La Destra di governo: continuità o involuzione?

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di Redazione

Ogni cattolico e persona di buon senso dovrebbe inorridire di fronte al blocco di ogni azione contro la legge 194 sull’aborto. Il Governo più a destra che l’Italia abbia mai avuto sembra non avere il coraggio di abrogare una legge abominevole. In Ungheria la destra è molto più coraggiosa. In alcune zone degli Stati Uniti pure. Addirittura in Israele l’estrema destra si fa sentire in modo molto rumoroso. In Italia, l’impressione è che vi sia una destra ostaggio di alcuni poteri forti, che governa lo status quo, lanciando dei contentini per non essere paragonata del tutto a Draghi.

di Fabio De Maio – La Terra dei Padri

Gli analisti politici ed i media in generale sono piuttosto concordi nel ritenere che l’azione del governo italiano nel drammatico scenario creato dal conflitto  in Ucraina sia in sostanziale continuità con il governo Draghi e che la visione generale della politica estera italiana del governo Meloni  sia la logica prosecuzione dei governi precedenti, soprattutto nell’adesione agli interventi militari e di “ peacekeeping”  della Nato, adesione che l’Italia non ha mai fatto mancare dal 1999(Serbia) al 2004(operazione Antica Babilonia in Iraq) al 2011. Nel 1999 e nel 2011 la partecipazione  italiana fu fondamentale per la concessione delle basi di Aviano e di Sigonella la cui posizione strategica era essenziale per la conduzione di queste operazioni, è quasi  superfluo ricordare che non vi era nessun obbligo dal punto di vista dell’appartenenza all’Alleanza Atlantica, in quanto nessun membro della Nato era minacciato militarmente da terzi; la situazione attuale è comprabile, non vi è nessun automatismo che sancisca la fornitura di armi all’Ucraina ma si tratta di considerazioni politiche e strategiche  esterne ai criteri previsti dal Patto atlantico.

Eppure, se si entra dello specifico delle dichiarazioni e degli interventi del governo italiano, a partire da quelli di Giorgia Meloni, nei vari summit internazionali, si possono notare differenze anche sostanziali rispetto all’approccio comunicativo dei governi precedenti. Nel 1999 Massimo D’Alema che era arrivato alla Presidenza del Consiglio con un colpo di mano parlamentare studiato per defenestrare Romani Prodi e per portare lui a guidare il nuovo governo  , primo ex comunista a ricoprire tale carica, ebbe un approccio “soft” nel motivare la decisione di fornire basi ed aerei per l’attacco alla Serbia, si parlava di intervento necessario per evitare massacri della popolazione civile in Kossovo, di volontà della Comunità Internazionale (anche se la Nato si mosse senza l’avallo ufficiale dell’Onu), di impossibilità dell’Italia di sottrarsi all’impegno con gli alleati, con un pessimismo levantino di fondo sul “destino” dell’Italia e del suo ruolo strategico. Vale anche la pena di ricordare il pudore, venato certamente da una buona dose di ipocrisia, di Armando Cossutta, leader della fazione comunista fuoriuscita dal Prc di Bertinotti, fondamentale per la nascita del governo D’ Alema che durante un’intervista a Porta a Porta finse di restare sorpreso dalla notizia, data in diretta dal conduttore, sulla partecipazione degli aerei italiani al bombardamento di Belgrado, secondo un comunicato emesso dal Ministero della Difesa.

Nel 2011 il governo di Silvio Berlusconi che aveva concluso un importante Accordo di amicizia e cooperazione con Gheddafi due anni prima si trovò al solito  bivio tra l’interesse nazionale e la fedeltà/servilismo atlantici, ci fu un dibattito anche aspro all’interno della maggioranza che lo sosteneva, il Presidente della Repubblica Napolitano ebbe un ruolo fondamentale nel convincere il riottoso Berlusconi ad allinearsi alle richieste degli “alleati”, il Ministro della Difesa  La Russa, capofila degli ultras atlantici dichiarò sospeso il trattato con la Libia, nonostante le clausole dell’accordo non prevedessero sospensioni unilaterali ma solo concordate, a riprova, se mai ve ne fosse bisogno che spesso il Diritto Internazionale è una coperta molto corta che viene tirata da una parte all’altra senza troppe remore.

“Sic transit gloria mundi” fu la frase con cui Berlusconi commentò la notizia della barbara uccisione in diretta televisiva del leader libico Gheddafi che aveva lui stesso ricevuto in pompa magna pochi mesi prima, una cupa confessione dell’impotenza di un leader politico di un paese a sovranità molto limitata e una mesta  rassegnazione anche verso il proprio destino politico che lo avrebbe portato alle dimissioni, pochi mesi dopo che conclusero per sempre la sua esperienza governativa.

La novità della Destra di governo è l’orgoglio e la fierezza con cui vengono motivare le decisioni sulle forniture di armi all’Ucraina che chiaramente preludono ad un intervento diretto che andrà anche oltre il supporto logistico. Giorgia Meloni parla apertamente di difesa dei valori di libertà e democrazia, di Occidente come portatore unico di questi valori che vanno difesi ad ogni costo dall’attacco di coloro che ne rappresentano la negazione, vi è in un certo senso la rivendicazione di tutte le guerre per la democrazia che hanno caratterizzato le politiche atlantiche dal 1989 in poi.

Va anche sottolineato che la destra italiana ed il suo leader hanno in realtà sempre manifestato ammirazione e vicinanza alla  Russia di Vladimir Putin, dichiarandosi spesso vicini alle decisioni prese dalla Russia stessa, in particolare sul teatro siriano, nonostante il fatto che queste decisioni fossero  in contrasto frontale con gli interessi statunitensi che hanno cercato di provocare la caduta di Assad per un decennio, armando ogni sorta di gruppi di terroristi, spacciati spesso per “ribelli moderati”. Del resto la stessa Meloni aveva più volte appoggiato le scelte russe sul teatro ucraino nel periodo post- Maidan, a partire dallo stesso referendum in Crimea svoltosi nel 2014 che ne  sancì il ricongiungimento alla madrepatria.

Ma l’elemento chiave che rappresenta la rottura con il passato è la sconfessione della tradizionale  politica estera italiana della Prima Repubblica, improntata al dialogo con l’Europa dell’Est e con i paesi del Mediterraneo, Giorgia Meloni ha dichiarato testualmente “con la scelta di sostenere l’Ucraina noi possiamo dialogare con i nostri Alleati con pari dignità, noi non siamo più l’italietta  degli accordi sotto banco, la nazione che non mantiene gli impegni e che viene derisa nei consessi internazionali.”

Questa posizione segna una discontinuità reale con decenni di diplomazia “prudente”, bollata di fatto come rinunciataria e senza spina dorsale, non vi è nulla al di fuori del blocco atlantista che rappresenta il nostro immutabile destino, a poco servono i richiami alla figura di Enrico Mattei fatti durante la visita in Algeria, Giorgia Meloni sa perfettamente che Mattei nel dopoguerra  lottò proprio per  affrancare l’Italia dal gioco economico-militare dell’atlantismo e pagò questo suo sforzo realmente patriottico con la vita.

La conversione definitiva della destra italiana in un partito neo-con è arrivata al suo compimento proprio nel momento dell’assunzione delle  responsabilità di governo, del resto nella lotta dura contro il  reddito di cittadinanza, al di là delle evidenti storture attuative, sono evidenti i richiami alla visione dei cosiddetti  Padri fondatori del continente nord americano, in questo Giorgia Meloni ha sostituito egregiamente il Partito Democratico come forza che garantisce un Italia legata a doppio e triplo filo all’Alleanza Atlantica ed al suo dominus americano.

Ora le maschere hanno preso definitivamente forma, nel momento forse più drammatico vissuto dall’Italia dal dopoguerra ad oggi.

Foto: HuffPost

29 gennaio 2023 – fonte: https://www.ideeazione.com/la-destra-di-governo-continuita-o-involuzione/

Siamo sicuri che il Centrodestra abbia la vittoria in tasca?

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/09/12/siamo-sicuri-che-il-centrodestra-abbia-la-vittoria-in-tasca/

IL “DIVIDE ET IMPERA” DELLE SINISTRE APPARE, SEMPRE PIÙ, UNA TATTICA VOLTA A RIBALTARE IN PARLAMENTO LA VITTORIA EVENTUALMENTE CONFERITA DAGLI ITALIANI AL CENTRODESTRA

Il Governo Draghi è caduto in un momento particolarmente difficile per il Paese. Le conseguenze dirette sono state, in primis, un centrodestra che si è ritrovato unito e un centrosinistra che Letta, Calenda, Conte, di Maio, Renzi e Frantoianni avrebbero potuto trovare la quadra per competere alla pari, ma la sintesi non si è fatta, così gli euroinomani si sono spaccati. Carlo De Benedetti ha, pubblicamente, rimproverato Enrico Letta per queste mancate alleanze, ricordando che la legge elettorale premia soprattutto le coalizioni.

Ma il “divide et impera” delle sinistre appare, sempre più, una tattica volta a ribaltare in Parlamento la vittoria eventualmente conferita dagli italiani al centrodestra. Ha ragione Pasquale Napolitano, che su Il Giornale del 10/9/22 scrive: ” I «migliori» tifano per lo sfascio. Decreto Aiuti? Se ne riparla dopo le elezioni. Misure contro il caro energia? Rinviate. Pnrr? Guai a toccarlo. Stanno apparecchiando lo scherzetto al centrodestra (dato in vantaggio nei sondaggi). L’Italia deve precipitare nel caos dal 26 settembre: è la strategia adottata da Palazzo Chigi e appoggiata da sinistra e M5s”.

Piazze in fiamme e famiglie stremate. È questo lo scenario sognato dal fronte dei progressisti. I ministri del governo dei migliori si godono lo spettacolo senza muovere un dito: «Credo che il dl Aiuti sia a rischio. C’è il serio rischio di perdere 17 miliardi di aiuti per gli italiani. Quei soldi dovevano intervenire sulle accise della benzina e sulle bollette. La responsabilità ha un nome e cognome, Giuseppe Conte.

Parrebbe evidente che, essendo in Italia, ove i governi si cambiano molto facilmente, a prescindere dalla volontà popolare, da un lato non sia già scontata la vittoria del Centrodestra, che potrebbe ripetere lo scenario del 2018, ove a fare la parte della Lega, potrebbe essere Fratelli d’Italia. I numeri, a collegi ridotti, conteranno moltissimo. Gli equilibri europei e le alleanze con USA e NATO non permettono al nostro Paese, ampiamente indebitato e debole sul piano economico, militare ed in crisi sul piano antropologico-culturale per la costante sudditanza che le destre di governo dimostrano nei confronti della galassia progressista arcobaleno, di portare a compimento una seria politica di cambiamento sul piano internazionale e, per conseguenza, su quello nazionale.

Esemplificando, potremmo dire che, da un lato, abbiamo le sinistre gretine e gay friendly, saldamente ancorate al globalismo e dall’altra le destre, timidamente identitarie per non fare arrabbiare gli euroinomani dell’alta finanza di Bruxelles e le loro lobby.

Pochi, soprattutto tra i dirigenti regionali, ricordano che la Lega prendeva i suoi massimi storici alle politiche del 2018 con una linea marcatamente sovranista, autonomista, euroscettica, conservatrice e, a tratti, tradizionalista. Salvini, premendo sull’acceleratore di quella Lega, portò il partito al 34% delle Europee 2019. Poi, lentamente, iniziò il calo dei consensi, aumentarono le tante faide interne, e poi ricordiamo la mancanza di coraggio, che fu della Lega di Bossi del 1994, che fece cadere Berlusconi sulle pensioni.

Salvini sta pagando una linea opaca e ondivaga degli ultimi due anni, che ha concesso troppo all’ala liberal del partito, soprattutto perché non ha staccato la spina a Draghi almeno un anno fa, di fronte alla scellerata gestione della pandemia, che ha messo in ginocchio milioni di persone. Così, molti elettori, famiglie, il cosiddetto ceto medio e le imprese del Nord si sono sentiti abbandonati, e ora guardano con simpatia a Giorgia Meloni. Ma i voti, in ottica di coalizione, con il Rosatellum privo della possibilità di esprimere le preferenze, sono sempre quelli, che passano da un partito all’altro.

Servirebbe riuscire a convincere una parte di quella massa che il 25 Settembre è pronta ad andare al mare, della necessità di fermare i figliocci del male assoluto, intrinsecamente perverso, rappresentato dal progressismo globalista, erede del comunismo e, oggi, del “draghismo” più spinto. Il Centrodestra parli con una parola sola quanto alla situazione invernale del Paese. E, sulla guerra, ricordi che la Russia sa benissimo che tutti i leader europei devono essere liberali e atlantisti. Alexander Dugin lo scrive apertamente e aggiunge: “Questa non è una guerra con l’Ucraina. È un confronto con il globalismo come fenomeno planetario integrale. È un confronto a tutti i livelli – geopolitico e ideologico”. E conclude: “…quando vinciamo, tutti ne approfittano. È così che deve essere. Stiamo creando i presupposti per una vera multipolarità. E quelli che sono pronti ad ucciderci ora saranno i primi ad approfittare della nostra impresa domani. Scrivo quasi sempre cose che poi si avverano. Anche questo si avvererà”.

Soprattutto per un popolo divenuto famoso anche per l’8 Settembre…

LETTERA APERTA AGLI ELETTORI VERONESI (di Gigi Bellazzi)

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Riceviamo e pubblichiamo questa piccata e sempre controcorrente (ma intelligente!) lettera aperta inviataci dall’Avv. Luigi Bellazzi

Al ballottaggio ci sarà il testa a testa tra Tommasi e Sboarina. E’ probabile una minima differenza di voti, tra i due Candidati a Sindaco. Per noi Fascisti, potrebbe essere l’occasione di far pendere l’ago della bilancia. Abbiamo però tutti bisogno di fare un bagno di verità.
Non conosco Damiano Tommasi. Tutti quelli che lo conoscono personalmente, me ne parlano un gran bene per l’aspetto umano.
Conosco Federico Sboarina. Tutti quelli che lo conoscono ne parlano un gran male, per tutti gli aspetti.
Per molti elettori veronesi, Tommasi è la ingannevole speranza; Sboarina è lo spiacevole ricordo.
Tommasi ha una zavorra: si porta a rimorchio la sinistra anarchica, quella dei diritti senza Doveri, ancor più anticomunista che antifascista, riportando in vita un gruppo consiliare di minoranza di sx che reggeva le mutande alla maggioranza di destra: corrotta, corruttrice oltreché imbelle.
Sboarina, ha un salvagente: si aggrappa al ricordo di un M.S.I. eroico, da solo contro tutti, che pagava con l’esclusione il rifiuto di correre in soccorso dei Vincitori, ribadendo l’orgoglio di “anche se tutti, noi No!”. Sboarina mollato in fretta il salvagente, dopo l’elezione nel 2017, eccolo passare subito dalla Rari nantes in gurgite vasto, al podio di Direttore dell’Orchestra della Societas Sceleris che amministra la Città. Del resto, non dimentichiamoci che Sboarina è passato, di recente, a Fratelli d’Italia, quando sono iniziate a suonare le trombe dei sondaggi favorevoli a questo partito. A pensar male …
Probabilmente Tommasi non avrà le palle per dire NO a Finocchierie e Lesbismi, travestiti e pervertiti, Drogati e fluidi Individui di incerta fattura. Tommasi non avrà gli attributi per ricordare a tutti costoro che nello Stato Etico ( Fascista o Comunista che sia) non esiste nessun Diritto, se prima non si è adempiuto a tutti i propri Doveri. Quando la Famiglia naturale è il primo dei doveri! Eh poi quanto conosce il Calciatore, tra Roma, Spagna e Cina, di Verona? Se gli facessimo un esame solo di topografia della città, come andrebbe? Un sindaco ha da fare un lavoro concreto, non ripetere massime buoniste tanto per lisciare il pelo. Senza dimenticare che Tommasi ha riempito la sua lista civica di giovani di belle speranze: ma non siamo stufi delle improvvisazioni nazionali dei Cinque Stelle?Non serve sostituire le persone, se non si cambiano le regole. Chi guiderà Tommasi e gli insegnerà il mestiere di sindaco? Se fosse( e certamente lo sarà) il PD veronese, c’è già da piangere …
Certamente Sboarina ha gettato l’amministrazione Comunale tra le braccia di nani, puttane e ballerini. ”Sboa”, nel 2017, sventolava la bandiera della Trasparenza per impedire infiltrazioni mafiose nelle partecipate. La Bandiera della trasparenza l’ha talmente dispiegata al punto da oscurare l’intero gruppo Agsm-Aim impedendone il controllo da parte dei veronesi mediante l’accesso civico generalizzato. Proprio di quei veronesi da cui oggi Sboarina pretenderebbe il voto.
Nella seconda votazione, ai veronesi verrà chiesto di scegliere tra il “Santo” Tommasi ( con l’ Inferno al seguito) e Barabba Sboarina.
Per fortuna che per noi provvede e ammonisce Cicerone: ”Mala tempora currunt, sed peiora parantur”. Corrono brutti tempi, ma se ne preparano di peggiori.
In Verona nell’intervallo per il ballottaggio 2022,
( con la certezza che si è persa l’ennesima occasione per una Città che si sappia valorizzare e faccia stare bene i suoi cittadini. Del resto, se vogliamo andare in cerca di questa Verona, possiamo appellarci solo a Cangrande. Ma erano 700 anni fa!)
Fascista, Negazionista Storico, Difensore del Male Assoluto ( cos’altro ancora?)
gigi bellazzi

Ddl Zan, una legge orrenda affossata dallo “stratega” Letta

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di Redazione

Noi del Circolo Christus Rex abbiamo lavorato in silenzio coi Giuristi per la Vita per far comprendere gli errori gravi contenuti nel ddl Zan. A fine Maggio 2021, l’Avv. Gianfranco Amato ha partecipato ad un’audizione in Commissione Giustizia del Senato e ha spiegato tutte le problematiche di un ddl puramente ideologico, una “legge-bavaglio” e un tentativo da parte dei gruppi omosessualisti di raccogliere finanziamenti pubblici ed entrare nelle scuole a indottrinare i nostri figli con la teoria gender. Accanto al lavoro con le istituzioni, abbiamo, per mesi, scritto articoli sui media, sui siti, sensibilizzato l’opinione pubblica nelle strade e nei luoghi di ritrovo fino a raggiungere ambienti a noi estranei, come quelli liberali. Si sono mobilitate molte altre associazioni, famiglie, intellettuali, personaggi del mondo dello spettacolo, alcuni sacerdoti e istituti religiosi che hanno pregato incessantemente. Questa battaglia, alla fine, si è vinta. Ha vinto il buon senso. Ha vinto il Catechismo, sul quale potrà esserci scritto ancora che la sodomia è un peccato, senza rischiare denunce e censura. Dobbiamo ammettere, senza rammarico, che ci ha messo molto del suo, chi a sinistra ha fatto mancare i voti al suo ddl bandiera. 

di Corrado Ocone

L’AFFONDAMENTO DEL DDL ZAN FIGLIO DELLA STRATEGIA E DELL’ARROGANZA DEL SEGRETARIO PD

La “tagliola” alla fine ha funzionato: il decreto Zan è stato affossato con ben 33 voti di scarto. Senza dubbio è una vittoria del centrodestra, che ha voluto questo voto segreto dopo essersi invano battuto per far cambiare in alcuni punti il testo della proposta di legge. Ma è soprattutto una sconfitta della protervia e tracotanza ideologica della sinistra.

Tracotanza sconfitta

Non era in gioco solo un problema di merito, seppure molto serio per i problemi di libertà che certi articoli (nella fattispecie l’1, il 4 e il 7) sollevavano, ma anche e in primo luogo di metodo. Quella che è stata sconfitta è la politica che non vuole confrontarsi con le idee degli altri e giungere ad un onorevole compromesso (è questo il senso del parlamento in una democrazia), nella cui direzione si era mossa la Lega di Matteo Salvini e anche Italia Viva, ma vuole affermare le proprie ragioni ritenendosi depositaria della Verità e della Moralità e quindi delegittimando moralmente chi la pensa diversamente. Il grado zero della politica, altro che populismo e antipolitica di destra!

È bastata una vittoria ad una tornata amministrativa perché la sinistra rialzasse le penne, ovvero dissotterrasse la sua vera natura e tentasse il colpo di mano su una legge che era per lei un simbolo piuttosto che una priorità: i veri sconfitti sono certo i transgender ma perché sono stati semplicemente “strumentalizzati” per un’operazione tutta e solo ideologica. Che vittoria simbolica sarebbe stata per loro se tutte le forze politiche si fossero mosse all’unisono come poteva accadere se solo la superbia e la “superiorità” (im)morale della sinistra si fossero per un attimo placate!

Legge liberticida

Ricapitoliamo. La legge Zan in sé non era una priorità, e anzi era pure discutibile in quanto pleonastica: le discriminazioni di ogni tipo sono già punite dalle leggi vigenti. In più, essa era confezionata in modo tale da non tutelare chi aveva un diverso concetto dei rapporti di genere e che, in sostanza, non avrebbe potuto nemmeno più esprimerli in quanto passibile di denuncia e condanna da parte di un giudice a cui veniva affidato ampio potere discrezionale. In questa situazione paradossale sarebbe venuta a trovarsi persino la Chiesa Cattolica, la quale, completamente sulla difensiva, ha dovuto timidamente affidarsi a una lettera di Stato ponendo il problema non sul terreno etico, in cui sarebbe stata sconfitta dagli aggressivi Guardiani del Pensiero Conforme, ma su quello degli accordi concordatari. In più, il testo licenziato da Zan adombrava una sorta di Pedagogia di Stato che avrebbe imposto ai giovani una sorta di rieducazione scolastica su base fluidic gender. In ogni caso, il centrodestra e il partito di Renzi avevano lavorato per un testo di mediazione che però è stato sempre rifiutato dal Pd, tranne qualche finta apertura dell’ultima ora di Enrico Letta ma non dello stesso Zan.

A coronamento di questa ingloriosa pagina della nostra democrazia, il commento del segretario del Pd che ha così scritto testualmente a commento del voto su Twitter: “Hanno voluto fermare il futuro. Hanno voluto riportare l’Italia indietro. Ma il Paese è da un’altra parte. E presto si vedrà”.

Un commento che è un piccolo gioiello di mentalità comunista: c’è un movimento “oggettivo” e ineluttabile della storia che va semplicemente assecondato e accelerato, non un civile confronto  democratico fra opinioni diverse nella società e in Parlamento; la sinistra interpreta e anticipa il futuro radioso con il suo Partito e i suoi intellettuali “vera avanguardia del proletariato”;  il Parlamento non rappresenta il Paese vero che è “dall’altra parte”; la democrazia rappresentativa è un mero simulacro rispetto alla forza di  questo processo irreversibile. È la sostanza e le forme della democrazia liberale che vengono qui messe in discussione, e tanto più pericolosamente in quanto inconsciamente. E poi chiamano gli altri “fascisti”!

Corrado Ocone, 28 ottobre 2021

Fonte: https://www.nicolaporro.it/ddl-zan-una-legge-orrenda-affossata-dallo-stratega-letta/

Stato di emergenza? L’alibi solo italiano per blindare Palazzo Chigi. Buoni a nulla ma capaci di tutto

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di Sergio Luciano
Fonte: Il Sussidiario
Il Governo intende prorogare lo stato di emergenza di altri 6 mesi.
Dunque saremo in emergenza fino al 31 dicembre? Diciamolo, mai come stavolta si potrebbe dar ragione al premier Giuseppe Conte se solo avesse – anzi, avesse avuto – l’onestà intellettuale di attribuire l’emergenza non già alla pandemia ma alla giustizia civile e penale che non funziona, alla lotta all’evasione che fa ridere, al codice degli appalti che li blocca, alla scuola che viene tenuta chiusa mentre si riaprono discoteche e spiagge, al ponte Morandi che va assegnato in gestione ad Autostrade altrimenti non riapre, ai fondi di liquidità e alla cassa integrazione che ancora non sono arrivati ai destinatari e insomma a tutti gli argomenti di drammatica attualità sui quali il governo, da quel drammatico week-end dell’8 e 9 marzo ad oggi, in quattro mesi, ha fatto solo chiacchiere.
L’emergenza è il governo, non la pandemia che sta regredendo e che comunque, se anche dovesse risvegliarsi – Dio non voglia – troverebbe comunque difese farmacologiche e cliniche assai migliori di quelle di quattro mesi fa. L’emergenza sono alcuni ministri politicamente analfabeti e tecnicamente sprovveduti. L’emergenza è un Parlamento esautorato.
Il tutto – va detto – contro Salvini e grazie a Salvini. Perché è da quando l’ex capitano ha tentato undici mesi fa di far saltare il banco e ottenere le elezioni anticipate fidandosi dell’imbelle Zingaretti e finendo contro un muro, che il governo Conte 2 ingrassa sventolando lo spauracchio della vittoria della Lega. Il movimentismo salviniano – “così non si può andare avanti, si torni al voto” – è stato il miglior alibi per il governo più pazzo del mondo e di sempre, ossia per questo esecutivo attaccato con lo sputo che ci guida.
Adesso, l’ultima trovata è prorogare lo stato d’emergenza fino al 31 dicembre, a 20 giorni dalla scadenza di quello vigente (31 luglio) e senza argomentazioni. In attesa del voto delle Camere che il 14 luglio ascolteranno e si esprimeranno sulle comunicazioni del ministro Roberto Speranza sul nuovo Dpcm, destinato a prorogare le norme anti–contagio in scadenza il 14 luglio. Una prima risposta viene dal vibrato e – va detto – incisivo appello/protesta di Elisabetta Casellati, presidente del Senato, contro il “decretismo” che sta contraddistinguendo quest’esecutivo: “Mi auguro che sia l’inizio di una democrazia compiuta”, ha detto riferendosi appunto al voto assembleare sulle prossime comunicazioni di Speranza – perché alla Camera e al Senato siamo ormai gli invisibili della Costituzione”. Ma ci vuol altro.
Questa democrazia simulata, quest’ennesimo governo guidato da un premier mai eletto dal popolo, stava trascinandosi su un piano di precarietà quotidianamente più grave quando la pandemia è intervenuta inducendo comprensibilmente tutti gli italiani a pendere dalle labbra di Palazzo Chigi. Mai tanta visibilità e notorietà è stata data a un premier per lo meno da quando Silvio Berlusconi ha perso quel ruolo.
Quando l’emergenza del Covid-19 ha costretto il governo a prendere le decisioni – quelle sì di emergenza – che conosciamo, dalle mascherina al distanziamento e al resto, la tenuta dell’esecutivo è parsa a tutti rafforzarsi, perché la figura del premier Conte è diventata improvvisamente popolarissima, con quel suo tono pacato e quasi scivolato di ratificare l’ovvio.
Poi però sono sopravvenuti i decreti dettati da quest’emergenza e una parte di quella fiducia è sfumata, per l’enorme gap che gli italiani hanno in qualche caso drammaticamente misurato con la propria pelle, per esempio non ottenendo gli aiuti per la liquidità o la cassa integrazione per i dipendenti. E poi, ancora, la remissione sostanziale della pandemia nel nostro Paese, che ha di riflesso incastrato Conte e il ministro Speranza nel ruolo – peraltro giusto, secondo chi scrive – di uccelli del malaugurio circa i rischi ancora presenti in circolazione e le pessime prospettive di una seconda ondata autunnale.
I prossimi pochi giorni saranno di fuoco. Perché non aspettare il 20 luglio prima di dichiarare la proroga dell’emergenza? Perché prorogarla addirittura di sei mesi anziché fermarsi a tre?
Epperò, se Nicola Zingaretti dichiara: “Il Pd è pronto a sostenere qualsiasi scelta del Governo utile a contenere la pandemia”, sempre dal Pd, con Stefano Ceccanti, i dem ribadiscono “la necessità della presenza del presidente del Consiglio in Parlamento prima dell’eventuale proroga dello stato di emergenza”. Magari, già martedì, da Speranza, “è lecito attendersi alcuni primi chiarimenti”. Anche Italia Viva sollecita un coinvolgimento delle Camere. I Cinquestelle sembrano meno “appassionati” alla vicenda. La proroga è una “questione prettamente tecnica” ha commentato in prima battuta il capo politico Vito Crimi. Il centrodestra ribadisce la contrarietà: i Dpcm danno troppi poteri al governo e confinano il Parlamento in un angolo. “E lo stato di emergenza blocca l’Italia”, rincara la capogruppo dei senatori di Forza Italia, Anna Maria Bernini, mentre Antonio Tajani chiede al governo di confrontarsi con Camera e Senato.
Insomma, come sempre: buoni a nulla e indecisi a tutto, ma anche capaci di tutto.

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Lega verso il 35%, FdI sfiora il 10%: è l’effetto Umbria. Pd e M5s in caduta libera

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Gli alleati di governo insieme valgono meno del Carroccio

L’effetto Umbria erode gli alleati di governo. “La Lega si conferma il primo partito con il 34,3%, in crescita di 3,5%, seguito dal M5s con il 17,9%, in calo di 2,9%, e dal Pd che arretra di 2,3%, attestandosi al 17,2%. A seguire Fratelli d’Italia (9,8%) che da fine agosto nei sondaggi ha sorpassato Forza Italia, oggi al 6,2% alla pari di Italia viva che fa segnare un aumento dell’1,4%. Da segnalare infine la crescita di Europa Verde che passa dall’1,2% al 2,2% e la flessione delle forze di Sinistra dal 2,8% all’1,7%”. Sono i dati del sondaggio Ipsos che, per il Corriere della Sera, ha analizzato gli orientamenti di voto all’indomani del voto in Umbria. Continua a leggere

La Massoneria tra Francescani e partiti politici

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di Matteo Orlando per AGERECONTRA.IT

Come ha annunciato la Gran Loggia spagnola del Grande Oriente spagnolo nella sua ultima newsletter, è stato firmato un accordo di collaborazione tra la loggia massonica Maimonide di Cordova e i fratelli francescani della Croce bianca,
presenti nella città andalusa dal 1977.
L’accordo, firmato da un rappresentante della comunità massonica e da un religioso della congregazione francescana, si sostiene che avrà come scopo quello di “affrontare i bisogni più urgenti delle persone che ospita” la Casa della Famiglia di San Francesco di Assisi.
La loggia Maimonide contribuirà, “altruisticamente, con le sue risorse umane e materiali ai programmi di povertà, salute o dipendenza”.
La notizia non è stata accolta bene dai veri cattolici di Spagna, consci dell’inconciliabilità tra fede cattolica e massoneria, come ricordato dai papi degli ultimi due secoli.
Malumori di questo tipo ha causato anche in Italia la scelta della sezione umbra di Fratelli d’Italia di candidare un noto massone, già maestro venerabile di loggia.
Si tratta del commercialista camerunense Paul Dongmeza, da 37 anni in Italia.
“Vengo da una cultura sincretica e iniziatica”, ha sostenuto Dongmeza. E con questa formazione para-spirituale fu semplice per Dongmeza entrare nella Loggia massonica “Tiberi” di Perugia.
Sentito da La Nuova Bussola Quotidiana ha detto: “non sono più maestro venerabile, ma sono iscritto alla Massoneria. Del resto, non è un mistero, i giornali parlano di me”.
Dongmeza, che è il primo massone africano pubblicamente candidato in un partito di destra, ha naturalmente attirato le critiche degli stessi militanti cattolici del partito.
“Non abbiamo preclusioni. Non so se Dongmeza sia ancora affiliato”, ha detto al giornalista Andrea Zambrano il senatore Franco Zaffini, coordinatore di FdI in Umbria.
“Collabora con noi sui temi a lui cari come la cooperazione con l’Africa, dato che ha una associazione che si chiama Italia Attiva”.
Secondo il Senatore non sarebbe un problema per il partito l’eventuale affiliazione alla Massoneria di Dongmeza. “A Perugia ci sono una trentina di logge, non mi meraviglierei, ma non è materia politicamente rilevante. Si tratta di scelte private”.
Non la pensa così la leader nazionale di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni che si richiama sovente alle radici cristiane (come ha fatto recentemente in Piazza San Giovanni) e si è più volte opposta a massonerie e poteri forti.
La leader di Fratelli d’Italia ha fatto della propria distanza da tutte le consorterie lobbistiche, Massoneria compresa, un imperativo della sua azione politica, imperativo confermato più volte durante le sue interviste e comizi.
Se è così, allora cosa è successo con le candidature in Umbria?
La Meloni, solitamente molto attenta e precisa, ha sbagliato un colpo? O, come sostengono alcuni sui social, è stata tenuta all’oscuro dell’affiliazione massonica di uno dei candidati umbri? Richiamarsi alla dottrina e alla tradizione cristiana implica necessariamente il rifiuto delle posizioni antropocentriche e anticattoliche della Massoneria.
Indipendentemente dalla conoscenza del caso da parte della Meloni, come è probabile, il caso rilancia il tema del reclutamento di candidati massoni nei partiti politici.
Parafrasando la richiesta della Meloni di un patto anti-inciucio, si potrebbe chiedere anche un patto pubblico per non candidare massoni nelle liste dell’intero centro-destra.
Solo così Giorgia Meloni si riprenderà da questa “mancata vigilanza da buona mater familias” e i militanti di Fratelli d’Italia potranno dormire sonni tranquilli e tenere lontani “corpi idealmente estranei alla base elettorale tradizionale” del partito in forte crescita.

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