Libri e pubblicità per far credere a certe discriminazioni…

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L’EDITORIALE DEL VENERDÌ
di Matteo Orlando

Durante un incontro sul curriculum e gli standard della Alperton Community School di Brent (nel nord di Londra) Maureen Griffith, 73 anni, che ha lavorato come infermiera del Servizio Sanitario Britannico, come consigliera scolastica aveva espresso preoccupazione per il fatto che “i genitori non erano stati consultati” sui libri proposti agli alunni dalla biblioteca scolastica durante lo scorso Pride Month LGBTQ+.
“Come genitore non voglio che i miei figli leggano libri LGBTQ+ o siano coinvolti nel mese di orgoglio LGBTQ+”, aveva detto Griffith. E aveva aggiunto che, in particolare, i genitori religiosi “non vogliono che i loro figli abbiano questa forma di educazione sessuale”.
Per queste semplici considerazioni Griffith è stata sospeso dalla sua funzione accusata di avere violato “il Codice di condotta” facendo “commenti omofobi in una riunione pubblica”.
“Con questo programma LGBTQ+, non solo nelle scuole, ma in tutta la società, non c’è dibattito, nessuna domanda e c’è solo una democrazia a senso unico”, ha denunciato la Griffith, che ha portato il suo caso al Christian Legal Center (CLC), gruppo di avvocati che ha accettato di difenderla.
“Ciò che è accaduto in questa scuola è un microcosmo di ciò che sta accadendo nella nostra società e invia un messaggio chiaro a insegnanti, governatori e studenti: se ti opponi all’agenda LGBTQ+ verrai messo a tacere e punito”, ha dichiarato l’avvocato Andrew Williams, amministratore delegato di CLC.
“Tale censura per il semplice fatto di chiedersi se i libri con temi LGBTQ+ siano adatti alle biblioteche scolastiche” e per evidenziare se i genitori “fossero stati adeguatamente consultati” è incredibile. “Chiediamo alla scuola di ripristinare la signora Griffith e di scusarsi”.
Ma la Alperton Community School non ha ancora voluto riprendere in mano la questione.
Anche in Italia, in particolare a Verona, viene pubblicizzato il mondo LGBTQ+ puntando sullo choc sociale (ma basato su dati ipotetici).
Così una pubblicità su alcuni bus cittadini recita:
“In un anno le violenze contro la comunità LGBT sono meno di 100000. E se fossero molti di più a denunciare? Non nascondere, dilloagiulia.it“.
Dalla cifra dei cento mila nella pubblicità risultano sfocati alcuni zero. Ma agli occhi degli osservatori distratti la cifra che arriva risulta sconvolgente.
In realtà le cifre sono molto basse per un dato semplicissimo: gli italiani non sono omofobi, non giudicano e non si interessano proprio alla comunità LGBTQ+. Forse è proprio questo ignorare lo sparuto gruppo di persone LGBTQ+ (che rappresentano uno zero virgola… della popolazione nazionale) che da fastidio alla “gaya community”!
Secondo i dati dell’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) nel 2017 a questo ente sono arrivate 324 segnalazioni di “GROUND  DISCRIMINATORIO” legate all’orientamento  sessuale e solo 38 riguardavano l'”Identità di  genere”. Inoltre, tra i casi rientranti nel ground “Orientamento sessuale”, solo nel 38,1% dei casi (135 casi) la vittima era stata individuata in quanto omosessuale, mentre nell’8,3% (27 casi) in quanto lesbica. Altro che i centomila casi paventati dalla pubblicità sui bus…

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In 2 anni la galassia Lgbt perde metà dei consensi

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Segnalazione di Corrispondenza Romana

di Mauro Faverzani

Le forti pressioni esercitate dai poteri forti sui livelli istituzionali e mediatici, affinché a colpi di leggi e di spot, si imponga l’ideologia Lgbt, non bastano più: la gente ed, in particolar modo, i giovani, anzi, sono ormai esasperati dalla virulenta propaganda gender, sempre più coercitiva. Secondo un’indagine condotta negli Stati Uniti da Accelerating Acceptance, ad esempio, se nel 2016 il movimento Lgbt veniva “accettato” dal 62% della popolazione di età compresa tra i 18 ed i 34 anni, nel 2018 tale margine si è ridotto al solo 35%. Perdere poco meno della metà dei propri sostenitori in un paio d’anni significa avere una “popolarità” in caduta libera. Anche l’opinione pubblica femminile, in genere più “recettiva” su questi temi, è passata dal 65% dei consensi nel 2016 al 52% nel 2018. Gli attivisti Lgbt hanno subito strillato all’«aumento di una retorica dell’odio nei confronti della nostra cultura», in realtà la gente non ne può veramente più di sopportare le loro pretese. L’indagine di Accelerating Acceptance ha proposto agli intervistati varie situazioni, chiedendo come avrebbero reagito: ad esempio, rendersi conto che ai propri figli è stata impartita a scuola una lezione di storia Lgbt oppure scoprire che un membro della propria famiglia o l’insegnante dei propri figli sono Lgbt. Chi si è dichiarato «a proprio agio» negli scenari proposti, è stato catalogato tra gli «alleati». E proprio qui il crollo è stato verticale, – 27% in un biennio.

Da notare come nel 2016, data del precedente rilevamento, fosse trascorso soltanto un anno da quel 26 giugno 2015, in cui con un solo voto di scarto (5 contro 4) la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America definì le “nozze” gay un «diritto garantito dalla Costituzione», imponendo ai 50 Paesi dell’Unione di adeguarsi, come voluto con forza dall’allora presidente Obama. All’epoca la lobby Lgbt investì massicciamente denaro e risorse nella propaganda a favore dell’«inclusione transgender», rispolverando i vecchi slogan sulla «parità dei diritti» e scandendone uno nuovo, «Transwomen are Women», rivelatosi, col senno di poi, per nulla efficace. Tali pressioni, tanto insistenti, infatti, hanno ottenuto l’effetto contrario ed hanno cominciato a far aprire gli occhi all’opinione pubblica, sempre più convinta d’esser vittima di un tentativo di manipolazione ideologica. Continua a leggere