I conti mai fatti col fascismo

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di Massimo Fini

 

ARIANNA EDITRICE

Fonte: Massimo Fini

Claudio Anastasio, Presidente della 3-I, società pubblica, è stato massacrato (“apologia del fascismo” secondo il Pd e il quotidiano La Repubblica che ha fatto il presunto scoop) e quindi costretto a dimettersi perché in una mail interna inviata ai componenti del Consiglio di Amministrazione assumendosi la responsabilità dell’andamento dell’azienda, ha parafrasato, ripeto: parafrasato, il discorso con cui Benito Mussolini il 3 gennaio 1925 si era attribuito la responsabilità politica e morale dell’assassinio di Giacomo Matteotti. Riferimento, quello di Anastasio, certamente inopportuno, sempre che sia stato voluto, ma nulla più. Winston Churchill replicò il famoso discorso di Catilina ai soldati prima della battaglia copiando letteralmente l’ultima frase: “vi prometto solo lacrime e sangue”. Non per questo Churchill può essere segnato a dito come un eversore dello Stato come lo fu Catilina. Si è andati a ravanare nel passato di Anastasio, si è scoperto che nel 1997 aveva curato un programma sulla storia del Duce. Forse che in Italia è proibito rifare, seguendo le proprie opinioni, giuste o sbagliate che siano, la storia di Mussolini e della sua famiglia? E allora mettiamo in galera anche Renzo De Felice che, come storico, ha chiarito dati alla mano che il Fascismo ebbe un largo consenso fra gli italiani (“gli anni del consenso”).
Polemiche sepolcrali come quelle sul fascismo e l’antifascismo possono esistere, a 75 anni dalla fine della guerra, solo in Italia. Il fatto è che noi italiani non abbiamo fatto i conti con la nostra storia recente assumendo come buona la sciagurata interpretazione di Benedetto Croce secondo il quale il Fascismo era stato “solo una parentesi della nostra storia”. Invece il Fascismo fa parte a pieno titolo della nostra storia nel male ma anche nel bene che pur ci fu. Montando la leggenda partigiana, e lo dico con il massimo rispetto per gli uomini e le donne che partigiani lo furono davvero e non solo dopo il 25 luglio, come ho rispetto dei ragazzi che andarono a morire per Salò in nome di altri valori, l’onore e la lealtà, che a quei tempi erano moneta corrente (non ho aspettato Luciano Violante per riconoscere pari dignità ai ragazzi che andarono a morire per Salò), noi abbiamo fatto finta di aver vinto una guerra che avevamo invece perso nel più sciagurato dei modi, tradendo, in una lotta per la vita e per la morte, l’alleato che ci eravamo scelti e schierandoci, come avevamo già fatto nella Prima guerra mondiale, col vincitore. In realtà la lotta partigiana, pur benemerita, fu marginale in quella tragica epopea che fu la Seconda guerra mondiale. I protagonisti furono altri: gli americani, gli inglesi, i russi sovietici da una parte (la Francia si è seduta arbitrariamente al tavolo dei vincitori, tanto che oggi conserva un seggio nel Consiglio di sicurezza dell’ONU avendo avuto una Resistenza ancor più marginale di quella italiana, una correità col governo filo nazista del maresciallo Pétain e un’adesione della popolazione a quel regime filofascista maggiore di quella italiana) i nazisti tedeschi, gli italiani fascisti, i giapponesi dall’altra.
Fra le benemerenze di Mussolini si può mettere, paradossalmente, che fu il miglior alleato degli Alleati: “spezzeremo le reni alla Grecia” e dovette intervenire la Wermacht per salvarci, il Duce aprì il fronte africano di cui Hitler non voleva sapere e ci fu la sconfitta nella battaglia di El Alamein in cui gli italiani si portarono benissimo come ammise lo stesso Rommel, sconfitta scontata data la disparità delle forze in campo.
Uscendo dal paradossale fu Mussolini, come abbiamo già ricordato, a resistere alla crisi di Wall Street del ’29 creando l’IRI, e poi ci furono leggi economiche di tutto rispetto e un’attenzione all’istruzione con il  liceo classico curato da Giovanni Gentile, che è stato valido fino agli anni ’60 del dopoguerra e in qualche misura lo è ancora oggi (“il classico mi sta aiutando a cercare me stesso, a capire da dove vengo e chi devo diventare, fornendomi una preparazione versatile e multiforme” ha scritto al Corriere il sedicenne Flavio Maria Coticoni, che sia fascista anche lui?). Ci sono poi cose minori, molto irrise, come la divisa. Mi ha detto qualche anno fa una vecchia signora che fu ragazza durante il regime e che indossò quella divisa: “per noi ragazze e per i ragazzi la divisa nascondeva le differenze sociali fra chi può permettersi ed ostentare le griffe e chi no” come è storia di oggi. Ci sono le attività sportive imposte alla gioventù, anche se poi Starace, col salto nel ‘cerchio di fuoco’, rendeva ridicolo ciò che invece aveva un suo senso: tenere allenata la nostra gioventù, invece di accontentarsi di andare a vedere le partite di calcio.
E veniamo agli errori ed anche agli orrori di cui primo responsabile fu Benito Mussolini. Il primo fu quello di far entrare l’Italia in guerra assolutamente impreparata (“ci basteranno poche migliaia di morti per sederci al tavolo della pace”, abbiamo visto) e fu la tragedia dell’Armir. Ci sono poi il delitto Matteotti, l’assassinio a Parigi dei fratelli Rosselli, aver tenuto in galera per una decina di anni Antonio Gramsci il vero leader del Partito comunista (“dobbiamo impedire a questa mente di funzionare”). Anche se bisogna pur dire che fra tutti i totalitarismi di quei tempi nazismo, stalinismo, Mao Tse-tung, il Fascismo fu certamente il meno sanguinario.
C’è infine l’adesione alle leggi razziali che i nazisti non ci avevano nemmeno chiesto. Questa, sotto il profilo etico, è la colpa più grave oltre che grottesca. Se c’è un popolo che, “per fortuna o purtroppo” per dirla con Gaber, non può vantare alcuna purezza raziale è quello italiano che, conquistato di volta in volta da questo o da quello, è un crogiolo di etnie diverse (“Franza o Spagna purché se magna”).
Ma anche la questione semitismo/antisemitismo ha fatto il suo tempo. Gli ebrei non sono più i perseguitati di un tempo, appartengono anzi, grazie alla finanza internazionale, all’élite che governano il mondo. Si riconoscono in uno Stato, Israele, che un giorno sì e uno no ammazza bambini palestinesi solo perché palestinesi. Nella striscia di Gaza tengono un popolo in un lager a cielo aperto, proprio loro che dei lager furono le prime, anche se non le sole, vittime.
Gli emarginati oggi sono altri. Sono i migranti, in genere dell’Africa subsahariana, che vengono a morire sulle nostre coste e che Salvini, e tutti i razzisti alla Salvini, vorrebbero tener lontani così che anneghino in mare o siano respinti nell’inferno della Libia che proprio noi, francesi, americani, italiani, abbiamo creato, violando tutte le leggi internazionali a cui oggi siamo molto attenti nella guerra russo-ucraina, aggredendo uno Stato sovrano, come sovrani erano la Serbia e l’Iraq, e macellando il colonnello Muhammar Gheddafi in una maniera che disgusterebbe anche i ‘tagliagole’ dell’Isis.

 

Per approfondimenti: https://ariannaeditrice.musvc2.net/e/t?q=4%3dFd8VI%26F%3d4%26E%3dCY8X%26x%3dU6RF%26O%3djK3Ju_IZwR_Tj_LStY_Vh_IZwR_SoQyN.jLk2wHc6mCvIr7g.03_LStY_Vh21Nk4xFk_IZwR_SoC-eFwNk-DjC-h22j5c3Nk-4xH-kC-o5u4rMoF%26m%3dGwJ574.EnN%26kJ%3dEZ4U&mupckp=mupAtu4m8OiX0wt

 

Anpi-nquisizione e la fase isterica dell’antifascismo

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di Raffaele Amato

Anpi-nquisizione e la fase isterica dell’antifascismo. – La recente, penosa, vicenda della maglietta della X Mas di Montesano ci riporta al tema dell’involuzione dell’antifascismo. Dall’antifascismo di opinione, ideologico, si è passati prima all’antifascismo militante, che tanti lutti e tragedie ha provocato soprattutto negli anni ’70, e quindi all’attuale antifascismo isterico, autentica patologia psichiatrica, che si manifesta con attacchi di orticaria, convulsioni, urla, vesti stracciate e bave alla bocca alla sola vista di un qualunque elemento che possa essere anche lontanamente ricondotto al Fascismo, a Mussolini o al Ventennio.

La solita ANPI

La (per nulla) santa inquisizione, che ha nell’ANPI la sua alta gerarchia e nei mediocri artisti del circuito radical chic i suoi banditori, non fa un processo alle idee, ai contenuti, alla Storia ma, direttamente, condanna senza appello a quello che vorrebbe fosse un totale oblio. Il tanto deprecato ventennio, semplicemente, deve essere cancellato e tutto ciò che lo ricorda non ha diritto ad esistere. Paradossalmente, più ci si allontana dal 1945 e più questo fenomeno si intensifica, anziché lasciare spazio ad un dibattito serio, sereno e soprattutto scientifico su ciò che il fascismo ha rappresentato.

FDI latitante

Nel 1983, in occasione del centenario della nascita del Duce, ci fu un intenso periodo di iniziative culturali, convegni, conferenze. Il MSI promosse diversi eventi di alto livello e nessuno pensò di scandalizzarsi. Nel centenario della marcia su Roma, 39 anni dopo, Fratelli d’Italia, il partito erede del MSI, fischietta facendo finta di niente, stando bene attento a non farsi trascinare in qualche accostamento sconveniente, aspettando nervosamente che passi la nottata. Venuti meno la disputa ideologica, il confronto su visioni della vita e della società, appiattitosi tutto nel pantano liberal-liberista-libertario, rimane spazio solo per le urla scomposte di qualche testa di cazzullo, di qualche Pif (cosa aspettarsi da chi ha scelto come nome d’arte il suono di una flatulenza mal trattenuta?), di qualche Lucarelli, che invocano il rogo e il pubblico ludibrio per chi osa deviare dai binari del conformismo.

Il politicamente corretto impera

Copione già visto e rivisto: il personaggio di turno (Montesano il più recente) commette il peccato mortale verso il politicamente corretto, che può essere un simbolo su una maglietta o, molto peggio, un giudizio non del tutto ostile riguardo al Fascismo.

I pretoriani dell’antifascismo

L’Anpi-nquisizione si scatena immediatamente. Segue un breve periodo di smarrimento del colpevole e tutto si conclude con l’immancabile ammenda, il capo cosparso di cenere, le scuse condite da lacrime. Viene da chiedersi come mai persone alquanto navigate possano scivolare in certe ingenuità. Sorge quasi il sospetto che certi episodi siano costruiti ad arte, forse per regalare un attimo di notorietà a personaggi non più sulla cresta dell’onda o, più probabilmente, per sancire, una volta di più, chi è che comanda, chi stabilisce cosa si può dire e cosa no, cosa si può pensare e cosa no. Il diritto di opinione stabilito dall’art.21 della “Costituzione più bella del mondo”? Acqua fresca. La libertà di espressione per cui “i partigiani hanno combattuto”? Aria fritta. Quando fu istituita la famosa commissione Segre, con il compito di combattere l’incitamento all’odio, pensai, un po’ troppo candidamente, che avremmo finalmente assistito allo scioglimento dell’ANPI. Invece … E la destra tace o, al massimo, fischietta.

Fonte: https://www.2dipicche.news/anpi-nquisizione-e-la-fase-isterica-dellantifascismo/

 

 

 

La marcia su Roma vista da Verona, il “terzofascio” fondato appena due giorni dopo San Sepolcro

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di Giovanni Perez

Il ritorno dei reduci della Grande guerra, in ogni città dell’Italia vittoriosa, fu seguito dalla medesima situazione di scontro politico e sociale, che, soprattutto, si svolse nelle città del Nord. Quei reduci avevano vissuto Caporetto, il Grappa, il Piave e Vittorio Veneto, avevano messo in gioco la propria vita per il bene superiore della Patria, avevano condiviso nelle trincee un cameratismo che tutti li accomunava, oltre le loro differenze e le regioni di provenienza; avevano acquisito per il resto dei loro giorni lo spirito cameratesco del fronte, in cui risuonava l’eco delle urla, delle bombe, dei reticolati, delle tempeste di fuoco. Era una generazione divenuta adulta guardando in faccia la morte, e ora doveva troppo in fretta affrontare una nuova vita.

Finita quella guerra, presero corpo non pochi miti: quello della vittoria mutilata, primo di ogni altro. Gabriele d’Annunzio, una leggenda vivente, diffondeva anche in politica uno stile, fatto di canti, divise, gagliardetti e formule dal sapore antico, come il celebre “Eia, eia, alalà!”, conquistando l’italianissima Fiume, in un’impresa partita da Ronchi il 12 settembre 1919 e coronata con la visionaria Carta del Carnaro, prima del tragico epilogo.

I socialisti aizzarono le masse contadine e operaie, contrapponendo italiani contro italiani, cercando quella rivoluzione che doveva portare anche in Italia le soluzioni imposte in Russia dai bolscevichi guidati da Lenin. Ma a fronteggiare i sovversivi vi furono proprio molti di quei reduci, che, smessa la divisa da alpino o da granatiere, avevano indossato la camicia nera. Mussolini colse nella sua drammaticità l’impotenza della classe politica liberale, la sua inadeguatezza e incapacità di fronte alla drammaticità del momento. Incapacità di fronteggiare il «pericolo rosso» che, arrivato alla sua fase estrema nel “biennio rosso”, con l’occupazione delle fabbriche e gli scioperi generali, si scontrò con le squadre fasciste, formate dai reduci e dagli arditi, da nazionalisti, sindacalisti rivoluzionari, futuristi. Il tentativo di realizzare anche in Italia la rivoluzione socialista e comunista, con il suo progetto collettivista, la sua negazione della proprietà, della patria, dello Stato, della religione, fu sconfitto.

Furono anni in cui la lotta politica si combatté anche con la violenza, che oggi viene identificata solo con quella dello squadrismo, sebbene la realtà storica sia molto diversa, e si potrebbe cominciare con il ricordare il cruento episodio occorso ad Empoli, dove i socialisti uccisero e seviziarono diversi carabinieri e marinai, gettandone i corpi nell’Arno. Si potrebbe così continuare ricordando l’attentato al Teatro Diana e il tragico episodio dell’eccidio di Sarzana, che costò la vita a ben diciotto fascisti, cui era stato teso un agguato in un clima assurdamente festoso, da Rivoluzione francese. Questo era il clima e alla violenza dei social-comunisti, tra i quali si distinsero per ferocia gli “arditi del popolo”, si rispondeva con la violenza.

Nel medesimo crogiuolo, come si disse, finirono, in attesa di una sintesi, le varie reazioni spiritualistiche che si contrapposero al positivismo e al materialismo, una dottrina dello Stato espressione della nazione, i principi di una riforma della pedagogia e della Scuola, molte idee artistiche e letterarie oscillanti fra tradizione e modernità. In altri campi, s’imposero dottrine ispirate dal nazionalismo, dal sindacalismo rivoluzionario e dalla dottrina sociale della Chiesa, che invocavano il superamento delle concezioni economiche del liberismo e del socialismo. Da tutto questo retroterra fatto di dottrine, miti e simboli, attinse Mussolini per il suo tentativo rivoluzionario di edificare lo Stato nuovo, mentre altri elementi del primo programma fascista vennero invece messi da parte, come l’opzione repubblicana, in nome di un Fascismo come prosecuzione del Risorgimento nazionale.

Aderirono al fascismo filosofi provenienti dall’idealismo, come Giovanni Gentile, letterati e artisti, come Luigi Pirandello, Filippo Tommaso Marinetti, Mario Sironi ed anche scienziati, come Guglielmo Marconi e Orso Mario Corbino. Qualcuno ipotizzò che la nuova Italia fascista potesse creare un nuovo tipo umano, forgiato da una specifica etica; altri videro nella dottrina del corporativismo il superamento dell’egoismo capitalistico, così come della lotta di classe; altri ancora videro nel mito della “Giovinezza” l’occasione per realizzare una nuova idea di città, sperimentando inedite concezioni architettoniche e urbanistiche. Per quegli uomini nel simbolo del fascio non si intravedevano gli aspetti liberticidi del totalitarismo, ma quelli della ritrovata concordia nazionale, dell’appartenenza ad un comune destino, il prevalere del bene comune su quello degli egoismi di parte. Vennero perciò, nonostante le leggi del 1925 e la dittatura, come riconobbe il grande storico Renzo De Felice, gli “anni del consenso” al Regime, con tanto di riconciliazione con la Chiesa, al punto che in Mussolini si vide l’uomo della Provvidenza e il crocifisso, che era stato bandito dalle scuole, vi ritornò.

Quel consenso fu diffuso e sincero, almeno fino all’avvicinamento con la Germania e la promulgazione nel 1938 delle Leggi sulla difesa della razza italiana. Molti fascisti di origine ebraica, la cui storia non è stata ancora adeguatamente considerata, videro crollare la propria fede nel Regime, che loro stessi avevano contribuito a edificare; un nome per tutti loro, quello di Gino Arias, che fu tra i maggiori teorici del corporativismo.

Il primo Fascio di combattimento fu creato a Milano, in Piazza San Sepolcro, il 23 marzo del 1919. A Verona, dove fu fondato il Fascio Terzogenito soltanto due giorni dopo, su iniziativa di Italo Bresciani, Mussolini aveva vissuto alcune pagine molto significative della sua vita, come raccontò Carlo Manzini in un suo celebre libro Il Duce a Verona. Dal 1905 al 1938.

Anche da Verona i giovani fascisti partirono alla volta di Roma, e fu il 28 ottobre, quando, sotto la reggia sfilarono cinquantamila camicie nere, inneggianti alla grandezza della patria italiana. Il Re non volle spargimento di sangue e l’esercito li aveva perciò lasciati sfilare, semmai solidarizzando con loro, in nome proprio di quel comune “spirito del fronte” mai tramontato, così come del resto era accaduto a Napoli, il 23 precedente, quando vi fu una sorta di prova generale con un’adunata cui partecipò lo stesso Mussolini.

In terra scaligera aderiranno al fascismo eminenti protagonisti della cultura, non solo locale: Alberto de’ Stefani, Luigi Messedaglia, Guido Valeriano Callegari, Umberto Grancelli, Siro Contri, Paolo Bonatelli, Egidio Curi, Michele Lecce. A questi nomi aggiungerei Guido Fracastoro, discendente del ben più celebre e celebrato Girolamo e Bruno Aschieri, tra i fondatori agli inizi degli anni Trenta del Gruppo futurista veronese, poi intitolato a Umberto Boccioni.

Fracastoro fu autore di una rievocazione autobiografica che prende le mosse negli anni “della lotta anticomunista del dopoguerra”, in nome di una rivolta ideale poi sfociata nella rivoluzione del 28 ottobre, intitolata Noi squadristi, pubblicata nel 1939 e dedicata alla figura del padre, un fascista della prima ora, che conobbe appena, giusto in tempo per riceverne le consegne. Aschieri ci ha lasciato una gustosa rievocazione intitolata Squadrismo veronese in miniatura nel 1921, pubblicata nel 1934, in cui ricostruisce la genesi dell’Avanguardia studentesca fascista a Verona nel 1920.

Un po’ futurista si definì peraltro il settimanale “Audacia”. Organo di battaglia dei Fasci di Combattimento di Verona e Provincia”, diretto da Edoardo Malusardi, che uscì il 15 gennaio 1921, la cui consultazione per comprendere e ricostruire gli esordi del Fascismo veronese è ancora oggi essenziale.

Edoardo Pantano fu tra i giovani sostenitori di “Audacia” e oggi suo figlio Antonio, ha scritto un libro in cui si ricostruisce l’amicizia tra suo padre e Angelo Dall’Oca Bianca, il celebre artista che aderì convintamente al Fascismo e che aveva conosciuto Mussolini ancor prima della Grande guerra. Dall’Oca morì nel maggio del 1942, prima del crollo di quel mondo in cui aveva creduto, ma fece in tempo a progettare e costruire un “Villaggio” per i veronesi meno abbienti, che portava il suo nome ed è ancora oggi parzialmente abitato, quasi a testimoniare la metafora di una eredità incancellabile.

Pubblicato anche sul quotidiano L’Adige: https://www.giornaleadige.it/la-marcia-su-roma-vista-da-verona-il-terzofascio-fondato-appena-due-giorni-dopo-san-sepolcro/

E se la critica alla post-modernità mettesse allo stesso tavolo progressisti e conservatori?

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/10/24/e-se-la-critica-alla-post-modernita-mettesse-allo-stesso-tavolo-progressisti-e-conservatori/

PROVIAMO AD ACCANTONARE PROGRESSISMO E CONSERVATORISMO, LIMITANDOCI AD UN SENSATO, RAGIONEVOLE ANTI-POSTMODERNISMO: POTREBBE ESSERE UTILE?

Una cascata d’odio preventivo si è scaricata su Giorgia Meloni e sul nuovo governo di centrodestra. Non ho ricordi di assistere ad una tale violenza verbale, soprattutto da parte delle femministe e delle sinistre globaliste, che si ammantano di una supposta superiorità intellettuale e morale, degli ideologi dell’uguaglianza, della fratellanza, della libertà assoluta e della tolleranza universale. E’ davvero meschino l’attacco personale e familiare, per ottenere vantaggi in termini di visibilità o followers. Un gran boomerang questo travaso di bile arcobalen(g)o, se si esce dai salotti e dalle redazioni dei quotidiani, ove, invece, giornalisti d’esperienza, come ad esempio Gad Lerner, non sono caduti in questi metodi grossolani, da pescivendoli/e frustrati.

Le sinistre sono terrorizzate davvero del ritorno del Fascismo nel centenario della Marcia su Roma che si celebrerà la prossima settimana (28 ottobre 1922 – 28 ottobre 2022)? No. E’ tutta una messa in scena per aggiungere all’odio la paura di una destra autoritaria. Fa parte del loro metodo comunicativo di sempre. Lo stesso che ha fatto passare per decenni la Resistenza partigiana per la componente maggioritaria che ha liberato il Paese dai nazisti, mentre fu solo un modesto supporto alle truppe regolari Alleate. E meno male che la sua componente maggioritaria, ovvero quella social-comunista non è riuscita a prevalere, altrimenti a Palazzo Chigi sarebbe stata issata la bandiera di Stalin fino al crollo del muro di Berlino…

Anche a sinistra ci sono persone intelligenti, che non si fanno annoverare tra questi personaggi lugubri e invasati, che non temono alcun fascismo e lo dicono espressamente. Penso a Massimo Cacciari, ma anche al direttore de Il Fatto. quotidiano, Antonio Padellaro. Non esiste alcuna possibilità di rinascita, per prima cosa perché manca un duce, col carisma e la capacità di aggregare tutto ciò che non sia Sovversione sinistra.

In secondo luogo perché la crisi economica non è simile a quella del primo dopoguerra e le contingenze internazionali soffocherebbero sul nascere ogni minimo tentativo in tal senso. Lo spauracchio del fascismo si risolverà, invece, con un momento di pubblico dibattito storico-politico fuori dal coro del Pensiero unico, qualche Messa di suffragio e con tante iniziative conviviali tra qualche cimelio. Nulla da temere, per chi ha ancora buon senso.

Il mainstream istituzionale chiede, ancora, al premier Meloni di sconfessare il Ventennio, con una bolsa retorica anacronistica e con cerimonie che interessano solo a quattro gatti e a Paolo Berizzi. Giorgia Meloni, per evitare di essere bloccata per settimana dalle polemiche per questi inutili riti, li compirà, così da poter dare risposte concrete alle priorità dei nostri connazionali.

Ci sono quattro cose da fare subito, accantonando i bottiglioni di lambrusco con l’etichetta del Duce: 1) aiuti a famiglie e imprese per le bollette; 2) ripartire con le trivellazioni in mare; 3) cancellare il reddito di cittadinanza come è concepito adesso; 4) abrogazione degli assurdi e dannosi obblighi vaccinali per medici e infermieri, al fine di farli tornare subito in corsia. Credo che per capire quale sia l’imprinting generale dell’azione governativa, sarebbe indispensabile leggere e studiare, prima Tolkien e poi Alain De Benoist.

Entrambi gli autori, il primo soprattutto sul piano spirituale, fortemente cristiano, il secondo su quello più specificatamente ideale e politico, insegnano come si possa essere aperti al progresso senza essere egualitari, conservatori senza soccombere a un economismo volgare e un tradizionalista senza essere ottuso. Così si esprimerebbe il giornalista e intellettuale americano Keith Preston, che non è annoverabile tra le persone in linea con noi.

L’attacco diretto è al concetto di democrazia moderna, che fa riferimento a “Democrazia: il Dio che ha fallito” (2007) di Hans Hermann Hoppe. De Benoist e Carl Schmitt vedono nel liberalismo il principale problema, superando anche le giuste critiche da monarchico cattolico e conservatore come Hoppe. L’apertura che Alain De Benoist fa alle nozioni di “democrazia partecipativa” o “democrazia diretta”, avanzate da alcuni filoni di sinistra, potrebbero alimentare il dibattito in un’ ottica multipolare del mondo.

Pertanto, ha perfettamente ragione De Benoist, quando scrive che “la tendenza attuale…consiste nel convertire ogni sorta di richieste, desideri o interessi in ‘diritti’. Gli individui, nel caso estremo, avrebbero il “diritto” di vedere soddisfatta qualsiasi domanda, per il solo fatto di poterla formulare. Oggi, rivendicare diritti è solo un modo per cercare di massimizzare i propri interessi“. Si potrebbe partire da questi due assunti per cercare una sintesi e non demonizzare l’avversario come prassi ideologico-culturale. Per dirla con Gilbert K. Chesterton (1874-1936), proviamo ad accantonare progressismo e conservatorismo, limitandoci ad un sensato, ragionevole anti-postmodernismo. Potrebbe essere utile a tutti.

Senatrice Segre, non si lasci tirare dalla giacchetta

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di Emilio Giuliana

Il nome Segre, da anonimo, da qualche anno è passato alla ribalta; eppure, a bene guardare in alcuni casi il nome Segre nella storia italiana degli ultimi 150 anni si è reso protagonista, lasciando il segno. Il capitano Giacomo Segre, bombardò porta Pia, in quanto nessun cristiano avrebbe voluto  incappare nella scomunica inflitta da papà Pio IX, prevista per coloro che avrebbero cannoneggiato. Anche durante il periodo del governo monarchico fascista italiano, il nome Segre si fece notare. Ad esempio Guido Segre fu responsabile dell’Azienda Carboni Italiani; Il grande industriale Giuseppe Segre (padre del più famoso Emilio Segre), proprietario della “Società Anonima delle Cartiere Tiburtine ed Affini”; altri Segre invece si distinsero per avere osteggiato il governo monarchico fascista; appartenevano al movimento anti fascista clandestino, denominato “Giustizia e Libertà” Sion Segre, Attilio Segre, Marco Segre, Umberto Segre. Sion Segre ed in seguito Attilio Segre, Marco Segre e Giuliana Segre furono arrestati a causa  di introduzione clandestina, pubblicazioni, manifestini ed altra propaganda anti fascista. Emilio Gino Segre, membro dello storico gruppo di via Panisperna, il quale nel 1938 spontaneamente migrò negli USA, diventando collaboratore degli Stati Uniti d’America; Alberto, padre della senatrice a vita Liliana Segre,  fu arrestato dai soldati tedeschi nel mese di dicembre del 1943, intento a fuggire nella vicina Svizzera. Roberto Segre, padre della ormai famosa Liliana, fu arrestato e imprigionato, non perché ebreo, ma per ostilità e nemico attivo della Germania e l’Italia repubblicana e sociale (https://anpi.fattispazio.it/index.php?option=com_content&view=article&id=498%3Aalberto-segre&catid=113%3Adove-sono-elenco-delle-pietre-dinciampo&Itemid=80&fbclid=IwAR3exPMEKXn_5mWpKCIW4sQkwCS0jzj2rTUK0u8oRWeN_pmXqA0eYDAq9o8). Quando Roberto e Liliana furono arrestati, e separati, chi si prese cura della bambina Liliana, chi è perché fu risparmiata dalla morte? Per tornare ai giorni nostri, l’agenzia di stampa AdnKronos riporta le seguenti parole pronunciate dalla senatrice Liliana Segre in apertura della prima seduta del Senato:<<….presiedo il tempio della democrazia a 100 anni dalla marcia su Roma provo vertigini>>. Dopo queste parole, è doveroso far presente l’emergere di alcune incoerenze, voglio sperare frutto di amnesie. Ad esempio, il proprio marito  Alfredo Belli Paci era stato un attivo militante del Movimento Sociale Italiano, quest’ultimo contenitore politico annovera al suo interno “impenitenti” reduci fascisti, ed ebbe più volte come segretario nazionale, Giorgio Almirante, già direttore del quindicinale La difesa della Razza. Dunque, se penso a fdi, che anti fascista lo è davvero, ancor più dei militanti dell’ANPI, e al MSI che rivendicava la propria continuità con il fascismo, Liliana Segre, perché teme Fdi, ma non temeva il fascistissimo MSI? L’attaccamento di Alfredo Belli Pace al MSI e il suo segretario nazionale  Almirante era evidente, infatti quando nel 1979 ci fu la scissione dell’ala moderata, che diede vita a Democrazia Nazionale, il marito della senatrice a vita Segre, rimase nel Movimento Sociale Italiano. La senatrice Liliana Segre, non ricorda che tra i 61 fondatori dei fasci italiani di Combattimento a Milano, nel 1919, c’erano stati 5 ebrei: Cesare Goldman, Eucardio Momigliano, Gino Rocca, Riccardo Luzzatto e Pietro Jacchia.

La senatrice Segre, in considerazione delle vertigini provate, a causa della ricorrenza del centenario della MARCIA su ROMA, è a conoscenza del fatto che tra coloro che il 28 Ottobre del 1922, parteciparono alla « Marcia su Roma», c’erano stati 230 ebrei?

Approfitto, per ricordare solo una piccola parte del forte legame tra una parte considerevole di ebrei italiani e il fascismo.

Nel 1923, 746 ebrei erano risultati iscritti al Partito Nazionale Fascista (PNF). Tra il 1928 ed il 1933, i medesimi iscritti ebrei divennero 4.960; e, tra il 1934 ed il 1938, diventarono circa 10.000 o, come precisa Renzo De Felice, 10.125;

Nell’Ottobre del 1930, il Governo fascista — con approvazione del Consiglio dei Ministri (16 Ottobre 1930) e la fattiva e costruttiva collaborazione degli ebrei italiani Giulio Foà ed Angelo Sullam — aveva favorito e realizzato l’elaborazione, la redazione e la promulgazione della famosa « Legge Falco » (D.L. del 30 Ottobre 1930, n. 1731) o nuova « Legge delle Comunità ». Legge con la quale venivano giuridicamente riconosciute e tutelate le 26 Comunità giudaite italiane e le loro gerarchie. Quella Legge era stata successivamente perfezionata e completata con il D.L. del 24 Settembre 1931, n. 1279, nonché con il D.L. del 19 Novembre 1931, n. 1561.

 

Nel 1932, in una lunga intervista rilasciata allo scrittore ebreo tedesco, naturalizzato svizzero (1932), Emil Ludwig (alias Emil Cohn), il Duce del Fascismo non aveva esitato a confermare che in Italia «l’antisemitismo non esisteva ». Nel 1933, Sigmund Freud (1856-1939) aveva inviato uno dei suoi libri a Mussolini, con questa dedica autografa: ”da parte di un vecchio che saluta nel Legislatore l’eroe della cultura”. II 19 Ottobre 1933, l’allora Rabbino di Roma Angelo Sacerdoti, in un’intervista rilasciata a « L’Echo de Paris », aveva dichiarato: «Mussolini non ha mai avuto la più piccola arrière-pensée di antisemitismo: egli non lo concepisce nemmeno». Novembre 1933, l’intellettuale e giornalista ebreo tedesco Hanns-Erich Kaminski, in un articolo intitolato « Fascismo tedesco e fascismo italiano », pubblicato sui « Quaderni di Giustizia e Libertà » (pp. 33-36) editi a Parigi, aveva chiaramente individuato le differenze tra l’hitlerismo ed il fascismo di Mussolini nella diversa posizione politica di quest’ultimo nei riguardi degli ebrei.

Il 12 novembre del 1935, uno dei principali rappresentanti della jewsh Agency, Seling Brodetsky, nel corso della sedicesima conferenza annale della federazione delle donne sioniste  d’Inghilterra, aveva così evidenziato: << Gli ebrei non hanno alcuna questione con l’Italia. Il modo con cui l’Italia tratta gli ebrei, siano suoi cittadini o d’immigrati, è stato ed è ammirevole. Vorrei che qualche altro paese modellasse sull’esempio italiano il trattamento che riserva agli ebrei che vivono nel suo seno>>.

A conferma della difesa e benevolenza del fascismo nei confronti degli ebrei, ne sono testimoni gli ebrei stessi, direi insigni ebrei. A conferma, basterebbe leggere la requisitoria del Procuratore Generale di Tel Aviv al processo contro Adolf Eichman nel 1960, o quel bel libro di Shelah Menachem significativamente intitolato: <<un debito di riconoscenza>>.

Giorgio Bocca, nel suo libro « Il filo nero », riferisce che in Francia (dove lui era in servizio militare con il grado di Sottotenente, e destinato ad un Fronte di guerra certamente più tranquillo che altrove, se non comodo ) quando le Forze Armate italiane iniziavano a ritirarsi dai territori occupati, avevano al seguito una quantità indicibile di ebrei francesi che volontariamente seguivano i Militari italiani ben sapendo che solo da essi avrebbero continuato ad avere protezione.

Varrebbe la pena rileggere anche quel che scrissero Rosa Paini (« I sentieri della speranza »), Paul Johnson (« Storia degli ebrei »), Léon Poliakov (« Il nazismo e lo sterminio degli ebrei »), Israel Kalk (« Gli ebrei in Italia durante il Fascismo »), Salini Diamond (« Internment in Italy »), Gorge L. Mosse (« Il razzismo in Europa »); o rileggere quel che scrisse Padre Graham su “Civiltà Cattolica” del marzo 1987 in merito al Fascismo, Mussolini e gli ebrei. E così molti altri ancora.

È significativa l’espressione quasi plastica dello storico ebreo Léon Poliakov il quale nei suoi studi parla di quel famoso “schermo” o “scudo protettore” che immediatamente veniva calato a difesa degli ebrei in ogni luogo dove giungevano le Forze Armate italiane il cui primo provvedimento era quello della dichiarazione di inefficacia di ogni decisione tedesca adottata in pregiudizio degli ebrei.

In realtà vi fu sempre, specialmente durante i lunghi anni della guerra dal 1940 al 1945, una ben precisa direttiva politica testimoniata emblematicamente da un episodio: Benito Mussolini pur di mandar via il Ministro tedesco Von Ribentrop venuto a Roma per protestare per l’atteggiamento fascista di protezione degli ebrei, dette assicurazioni ingannevoli a Von Ribentrop e contestualmente ordinò al Gen. Robotti di inventarsi qualsiasi ragione o scusa ma di non consegnare ai tedeschi neanche un ebreo.

Lo stesso docente dell’Università ebraica di Gerusalemme, George L. Mosse, nel suo libro II razzismo in Europa, a p. 245 ha scritto: Il principale alleato della Germania, l’Italia fascista, sabotò la politica ebraica nazista nei territori sotto il suo controllo. Le leggi razziali introdotte da Mussolini nel 1938 impedivano agli ebrei di svolgere molte attività e si tentò anche di raccogliere gli ebrei in squadre di lavoro forzato; ma mentre in Germania Hitler restringeva sempre più il numero di coloro che potevano sottrarsi alla legge, in Italia avveniva il contrario: le eccezioni furono legioni. Come abbiamo già detto, era stato Mussolini stesso a enunciare il principio « discriminare non perseguire ». Tuttavia, l’esercito italiano si spinse anche più in là, indubbiamente con il tacito consenso di Mussolini. Ovunque, nell’Europa occupata dai tedeschi, le ambasciate italiane protessero gli ebrei in grado di chiedere e ottenere la nazionalità italiana. Le deportazioni degli ebrei cominciarono solo dopo la caduta di Mussolini, quando i tedeschi occuparono l’Italia.

Concludendo, facendo presente che anche dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali italiane del 1938, l’Italia rimaneva la meta preferita di tutti gli ebrei in fuga dall’Europa;  il Brennero era divenuto il corridoio sicuro di transito verso l’Italia, ove trovare rifugio e protezione per tutti gli ebrei europei che fuggivano dai territori occupati dalla Germania.

P.S. il Senatore Abramo Giacobbe Isaia Levi (senatore del Regno dal 9 dicembre 1933 ,mantenne l’incarico fino al 1943, anno in cui iniziò ad essere perseguitato dagli anti fascisti); Stessa sorte toccata al barone Elio Morpugo, anch’egli senatore alto commissario contro il fascismo, Carlo Sforza, chiese che fosse dichiarato decaduto da senatore.

Cara senatrice Segre, senza pretesa alcuna, se leggesse ciò che ho scritto, sono certo che le sarei compiaciutamente di aiuto per lenire le sue fastidiose vertigini.

Fonte: https://emiliogiuliana.com/2-uncategorised/93-senatrice-segre-non-si-lasci-tirare-dalla-giacchetta.html

Antifascismo idiota

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L’EDITORIALE

di Matteo Castagna

IL PAESE DEI VOLTAGABBANA – CAMERATA DOVE SEI?

Le elezioni del 25 Settembre 2022 hanno sancito la vittoria schiacciante della destra. La volontà popolare, di cui la sinistra ha sempre fatto una bandiera ideologica, si è espressa liberamente, in modo inequivocabile. Nei giorni successivi al successo di Giorgia Meloni, tutti i soloni del Pensiero unico progressista si sono scatenati, chi più, chi meno, nel dimostrare rabbia, odio e livore antitaliano. Per Oliviero Toscani, chi ha votato Fratelli d’Italia sarebbe un “deficiente”. Saviano schiuma dalla bocca. Formigli e Mentana sembrano trasecolati. Alcuni Vip, anziché fare il loro discutibile mestiere, si spendono in giudizi politici offensivi. Per non parlare degli “influencer”, ossia i nullafacenti che guadagnano milioni sui “like” di Instagram. Il quotidiano La Repubblica, che da tempo, ha sostituito L’Unità, non ha risparmiato a Meloni neppure vigli attacchi personali. Il mantra dei radical chic arcobaleno è allarmare di un fantasioso quanto sciocco ritorno al Fascismo. Fiano, abbattuto democraticamente da Isabella Rauti, figlia di Pino, già segretario del MSI, si è giustificato dando la colpa agli italiani: “l’antifascismo non è una priorità in questo Paese”. Effettivamente, essendo trascorsi 80 anni dalla fine del Fascismo e con le enormi sfide che l’Italia (e non solo) deve affrontare, tra crisi economica ed energetica e guerra alle porte, appare almeno anacronistico, se non peggio, porre la “questione antifascista”, che risulta solo un totem di chi non ha argomenti, da usare come clava cavernicola, quando gli eredi di Marx o Stalin in salsa Mario Mieli perdono clamorosamente. Anche il buon Paolo Berizzi si sta rotolando in una delle più grottesche rosicate, sempre sbandierando sto’ antifascismo, di cui le nuove generazioni manco capiscono il significato.

La Gingko Edizioni di Verona, ha pubblicato nel 2021 un libro molto interessante, che si intitola “Camerata dove sei? Il Paese dei voltagabbana”. E’ un testo che rivela verità nascoste sui politici e giornalisti italiani nei riguardi del Fascismo, a dimostrazione di quanto siano assurde certe condanne preventive a persone che hanno un loro passato politico ed umano ben preciso e, poi, per mero opportunismo, hanno fatto il salto della quaglia. Come diceva Ennio Flaiano: “i fascisti si dividono in due categorie: fascisti e antifascisti. Gli italiani corrono sempre in soccorso dei vincitori”. I personaggi che seguono sgomitarono per salire e non seppero poi farsi da parte, cambiarono cappello e, rinnegando il proprio passato ma mai scusandosi per la gente comune che avevano ingannato o mandato a morire. Mussolini li definì “canguri giganti” perché provvisti di un largo marsupio da riempire e capaci di saltare di là dello schieramento. Invece che alla Storia, hanno preferito passare alla cassa.

Essi sono proprio i punti di riferimento degli inquisitori sinistri e democristiani di sinistra contemporanei. Sarà un caso? Vediamoli. Cesare Pavese (1908-1950) di cui parlò il quotidiano La Stampa l’8 agosto 1990, a seguito del ritrovamento del “Taccuino Fascista” del 1962, scoperto da Lorenzo Mondo fra le carte di Pavese, tenute da sua sorella. Italo Calvino rimase stupito dal contenuto, nutrito si simpatia e lodi per il Regime e consigliò di non pubblicarlo. L’originale, poi, sparì, ma ne fecero una fotocopia ( cfr. “Il Sorriso degli Dei” di Marco Borsacchi, Jouvance, Roma, 2005). Giorgio Bocca (1920-2011) si distinse per i suoi articoli apologetici del Duce, così come Indro Montanelli (1909-2001). Per non parlare di Gaetano Azzariti (1881-1961), ex presidente della Corte costituzionale, che fu anche capo del Tribunale della Razza e divenne comunista con la caduta del Fascismo. Palmiro Togliatti lo scelse come capo di gabinetto, subito dopo la caduta di Mussolini, ben sapendo chi era stato durante il periodo fascista e che sotto la sua direzione erano state create molte leggi fasciste. Dopo il 25 luglio 1943 fu nominato ministro della Giustizia nel primo governo Badoglio. La RSI gli diede una mano, condannandolo a morte in contumacia, come traditore, conferendogli così una patente da antifascista.

Antifascistissimo fu, a suo tempo, un esaltatore del regime fascista, Giulio Andreotti, che nell’ottobre del 1942 redasse per la Rivista del Lavoro (anno XI, n.7/8 ottobre-novembre 1942 – XXI) un articolo apologetico in coincidenza col ventennale del Regime. L’Italia era in guerra e questo fatto, sommato al ricordo della marcia su Roma suscitò in Giulio Andreotti uno stato di esaltazione. Michelangelo Antonioni, che rappresentò con visconti e Fellini il meglio del cinema italiano, per anni “compagno” di Monica Vitti, campione di progressismo era un camerata fedele e disciplinato, seguace di Italo Balbo, esordì nel 1935 sul “Corriere padano” esaltando la cinematografia “programmata e rivoluzionaria” “che agirà in profondità sull’anima del popolo e sarà per il Fascismo (la F maiuscola è di Antonioni!) un mezzo efficacissimo per affermarsi in tutto il mondo…”.Tra i voltagabbana annoveriamo anche Domenico Bartoli, autorevole e apprezzato giudice della democraticità altrui, estimatore stimatissimo di Ugo La Malfa e di Giovanni Malagodi; Arrigo Benedetti, che collaborò alle più note e fasciste riviste dell’epoca come il Saggiatore, Critica Fascista, Primato, Ottobre, Legioni e Falangi. Il personaggio in divisa di appartenente ai Gruppi Universitari Fascisti, ritratto sotto l’immagine gigantesca di Mussolini, è il comunista Rosario Bentivegna, medaglia d’oro della Resistenza, autore dell’attentato di via Rasella, a Roma, del 23/3/1944, che provocò la rappresaglia tedesca che uccise 335 persone alle Fosse Ardeatine. Ciò non impedì al Nostro di ricevere la medaglia e a sua moglie, Carla Capponi, compagna nell’ “eroica” impresa, di arrivare a Montecitorio e poi a Palazzo Madama nelle liste del PCI.

Alberto Mondadori, direttore di Tempo, era fascistissimo e i suoi giornalisti di punta erano i camerati di provata fede Ezio Maria Gray, Cesare Zavattini, Gian Gaspare Napolitano, Indro Montanelli nonché Carlo Bernari, che prima di diventare comunista era il corrispondente di guerra specializzato nelle esaltazioni dell’esercito e delle imprese belliche del Terzo Reich. Per il salto dall’altra parte ricordiamo altri beneficiati del regime fascista quali il Prof. Giacinto Bosco, poi Vicepresidente del CSM, Paolo Bufalini, Felice Chilanti, l’onnipresente onorevole democristiano Danilo De’ Cocci, avvocato e docente universitario. Convertito al comunismo nel 1945 ci fu Galvano della Volpe, docente dal 1938 all’Università di Messina, che giurò fedeltà al fascismo e scrisse articoli inequivocabili su Critica Fascista, L’Italiano, Primato, Prospettive e Vita Nova. Come dimenticare Amintore Fanfani, che pubblicò per l’Istituto Coloniale fascista di Milano un saggio dal titolo Cinquant’anni di preparazione all’Impero col quale proclamò spettare a Mussolini “la preveggente preparazione di forze nuove per superare la politica del piede di casa”. Poi Pietro Ingrao, ardente di fede in Mussolini espressa nel 1934 su Conquiste. Proseguiamo con Carlo Lizzani e Carlo Mazzarella, Milena Milani, Elsa Morante in ambito letterario e culturale.

Forse qualcuno resterà stupito del fatto che anche Aldo Moro fu fascista. Il 14 Aprile 1938 troviamo la prima citazione ufficiale della sua attività fascista in una cronaca dei “Littoriali della Cultura e dell’Arte”. Interventista, fascista fu Pietro Nenni. Quando i fascisti milanesi incendiarono la redazione de L’Avanti! Il Giornale del Mattino di bologna, diretto da Pietro Nenni, li difese con grande energia. Tra i beneficiati di Mussolini vale la pena citare Ferruccio Parri, presidente del Consiglio poi senatore a vita, impiegato alla Edison e “padre dei partigiani”. Nell’agosto del 1942 Pier Paolo Pasolini su Architrave, giornale dei Gruppi universitari fascisti di Bologna, dedicò un articolo entusiasta all’incontro culturale delle Giovane Europa Fascista. In altre parole, un “gemellaggio” fra le teorie fasciste e quelle naziste; una manifestazione alla quale furono ammessi i più fidati, i più sicuri fra i nuovi elementi dl regime. Pasolini parlava di “neoumanesimo” scaturito dalla “civiltà culturale veramente notevole” dell’Italia di quegli anni. Poi, le cose cambiarono, la guerra andò male e anche P.P.P. scoprì il neo-antifascismo.

Evidentemente, non poteva mancare Eugenio Scalfari, il trasformista, fondatore di Repubblica ove scrivono le penne più rosse d’Italia. Il 24 settembre 1942 in un articolo intitolato: “Volontà di potenza”, Scalfari sosteneva addirittura che non era più sufficiente limitarsi all'”Impero”, ma bisognava andare oltre, facendo leva su due elementi ben definiti: “il popolo” e “la razza”. Lo sapevi, Paolo Berizzi? Nel 1942, l’icona dell’antifascismo radical chic era fascista, imperialista e razzista e perché fosse ben chiaro il suo atteggiamento, egli scriveva articoli intitolati: “Necessità di credere” (11 giugno 1942) o ribadiva le sue tesi di fascista tutto d’un pezzo in un altro articolo, apparso il 1 ottobre 1942. Questo era Eugenio Scalfari prima che il Gran Consiglio rovesciasse Mussolini. Come redattore di Roma Fascista venne mandato a spasso con tutta la redazione direttamente dal Duce, che non apprezzò un articolo commemorativo del ventennale dalla Marcia su Roma. Il solo che, comunque, decise di continuare fu Eugenio Scalfari. Non fosse stato per il 25 luglio 1943, probabilmente sarebbe rimasto lì, a Roma fascista.

Giovanni Spadolini difese Mussolini e il fascismo anche dopo il 1943, con una serie di articoli apparsi nel 1944 sulla rivista fiorentina Italia e Civiltà. Spadolini difese la RSI e la guerra con fede fascista contro ogni avversità.

Fra le colpe del Fascismo, caro Saviano, indubbiamente non vi fu soltanto quella di aver allevato almeno tre quarti della classe dirigente politica di tutta la Prima Repubblica, ma anche quella di aver fatto da balia a coloro che, con una suggestiva quanto menzognera e “moderna” affermazione, potremmo definire i “tecnocrati” dell’attuale regime. Il nome di Gaetano Stammati, che fu una delle persone più influenti nella veste di Presidente della Banca Commerciale, durante il periodo universitario volle abbracciare il “credo corporativo”, plaudendo, in maniera eccessiva, alle conquiste sociali dell’Italia fascista. Fascista fu Paolo Emilio Taviani, così come Arturo Toffanelli.

Nell’agosto 1936 Palmiro Togliatti firmò assieme ad altri un “curioso” manifesto dal titolo: “Per la salvezza dell’Italia e la riconciliazione del popolo italiano”. In tutto il lunghissimo manifesto, il nome di Mussolini viene citato solo con la massima deferenza possibile. Sostanzialmente si trattava di un appello ai fascisti a lottare uniti ai comunisti per “fare l’Italia forte, libera, felice”, nell’ambito del regime fascista.

Anche il Segretario della Democrazia Cristiana eletto il 15 giugno 1975, Benigno Zaccagnini fu fascista. Il camerata Zaccagnini scrisse “Santa Milizia” sul periodico del Gruppo Universitario Fascista di Ravenna. Si trattava di un autentico articolo di denuncia dal titolo: “Problemi razziali: il meticciato”. E moltissimi altri politici, giornalisti, banchieri, economisti, insegnanti, medici vanno ad aggiungersi a questi nomi illustri.

Chi evoca lo spauracchio di un ritorno al fascismo, che è impossibile sul piano storico, economico, militare e sociale delle attuali circostanze geopolitiche, dovrebbe smetterla con la retorica perché un popolo di beneficiati voltagabbana ha costruito l’Italia nata dalla vittoria degli Alleati nel 1945, di cui i partigiani si sono appropriati, scrivendo pagine di racconti apologetici entusiasmanti, ma coprendo i crimini del dopoguerra e tacendo che molti dei “nuovi” potenti, troppi, erano camice nere che avevano tradito per interesse personale, trasformismo, sete di potere. Quindi, basta con la vostra bolsa retorica e basta con la vostra supponenza da professorini col ditino puntato. Il vostro pulpito, come quello dei vostri maestri e predecessori, non è credibile.

Anche se siete riusciti a tenerlo nascosto nelle foibe della memoria di chi non vuole e non può dimenticare.

 

 

 

 

Charles Coughlin profeta della destra sociale americana

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REX

Inizia oggi la collaborazione con il nostro Circolo Christus Rex il giovane dott. Fabio Fioresi, laureato in giurisprudenza. Gli articoli sono di www.agerecontra.it ma è possibile riprendere in tutto o in parte citando la fonte.

di Fabio Fioresi

Quando si parla di destra sociale si pensa subito all’Italia con il fascismo ma spesso ci si dimentica che anche negli States naque un movimento similare che univa un’impostazione  nazionalista-cristiana con una marcata vena sociale: questa è la storia in breve di padre Charles Coughlin.

Nato in Canada nel 1891 divenne prete negli anni 20 ed poi venne trasferito nell’arcidiocesi di Detroit allora centro industriale dell’automobile del Nord America.

Iniziarono subito contrasti con I gruppi di potere della città, tra I più famosi ci fu il ku klux klan che più volte tentò d’intimidire il sacerdote dalla sua lotta contro il razzismo imperante; creò la prima radio per I suoi sermoni domenicali ma ben presto passo ad analisi economiche ed politiche; benchè fosse un cattolico integrale filomonarchico (filodittatoriale) era molto vicino alle istanze dei lavoratori ed arrivo ad chiedere la nazionalizzazione delle banche e delle grandi industrie.

Inizialmente sostenitore del New Deal ne divenne presto un’acerrimo oppositore date le riforme troppo timide.

Negli anni 30 si alleò con Huey Long meglio noto come il Mussolini americano, storico governatore della Lousiana, noto per aver vinto contro I Rockfeller in tribunale.

Entrambi critici verso l’imperialismo americano ed il sistema finanziario capitalistico, furono una vera spina nel fianco di Roosvelt ed dei super capitalisti americani, fino alla morte di Long assassinato a Baton Rouge nel 1935; Coughlin cercò di far rimanere il partito attivo ma perse sempre più di significato fino alla sua morte negli anni ’70.

Quali erano le proposte di Long e Coughlin che spaventarono cosi tanto l’establishment americano:

1) Nazionalizzazione della Federal Riserve

2) Nazionalizzazione del Sistema sanitario.

3) Nazionalizzazione delle grandi riserve di capitale finanziario.

4) Se possibile abolire la democrazia ed instaurare una dittatura sul modello italiano (Papale secondo le idee di Couglin)

5) Combattere il giudaismo internazionale

6) Combattere il Ku Klux Klan, I comunisti ed I sostenitori di eugenetica ed liberati capitalisti

7) Se possibile mettere il cristianesimo cattolico come religione di Stato (da parte di Coughlin)

8) Desegregare le città

9) Piano quinquennale di industrializzazione, costruzione d’infrastrutture in tutto il paese.

10) Conversione delle aree desertiche degli States in zone fertili.

11) Amicizia con il Giappone imperiale ed isolazionismo negli affari internazionali.

12) Fiat money su base d’argento.

Perché il Politicamente Corretto è un “peccato mortale”

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/05/23/perche-il-politicamente-corretto-e-un-peccato-mortale/

IL “PENSIERO” DEVE ESSERE UNICO (IL LORO) FINO ALL’ASSURDO, OVVERO FINO AL PUNTO CHE DIRE LA VERITÀ È DIVENTATO UN ATTO RIVOLUZIONARIO, COME SOSTENERE CHE LE FOGLIE SONO VERDI D’ESTATE

Tommaso d’Aquino nella Somma Teologica (II-II, qq. 72-75) tratta delle ingiustizie che si compiono con le parole. Troppo spesso si tratta di peccati mortali che, a torto, non vengono presi particolarmente sul serio, ma possono rivelarsi molto gravi. “Ne uccide più la lingua che la spada” – afferma il detto popolare. E, si sa: vox populi, vox Dei. L’ingiuria verbale lede l’onore, la diffamazione o detrazione lede la buona fama, la mormorazione distrugge l’amicizia, e la derisione toglie il rispetto.

San Tommaso spiega che nei peccati di parola bisogna considerare soprattutto con quali disposizioni d’animo ci si esprime, ossia il fine della contumelia, che è disonorare il prossimo nella sua moralità. Se non vi è l’intenzione di disonorare la persona insultata, perché i fatti si danno per veri ed acclarati, rimane peccato l’insulto, ma non vi è contumelia.

La detrazione (q. 73, a. 1) è una maldicenza o denigrazione della fama altrui, fatta di nascosto. Essa consiste nel «mordere di nascosto la fama (ossia la “stima pubblica o notorietà”, N. Zingarelli) di una persona” come si legge nell’Ecclesiaste (X, 11): “Se il serpente morde in silenzio, non è da meno di esso chi sparla in segreto». Poi l’Angelico spiega che come ci sono due modi di danneggiare il prossimo in azioni: apertamente (p. es. la rapina o le percosse in faccia) o di nascosto (p. es. il furto o una percossa “a tradimento” ossia alle spalle); così vi sono due modi di nuocere con le parole: apertamente (la contumelia in faccia, q. 72) o di nascosto (la maldicenza o detrazione, q. 73). San Paolo: “è degno di morte [spirituale o dell’anima] non solo chi commette il peccato di [detrazione], ma anche chi approva coloro che lo commettono” (Rom., I, 32).

Dall’insegnamento di S. Tommaso si evince: 1) il dovere morale di non insultare, denigrare, calunniare o mormorare e deridere il prossimo, soprattutto se costituito in autorità. 2) di riparare il torto fatto alla sua reputazione 3) di difendere chi è denigrato, senza far finta di non vedere. Certamente davanti agli uomini è più comodo “far finta che va tuto ben”, ma davanti a Dio non ci si trova in regola, anzi si sta in peccato grave, quod est incohatio damnationis.

E’, pertanto, nostro dovere denunciare pubblicamente il politicamente corretto, innanzitutto come difesa della nostra dignità e intelligenza dalla sua volontà dolosa di costringerci ad accettare l’errore, fingendo che sia un bene comune. Scrive Mario Giordano nel suo ultimo libro, appena uscito, dal significativo titolo Tromboni (Edizioni Rizzoli): “Bisogna stare attenti alla lingua” al pari di quelli che predicano contro l’odio e insegnano a odiare. L’ipocrisia di costoro, che si annoverano in larga parte nella categoria dei cosiddetti intellettuali o giornalisti, in ultima analisi coloro che si occupano della diffusione dei messaggi su larga scala, aggrava il peccato di lingua della detrazione di coloro che la pensano diversamente, col falso doloso consapevole e remunerato. L’effetto che molti credano alle loro dicerie è conseguenza ancor peggiore, che ci fa trovare nella situazione di crisi morale, ideale, sociale in cui ci troviamo, andando sempre peggio.

“Tromboni” ricorda come odiano quelli della Commissione anti-odio, creata per fermare l’”intolleranza”, “contrastare il razzismo” e “combattere l’istigazione all’odio”. L’idea è stata partorita dal Ministro dell’Istruzione del “governo dei migliori” Patrizio Bianchi, scopiazzando dal suo illustre predecessor* [metto l’asterisco perché secondo la scrittrice Michela Murgia (da L’Espresso del giugno 2021) potrebbe essere offensivo usare la vocale maschile o femminile per indicare il titolo di una persona, che forse potrebbe non sapere se è uomo o donna] Lucia Azzolina. Nella commissione speciale entra il professore associato all’Università Ca’ Foscari di Venezia, Simon Levis Sullam che, fresco di nomina, aveva diffuso sui social una foto a testa in giù dell’ultimo libro di Giorgia Meloni. Chiaro riferimento alla macelleria di Piazzale Loreto. «Quasi un invito a impiccare il testo, se non proprio l’autrice, al palo più alto dell’antifascismo militante». Ma, domanda Giordano: «si può combattere l’istigazione all’odio inneggiando a piazzale Loreto? E alludendo all’impiccagione più o meno simbolica, ma sempre a testa in giù, di un leader politico?».

L’ex Presidente della Camera Laura Boldrini, campionessa di buonismo e inginocchiatoi a senso unico, paladina di tolleranza e rispetto, ultras femminista ad oltranza, genderista e vestale di tutti i presunti diritti richiesti dai desideri di chiunque, «è finita sotto inchiesta perché avrebbe licenziato la sua colf, dopo otto anni di fedele servizio, tirando in lungo per non darle la liquidazione (3.000 euro)». Altro maestro di propaganda tollerante è Roberto Saviano, «che in diretta tv ha sentenziato candidamente: “Sì, la mia contro la Meloni è una campagna d’odio“» (M. Giordano, “Tromboni”, 2022).

Potremmo continuare all’infinito perché esempi simili ne esistono quotidianamente. Ultimi, in ordine cronologico sono coloro che hanno imbrattato le mura di un istituto tecnico di Milano con la scritta: «Tutti i fasci come Ramelli, con una chiave inglese fra i capelli». Nessun solone (o trombone) del politicamente corretto ha detto una parola. Muto Paolo Berizzi, il “Simon Wiesenthal” de La Repubblica, per la quale scrive una rubrica contro Verona e i fantasmi di un fascismo che non esiste. Muto Vauro. Muto Travaglio. Muti tutti. Perché il “pensiero” deve essere unico (il loro) fino all’assurdo, ovvero fino al punto che dire la verità è diventato un atto rivoluzionario, come sostenere che le foglie sono verdi d’estate. Noi continueremo in questa “rivoluzione Green” dell’ovvietà e dell’ordine naturale perché non vogliamo peccare di lingua contro il bene comune.

Perché non festeggiamo il 25 Aprile come festa della Liberazione

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Il Circolo Cattolico Christus Rex-Traditio si riconosce nell’analisi fatta da Marcello Veneziani e la fa propria. Sono questi i motivi per cui noi, pur pregando in suffragio di tutti i caduti, celebriamo pubblicamente solo quelli che rimasero fedeli alla Patria, fino alla fine (n.d.r.)

QUINTA COLONNA

di Marcello Veneziani

Non celebro il 25 aprile per sette motivi.
-Uno, perché non è una festa inclusiva e nazionale, ma è sempre stata la festa delle bandiere rosse e del fossato d’odio tra due italie.
-Due, perché è una festa contro gli italiani del giorno prima, ovvero non considera che gli italiani fino allora erano stati in larga parte fascisti o comunque non antifascisti e dunque istiga alla doppiezza e all’ipocrisia.
-Tre, perché non rende onore al nemico ma nega dignità e memoria a tutti coloro che hanno dato la vita per la patria, solo per la patria, pur sapendo che si trattava di una guerra perduta.
-Quattro, perché l’antifascismo finisce quando finisce l’antagonista da cui prende il nome: il fascismo è morto e sepolto e non può sopravvivergli il suo antidoto, nato con l’esclusiva missione di abbatterlo.
-Cinque, perché quando una festa aumenta l’enfasi col passare degli anni anziché attenuarsi, come è legge naturale del tempo, allora regge sull’ipocrisia faziosa e viene usata per altri scopi; ieri per colpire Berlusconi, oggi Salvini.
-Sei, perché è solo celebrativa, a differenza delle altre ricorrenze nazionali, si pensi al 4 novembre in cui si ricordano infamie e orrori della Grande Guerra; invece nel 25 aprile è vietato ricordare le pagine sporche o sanguinarie che l’hanno accompagnata e distinguere tra chi combatteva per la libertà e chi voleva instaurare un’altra dittatura.
-Sette, perché celebrando sempre e solo il 25 aprile, unica festa civile in Italia, si riduce la storia millenaria di una patria, di una nazione, ai suoi ultimi tempi feroci e divisi. Troppo poco per l’Italia e per la sua antica civiltà.
Quando avremo una memoria condivisa? Quando riconosceremo che uccidere Mussolini fu una necessità storica e rituale per fondare l’avvenire, ma la macelleria di Piazzale Loreto fu un atto bestiale d’inciviltà e un marchio d’infamia sulla nascente democrazia. Quando riconosceremo che Salvo d’Acquisto fu un eroe, ma non fu un eroe ad esempio Rosario Bentivegna con la strage di via Rasella. Quando ricorderemo i sette fratelli Cervi, partigiani uccisi in una rappresaglia dopo un attentato, e porteremo un fiore ai sette fratelli Govoni, uccisi a guerra finita perché fascisti. Quando diremo che tra i partigiani c’era chi combatteva per la libertà e chi per instaurare la dittatura stalinista. Quando distingueremo i partigiani combattenti sia dai terroristi sanguinari che dai partigiani finti e postumi, che furono il triplo di quelli veri.
Quando onoreremo con quei partigiani chiunque abbia combattuto lealmente, animato da amor patrio, senza dimenticare “il sangue dei vinti”. Quando celebrando le eroiche liberazioni, chiameremo infami certi suoi delitti come per esempio l’assassinio del filosofo Giovanni Gentile, dell’archeologo Pericle Ducati o del poeta cieco Carlo Borsani.
Quando celebrando la Liberazione ricorderemo che nel ventennio nero furono uccisi più antifascisti italiani nella Russia comunista che nell’Italia fascista (lì centinaia di esuli, qui una ventina in vent’anni); che morirono più civili sotto i bombardamenti alleati che per le stragi naziste; che ha mietuto molte più vittime il comunismo in tempo di pace che il nazismo in tempo di guerra, shoah inclusa. Quando sapremo distinguere tra una Resistenza minoritaria che combatté per la patria e la libertà, cattolica, monarchica o liberale, come quella del Colonnello Cordero di Montezemolo o di Edgardo Sogno, e quella maggioritaria comunista, socialista radicale o azionista-giacobina che perseguiva l’avvento di un’altra dittatura. I comunisti, che erano i più, non volevano restituire la patria alla libertà e alla sovranità nazionale e popolare ma volevano una dittatura comunista internazionale affiliata all’Urss di Stalin.
Da italiano avrei voluto che la Resistenza avesse davvero liberato l’Italia, scacciando l’invasore. Avrei voluto che la Resistenza fosse stata davvero il secondo Risorgimento d’Italia. E avrei voluto che il 25 aprile avesse unito un’Italia lacerata. Sarei stato fiero di poter dire che l’Italia si era data con le sue stesse mani il suo destino di nazione sovrana e di patria libera. In realtà l’Italia non fu liberata dai partigiani ma dagli alleati che ci dettero una sovranità dimezzata. Il concorso dei partigiani fu secondario, sanguinoso ma secondario. La sconfitta del nazismo sarebbe avvenuta comunque, ad opera degli Alleati e dei Sovietici.
I partigiani non agirono col favore degli italiani ma di una minoranza: ci furono altre due italie, una che rimase fascista e l’altra che si ritirò dalla contesa e ripiegò neutrale e spaventata nel privato o si rifugiò a sud sotto le ali della monarchia.
Il proposito di unire gli italiani non rientrò mai nelle celebrazioni in rosso sangue del 25 aprile. Fu sempre una festa contro: contro quei morti e i loro veri o presunti eredi. Chi ha provato a unirsi alla Festa da altri versanti è stato insultato e respinto in malo modo. Accadrà quest’anno pure ai grillini ignari?
Non vanno dimenticati gli italiani che restarono fascisti fino alla fine, combatterono, morirono senza macchiarsi di alcuna ferocia, pagarono di persona la loro lealtà, la loro fedeltà a un’idea, a uno Stato e a una Nazione; la futura classe dirigente dell’Italia fu falcidiata dalla guerra civile. Sia tra gli antifascisti che tra i fascisti vi furono patrioti e mazziniani che pensarono, credettero e combatterono nel nome della patria. L’antifascismo fu una pagina di dignità, fierezza e libertà quando il fascismo era imperante; ma non lo fu altrettanto l’antifascismo a babbo morto, cioè a fascismo sconfitto e finito. Era coraggioso opporsi al regime fascista, non giurargli fedeltà, ma fu carognesco sputare sul suo cadavere e oltraggiarlo. E infame è farlo ancora oggi, 74 anni dopo. Distinguiamo perciò tra gli antifascisti che rifiutarono di aderire al regime fascista, pagandone le conseguenze; e gli antifascisti del 25 aprile da corteo postumo e permanente.
MV, La Verità 24 aprile 2022

 

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