue FFAA e la sua industria militare in vista di una guerra difensiva contro la NATO, come è nella tradizione storica di un paese che da sempre deve fronteggiare e respingere grandi invasioni del suo territorio. Sinora ha privilegiato la difesa di ultima istanza, la triade nucleare, ma come prova la guerra in Ucraina non ha abbandonato la preparazione convenzionale e la sta rafforzando. Essa ha inoltre guadagnato, in settori decisivi come la missilistica e la difesa contraerea, la superiorità relativa rispetto agli Stati Uniti. Per compensare lo svantaggio ci vogliono anni.
Un riarmo occidentale è molto arduo, il suo esito incerto, i tempi lunghi. I finanziamenti, anche massicci, non bastano: il denaro può comprare solo quel che già esiste, e quel che già esiste non basta. Per far esistere quello che manca, è necessario anzitutto determinare politicamente la strategia di sicurezza collettiva della NATO, un processo molto complicato e difficile anche per la frammentazione dei centri decisionali. Se il nemico principale della NATO è la Russia, è indispensabile, come minimo, e giusto per cominciare: costruire un alto numero di cacciabombardieri da impiegare in appoggio alla fanteria, e in grado di sopravvivere alle difese missilistiche russe; costruire le infrastrutture logistiche necessarie a un’ampia proiezione delle forze in caso di crisi, con la relativa pianificazione; varare un grande programma di difesa antiaerea integrata del territorio europeo; varare un vasto programma di reclutamento e addestramento truppe, in specie di ufficiali e sottufficiali. Al riguardo, è bene tenere presente che la rinuncia da parte di tutti i paesi NATO alla coscrizione obbligatoria ha provocato la perdita di ingenti riserve addestrate alle quali far ricorso in caso di necessità. In sostanza, in caso di una guerra che ci coinvolga, prenda tempi lunghi e sconti perdite rilevanti, mobilitazioni come quelle indette da Mosca e dall’Ucraina sono quasi impossibili, per i paesi dell’Europa Occidentale. Segue un lungo eccetera.
Ovviamente, un diretto coinvolgimento occidentale nella guerra impedirebbe agli Stati Uniti di concentrarsi sul contenimento della Cina, rinsalderebbe l’alleanza di quest’ultima con la Russia, esporrebbe gli USA a una possibile guerra su due fronti contro due grandi potenze nucleari, e aumenterebbe progressivamente il rischio che nel conflitto con la Russia facciano capolino le armi atomiche. Quanto più diretto e intenso il conflitto convenzionale tra due grandi potenze nucleari come Russia e USA, tanto più probabile che il contendente che si credesse esposto a una probabile sconfitta decisiva mediti seriamente di impiegare le armi nucleari.
Altrettanto ovviamente, in un conflitto diretto tra forze occidentali e Russia le perdite occidentali si conterebbero a decine di migliaia, un costo umano difficile da giustificare politicamente.

La doppia trappola strategica
Con l’allargamento a Est della NATO, e insistendo per includervi l’Ucraina, gli Stati Uniti hanno teso una trappola strategica alla Russia, costringendola a scegliere tra due alternative, entrambe molto pericolose nel medio-lungo periodo: accettare il divieto di avere una sfera d’influenza, e la minacciosa presenza di un bastione militare occidentale sulla soglia della Russia europea; oppure intervenire militarmente, assumendosi il grave rischio di un conflitto con la NATO, e compromettendo i propri rapporti politici ed economici con l’Europa. Questa è la prima ganascia della trappola strategica in cui la Russia è entrata ad occhi aperti, dopo aver tentato per quattordici anni di evitarla.
Gli Stati Uniti, però, hanno gravemente sottovalutato le capacità di resistenza e di reazione, militari, economiche, politiche e sociali della Federazione russa, e altrettanto sopravvalutato sia il prestigio deterrente della propria forza, sia le proprie attuali capacità e potenzialità militari ed economiche.  Si trovano dunque a dover scegliere tra due alternative, entrambe molto pericolose nel medio-lungo periodo.
La prima alternativa è la riduzione del danno, una de-escalation del conflitto ucraino che si risolve in una netta sconfitta politico-diplomatica, una pesante perdita di prestigio deterrente, la possibile apertura di faglie di crisi nel sistema di alleanze, e seri contraccolpi politici interni, es. una grave delegittimazione complessiva della classe dirigente.
La seconda alternativa è la fuga in avanti, una escalation a oltranza del conflitto, con l’eventuale – anzi probabile, perché necessario – coinvolgimento diretto di truppe occidentali; il rischio di una guerra convenzionale ad alta intensità per la quale gli USA e la NATO non sono preparati; il possibile futuro interessamento del territorio nazionale statunitense, e in prospettiva, la crescente possibilità di una degenerazione nucleare dello scontro.
Questa è la seconda ganascia della doppia trappola strategica, e ora si richiude sugli Stati Uniti che l’hanno tesa: ma vi sono entrati a occhi chiusi, e solo ora cominciano a vederla.
Ate, la dea che acceca, «da principio seduce l’uomo con amiche sembianze, ma poi lo trascina in reti donde speranza non c’è che mortale fugga e si salvi» (Eschilo, I persiani, 96-100)

[1] Charap, Samuel and Miranda Priebe, Avoiding a Long War: U.S. Policy and the Trajectory of the Russia-Ukraine Conflict. Santa Monica, CA: RAND Corporation, 2023. https://www.rand.org/pubs/perspectives/PEA2510-1.html

L’egemonia Usa va al tramonto

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di Massimo Fini

Fornendo i propri carri armati Leopard all’Ucraina e autorizzando alcuni paesi, Polonia, Finlandia, Danimarca, a fare uso di questi mezzi, per cui c’è bisogno del nulla osta tedesco, Scholz ha ceduto più che alle invocazioni di Zelensky al diktat Usa. Nella giornata in cui è stata presa questa decisione che coinvolge anche l’Italia, che dall’inizio della guerra ha fornito all’Ucraina circa un miliardo di dollari in armamenti, nessuno dei principali media ha ricordato a chi stiamo fornendo queste armi e questi soldi. Zelensky, quasi fuori tempo massimo, ha fatto una purga di sapore staliniano, dove cojo cojo, liquidando quindici alti dirigenti ucraini, vice ministri, governatori, membri della magistratura, accusati a vario titolo di corruzione e di aver speculato sulla guerra ai danni di chi stava combattendo sul campo (la cosa non è nuova, almeno alle orecchie di noi italiani: durante la prima guerra mondiale mentre i soldati contadini – vedi i Malavoglia di Verga – si battevano e morivano al fronte la borghesia faceva affari d’oro ai loro danni). Ma la corruzione dell’Ucraina non è cosa di oggi, secondi i dati dell’International Transparency l’Ucraina è al 122 esimo posto in questa poco commendevole classifica che vede al primo la virtuosa Danimarca (secondo lo stesso istituto l’Italia è al 42 esimo).

Secondo il presidente americano Joe Biden questo ulteriore innalzamento dello scontro “non è una minaccia offensiva nei confronti di Mosca”. E’ come mettere sul tavolo una pistola e dire a chi sta davanti: guarda che io non ce l’ho con te. Un metodo mafioso, alla Matteo Messina Denaro.

Ma i diktat di Washington nei confronti di quei Paesi europei che sono più riluttanti a partecipare a quest’orgia di armamenti e minacce non si fermano qui. Gli appetiti americani sull’Europa vanno ben oltre. Washington ha proposto di fare del G7 che comprende, oltre agli USA, Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Italia un organismo permanente. La presenza del Giappone in questo organismo significa che gli americani vogliono coinvolgere alcuni dei principali Paesi europei nella loro politica aggressiva nei confronti del sud est asiatico, Cina, India, Vietnam, Indonesia, Malesia, Laos, Cambogia. Ma noi europei non abbiamo nessun contenzioso con la Cina o col Vietnam o col Laos. Al contrario abbiamo tutto l’interesse a mantenere buoni rapporti con la Cina che si presenta come un grande mercato, così come la Cina ha lo stesso interesse nel mercato europeo. Non per nulla Luigi Di Maio quando era ministro degli Esteri aveva aperto alla “via della seta”. Cosa che è risultata disastrosa per lo stesso Di Maio perché gli americani della “via della seta” non volevano neanche sentir parlare.

Insomma avendo le mani in pasta in quasi tutto il mondo gli americani vogliono che gli europei diano loro una mano anche in scacchieri che ci sono o indifferenti, o, peggio ancora, favorevoli. Questo è un segno di debolezza perché vuol dire che gli americani non sono così sicuri di avere ancora la leadership globale che detengono dalla fine della seconda guerra mondiale che hanno vinto con l’appoggio determinante degli inglesi e, anche se oggi è quasi proibito ricordarlo, dei russi, mentre l’Ucraina, quando in campo c’era la Gestapo, è stata protagonista di uno dei più gravi pogrom, proporzionalmente s’intende, antiebraico. Di qui l’iniziale freddezza di Israele nell’unirsi all’assalto alla Russia. Ma adesso Gerusalemme ha compiuto un rapido dietrofront bombardando, in appoggio all’Ucraina, una fabbrica iraniana per la produzione di missili e droni. Questa almeno la versione del Wall Street Journal perché è ovvio che Israele non ammetterà mai di essere alle spalle di questo attacco a un paese con cui, almeno formalmente, non è in guerra. Sarebbe la violazione di ogni norma di diritto internazionale anche se il Mossad è abituato ad operazioni molto disinvolte: a maggio dell’anno scorso ha assassinato in terra iraniana un alto ufficiale dei pasdaran. Che sarebbe successo a parti invertite, se cioè l’Iran avesse colpito in territorio israeliano? Ma, si sa, allo Stato ebraico è concesso tutto ciò che è vietato agli altri.

Il Novecento è stato “il secolo americano”, d’una America peraltro più umana di quella che è in campo oggi. Fu il presidente Usa Woodrow Wilson a proporre la Società delle Nazioni che, memori degli sfracelli della prima guerra mondiale, avrebbe dovuto impedire altri conflitti di questo genere e, per rimandare a un dettaglio, alla Liberazione fu il comandante americano della piazza a inorridire di fronte allo scempio di Piazzale Loreto con i corpi di Mussolini, della Petacci e di alcuni gerarchi appesi per i piedi alla famosa pensilina del distributore di benzina Esso e a ordinare al capo del CLN presente, mi pare fosse Pertini ma vado a memoria, di togliere immediatamente quei corpi. Disse: “Noi per queste cose abbiamo un posto che si chiama morgue, da voi, mi pare, obitorio”.

Abbiamo detto che il Novecento è stato il “secolo americano” ,gli anni Duemila saranno di altri, probabilmente della Cina o forse dell’India o forse del mondo islamico. Gli americani non si rassegnano e negli ultimi anni hanno disseminato di guerre o di tentativi di colpi di stato (Maduro) mezzo mondo, ma prima o poi dovranno cedere lo scettro.

Le quattro P dell’inflazione: Politica, Politiche, Priorità e Povertà

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di Alexander Azadgan

Vi racconto una storia: l’anno è il 1933. L’economia tedesca è in crisi. La guerra ha lasciato il Paese malconcio e ammaccato. Il Trattato di Versailles ha costretto Berlino a pagare le riparazioni di guerra. Quanto? 132 miliardi di marchi d’oro. Che corrispondono a circa 31,4 miliardi di dollari USA. La Germania ha un debito enorme. I tedeschi sono demoralizzati. Ci sono disordini sociali. Due successive tornate elettorali non sono riuscite a ripristinare la stabilità. C’è un’iperinflazione postbellica. C’è disoccupazione. Ci sono enormi incertezze sociali, politiche ed economiche. Adolph Hitler e il partito nazista decidono di sfruttare questa crisi. Il 30 gennaio 1933, Hitler giura come nuovo leader della Germania. Il resto, come si dice, è storia.

Morale della favola: la crisi finanziaria e l’inflazione hanno il potere di cambiare il corso della storia. In questo articolo cercherò di raccontarvi cosa sta accadendo nel mondo. Come le azioni stanno scendendo, come le valute stanno perdendo valore, come il carburante sta diventando più prezioso, come i prezzi dei beni di prima necessità stanno salendo. Cercherò di spiegarvi cosa significa realmente inflazione in termini più ampi. Non l’inflazione per il vostro potere d’acquisto o per il denaro che avete in banca. Ma per il mondo di oggi in cui viviamo.

Cosa significa l’inflazione per l’ordine mondiale? Il nostro mondo è un conglomerato di democrazie, regimi autoritari e monarchie costituzionali. Rimarrà così anche dopo questa situazione? Oggi il nostro mondo è interconnesso. È strettamente legato. C’è un libero flusso di scambi. Rimarrà così anche dopo la fine di questa crisi finanziaria?

L’inflazione influenza la politica, le politiche, le priorità globali e la povertà. Le quattro P: politica, politiche, priorità e povertà. Parlerò di tutte e quattro, iniziando dalla prima P: Politica. L’inflazione è spesso definita la madre dei cambiamenti politici. Ho spiegato brevemente cosa è successo nella Germania del dopoguerra. Con l’Europa di nuovo in guerra, queste ostilità hanno contribuito all’inflazione. Ci sono proteste in tutto il mondo a causa delle condizioni economiche. I manifestanti possono essere spietati. Chiedete all’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter. Quando era in carica, i prezzi del petrolio e dei generi alimentari erano saliti alle stelle. La disoccupazione e l’inflazione fecero cadere Carter. Perse la rielezione contro Ronald Reagan. Oggi i prezzi dei generi alimentari negli Stati Uniti sono aumentati del 20%, quelli del carburante del 10%, anche se stanno scendendo. E arrivò il novembre del 2022. Joe Biden dovette affrontare le elezioni di midterm. I Democratici hanno perso la Camera ma hanno conservato per poco il Senato. È probabile che l’inflazione possa sottrarre a Biden le elezioni presidenziali del 2024. Questo potrebbe cambiare il corso della politica americana!

Ora che avete capito cosa può fare l’inflazione ai governi, considerate questo: A seconda del luogo in cui si vive, l’inflazione globale supera il 15%. I prezzi aggregati dei generi alimentari sono aumentati di almeno il 13%, sempre a seconda del luogo in cui si vive. Circa 50 Paesi andranno alle urne quest’anno e il prossimo. Tra questi ci sono Stati Uniti, Brasile, Israele, Pakistan, Bangladesh, Turchia, ecc. Se i prezzi continueranno a salire, questi leader potrebbero trovarsi fuori dal loro incarico, perché l’aumento dei prezzi può far cadere i governi. Possono anche cambiare il destino di un Paese.

Si pensi al Venezuela. Ha le maggiori riserve di petrolio al mondo. Ma dove si trova sulla mappa globale? È in preda a una crisi politica e a un’insondabile iperinflazione. Tra il 1973 e il 2022, i prezzi in Venezuela sono aumentati del 3.729%. Lasciatevelo dire. Questo non è il dato peggiore. Secondo la Banca Mondiale, nel febbraio 2019 l’inflazione in Venezuela aveva raggiunto il 344.509%. A quel punto, la valuta venezuelana era ormai spazzatura. Dicevano che usare i contanti come carta igienica era più prudente che comprare un rotolo di carta igienica! Che cosa è successo? Più di sei milioni di venezuelani hanno lasciato la loro casa. Si tratta di quasi il 20% della popolazione del Paese.

Quello che una volta era il Paese più ricco dell’America Latina ora sta lottando per rimanere rilevante. Nessun Paese vuole andare incontro a questo destino. Nessun Paese vuole essere spazzato via dall’inflazione. Quindi cosa fanno?

Arriviamo alla seconda P: politiche. Le contee cambiano le loro politiche o, per meglio dire, l’inflazione costringe i Paesi a cambiare politica. Molti Paesi hanno vietato l’esportazione di alcuni prodotti alimentari. Dall’inizio del conflitto in Ucraina, l’Argentina ha vietato l’esportazione di soia, olio e carne. Algeria: pasta, derivati del grano, olio vegetale e zucchero. Egitto: olio vegetale, grano di base, farina, oli, lenticchie, pasta e fagioli. Indonesia: olio di palma e olio di palmisti. Serbia: grano, farina di mais, olio, mais, olio vegetale. Il mondo nel suo complesso ha aumentato i prezzi di tutte queste materie prime. Per i governi di tutto il mondo, la priorità è controllare i prezzi in patria per garantire la sicurezza alimentare, perché gli elettori affamati possono essere spietati e nessun governo vuole rischiare la loro ira. Quindi, con l’inflazione, le politiche commerciali diventano invariabilmente più nazionalistiche e protezionistiche. Il mercato interno diventa la priorità. A volte la diplomazia passa in secondo piano, e anche in questo caso l’inflazione tende a imporre un cambiamento nella diplomazia.

Consideriamo l’Europa. L’inflazione nell’Eurozona ha toccato un livello record. Cos’è l’Eurozona? È un’unione monetaria di 20 paesi dell’UE. Attualmente l’UE conta 27 Paesi. Sette di questi non fanno parte dell’Eurozona. Gli altri hanno l’euro come valuta principale e unica moneta legale. Attualmente l’inflazione nell’Eurozona è ai massimi livelli dalla creazione dell’Euro. Quando è stato? L’anno 1999. Significa che l’inflazione ha toccato un massimo di tre decenni, per gentile concessione del conflitto in Ucraina. Un sondaggio pubblicato nel giugno del 2022 ha chiesto agli europei [in 10 paesi] cosa pensassero del conflitto in Ucraina. Più di un terzo ha dichiarato di volere che finisca il prima possibile, anche se ciò significa che l’Ucraina cede un territorio. Questo conflitto ha influenzato la vita quotidiana di centinaia di milioni di europei. Oltre il 40% del gas europeo proviene dalla Russia. Così come il 26% del petrolio. Le sanzioni contro la Russia e i divieti sulle importazioni russe hanno colpito duramente gli europei. Quest’inverno, avranno bisogno di riscaldare le loro case e non tutti potranno permettersi un’energia alle stelle. La guerra ha fatto lievitare le spese per i pasti. In Italia, i prezzi della pasta sono aumentati del 40%! Non sorprende quindi che gli europei siano quasi equamente divisi quando si tratta del conflitto in Ucraina. Altri dicono di volere “giustizia”.

Ai recenti vertici della NATO e del G7, i leader europei si sono impegnati a sostenere l’Ucraina ad ogni costo. Ma non tutti gli elettori sono pronti a sostenere questo costo. Secondo i sondaggisti, il sondaggio influenzerà la politica europea prima che poi.

L’Europa deve ripensare le proprie priorità, il che ci porta alla terza P: priorità. L’inflazione costringe a spostare non solo le priorità nazionali, ma anche quelle globali. Si pensi al cambiamento climatico. Fare dell’azione per il clima una priorità globale non è facile. Ci sono voluti molti “poliziotti del clima” per convincere il mondo a diventare verde. L’inflazione ha invertito la tendenza. Il carbone diventa grande quando l’inflazione colpisce il settore energetico. L’Europa potrebbe tornare al carbone. L’Austria riapre le centrali a carbone nonostante gli obiettivi climatici. Gli esperti avvertono dei rischi climatici. Gli Stati Uniti fanno marcia indietro sulle promesse ecologiche. Quando l’inflazione colpisce l’energia, quando il gasolio e il gas diventano costosi, i Paesi si affidano a fonti energetiche più economiche come il carbone. Anche se questo significa inquinare la Terra e accelerare il cambiamento climatico.

Non avreste mai pensato che l’inflazione contenesse così tanto, vero? È questo il punto. Tendiamo a limitare la definizione di inflazione a una variazione del potere d’acquisto. L’aumento dei prezzi è sicuramente il significato fondamentale dell’inflazione, ma anche la prima conseguenza. L’inflazione cambia molto di più del denaro nel vostro conto in banca ed è questo il punto che sto cercando di sottolineare.

Concludiamo con l’ultima P: povertà. 1,1 miliardi di persone nel mondo non possono permettersi beni essenziali come il cibo. Vivono al di sotto della soglia di povertà. Con l’aumento dei prezzi, un numero maggiore di persone viene spinto verso la povertà, che comporta una serie di problemi sociali come la malnutrizione, l’aborto, la mortalità infantile, la criminalità, la mancanza di lavoro. L’inflazione scatena una reazione a catena che richiede anni per essere fermata. Questo è l’ABC dell’inflazione.

Foto: Idee&Azione

28 gennaio 2023

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