Presto i bianchi saranno minoranza: i dati che sconvolgono gli USA

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di Francesco Boezi

Il censimento del 2020 – quello messo a punto dal Us Census Bureau – racconta di un’America in progressiva e costante mutazione. Dalle statistiche demografiche, in un certo senso, è possibile trarre pure qualche conclusione previsionale di tipo politico. Nel senso che, interpretando un censimento, emerge quali sono le fasce di popolazione in ascesa e quali quelle in calo. Il che è utile anche per capire chi, tra i due partiti che compongono il bipolarismo americano, parta da una situazione di vantaggio per il prossimo futuro. Le statistiche, nel caso del 2020, non sono del tutto definitive. Ma qualche informazione utile già c’è.

L’idea dell’America come uno spazio geografico per lo più vuoto non è in discussione. Ma esiste una migrazione interna verso le grandi città. Un fenomeno immortalato dall’ultimo censimento che merita di essere registrato. Di sicuro, la globalizzazione spinge i cittadini statunitensi verso le grandi metropoli urbanizzate. L’economia – questo è un paradigma che vale per tutto l’Occidente – sta accentrando i processi economici all’interno di pochi e selezionati luoghi. L’elemento inaspettato, se c’è, è quello appena descritto degli spostamenti. Perché il resto, ossia la crescita verticale in percentuale delle cosiddette minoranze, è telefonato ormai da qualche decennio. Così come la diminuzione della popolazione bianca.

Gli afroamericani costituiscono quasi il 20%. Si tratta di un trend demografico che prosegue da un po’ e che sembra favorire, per via della tradizione elettorale della comunità afroamericana, i Democratici di Joe Biden e Kamala Harris. Non per il 2020, che è ormai acqua passata, ma per l’avvenire politico-elettorale, già a partire dal prossimo appuntamento delle elezioni di metà mandato. Non è un caso, del resto, se i Repubblicani si interrogano da tempo sul come rinnovare il loro rapporto con le minoranze. Chi vorrebbe ridimensionare Donald Trump pensa che un leader meno aggressivo dal punto di vista ideologico possa contribuire ad una modifica della narrativa.

Qualcosa che sarebbe decisivo per aprirsi nei confronti delle minoranze. Trump si è affermato tra gli ispanici, che nel 2020 – come riporta lo specchietto del Metropolitan Policy Program – rappresentano il 12.1% del totale – ma non riesce ad intraprendere un percorso di dialogo con buona parte dei cittadini di colore, che continuano a preferire l’opzione Dem. Questo è stato vero in entrambe le circostanze in cui The Donald si è candidato a presidente degli Stati Uniti. Virare verso il centro, per una certa parte del GOP, è considerato un obbligo. Perché i trend demografici sono senz’appello. E lo spettro di numerose sconfitte consecutive si è già palesato.

Capiamoci: non è si tratta di escludere in maniera aprioristica una futura affermazione da parte dei Repubblicani. Perché la storia non procede mediante certezze così granitiche. Però il fatto che le minoranze votino per lo più per i Dem, in combinato disposto con la crescita numerica di afroamericani ed ispanici, corrobora l’ipotesi di un avvenire complesso per il GOP. In contemporanea con le altre casistiche, è semplice notare una discesa statistica della popolazione bianca, che nel 1980 si aggirava attorno all’80% e che oggi si ferma a meno del 60%. I bianchi peraltro – come ripercorso dall’Adnkronos – sono già la minoranza dei giovani americani. In quella particolare fascia d’età, le persone di colore arrivano a quasi il 60% del totale . E questa potrebbe divenire la fotografia sull’intera popolazione da qui a qualche anno. Gli altri numeri, ad esempio quelli relativi alle persone di origine asiatica, crescono in maniera più lenta, ma avanzano comunque.

Provando a fare qualche ragionamento, si potrebbe dire che per i Dem, il punto di domanda, resta quello attorno al programma economico-lavorativo da proporre al loro elettorato. La crescita delle minoranze può, e Bernie Sanders ne è stata una dimostrazione, mettere in crisi il modello economico liberal-liberista. Almeno dal punto di vista delle preferenze espresse dal basso in materia economica. Sulla dialettica con le minoranze, però, di dubbi non ce ne sono. Mentre per i Repubblicani, come premesso, la vera questione da risolvere è proprio quella.

 https://it.insideover.com/senza-categoria/perche-il-nuovo-censimento-usa-interroga-il-gop-sul-suo-futuro.html

 

Lo “Stato profondo” del Papa: ecco chi comanda in Vaticano

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Viganò ha parlato di Chiesa profonda. Un pezzo di Vaticano impegnato a disegnare il futuro e il trono di Pietro

di Francesco Boezi

Monsignor Carlo Maria Viganò, nella sua lettera a Donald Trump – quella che il presidente degli States ha rilanciato sui social – ha parlato di una “deep Church”, ossia di una “Chiesa profonda”. Un emisfero che potrebbe essere associato al Vaticano. Uno “Stato profondo” che si oppone, secondo l’analisi dell’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, anche alla riconferma del candidato repubblicano alla Casa Bianca. Uno strato che guida i processi che incidono sul globo, nonostante non si palesi di fronte a tutto.

Il “deep State”, nella narrativa sovranista, è composto dai potentati che non accettano che un anti-sistema come Trump possa governare la nazione più importante del mondo. Lo stesso discorso varrebbe per la Santa Sede. In questo secondo caso, però, per “Stato profondo” o “Chiesa profonda” bisognerebbe intendere anche gli autori di una spinta ideologico-culturale che punterebbe a destrutturare la Chiesa cattolica per come l’abbiamo conosciuta in nome del progressismo.

Esiste una cerchia più o meno ristretta che influisce sulle posizioni di Papa Francesco e sull’avvenire del cattolicesimo: questa è la convinzione del “fronte tradizionale”. Carlo Maria Viganò, nella sua missiva, ha scritto quanto segue: “E non stupisce che questi mercenari siano alleati dei figli delle tenebre e odino i figli della luce: come vi è un deep state, così vi è anche una deep Church che tradisce i propri doveri e rinnega i propri impegni dinanzi a Dio. Così, il nemico invisibile, che i buoni governanti combattono nella cosa pubblica, viene combattuto dai buoni pastori nell’ambito ecclesiastico”. La Chiesa cattolica americana appare divisa in vista delle elezioni presidenziali: i conservatori sostengono apertamente The Donald, mentre i progressisti ed i cattolici democratici propendono per Joe Biden. Si tratta di una storia antica, ma la spaccatura interna adesso è più visibile che mai. Jorge Mario Bergoglio insiste nel dire che dividere è opera del diavolo. Gli appelli degli ecclesiastici progressisti in favore del candidato dei Dem, tuttavia, non si contano più. Così come quelli dei pro life in favore di Trump. Chi è, dunque, che sta alimentando le divisioni nella Ecclesia? Il quesito è attuale. Continua a leggere

Il retroscena sulla morte di Luciani: “Voleva denunciare i gesuiti”

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Luciani avrebbe voluto denunciare l’ala più a sinistra dei gesuiti. La stessa corrente ecclesiastica, oggi, sarebbe arrivata ai vertici del Vaticano

di Francesco Boezi

Denunciare “l’ala deviata” dei gesuiti: questa sarebbe stata l’intenzione di Papa Luciani.

Una tra le ultime, stando a quanto raccontato dal professor Francesco Agnoli sulle pagine de La Verità, espressa prima di morire.

La narrazione è stata in qualche modo correlata al cosiddetto “dossier Viganò”, quello nel quale l’ex nunzio apostolico degli Stati Uniti ha accusato Papa Francesco di non aver fatto nulla nei confronti di Thedore McCarrick, nonostante fosse a conoscenza dei suoi comportamenti e abusi. Il documento, tuttavia, presenterebbe delle incogruenze e il cardinale statunitense, come i lettori ricorderanno, è stato però ‘scardinalato’ proprio da Bergoglio.

Fatto sta che il giornalista, collegando questa vicenda ad alcune presunte rivelazioni contenute nel memoriale composto da undici pagine, ha ricordato come Giovanni Paolo I, l’ultimo papa italiano, avesse espresso la volontà di porre un freno alle novità dottrinali apportate dai gesuiti in materia di dottrina morale. Specie quelle promosse da quel correntone che ha svolto un ruolo di sdoganamento tematico all’interno della Chiesa cattolica durante il 68′.

Il punto, sottolineato anche da monsignor Viganò, è questo: molti ecclesiastici appartenenti a quell’ala, che è considerata ultraprogressista, durante i giorni nostri, sono stati creati cardinali. Elevazioni avvenute durante il pontificato di Papa Francesco. Come se una certa sinistra, insomma, avesse preso il sopravvento successivamente all’ultimo Conclave. Il primo nome citato, però, è quello di Vincent O’Keefe: “Un gesuita, morto il 22 luglio del 2012, la cui storia è importantissima per collegare passato e presente…”. Lo stesso Thedore McCarrick avrebbe partecipato all’operazione culturale aperturista promossa da questa “ala deviata” negli anni della ribellione giovanile. Continua a leggere