Roma, 31 mar – Il 27 marzo scorso, Audrey Hale, una ragazza di 28 anni che sui social si identificava come trans, utilizzando i pronomi maschili (he-him), è entrata in un piccolo istituto privato cristiano di Nashville, la “Covenant School”, sparando e uccidendo tre bambini e tre adulti. Questo però non è l’unico episodio del genere che vede come protagonista un persona trans e non binaria. Secondo l’americano Centers for Disease Control and Prevention, i trans rappresentano lo 0,6 per cento della popolazione negli Stati Uniti. Ciò ha incendiato il dibattito riguardante i disagi psichici che molte volte si accompagnano alla disforia di genere e i rischi per la salute mentale conseguenti alla somministrazione di farmaci per la transizione di genere.
Non solo Nashville: la strage di Colorado Springs
Era la sera del 19 novembre del 2022, quando il 22enne Anderson Lee Aldrich entrava nel locale gay Club Q di Colorado Springs, in Colorado, e uccideva a colpi di armi da fuoco cinque persone.
Gli atti depositati in tribunale dagli avvocati di Aldrich affermavano che il 22enne fosse una persona non binaria e si riferivano a lui usando i pronomi “they/them”. Per questo motivo, veniva citato come “Mx. Aldrich”.
La sparatoria nella scuola di Denver
Era il 7 maggio del 2019, quando due adolescenti, Devon Erickson e Maya “Alec” McKinney, entrarono alla Stem School Highlands Ranch di Denver, sparando agli studenti e uccidendone uno. La 16enne McKinney si identificava come maschio e affermò di volersi vendicare con le persone che la prendevano in giro per la sua identità sessuale. Durante gli interrogatori, McKinney dichiarò anche di aver sentito delle voci, di aver sofferto di pensieri omicidi e suicidi, e di aver rifiutato di assumere farmaci.
Devon Erickson e Maya “Alec” McKinney sono stati condannati entrambi all’ergastolo.
La strage di Aberdeen
Nel settembre del 2018, la 26enne Snochia Moseley sparò a sei colleghi, uccidendone tre, in un magazzino della Rite Aid di Aberdeen, nel Maryland. Suicidatasi dopo la sparatoria, la Moseley si identificava come trans e da tempo soffriva di problemi di salute mentale causati dalla sua identità sessuale.
Dopo Nashville: l’addetta stampa del governatore dem dell’Arizona vuole sparare ai transfobi
A distanza di 12 ore dalla strage di Nashville messa a segno dalla trans Audrey Hale, l’addetta stampa del governatore dem dell’Arizona Katie Hobbs, Josselyn Berry, ha pubblicato su Twitter un immagine di una donna armata di pistole (l’attrice Gena Rowlands nel film “Gloria” del 1980) con il commento: “Noi quando vediamo i transfobi”.
Il giorno successivo, la Berry si è dimessa dall’incarico anche per le pesanti pressioni dei repubblicani e dell’opinione pubblica. “L’incarico dell’addetta stampa non rispecchia i valori dell’amministrazione. Il governatore ha ricevuto e accettato le dimissioni dell’addetta stampa”, così in una nota dell’ufficio del governatore dell’Arizona venivano ufficializzate le dimissioni di Josselyn Berry.
Riteniamo importante pubblicare questo articolo di Francesca Totolo per Il Primato Nazionale perché fornisce i dati sulla popolazione carceraria. Abituati ai numeri di chi sta con Caino, noi convinti sostenitori di Abele troviamo molto importanti queste tabelle. Ci permettiamo, nel nostro piccolo, di proporre che venga inserita nella riforma della giustizia anche la riforma carceraria. Il sovraffollamento e le condizioni disumane non appartengono ad una logica cristiana. Possiamo riqualificare edifici dismessi, presenti in tutta Italia e adibirli a nuove strutture penitenziarie. Inoltre, sarebbe un dovere che gli extracomunitari scontassero la pena nel loro Paese d’origine, attraverso degli accordi internazionali. (n.d.r.)
di Francesca Totolo
Roma, 27 gen – In un precedente articolo, avevamo documentato che gli immigrati hanno una propensione al crimine 5 volte superiore rispetto a quella degli italiani. Ora, passiamo ad analizzare i dati Istat sulla popolazione carceraria. Nel 2021, erano 54.134 i detenuti in Italia, 37.091 italiani (il 69 per cento) e 17.043 stranieri (il 31 per cento). Quindi, gli immigrati hanno una probabilità di carcerazione 5 volte superiore rispetto a quella degli italiani.
Questi dati diventano ancora più allarmanti se si considerano i dati Istat riguardanti il luogo di nascita dei detenuti invece della cittadinanza. Il 33 per cento dei detenuti in Italia è nato in Paesi stranieri. Ciò significa che quasi 900 carcerati sono i cosiddetti “nuovi italiani”.
Detenuti e tipi di reato
Analizzando i tipi di reato, si evince chiaramente che il business della prostituzione in Italia è un monopolio degli stranieri. Il 73 per cento dei detenuti per sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione è immigrato.
Il 41 per cento dei detenuti per violenza sessuale è straniero, il 40 per cento per violenza, resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, il 38 per cento per omicidio preterintenzionale e per lesioni personali volontarie, il 34 per cento per furto e il 29 per cento per rapina. Questi numeri spiegano chiaramente che non è una percezione distorta dei cittadini italiani quella riguardante l’insicurezza causata dalla criminalità straniera.
Le nazionalità dei detenuti
Analizzando le nazionalità dei detenuti, si evince che il 17 cento dei detenuti proviene dall’Africa, addirittura il 6 per cento è di nazionalità marocchina e il 3 per cento tunisina.
Rapportando tali dati alla popolazione residente in Italia, si evidenzia che un algerino ha una probabilità di carcerazione 34 volte superiore a quella di un italiano, un tunisino 26 volte superiore, un nigeriano 16 volte superiore e un marocchino 12 volte superiore.
La composizione della popolazione carceraria in base alla posizione giuridica dei detenuti
Spesso si è detto che gli stranieri sono più soggetti alle misure restrittive della libertà prima della effettiva condanna rispetto agli italiani. Analizzando i dati Istat, questa tesi viene confutata.
Infatti, sono “a disposizione delle autorità” quasi le medesime percentuali di detenuti: il 34 per cento di stranieri sono “a disposizione delle autorità” rispetto al 33 per cento di detenuti totali nati in Paesi esteri, il 66 per cento di italiani rispetto al 67 per cento di detenuti totali nati in Italia.
Carceri italiane sovraffollate, l’esempio della Danimarca
È noto che in Italia le carceri siano sovraffollate. Al 31 dicembre del 2022, erano quasi 5mila i detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare delle carceri. Per ovviare a questo problema, l’Italia potrebbe prendere spunto dalla socialdemocratica Danimarca, la quale ha versato al Kosovo 15 milioni di canone annuo per affittare 300 celle nella prigione di Gjilan, città non lontana da Pristina, dove verranno inviati gli immigrati condannati. Calcolando che un detenuto nelle carceri italiane costa allo Stato 137 euro al giorno, sarebbe un grande risparmio per i contribuenti italiani. Nel 2021, il mantenimento in carcere dei 17.043 detenuti stranieri è costato 853 milioni di euro.
Per quale motivo mentre fa e dichiara guerra totale alla Russia l’Occidente anglo mantenga il suo programma di spopolamento interno che provoca la morte e l’invalidità di giovani atleti e di piloti che dovrebbero servire come soldati ufficiali alla loro guerra?
Perché devono modificare il DNA di ogni persona?
#Davos2023 Il WEF “prevede” che gli esseri umani adotteranno presto una tecnologia cerebrale impiantata per “decodificare il pensiero complesso”. Più le persone sane adotteranno la neurotecnologia, più dati potranno raccogliere su di voi. Secondo loro i segnali cerebrali possono essere usati per la biometria. “Potete farlo senza che si rendano conto che lo state facendo a loro”.
Nello stesso tempo, USA e NATO vogliono la guerra totale, e l’hanno proclamata con questa dichiarazione pubblica:
Il Patto di Tallinn: un gruppo di 9 Paesi europei promette tank all’Ucraina
“ Regno Unito, Estonia, Polonia, Lettonia, Lituania, Danimarca, Repubblica Ceca, Paesi Bassi e Slovacchia hanno emesso un comunicato congiunto – il patto di Tallinn – in cui si impegnano “a perseguire collettivamente la consegna di una serie di donazioni senza precedenti, tra cui carri armati, artiglieria pesante, difesa aerea, munizioni e veicoli da combattimento di fanteria” a favore dell’Ucraina. Lo si legge in una nota del ministero della Difesa britannico. “Domani ci recheremo a Ramstein e solleciteremo gli altri alleati e partner a seguire l’esempio e a contribuire con propri pacchetti di sostegno pianificati il prima possibile”.
Il conduttore russo Dmitry Kiselyov l’uso del siluro subacqueo Poseidon contro la Gran Bretagna.
Il commentatore televisivo ha descritto davanti alle telecamere l’ipotesi di cancellare la Gran Bretagna con un attacco nucleare. In particolare ha descritto la possibilità di “far precipitare” l’isola “nelle profondità del mare” utilizzando il drone sottomarino Poseidon, un enorme siluro autonomo caricato con delle testate nucleari.
Il veicolo subacqueo – ha spiegato – “si avvicina al bersaglio alla profondità di un chilometro e a 200 chilometri orari. Non c’è alcun modo di fermarlo”. Poi, sottolineando il calibro dell’arma in dotazione ai russi, ha aggiunto che “ha una potenza da oltre 100 megatoni”.
L’esplosione di quest’arma vicino alle coste britanniche, ha proseguito il conduttore, “provocherebbe uno tsunami gigantesco con onde alte 500 metri”, che travolgerebbe interamente il Regno Unito. “Un’esplosione del genere porta dosi elevatissime di radiazioni, passerà sopra qualsiasi cosa e trasformerà tutto ciò che resta in un deserto radioattivo, inutilizzabile per qualsiasi cosa. Ti piace questa prospettiva?”
Kiselyov, peraltro, recentemente aveva messo in guarda il Regno Unito di un attacco con il missile nucleare Sarmat 2, testato nelle settimane precedenti dalla Russia. “L’isola è così piccola che Sarmat potrebbe affondarla una volta per tutte. Basterebbe premere un bottone per cancellare l’Inghilterra per sempre”, aveva detto.
A “vedere” che il destino della Gran Bretagna sarebbe proprio quello descritto da Kiselyov fu il bavarese veggente cattolico Alois Irlmaier, scomparso nel 1959:
Qualcosa accade a una “isola superba”
“Vedo qualcuno che vola, venendo dell’Est, che lancia qualcosa nella grande acqua, così che avviene qualcosa di strano. L’acqua si alza da sé come una torre a ricade, allora tutto è inondato. C’è un terremoto e metà della grande isola affonderà (…) I paesi vicino al mare sono in grave pericolo, il mare è molto inquieto, le onde diventano alte come una casa; spumeggia come se fosse bollito dal sottosuolo. Le isole scompaiono e il clima cambia”.
Roma, 5 nov — Un Matteo Bassetti in versione festaiola, circondato da una comitiva di amici su di giri — rigorosamente assembrati e senza mascherina — mostra, messo di schiena, il retro una maglietta decisamente autocelebrativa: «Bassetti Corona Buster», che rifà il verso al logo dei Ghostbusters. La fotografia sarebbe stata pubblicata dallo stesso professore ordinario di Malattie infettive dell’Università di Genova nelle storie del proprio profilo Instagram lo scorso 28 ottobre.
Bassetti fa festa (e intanto moralizza)
Insomma: proprio Matteo Bassetti, il moralizzatore pandemico che da un anno e mezzo dà lezioni agli italiani sull’importanza di distanziamento, mascherine al chiuso e comportamenti responsabili, sarebbe il primo a non rispettare le stesse regole con cui quotidianamente ci martella sui media nazionali. Indossando, ironicamente, una maglietta che attesterebbe il proprio impegno nella lotta al coronavirus.
Abbiamo chiesto chiarimenti
Raggiunto via sms, alla richiesta di chiarimenti Bassetti ha risposto in maniera che definire «evasiva» è un eufemismo. Alla domanda «eravate in un locale al chiuso?» — domanda più che legittima perché l’ambiente immortalato nella foto non fa effettivamente pensare a un luogo all’aperto — prima risponde «no»; poi si rifiuta di fornire il nome del locale in cui si svolgevano i festeggiamenti con un elegante «sono fatti miei». Il che non corrisponde esattamente al vero: sono anche fatti degli italiani, dopo due anni di lezioni morali televisive a ogni ora del giorno e in qualsiasi salsa. Culminate nella proposta, avanzata da Bassetti, di istituire lockdown per non vaccinati, ben sapendo che anche i vaccinati sono in grado di contagiare e ammalarsi.
A quanto pare, quindi, la pandemia ha — tra le varie cose — divaricato maggiormente il solco tra una ristretta élite di superstar che si concedono gran parte di quei comportamenti che poi in pubblico invece condannano, mentre la gente comune è sempre più costretta a ossequiare limitazioni di ogni genere. Una sorta di Marchese del Grillo all’ennesima potenza, «io sono io e voi non siete…», trasformato in policy sanitaria.
L’Arcigay dà i numeri del 2020 e 2021. Emergenza? Priorità? Le leggi che puniscono le aggressioni esistono già e anche l’aggravante dei futili motivi. L’Italia, soprattutto in questo momento, ha delle priorità, che sono legate all’emergenza sanitaria ed al lavoro. Il ddl Zan era solamente una legge ideologica per entrare nelle scuole a indottrinare i bambini con la teoria gender, per accedere a finanziamenti e per poter imbavagliare i cattolici e tutti coloro che pensano che i minori abbiano bisogno di una mamma e un papà. Perché, inoltre, fare degli omosessuali una categoria a parte, come fossero una specie protetta? Un omosessuale ci ha recentemente espresso la sua contrarietà al ddl Zan, sostenendo che sarebbe ingiusto trasformare le persone con questo orientamento sessuale nei nuovi “panda” da tutelare con leggi speciali. Osserviamo, infine, che il Senato ha affossato il ddl Zan sì grazie alla cosiddetta “tagliola”, studiata e proposta da Roberto Calderoli (Lega) che fa parte dei regolamenti della democrazia parlamentare cui si aggrappano sempre tutti i sinistri, ma soprattutto a causa delle defezioni di Pd e M5S, che sono state determinanti.
di Francesca Totolo
Roma, 7 lug – Secondo i sostenitori del Ddl Zan, il disegno di legge va approvato immediatamente perché la comunità Lgbt è vittima di aggressioni ogni giorno. Per verificarlo, abbiamo analizzato i report dell’Arcigay che elencano le aggressioni subite da gay, lesbiche e trans. Prima di analizzarli dettagliatamente, è necessario ricordare che l’Arcigay non sopravvive grazie ai fondi ricavati dalle quote associative (nel 2020, 8.090 euro, l’1,8% dei ricavi totali), ma attraverso i finanziamenti pubblici (nel 2020, 228.467 euro dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e 52.000 euro dalla presidenza del Consiglio dei ministri) e le erogazioni private (per diversi anni, è stata finanziata dalla Open Society Foundations di George Soros).
Il report dell’Arcigay del 2020
Nel 2020, sono stati denunciate dall’Arcigay 137 aggressioni nei confronti della comunità Lgbt. Di queste, 48 riguardano violenze, adescamento, ricatto, rapine e omicidio, 34 discriminazioni, minacce e insulti, 8 intolleranza in famiglia, 3 intolleranza al lavoro, 13 messaggi politici dal contenuto omofobo, 17 scritte omofobe, 12 casi di omofobia sui social network, e 2 esternazioni omofobe divulgati da cantanti.
Su 48 reali violenze, 10 sono state commesse da stranieri, ovvero il 21 per cento. Gli stranieri in Italia rappresentano l’8,8 per cento della popolazione residente. Un caso di adescamento e ricatto, che ha visto come vittima un uomo di 80 anni, riguarda un ventenne cittadino italiano, ma di origini marocchine. A Udine, sono stati invece due pakistani, di cui uno richiedente asilo, ad aggredire e rapinare un travestito. Un ragazzo gay, che passeggiava mano nella mano con il compagno, è stato ferito a colpi di bottiglia da una banda di nordafricani a Milano, nella centralissima zona di Porta Ticinese, mentre una ragazza nigeriana è stata aggredita da un connazionale perché aveva rifiutato le sue avances. L’uomo le ha anche urlato “Sei lesbica, ti ucciderò”, ricordandole che “nel nostro Paese queste cose non sono ammesse”.
Delle 48 violenze pubblicate dall’Arcigay, 4 sono fake news, mentre 7 sono state riportate con diverse imprecisioni. Tra le bufale più conosciute, troviamo quella l’aggressione denunciata dall’influencer Marco Ferrero, meglio noto come Iconize. Poco dopo, sarà lui stesso a confessare di essersi provocato i lividi da solo con una confezione di surgelati. Arcigay ha anche pubblicato, come se fosse avvenuto in Italia, il caso della ventenne inglese Charlie Graham, malmenata nella città di Sunderland. L’unico omicidio riportato dall’Arcigay, è quello Elisa Pomarelli, morta per mano di Massimo Sebastiani. Come poi evidenziato nelle indagini, il movente non aveva nulla a che fare con l’omofobia. Sebastiani ha ucciso perché era ossessionato dalla vittima, che frequentava come amica da tre anni e di cui sapeva l’orientamento sessuale. La Pomarelli non è stata uccisa perché lesbica.
Delle 8 intolleranze in famiglia, 4 riguardano famiglie straniere, per la precisione due tunisine, una egiziana e una bulgara. Quest’ultima, dopo aver scoperto che il figlio era gay, lo hanno rapito e riportato nel Paese di origine. A Padova, invece, si era scatenata la faida tra due famiglie tunisine che avevano scoperto la relazione tra due ragazzi trentenni, finita poi con l’accoltellamento di uno dei due. Il ventenne egiziano Mohammed, che voleva diventare Lara, è stato disconosciuto dalla famiglia, dopo non aver accettato di tornare in Egitto per “guarire”, mentre Aisha è stata abbandonato dalla famiglia perché lesbica, nonostante fosse malata e sottoposta alla chemioterapia.
Nel report, viene riportato il caso del lancio di uova contro l’auto di Giulia Bodo, presidente dell’Arcigay di Vercelli, senza però motivare cosa era successo in precedenza. In occasione del Capodanno 2019, la Bodo aveva augurato su Facebook “Buonanno” a tutti i leghisti, allegando una fotografia del deputato Gianluca Buonanno scomparso tragicamente nel 2016.
Sono 119 aggressioni denunciate nel rapporto 2021 dell’Arcigay, 4 sono state riportate due volte e una era già stata pubblicata nel report 2020. Di queste, 27 riguardano violenze, 59 discriminazioni, minacce e insulti, 7 intolleranza in famiglia, 2 intolleranza al lavoro, 6 messaggi politici dal contenuto omofobo, 4 scritte omofobe e 14 casi di omofobia sui social network.
Su 27 violenze denunciate dall’Arcigay, 3 sono fake news. Il caso più clamoroso è quello di Padova: una coppia gay aveva pubblicato un video, diventato subito virale, dove raccontava di essere stati picchiati perché gay. Le telecamere di videosorveglianza e le testimonianze avevano però svelato una realtà diversa: quella successa era una comune rissa, senza alcun intento omofobo. A Trieste, l’attivista LGBT Antonio Parisi aveva raccontato di essere stato aggredito da un gruppo di ragazzi. Le indagini delle Forze dell’ordine hanno poi accertato che era da escludere la connotazione omofoba dell’aggressione. Infatti, il fattore scatenante del pestaggio sarebbe stato l’eccesso di bevande alcoliche consumate dagli aggressori nel corso del pomeriggio. Una transgender aveva dichiarato sui social network di essere stata malmenata da un gruppo di giovani a Torre del Greco. La stessa non si era fatta refertare i segni della violenza subita e non aveva denunciato l’accaduto. Convocata dalle Forze dell’ordine, aveva riferito che era stata soltanto una “bravata”. La ventiseienne trans, quattro anni prima, era stata arrestata per furto, ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Il tribunale del riesame le aveva però concesso gli arresti domiciliari. La transgender era poi evasa qualche giorno dopo facendosi notare dai carabinieri per essere arrestata per evasione e venire ricondotta nel carcere di Poggioreale perché si sentiva sola.
Delle 59 denunce dell’Arcigay su discriminazioni, insulti e minacce, 3 sono fake news e 12 sono state riportate con imprecisioni. L’associazione ha riportato il caso di un gruppo di turisti, accompagnati da una guida, che sarebbero stati insultati in un ristorante di Marzamemi perché omosessuali. Il proprietario del locale riporterà poi un’altra versione della storia: “La guida che accompagnava quel gruppo mi aveva suggerito di offrire la cena che i tre non avevano gradito, per evitare recensioni negative sul web. Mi sono rifiutato, il cibo era di qualità. Ho invitato a pagare e togliere il disturbo”. La vicenda ricorda quella successa a Fasano. Una coppia gay in viaggio di nozze, dopo l’unione celebrata da Alessandro Zan, aveva sostenuto che lo chef del resort Canne Bianche aveva disegnato, con la salsa, la forma di un pene su un loro piatto. Non si è fatta attendere la replica del resort: “Il caso raccontato è completamente falso. Nessuna foto di quanto affermato è stata fornita dai nostri due ospiti in questione, mentre hanno impiegato pochi minuti per farci giungere una richiesta di soggiorno gratuito. Dopo la nostra risposta, che declinava la loro richiesta di risarcimento, hanno puntato all’attenzione mediatica. Dopo aver capito di aver sollevato accuse molto forti nei nostri confronti senza ragione diversa da quella di conseguire un soggiorno gratis, poi hanno aggiornato la recensione adducendo delle scuse da noi mai formulate”. L’Arcigay ha riportato come “aggressione” anche il post di Fabio Barsanti, consigliere comunale di Lucca, su Laurel Hubbard, quarantatreenne atleta transgender neozelandese, qualificatasi per le Olimpiadi. Barsanti aveva fatto solo notare che la competizione sportiva tra donne e transgender, nate uomo e con una muscolatura maschile, è sleale.
Roma, 26 ott – Il presidente del consiglio Mario Draghi non è nuovo a dichiarazioni dal tenore meramente propagandistico sui vaccini e sulla gestione dell’emergenza coronavirus, non degne certo di chi è stato definito il “migliore”. Il 22 luglio scorso, durante la conferenza stampa sull’introduzione del green pass, rispondendo alla domanda di un giornalista di Repubblica, Draghi affermò: “Non ti vaccini, ti ammali, muori, oppure fai morire. Non ti vaccini, ti ammali, contagi lui/lei muore”.
Era già noto all’epoca che il vaccino non comporta un’immunizzazione perfetta e che quindi anche i vaccinati potessero infettarsi e trasmettere il virus alle altre persone. Peraltro, per quanto riguarda i decessi, è documentato dai dati dell’Istituto superiore di sanità che una bassissima percentuale di positivi al Covid-19 muore. Il tasso di mortalità del virus è dello 0,22 per cento. Il tasso di letalità è invece del 2,89%, ma questo dato può risultare falsato a causa dell’elevato numero di positivi asintomatici o paucisintomatici non tracciati. Infatti, nel 2021, come riportato nei bollettini quotidiani del ministero della Salute, solamente lo 0,5 per cento dei positivi al Covid-19 è stato ricoverato in terapia intensiva, mentre il 3,68 per cento è stato ospedalizzato.
Sempre durante la conferenza stampa dello scorso 22 luglio, Draghi ha ribadito che i vaccinati non possono contagiare le altre persone: “Il green pass è una misura con cui gli italiani possono continuare a esercitare le proprie attività, a divertirsi, ad andare al ristorante, a partecipare a spettacoli all’aperto, al chiuso, con la garanzia però di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose”. Appare ancora più singolare questa dichiarazione del premier italiano se consideriamo che, una settimana prima, al festival musicale di Utrecht, in Olanda, era scoppiato un enorme focolaio di Covid-19, nonostante tutti i partecipanti fossero muniti di green pass.
I conti di Draghi alla Camera non tornano
Dalle conferenze stampa alle comunicazioni alla Camera, Draghi colpisce ancora. Il 20 ottobre scorso, durante la replica in Aula pre Consiglio europeo, il presidente del consiglio, per glorificare il decreto che ha sancito l’estensione del green pass a tutti i lavoratori, ha dichiarato: “Dal decreto che prevede l’estensione ai luoghi di lavoro le prime dosi di vaccino sono cresciute del 46 per cento rispetto al trend atteso tra il 16 settembre e il 13 ottobre. Ci sono state 559.954 prime dosi di più rispetto al previsto. Non stiamo a guardare anche il numero dei decessi che è caduto del 94 per cento, del 95 per cento i ricoveri in terapia intensiva, le ospedalizzazioni del 92 per cento. Mi pare che ci siano molti fatti che giustificano l’attuale scelta politica su questo”. Non sappiamo se Draghi sia in possesso di dati provenienti da fonti differenti, ma analizzando i bollettini quotidiani del ministero della Salute la realtà è ben diversa. Dal 16 settembre al 13 ottobre, i decessi registrati sono stati 1.321 mentre, nei 28 giorni precedenti (dal 19 agosto al 15 settembre), sono stati 1.521. Ciò significa che, dalla data del decreto che ha esteso ai luoghi di lavoro l’obbligo di green pass, i decessi non sono diminuiti del 94 per cento, come ha affermato Draghi, ma del 13 per cento.
Dal 16 settembre al 13 ottobre, i ricoveri in terapia intensiva sono stati 704 mentre, nei 28 giorni precedenti (dal 19 agosto al 15 settembre), sono stati 1.080. Quindi, la diminuzione dei ricoveri in terapia intensiva è stata del 35 per cento e non del 95 per cento come ha dichiarato il presidente del consiglio.
Il bollettino del ministero della Salute non riporta le nuove ospedalizzazioni giornaliere (dal 13 al 26 ottobre). Per questo motivo, non si può verificare la veridicità della percentuale dichiarata da Draghi alla Camera.
Le prime dosi dopo il decreto per l’estensione del green pass
Mario Draghi ha affermato che, dopo il decreto per l’estensione del green pass a tutti i lavoratori, ci sono state 559.954 prime dosi di più rispetto al previsto. Non è noto cosa il presidente intenda con quel “previsto” ma le somministrazioni delle prime dosi hanno avuto un drastico calo. Dal 16 settembre al 13 ottobre, le prime dosi sono state 1.796.997 contro le 2.601.900 somministrate dal 19 agosto al 15 settembre. Quindi, ci sono state 804.903 prime dosi in meno, confrontando i dati dei 28 giorni precedenti al decreto per l’estensione del green pass con i 28 giorni successivi.
Come più volte asserito anche dagli esperti designati dal mainstream media, il green pass non è un provvedimento sanitario ma uno strumento politico per imporre agli italiani la vaccinazione. Dai dati sulle prime dosi somministrate nei 28 giorni precedenti all’entrata in vigore dell’obbligo della certificazione verde per tutti i lavoratori, non sembrerebbe che tale imposizione abbia sortito gli effetti sperati dal presidente del Consiglio.
Roma, 3 ago – «La questione morale è divenuta oggi la questione nazionale più importante» tuonò Enrico Berlinguer nel 1980. Da allora, la questione morale divenne una superba superiorità antropologica intrinseca al Partito Comunista da sbandierare come manifesto politico contro i partiti avversari, sfociando poi nel “Codice Etico” pubblicato dal Partito Democratico nel 2018. Ma il partito moralizzatore concretizzò mai il suo manifesto? Il nuovo libro di Francesca Totolo, La morale sinistra, edito da Altaforte Edizioni, documenterà che il Partito Comunista prima, con i cattivi maestri, e il Partito Democratico poi, con un numero esorbitante di esponenti, hanno ben predicato, ma razzolato malissimo.
La morale della sinistra nel libro di Francesca Totolo
Falso, corruzione, peculato, turbativa d’asta, voti di scambio, associazione a delinquere, favori alla mafia, violenza sessuali, sanitopoli, concorsopoli e parentopoli sono il nuovo “album di famiglia” del Partito Democratico, riprendendo le parole di Rossana Rossanda nel suo celebre editoriale pubblicato su Il Manifesto durante il sequestro di Aldo Moro: «In verità, chiunque sia stato comunista negli anni Cinquanta riconosce di colpo il nuovo linguaggio delle Br. Sembra di sfogliare l’album di famiglia: ci sono tutti gli ingredienti che ci vennero propinati nei corsi Stalin e Zdanov di felice memoria». Le affermazioni della Rossanda appaiono oggi di stretta attualità: «Se le masse sono manipolate dagli apparati, con quale esercito si fa la rivoluzione? Se il nemico è un potentissimo partito – Stato, protetto dall’estero e padrone di tutte le istituzioni, difficile pensare di abbatterlo col cecchinaggio».
Oggi, quel “potentissimo partito” è il Partito Democratico che, mettendo in atto la dottrina di Gramsci, ha occupato ogni spazio democratico, dalla magistratura all’istruzione, passando per l’informazione e la cultura. È proprio occupando tali spazi che il Pd è diventato il più influente apparato della Storia della Seconda Repubblica, riuscendo peraltro a governare il Paese anche perdendo le elezioni. E proprio da questo scenario, che non si poggia su un effettivo appoggio elettorale, potrebbe derivare l’allarmante numero di esponenti e di amministratori del Pd condannati o inquisiti per reati associativi e per corruzione. Da Mafia Capitale agli scandali delle Regioni, passando per le inchieste per associazione a delinquere in Calabria e in Sicilia, nulla sembra scalfire la direzione nazionale del Partito Democratico che si limita a rispondere: «E allora la Lega?», «E allora Fratelli d’Italia?» e «E allora il fascismo?», rimangiandosi la cosiddetta questione morale e quel «Codice etico» che avrebbe dovuto essere la bussola del partito.
Il “Codice Etico” è diventato cartastraccia
Dove è finito quel proclama inserito nel “Codice Etico”: «Le donne e gli uomini del Partito Democratico ispirano il proprio stile politico all’onestà e alla sobrietà. Mantengono con i cittadini un rapporto corretto, senza limitarsi alle scadenze elettorali. Non abusano della loro autorità o carica istituzionale per trarne privilegi; rifiutano una gestione oligarchica o clientelare del potere, logiche di scambio o pressioni indebite»? Mai un esame di coscienza, mai un ripensamento in merito alla gestione malata del territorio, mai una vera riorganizzazione dei vertici del partito.
Il diktat sembra essere solo uno: dopo una scrollatina di spalle, tenersi stretta la poltrona, resa inattaccabile da una magistratura compiacente, come ha dimostrato il caso Palamara, e da una stampa sdraiata al limite del servilismo e della distopia orwelliana. Se non ci trovassimo in un Paese ormai malato terminale, l’incontro tra Luca Lotti e Luca Palamara in quella saletta dell’hotel Champagne di Roma avrebbe avuto conseguenze ben diverse, non solo un’alzata di spalle di un partito che governa da dieci anni senza un reale appoggio elettorale.
E mentre dai giornali di regime, diventati il servizio d’ordine mediatico del Partito Democratico, si continua a urlare all’emergenza fascismo, quello stesso partito sembra aver piegato la Costituzione a suo uso e consumo. Nonostante il più elevato numero di condannati e inquisiti, nonostante gli scandali, nonostante il cattivo governo dell’Italia che ha portato all’impoverimento del Paese, nonostante i diritti costituzionali sacrificati in nome di improbabili diritti accessori, nonostante 700mila clandestini fatti sbarcare indisturbatamente nei porti italiani e l’aver concesso a organizzazioni private il subappalto dei confini nazionali, nonostante la perdita drammatica di consenso elettorale, il Partito Democratico rimane saldo alla guida dell’Italia. La morale sinistra, il nuovo viaggio infernale redatto da Francesca Totolo, vi condurrà nelle bolge dei con-dannati del Partito Democratico. Dal 26 agosto, in libreria.
Lampedusa, 7 ago – Nel giorno in cui il Viminale del ministro Luciana Lamorgese ha vietato l’ingresso nell’hotspot di Lampedusa al deputato tunisino Sami Ben Abdelaali, arrivato sull’isola per poter constatare le condizioni di vita delle migliaia di immigrati connazionali, noi abbiamo percorso il sentiero che consente ai clandestini di andare e venire indisturbati, e ufficiosamente autorizzati, dal centro accoglienza al centro del paese. Come documentato dal video, gli immigrati sgattaiolano dall’hotspot grazie ad un buco fatto nella recinzione.
Il video del buco nella recinzione
Tollerato dalle autorità
Come ci ha riferito il coordinatore locale della Lega, Attilio Lucia, il pertugio è stato fatto dagli immigrati ben cinque fa ed è tuttora tollerato dalle autorità che non lo chiudono per dare una sorta di valvola di sfogo agli ospiti stranieri, e quindi per scongiurare possibili rivolte all’interno che già infiammarono il centro accoglienza nel 2011 e nel 2016. Nonostante l’attuale pericolo riguardante un possibile focolaio di coronavirus diffuso da un immigrato sull’isola e la quarantena obbligatoria per gli sbarcati, né il prefetto né il sindaco di Lampedusa, Salvatore Martello, hanno imposto la chiusura del buco nella recinzione dell’hotspot.
Il coordinatore leghista: “Ecco perché non chiudono il buco”
Lungo il percorso verso il buco nella recinzione dell’hotspot, tra escrementi, rifiuti e cattivo odore, abbiamo incontrato molti immigrati tunisini intenti a fare avanti e indietro tra l’hotspot e il paese.
Perché il Conciliabolo Vaticano II (1962-65) ha trasformato quella che tutti credono la Chiesa Cattolica (ma in realtà è una Contro-Chiesa occupante i Sacri Palazzi) in una sorta di Ong, composta oggi da Presidente (il “papa”) presidente emerito (il “Papa emerito”), consiglio di amministrazione (“cardinali”) e amministratori delegati (Conferenze “episcopali”) coi suoi sottoprodotti smistati nelle parrocchie, modello Caritas, ma non solo (n.d.r.)…
di Francesca Totolo
Abbiamo già trattato in precedenza il fervore della Caritas Italiana riguardo all’accoglienza dei migranti in Italia. Impegno che si è concretizzato in una sezione apposita, denominata Caritas InMigration. L’associazione religiosa è tornata protagonista perché, su invito della Conferenza Episcopale Italiana, si è resa disponibile per accogliere i migranti “sequestrati” sbarcati dalla nave Diciotti della Guardia Costiera. Una ghiotta occasione per promuovere internazionalmente i valori cristiani testimoniati dall’attuale Curia vaticana.
Dopo lo sbarco a Catania, 100 migranti sedicenti eritrei sono stati portati al Centro Mondo Migliore della Caritas di Rocca di Papa (ormai vuota dopo l’allontanamento volontario di tutti gli accolti), gestita dalla cooperativa Auxiliumdei fratelli Angelo e Pietro Chiorazzo. I costi dell’accoglienza sono stati finanziati dall’8×1000 messi a disposizione dalla Conferenza Episcopale Italiana. Negli ultimi 3 anni, la Caritas ha ospitato 26.000 immigrati, grazie soprattutto ai fondi dello SPRAR del Ministero dell’Interno. Sapendo che la durata media per esaminare una richiesta di asilo è 18 mesi, si può stimare che l’associazione religiosa ha beneficiato di quasi 500 milioni di euro derivanti dalle tasse pagate dai contribuenti italiani.
Torniamo alla coop bianca Auxilium che gestisce il Centro Mondo Migliore. Durante le udienze in Tribunale riguardanti Mafia Capitale, sono state rese note intercettazioni investigative in merito alle conversazioni di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati (gli stessi che hanno stimato che il business dell’accoglienza rendeva più del mercato della droga) in cui questi affermano che “Loro stanno in posizione di forza” e “Loro c’hanno i Prefetti” suggerendo che i fratelli Chiorazzo avessero dei rapporti diretti con l’allora Viminale, come scritto da Fabio Amendolara sulla Verità il 31 agosto scorso. Angelo Chiorazzo, nelle medesime udienze, ha confermato di avere “semplici rapporti di conoscenza” con l’ex Viceministro Filippo Bubbico,
Negli ultimi anni e grazie al cristiano business dell’accoglienza dei poveri migranti, la cooperativa Auxilium ha visto il suo fatturato crescere massicciamente, fino ai 61,1 milioni di euro del 2016, con un utile pari a 543.000 euro. Un settore che fino al 2017 non è stato colpito dalla crisi economica. Il bilancio del 2018 non sarà senz’altro così florido dopo la chiusura dei porti italiani alle ONG. Dal centro di Rocca di Papa, 8 sedicenti immigrati eritrei sono stati trasferiti nel centro “Casa Suraya” della Caritas Ambrosiana, gestita dalla cooperativa Farsi Prossimo.
Sebbene come riferisce il direttore della Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti, gli immigrati abbiano “dormito tutto il viaggio da Rocca di Papa fino a Milano” perché “stanchi e provati”, alcuni di loro sono stati immediatamente ingaggiati per una conferenza stampa organizzata al loro arrivo, e quindi buttati in pasto ai cronisti. Continua a leggere
Il Governo è cambiato, così come le politiche relative al flusso migratorio. I nuovi ministri, forti dell’ampio consenso dei cittadini, cercano di porre rimedio agli accordi licenziosi e contro gli interessi degli stessi italiani degli esecutivi Renzi-Gentiloni, che hanno previsto l’apertura indiscriminata dei porti alle navi delle Ong e a quelle delle missioni europee. Il risultato è chiaro a tutti: più di 600 mila immigrati irregolari arrivati in Italia e il Mediterraneo ridotto ad un cimitero a cielo aperto. Forse un giorno qualcuno dovrà rispondere di queste 14 mila morti (dati UNHCR 2015-2018).
Quello che pochi conoscono sono però gli accordi segreti sottoscritti bilateralmente dai Premier Renzi e Gentiloni e dagli omologhi di altri Paesi, per assicurarsi che tutti gli immigrati raccolti in mare fossero portati solo ed esclusivamente in Italia. Era il luglio scorso quando la sottoscritta e Luca Donadel abbiamo notato una nave della Marina Militare Irlandese che faceva la spola tra la zona SAR libica e i porti siciliani con una frequenza alquanto sospetta. Dublino non era allora inclusa nella missione europea di Frontex, EUNAVFOR MED Operazione Sophia, che prevedeva come attività collaterale il soccorso delle imbarcazioni dei migranti in pericolo sotto il coordinamento di MRCC di Roma.
Abbiamo così scoperto Operazione Pontus, un patto bilaterale stilato nel 2015 che ha coinvolto il Governo italiano di Renzi (poi riconfermato da Gentiloni) e quello irlandese, indipendente dai dispositivi europei. L’accordo, taciuto ai cittadini italiani e senza nessuna menzione sui siti istituzionali del Governo, prevedeva che gli immigrati trasbordati sulle navi della Marina Militare irlandesi in zona SAR libica venissero sbarcati nei porti italiani. Nessun organo della stampa nazionale ha mai documentato gli sbarchi delle navi irlandesi seppur avvenissero tutti regolarmente a Catania, e, allo stesso tempo, nessuno ha mai accennato ad Operazione Pontus. Continua a leggere