La Guerra Nato-Russia, la UE “strozzinata” dal Gas USA

Condividi su:
Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Matteo Castagna offre alla vostra attenzione queste considerazioni di geopolitica. Buona lettura e condivisione.

La Guerra Nato-Russia, la UE “Strozzinata” dal Gas USA. Matteo Castagna

§§§

di Matteo Castagna

Il vice ministro degli Esteri russo Mikhail Galuzin ha detto che gli Stati Uniti considerano, da tempo, il Caucaso meridionale come un possibile trampolino di lancio contro la Federazione Russa.

In quella zona, infatti, ci sono molti russofobi. Basti pensare alla Georgia, ma anche all’Armenia, che ha, recentemente, puntato la sua politica verso un riavvicinamento con l’Occidente. Inoltre, entrambi i Paesi sono desiderosi di entrare nella NATO. Cosa porterà questa posizione, in termini di sicurezza dell’Armenia e degli interessi del popolo armeno è, ovviamente, un punto interrogativo.

Quanto alla Russia, osserviamo un atteggiamento ammorbidito da parte della UE. Non figurano, infatti, nel 12° pacchetto di sanzioni ben 3 proposte, che sono state respinte: 1) il divieto di trasferimento fondi in Russia. 2) il divieto di vendita navi cisterna alla Russia. 3) l’ inserimento obbligatorio di clausole che vietino di ri-esportare, nelle vendite a paesi terzi.

Una recente analisi di “Sputnik” sui dati Eurostat ha scoperto che i Paesi dell’Unione Europea hanno dovuto pagare circa 185 miliardi euro in più per il gas naturale negli ultimi 20 mesi, dopo aver smesso di utilizzare i gasdotti russi, affidabili e a basso costo.

In compenso, la prestigiosa agenzia Reuters riporta che le esportazioni statunitensi di gas naturale liquefatto (GNL) hanno raggiunto livelli record mensili e annuali a dicembre, secondo i dati di monitoraggio delle navi cisterna, con gli analisti che affermano che ciò consentirà agli Stati Uniti di scavalcare Qatar e Australia, divenendo il più grande esportatore di GNL del 2023.

L’Europa è rimasta la principale destinazione delle esportazioni di GNL statunitense a dicembre, con 5,43 tonnellate, ovvero poco più del 61%. L’Asia è stato il secondo mercato di esportazione per il GNL statunitense a dicembre, assorbendo 2,29 milioni di tonnellate, ovvero il 26,6%, delle esportazioni. Sempre Reuters riporta che Il gigante energetico russo Gazprom ha annunciato di aver stabilito un nuovo record giornaliero per le forniture di gas alla Cina, attraverso il gasdotto Power of Siberia.

Gazprom ha detto che la cifra di esportazione del 2023 era di 700 milioni di metri cubi in più di quanto non fosse contrattualmente obbligata a spedire in Cina, attraverso il Potere della Siberia. Ha ribadito che il gasdotto raggiungerà la piena capacità di esportazione di 38 miliardi di metri cubi nel 2025. La Russia sta aumentando le forniture alla Cina per compensare la perdita della maggior parte delle sue vendite di gas in Europa, dall’inizio della guerra in Ucraina, aggirando, così, le sanzioni.

Il quotidiano britannico The Times riporta che i ministri britannici e della UE stanno “cercando disperatamente di aumentare la capacità produttiva in tutto il continente, per essere in grado di inviare armi e munizioni al fronte e contenere Vladimir Putin per almeno un altro anno, indipendentemente dal sostegno degli Stati Uniti”. Va notato che alcuni esperti americani che commentano l’articolo del Times osservano che, in assenza del sostegno degli Stati Uniti, una corsa agli armamenti con la Russia potrebbe essere fatale per l’UE, quanto una corsa simile lo fu con gli Stati Uniti, per l’economia dell’URSS. In effetti, la situazione generale degli USA di Joe Biden potrebbe destare qualche preoccupazione all’alleanza occidentale.

The Washington Post riferisce che il debito nazionale ha superato la soglia dei 34 mila miliardi di dollari. I principali acquirenti del debito pubblico americano sono i Paesi asiatici (Corea del Sud, Giappone e Cina) e se le loro quote venissero ridotte, in futuro, potrebbero avere ripercussioni sulla sicurezza nazionale e su molte sfere sociali degli Stati Uniti. “Washington ha speso soldi come se avesse risorse infinite, ma non ci saranno più pasti gratuiti, e le prospettive sono piuttosto cupe”, ha commentato l’economista Son Won-sung.

Per intenderci, in generale l’Occidente utilizza il denaro (o meglio il suo ritiro dalle economie di altri paesi) come leva nel quadro di una guerra economica internazionale. Il principale avversario degli Stati Uniti è la Cina, da dove vengono sistematicamente ritirati i soldi. Svendendo il loro debito nazionale a destra e a manca (e aumentandolo) gli Stati rischiano di mettere tutte le loro sfere sociali sull’orlo del collasso, se i “grandi attori” vogliono fare pressione su Washington, senza tener conto dell’aspetto materiale della questione (o, ad esempio, in caso di conflitto a Taiwan).

Quanto all’Ucraina, la situazione si fa sempre più difficile. Il giornale tedesco Der Spiegel riporta le parole del deputato ed economista dei Verdi Sebastian Schaefer, il quale ha affermato che a Kiev non è rimasto praticamente in servizio alcun moderno carro armato tedesco Leopard 2A6. Secondo Schaefer, al momento, dei 18 carri armati consegnati, quasi tutti sono gravemente danneggiati e tecnicamente usurati. Secondo Schaefer esiste “un’ urgente necessità” che la situazione delle riparazioni dei carri armati migliori il più rapidamente possibile. Altrimenti, Kiev rischia di rimanere senza carri armati, oltre che senza la possibilità di ripararli.

Il canale telegram ucraino Resident aggiunge: “La nostra fonte nell’ufficio del presidente ha affermato che il problema principale della mobilitazione è la scarsa motivazione degli ucraini, che sono pronti a rinunciare alla cittadinanza o a ricevere una vera pena detentiva, ma non ad andare al fronte. Il fallimento della controffensiva è diventato un catalizzatore di delusione nella società, e le grandi perdite hanno confermato l’incompetenza del comando.

Si è consolidata l’opinione che se vieni portato al fronte, nella migliore delle ipotesi tornerai invalido e nella peggiore delle ipotesi morirai”. Il Corriere della Sera sembra allinearsi a questa posizione, scrivendo di diminuzione del sostegno occidentale, popolarità in calo, crescita del pessimismo sulla situazione al fronte, crescita dell’opposizione interna. Il Corsera si riferisce a un sondaggio del KIIS, i cui risultati hanno mostrato un atteggiamento negativo nei confronti dell’attuale governo, dopo la sconfitta della controffensiva, che sta portando il Paese su una strada ostile alle decisioni della NATO.

Sulla stessa lunghezza d’onda, si colloca un pesante articolo del New York Times del 3 gennaio. Gli ucraini non si fidano più delle autorità e ritengono le trasmissioni televisive di Zelensky come propaganda. “Dopo quasi due anni di guerra”, scrive il NYT, “gli ucraini sono stanchi del Telethon. Quello che un tempo era considerato uno strumento fondamentale per unire il Paese, oggi è sempre più ridicolizzato…Gli spettatori lamentano che il programma dipinge un quadro troppo roseo, nascondendo eventi preoccupanti al fronte e il calo del sostegno occidentale all’Ucraina… e, infine, non riesce a preparare i cittadini per una lunga guerra”.

The Telegraph scrive che la difesa aerea ucraina non sarà in grado di respingere tutti gli attacchi russi, quest’inverno. E prosegue: “le forze armate ucraine sono costrette a conservare le munizioni per i sistemi di difesa aerea. Quest’inverno, secondo gli esperti, i sistemi missilistici di difesa aerea dovranno prendersi cura di loro ancora di più. Le forze di difesa aerea saranno costrette a non rispondere affatto ad alcuni obiettivi, poiché non avranno missili intercettori. Di particolare preoccupazione è la possibile carenza di missili intercettori per la difesa aerea Patriot”.

The Guardian scrive che il presidente Vladimir Putin ha detto che Mosca intensificherà gli attacchi contro obiettivi militari in Ucraina. Putin ha parlato dopo l’attacco ucraino di sabato scorso alla città russa di Belgorod, che secondo le autorità locali ha ucciso 25 persone, tra cui cinque bambini. Dal canto suo, Kuleba ha spiegato agli americani che devono pagare la guerra in Ucraina perché Kiev non ha un piano B.

John Kirby, coordinatore per le comunicazioni strategiche del Consiglio di Sicurezza Nazionale, ha specificato che il pacchetto di assistenza militare all’Ucraina, annunciato da Washington il 27 dicembre, è stato l’ultimo di quelli che gli Stati Uniti potranno fornire a Kiev, fino a quando il Congresso non avrà stanziato fondi aggiuntivi per questi scopi. Secondo lui, la Casa Bianca non sarà in grado di trovare fondi per l’Ucraina da fonti alternative, se il Congresso, con la maggioranza dei Repubblicani già scettica, non sarà d’accordo sulla richiesta di nuovi aiuti a Kiev.

L’escalation di violenza è proseguita dopo che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato all’Economist che l’idea che la Russia stesse vincendo la guerra, durata quasi due anni, era solo una “sensazione” e che Mosca stava ancora subendo pesanti perdite sul campo di battaglia. Zelensky non ha fornito alcuna prova delle sue affermazioni sulle perdite russe.

Putin ha indicato che l’”iniziativa strategica”, nel prolungato conflitto in Ucraina, è da parte russa, dopo il fallimento della controffensiva ucraina, in estate. Ha, anche, sottolineato che Mosca vuole porre fine al conflitto, che dura da quasi due anni, “il più rapidamente possibile”, ma “solo alle nostre condizioni”.

Secondo un sondaggio, prodotto da USA Today in collaborazione con l’Università di Suffolk, il sostegno al presidente degli Stati Uniti Joe Biden tra gli elettori neri e ispanici è diminuito in modo significativo, con le generazioni più giovani che preferiscono l’ex presidente Donald Trump. Nell’articolo si legge che “Biden ora rivendica il sostegno di appena il 63% degli elettori neri, in netto calo rispetto all’87% che aveva nel 2020”.

C’è già un retroscena, secondo il quotidiano statunitense “Politico”: il “Deep State” non può permettersi il ritorno di Trump, che scompaginerebbe molti piani dei globalisti liberal americani.  “Politico” ha scritto che tutto ruota attorno ai finanziamenti per l’Ucraina.

Vogliono usare Israele per giustificare il pacchetto di finanziamenti per l’Ucraina. Stanno promuovendo DeSantis e Haley, cercando disperatamente di convincere uno di questi due a battere Trump alle primarie, perché sostengono il finanziamento dell’Ucraina. Come previsto, il 2024 sarà un anno molto difficile, ma, forse, determinante, per gli equilibri globali.

Dai carburanti al gas, tutti i rincari del 2023

Condividi su:

Segnalazione di Wall Street Italia

di Mariangela Tessa

Sempre a carico degli automobilisti, a partire da ieri, primo gennaio, c’è stato un aumento automatico dei carburanti, che da nove mesi a questa parte gode della riduzione delle accise decisa prima dal governo Draghi e poi confermata, in parte, anche dall’esecutivo Meloni. Il taglio è stato applicato per la prima volta a marzo di quest’anno con l’approvazione del decreto Ucraina bis. Sia per la benzina che per il diesel la riduzione è stata complessivamente di 30,5 centesimi, almeno fino a dicembre di quest’anno, quando con il dl Aiuti quater il taglio è stato prorogato fino al 31 del mese ma ridotto a 18,3 centesimi. Nel frattempo i prezzi sono scesi, riducendo anche l’extragettito che aveva consentito al governo di ridurre le accise (e di conseguenza l’Iva che si calcola in aggiunta). Lo sconto scadeva a fine 2022 e non è stato prorogato.

I rincari del gas, giù l’elettricità

Sul fronte delle bollette, in attesa della comunicazione dell’Arera a inizio gennaio, gli aggiornamenti potrebbero essere contrastanti. Per l’elettricità, l’Autorità per l’energia ha annunciato nel primo trimestre dell’anno un provvidenziale calo di oltre il 19%, ma per il gas l’andamento potrebbe essere opposto. Nomisma stima un aumento mensile del 20% dovuto all’andamento dei prezzi internazionali di inizio dicembre. Il calo degli ultimi giorni, seguito alla decisione sul tetto al prezzo adottata da Bruxelles, dovrebbe infatti essere recepito, stando all’analisi del centro studi, solo a partire da febbraio.

 

Facciamo attenzione ai segnali silenziosi

Condividi su:

Segnalazione Wall Street Italia

di Leopoldo Gasbarro

Dove stiamo andando? Che futuro ci aspetta? Probabilmente tra gli editoriali fatti per questo giornale questo è quello a cui tengo di più. Perché vi chiederete voi? Ma perché servirà a sottolineare un momento che definire complicato è quanto mai eufemistico. Al momento in cui scrivo queste righe, il Nasdaq sta perdendo quasi il 30% da inizio anno. I mercati obbligazionari hanno visto vaporizzare quasi 10 miliardi di euro in fuoriuscite dai fondi comuni.

Tantissimi di voi che stanno leggendo queste righe stanno perdendo importanti quantità di denaro. E non è finita, almeno fino al momento in cui sto scrivendo queste righe, non è finita. Eppure, per parlare come facciamo noi di investimenti, dobbiamo parlare del futuro, perché quello è l’unico posto verso cui stiamo andando. E purtroppo oggi ne abbiamo paura.

Chi saprà tradurre quel grosso punto interrogativo dipinto davanti ai nostri occhi avrà la capacità di trasformare il suo futuro. Già, perché c’è chi guarda al rumore generale e chi invece si guarda attorno con attenzione, elimina il rumore di fondo, e si sofferma su quei segnali che sembrano deboli ma che caratterizzano realmente il percorso verso il domani. Sembrerebbe assurdo parlare di Metaverso in momenti come questo. Ma ci sembrava assurdo anche guardare all’uomo sulla luna prima che ci arrivassero gli americani, prima che l’impronta dell’uomo si poggiasse indelebilmente sul suolo del nostro satellite. E la Luna sembra la nostra nuova impresa da raggiungere, e poi Marte e poi chissà cosa?

Il mondo ci sta stretto, non sta finendo. La Cina, fedele alleato della Russia, ha deciso di costruire una ferrovia che porterà le proprie merci direttamente sui mercati europei. Sapete che caratteristiche ha questa linea? Eviterà ogni territorio russo. è un po’ come se Xi avesse detto a Putin: “Ciccio, siamo compari, ma gli affari sono affari. Tu continua i tuoi giochi di guerra e non fare troppo rumore. Io penso a fare altro”.

Intanto crescono gli investimenti per cercare soluzioni all’uso del gas e del petrolio. Le energie rinnovabili? Il nucleare pulito? La fusione? Chissà cos’altro ancora? Credo che l’età della pietra, lasciandoci in eredità un mucchio di pietre sparse qua e là dovrebbe farci capire che succederà lo stesso anche stavolta: finirà l’era del gas senza che il gas finisca.

Si accettano scommesse.

L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di ottobre 2022 del magazine di Wall Street Italia

Ecco come si può ridurre il costo dell’energia

Condividi su:

19/10/2022

Le bollette energetiche sono aumentate all’inizio di ottobre ed i rincari previsti sono di circa 2500 euro a famiglia

Le misure di risparmio energetico non compenseranno il forte aumento dei prezzi. Ma presi insieme, tanti piccoli cambiamenti potrebbero far risparmiare centinaia di euro all’anno. Qui di seguito ecco una serie di accorgimenti che ppotranno aiutarci a migliorare il nostro conto economico.

1. Utilizzare una friggitrice ad aria o un microonde invece del forno

I forni possono essere un modo inefficiente di cucinare poiché comportano il riscaldamento di uno spazio relativamente grande. Usare invece un forno a microonde, una pentola a pressione o una friggitrice ad aria potrebbe far risparmiare denaro.

I microonde di solito risparmiano energia poiché cuociono più velocemente. Ad esempio, una patata al forno potrebbe impiegare 90 minuti in forno, 45 minuti in una friggitrice ad aria e 10 minuti in un microonde.

2. Passa alle lampadine a LED

L’ illuminazione rappresenta l’11% del consumo energetico medio di una famiglia

Passare alle lampadine a LED può fare una grande differenza.

Una famiglia che utilizza una dozzina di lampadine a incandescenza o alogene da 40 W per quattro ore al giorno potrebbe spendere circa 238 euro all’anno. Le lampadine a LED possono costare di più, ma hanno una durata maggiore e faranno risparmiare denaro nel tempo.

3. Prendi il controllo del tuo riscaldamento centralizzato

Imposta il termostato alla temperatura più bassa confortevole (spesso da 18 a 21°C).

Abbassare il termostato di un solo grado potrebbe ridurre le bollette di circa 145 euro all’anno, afferma l’Energy Saving Trust. Si tratta di una casa bifamiliare con il riscaldamento acceso dalle 7:00 alle 9:00 e dalle 16:00 alle 23:00 nei giorni feriali e dalle 7:00 alle 23:00 nei fine settimana.

Nelle case più piccole, come una villetta a schiera o un appartamento, il risparmio sarà inferiore.

Puoi anche spegnere il riscaldamento nelle stanze che non usi.

Spurgare i radiatori per rimuovere l’aria intrappolata e spostare i mobili lontano da essi aiuta a riscaldare il flusso d’aria più facilmente in una stanza.

4. Isola e proteggi la tua casa

Se la tua casa è scarsamente isolata, perderà calore più facilmente e sarà più difficile tenersi al caldo. L’isolamento e la protezione dalle correnti d’aria – per impedire la fuoriuscita di calore intorno a porte e finestre , aiutano a intrappolare il calore.

Anche le opzioni fai-da-te come le strisce autoadesive per le fessure delle finestre e le tende pesanti possono farti risparmiare denaro. La maggior parte del calore viene disperso attraverso il tetto, quindi l’isolamento del sottotetto dovrebbe essere una priorità.

Per gli affittuari, l’installazione dell’isolamento potrebbe non essere un’opzione poiché i proprietari sono responsabili di importanti miglioramenti. Tuttavia, i proprietari possono essere multati per l’affitto di immobili che non soddisfano gli standard minimi di efficienza energetica .

  • Come possono gli affittuari rendere le loro case più calde ed ecologiche?
  • Come può un migliore isolamento ridurre le bollette energetiche?

5. Fare un uso migliore degli elettrodomestici

Lavatrici e asciugatrici possono essere affamate di energia, secondo Emily Seymour. Ma ci sono modi per usarli in modo efficiente, dice. Usa qualsiasi impostazione eco e spegni la macchina, in particolare se i vestiti non sono così sporchi.

Lavare i vestiti a 30 °C e utilizzare un ciclo in meno a settimana potrebbe far risparmiare £ 28 all’anno, afferma l’Energy Saving Trust.

Se puoi, asciuga i vestiti all’esterno invece che nell’asciugatrice.

6. Fai docce più brevi

Una famiglia tipica con riscaldamento a gas vedrà circa il 12% della sua bolletta energetica utilizzata per riscaldare l’acqua per docce, bagni e rubinetti.

Tuttavia, se hai una doccia multigetto, il risparmio potrebbe essere inferiore poiché utilizzerai più acqua calda. Nel frattempo, ridurre il tempo della doccia da otto a quattro minuti potrebbe far risparmiare 70 euro all’anno. Questo si basa su cinque docce a settimana.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/economia-finanza/energia/ecco-come-si-puo-ridurre-il-costo-dellenergia/?utm_source=nicolaporro.it&utm_medium=link&utm_campaign=economiafinanza

Caro bollette: quasi 5 milioni di italiani hanno già saltato pagamenti

Condividi su:

di Mariangela Tessa

Mentre le famiglie italiane si preparano ad un 2023 bollente sul fronte dei rincari dell’energia, sono quasi 5 milioni gli utenti che, negli ultimi nove mesi, non hanno saldato il pagamento di una o più bollette di luce e gas.

Maxi rincari nel 2023, spesa famiglie sfiorerà i 5 mila euro l’anno

Partiamo dai rincari. Secondo gli ultimi dati diffusi dal Codacons, la stangata sulle bollette di luce e gas degli italiani raggiungerà nel 2023 la maxi cifra di 4.724 euro a famiglia, con un incremento di spesa di quasi 2.500 euro a nucleo familiare rispetto alle tariffe in vigore a fine 2021.

Già l’ultimo incremento delle tariffe elettriche disposto da Arera (+59% da ottobre) porterebbe la bolletta media della luce a raggiungere quota 1.782 euro su base annua a famiglia, con una crescita del 122% rispetto all’ultimo trimestre del 2021, che corrisponde a un aggravio di spesa pari a 662 euro a nucleo.

Per conoscere l‘ultimo aumento del gas occorrerà invece attendere i primi di novembre, quando Arera comunicherà i nuovi dati: ma se saranno confermate le previsioni degli analisti, con un rialzo delle tariffe nell’ordine del 70% la bolletta per il gas è destinata a raggiungere una media di 2.942 euro a famiglia su base annua, con una crescita del 117% rispetto all’ultimo trimestre del 2021 e una maggiore spesa da 1.586 euro a nucleo.

Tra luce e gas – sottolinea quindi il Codacons – una famiglia media deve prepararsi a mettere in conto una spesa complessiva di 4.724 euro (con un maggiore esborso rispetto i prezzi in vigore nell’ultimo trimestre del 2021 pari a +2.476 euro a nucleo), nell’ipotesi di prezzi costanti e sempre che le tariffe non subiscano nuovi incrementi nel corso del 2023.

E sul caro bollette è intervenuto anche il presidente di Confindustria Carlo Bonomi che, durante la trasmissione “Mezz’ora in più” su Rai 3, ha sottolineato la necessità di un governo autorevole e competente al più presto” per gestire “l’emergenza energetica” che quest’anno comporterà una stangata da “110 miliardi” con gli aumenti delle bollette di luce e gas.

Circa 5 milioni di italiani indietro con il pagamento delle bollette

La situazione di emergenza si evince anche da un altro dato: un’indagine commissionata da Facile.it agli istituti mUp Research e Norstat ha rilevato che negli ultimi nove mesi circa 4,7 milioni di italiani hanno saltato il pagamento di luce e gas: quasi 2 morosi su 3 (62%) hanno detto che è stata la prima volta che hanno saltato il pagamento delle bollette.

Un numero destinato ad aumentare in maniera significativa nei prossimi mesi: ci sono infatti 3,3 milioni di italiani che hanno dichiarato che, in caso di ulteriori rincari, potrebbero trovarsi nell’impossibilità di far fronte alle prossime bollette energetiche.

A livello nazionale la percentuale di chi ha dichiarato di non aver pagato una o più bollette negli ultimi 9 mesi si attesta intorno al 10,7%, il fenomeno è più diffuso nelle regioni del Centro Italia (11,5%) e al Sud e nelle Isole (11,2%). E in prospettiva dei prossimi aumenti, le aree più a rischio sono quelle del Meridione (9,4% a fronte di una media nazionale pari al 7,7% ).

 

Guerra tra Russia e Ucraina: la proposta di Musk è intelligente e fattibile

Condividi su:

L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/10/10/guerra-tra-russia-e-ucraina-la-proposta-di-musk-e-intelligente-e-fattibile/

LA PROPOSTA DI PACE TRA RUSSIA E UCRAINA DI ELON MUSK FA DISCUTERE

Tra propaganda e minacce nucleari, la comunicazione mainstream ci dice che la Russia è guidata da un dittatore impazzito che vorrebbe usare l’atomica contro l’Ucraina. Come al solito, pare di essere in un film di Hollywood, ove i buoni sono i pacifisti americani, i loro alleati sono le vittime che i supereroi a stelle e strisce salveranno dal bruto di turno. La storia ci insegna che non è mai stato così, anche se ad alcuni piace fingere di crederlo e, soprattutto, ingannare i popoli nel darlo a bere.

Le persone oneste sanno che Zelensky è un ex comico, messo lì dagli Stati Uniti per farne gli interessi geopolitici, sfruttando, soprattutto, la posizione geografica di Kiev, rispetto alla Federazione Russa. Sanno anche dei 48 laboratori bio-chimici in territorio ucraino e delle basi coi missili puntati a 700 km dal Cremlino. Sanno che la Crimea e le altre quattro regioni annesse sono Russia e non Ucraina, sul piano storico, culturale, religioso. L’attacco terroristico al ponte di Kerch, rivendicato dal consigliere dell’ufficio di Zelensky, Podolyak, con un esplicito “tutto ciò che è occupato dalla Russia deve essere distrutto”, la manomissione del gasdotto Nord Stream e le costanti provocazioni dell’ex attore ebreo-ucraino, dimostrano che, fra i contendenti, c’è chi vuole alzare l’asticella dello scontro.

In questo scenario di guerra a lungo termine, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden sembrerebbe disposto a tutto, senza escludere il nucleare. Ma il popolo americano ed occidentale lo seguirebbero in questa, eventuale, terribile decisione? A Novembre, alle elezioni di metà mandato, vedremo come si esprimeranno gli statunitensi nei confronti dell’amministrazione Biden. Sul fronte europeo, si va a ruota degli Stati Uniti, che dal 1945 esercitano una sovranità assoluta, qui da noi, anche se, spesso, sono stati capaci di mascherarla. Bettino Craxi, a Sigonella, tolse loro la maschera, ma poi la pagò a caro prezzo. In Italia, Giorgia Meloni ha già ricevuto i messaggi d’Oltreoceano, al di là dello spauracchio delle garanzie contro il ritorno fascista, che serve all’establishment da teatrino per spaventare la gente, per delle politiche completamente asservite al deep State progressista. Il primo governo politico dopo un decennio di tecnocrati dovrà operare come la sinistra, nascondendolo ai suoi elettori. In politichese, servirà essere democratici, ovvero servi degli Stati Uniti.

In questi giorni, ha fatto parecchio rumore la presa di posizione dell’imprenditore miliardario Elon Musk, americano, proprietario di Tesla e promotore di missioni nello spazio. Apparirà insolito, ma l’unica proposta di pace concreta, giunta finora, è quella formulata da lui su Twitter. Nello specifico, ha proposto di “rifare le elezioni nelle regioni annesse sotto la supervisione dell’Onu”, con la Russia che lascia le aree annesse “se questa è la volontà del popolo”; ricordando che “la Crimea è formalmente parte della Russia, come è stato dal 1738 (fino all’errore di Krusciov)”; “forniture d’acqua assicurate alla Crimea”; “l’Ucraina resta neutrale”. Oltre che concreta, tale proposta appare ragionevole per aprire un tavolo di negoziati.

Quasi immediata la risposta stizzita di Kiev, che rimanda al mittente, con particolare sarcasmo, ogni parola. “La maggioranza degli ucraini vuole certamente far parte dell’Ucraina, ma alcune regioni orientali sono a maggioranza russa e preferiscono la Russia”, ha scritto, poi, sempre su Twitter, Elon Musk, aggiungendo che “se la volontà della gente conta, dovrebbe essere sempre sostenuta, a prescindere da dove i conflitti hanno luogo”.

A differenza del presidente Zelensky e del suo braccio destro Podolyak, il sondaggio lanciato da Musk su Twitter, che ha sfondato il muro del milione e mezzo di votanti, è stato preso molto sul serio dalla Russia. È il caso, per esempio, di Mikhail Sheremet, deputato della Duma russa per la Crimea, il quale ha detto che “persone come Musk dovrebbero diventare presidente degli Stati Uniti, e non come Biden, che è diventato la vergogna del popolo americano, trasformando il Paese in un tiranno e assassino internazionale”.

Sheremet non sbaglia quando dice che “con persone come Musk si possono costruire relazioni pragmatiche e reciprocamente vantaggiose volte alla conservazione e allo sviluppo del mondo intero”. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha ribattuto: “Rispetto a molti diplomatici professionisti, Musk è ancora alla ricerca di modi per raggiungere la pace. E raggiungere la pace senza soddisfare le condizioni della Russia è assolutamente impossibile”.

In questo botta e risposta su Twitter, anche l’Ue è intervenuta rivendicando in maniera netta e chiara la sua posizione: “Non c’è Ucraina senza Crimea, così come non c’è Tesla senza batterie”. A dirlo è stato il commissario europeo all’Ambiente, Virginijus Sinkevicius, il quale ha contestato la proposta di Musk avvertendo che Kiev non può rinunciare alla penisola annessa dai russi nel 2014 e ha suggerito – con toni polemici – al “Signor Elon Musk” che “questa non è scienza dei missili: la Russia ha invaso l’Ucraina”.

Fino a quando la Politica internazionale non proporrà un tavolo di pace serio e concreto, il destino dell’umanità resterà “nelle mani di Dio”. Però Musk continua a lavorare e a trovare sostegno tra alcuni Repubblicani al Congresso e in Senato, oltre a quello, già espresso, di Newsweek. Nel mezzo di equilibri instabili, con all’orizzonte una guerra atomica, il silenzio della diplomazia diventa assordante e ottuso, quanto al contrario, la posizione di Musk si dimostra intelligente e fattibile. E, chissà, forse tutto ciò sarà prodromico alla sua candidatura alla Casa Bianca, che potrebbe cambiare gli orizzonti.

Bankitalia choc: “Il prezzo dell’energia deve aumentare per la transizione green”

Condividi su:

Il catechismo green

Le parole del governatore e del dg di Banca d’Italia: in nome dell’ambiente devono crescere i costi dei cittadini

di Matteo Milanesi

Se dovessimo indicare la religione del nostro tempo, i cui dogmi non possono mai essere discussi e smentiti, faremmo riferimento, senza alcun dubbio, al fondamentalismo climatico. Ecolatria, ossessioni apocalittiche, previsioni sulla fine del mondo: questo e molto altro rappresenta l’altra faccia dell’ecologismo, quello che, in modo efficace, il giornalista Giulio Meotti ha riassunto con la formula “Il Dio Verde”.

In nome del climatismo, tutto può essere sostituito e abbattuto: meno smog, meno industria, meno circolazione a motore. Insomma, meno tutto. Per ultimo, il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha deciso che i diesel euro 4 e 5 non potranno più circolare nell’Area B di Milano, se non rispettando un limite massimo di chilometri percorribili. Più di mezzo milione di auto soffriranno l’impatto di questa misura: si tratta di lavoratori che non potranno più entrare in città, proprio in nome del conclamato rispetto ambientale. Non importa se, ogni mattina, i cittadini debbano percorrere chilometri e chilometri per raggiungere il posto di lavoro. No, non importa: tutto deve essere subordinato all’intoccabile “Dio Verde”.

“Sì all’aumento dei prezzi”

Di questo avviso sono anche il governatore Ignazio Visco ed il dg di Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini. Per il primo, l’attuale aumento dei prezzi, causa crisi inflattiva ed energetica, sarebbe uno straordinario incentivo per la transizione: “Viviamo in momenti difficilissimi, con rischi di razionamenti, ma non dobbiamo perdere la loro utilità ad accelerare la transizione energetica”. Basta carbone o fossili, ben vengano solo le rinnovabili, indipendentemente dalle esigenze materiali dell’economia, delle imprese, delle famiglie. Ma soprattutto, indipendentemente dal fatto che la Cina, ovvero il principale pericolo alla democrazia ed alla globalizzazione mondiale, sia la prima produttrice di carbone a livello globale, con oltre il 50 per cento della produzione totale. Insomma, noi siamo ecologici – con conseguente danno economico – mentre il nostro principale competitor rimane tutt’altro che sostenibile. Due pesi e due misure.

A ciò, si aggiungono le parole del dg Signorini, il quale ha espresso il proprio consenso alle misure attuate dal governo, proprio perché sarebbero una straordinaria opportunità affinché “i prezzi crescano per raggiungere i nostri obiettivi di lungo termine della transizione climatica”. Insomma, nonostante 2 milioni di famiglie italiane vivano sotto la soglia di povertà, a cui si affiancano quasi 6 milioni di cittadini nelle stesse condizioni, per i vertici di Banca d’Italia, l’aumento dei prezzi sarebbe una vera e propria grazia climatistica.

Crisi economica

Il calo del Pil, dopo il primo anno di pandemia da Covid-19, ha sfiorato la mastodontica cifra del 9 per cento; pochi giorni fa, Confindustria ha ribadito come la crescita del 2023 sarà pari a zero, fino ad arrivare ad una percentuale inflattiva record – oggi al 9 per cento, mai così alta dal 1983 – che sarà destinata a crescere inesorabilmente. Tutto ciò è subordinato alla religione ambientale: “Meglio concentrare le limitate risorse di bilancio pubblico disponibili sulle famiglie più colpite, sugli investimenti nelle energie rinnovabili e nell’efficienza energetica”, ha concluso Signorini. Non c’è spazio per aziende, privati oppure per uno choc fiscale che possa risollevare il potere d’acquisto degli italiani.

Dalla nostra umiltà, desidereremmo offrire un consiglio assolutamente gratuito: perché non stanziare gli oltre 40 miliardi, che l’Italia attualmente spende in sussidi, direttamente per una radicale riduzione di tasse? Si tratterebbe, peraltro, di una cifra che il nostro Paese non ha mai conosciuto per applicare una misura di sani principi liberisti. Inoltre, significherebbe eliminare anche tutte le imposizioni fiscali verdi, cosa che non piacerebbe ai vertici di Banca d’Italia. Ma, si sa, questa è la principale differenza tra liberali e socialisti. E i primi non hanno mai primeggiato.

Matteo Milanesi, 11 ottobre 2022

Fonte: https://www.nicolaporro.it/bankitalia-choc-il-prezzo-dellenergia-deve-aumentare-per-la-transizione-green/

Guerra, burocrazia, speculazione: ecco le bollette della vergogna

Condividi su:

di Laura Siviero

Dietro i rincari mai visti la tempesta perfetta: boom dei consumi, siccità, ritardi delle rinnovabili e taglio alla produzione interna di gas

Le rinnovabili stentano a decollare, l’idroelettrico soffre della siccità, l’eolico inciampa nella burocrazia e la produzione autoctona di gas è crollata dai 20,6 miliardi di metri cubi del 1994 ai 4,4 del 2020, mentre i consumi sono saliti quasi del 30%.

Rendersi autonomi dal punto di vista energetico è ancora una strada lunga, ora si punta a contenere i consumi piuttosto che a diminuire un prezzo del gas salito a livelli mai visti. L’opinione pubblica europea ha tutto d’un tratto fatto conoscenza con il mercato energetico e le sue regole, tra cui la borsa di Amsterdam, il TTF (Title Transfer Facility), accusata di scarsa trasparenza se non di speculazione. Le aziende, che si ritrovano bollette vertiginose, sono costrette a fermare la produzione come durante il Covid. Si sarebbe potuto agire diversamente per non ritrovarsi in questa situazione?

Bollette: quali voci aumentano e perché

Per capire meglio, partiamo da quali sono le voci in bolletta che salgono, e perché. Le bollette dell’energia elettrica e quelle del gas sono abbastanza simili. La prima voce è la materia prima, si paga l’energia elettrica e si paga il gas.

Si possono avere i contratti di tutela, che sono sostanzialmente delle tariffe fissate dall’Arera (l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente), su tutto il territorio nazionale, l’oscillazione dipende, per quanto riguarda il gas, dai costi di trasporto che sono differenziati per alcune zone d’Italia.  Invece, per quanto riguarda l’energia elettrica, i prezzi sono uguali in tutto lo stivale.

Oppure si hanno contratti a mercato libero che permettono agli operatori di stabilire in modo autonomo i prezzi. Mentre nelle tariffe tutelate è il regolatore che decide quanto si paga, con criteri sostanzialmente di mercato, per il mercato libero, si può decidere di fare un contratto a prezzo fisso per uno o due anni (anche se adesso è molto difficile). O ancora un prezzo ancorato a quello mensile dell’energia elettrica.

In bolletta ci sono poi le famose “spese di trasporto e gestione del contatore”. Che cosa vanno a coprire? Nel caso del gas, i costi delle reti di distribuzione e trasporto che portano il gas nelle case. E per quanto riguarda l’energia elettrica, sia le linee di trasmissione (come quelle di Terna) che portano l’energia elettrica da una regione all’altra, sia le reti più piccole di distribuzione che portano l’elettricità all’interno delle città fino ai nostri contatori e il costo dei contatori, compresa la gestione delle letture. Costi che sono determinati in maniera puntuale dall’Autorità. E c’è l’Iva che ha un suo peso, al 10% per i contratti domestici relativi alla luce e al 22% per le aziende (anche se per loro è una partita di giro); mentre per il gas pesa circa il 5% (è stata abbassata).

Ma quello che costa più di tutto è la materia prima: il gas. Tutto deriva dal gas. L’energia elettrica aumenta di costo perché abbiamo un sistema di formazione del prezzo, il Marginal Price System, secondo il quale il prezzo viene determinato dalla fonte energetica più costosa. Il prezzo viene definito ora per ora nel punto d’incontro più alto tra domanda e offerta, che è molto spesso il prezzo determinato dagli impianti a gas.

L’energia elettrica è un bene indistinguibile – spiega Giulio Bettanini consulente energetico – che venga prodotto dall’impianto fotovoltaico o dalla centrale a gas è uguale, quindi dal punto di vista economico è corretto che venga venduto in un unico mercato indipendentemente da come viene prodotto.

Disaccoppiamento contro il caro prezzi: come funziona

Oggi però si parla molto di disaccoppiamento per far scendere i prezzi. Cosa significa? La remunerazione degli impianti a fonti rinnovabili è legata, da quando esiste il mercato elettrico, al costo della generazione a gas e, da circa 12 mesi, a causa dell’aumento del prezzo del gas, le fonti rinnovabili godono di elevati profitti che vengono ora ritenuti da molti “extraprofitti” non dovuti.

In Italia in un certo senso – continua Bettanini – si sta già facendo il disaccoppiamento. Siamo andati a prelevare, come Paese, gli extraprofitti di buona parte delle rinnovabili. Questo tipo di disaccoppiamento può funzionare molto bene in Francia e Germania, dove una quota minoritaria dell’energia è prodotta da gas e quasi tutto il resto da fonti rinnovabili o nucleare (in Francia) o lignite (in Germania), che hanno un costo di produzione molto più basso del gas, dunque ci sono maggiori extraprofitti su cui andare a intervenire, da dedicare ad aiutare le famiglie in difficoltà.L’Italia ha circa il 50% della sua energia elettrica prodotta da gas. Un altro 15% circa prodotto da carbone, olio combustibile e altre fonti fossili, il resto dalle rinnovabili. Quest’anno con la siccità eccezionale, l’idroelettrico ha prodotto per alcuni mesi il 40% in meno, il fotovoltaico che è molto presente in Italia e produce molto d’estate, in inverno genera solo un terzo dell’energia.

Tassare gli extraprofitti è stato utile per finanziare meccanismi di sostegno a famiglie e imprese. Ma si riduce la capacità di investimento nel green.

Il ruolo del TTF

Il prezzo poi fa i conti con il TTF, la borsa di Amsterdam sull’energia, gestito da Intercontinental Exchange, la stessa società che, per intenderci, detiene la proprietà anche del New York Stock Exchange (cioè Wall Street), in cui gli operatori possono vendere e comprare gas naturale al di fuori dei contratti a lungo termine. Si tratta dunque di un mercato fondamentale per la definizione del prezzo finale, tanto che le stesse bollette del mercato tutelato sono indicizzate al TTF.

C’è un problema: si tratta di un mercato a dir poco limitato, con scambi di contratti per circa 1-2 miliardi di euro al giorno: a mo’ d’esempio, un valore migliaia di volte inferiore a quelli della Borsa petrolifera per il Brent a Londra. Anche al netto di fenomeni speculativi, basta una richiesta aggiuntiva alla normale routine (fatta di pochi volumi) a provocare un impazzimento del prezzo.

Ecco perché in una fase di scarsità di offerta, come quella che stiamo vivendo, le bollette degli europei sono schizzate verso l’alto. Vista l’assenza di gas – dovuta alla riduzione del metano da parte di Gazprom, iniziata ben prima della guerra in Ucraina – il mercato TTF ha visto il proprio prezzo salire di oltre 10 volte in pochi mesi. Il motivo è semplice: la domanda di gas nell’Unione Europea rimane elevata. Per ridurla ci vuole tempo o grandi sacrifici e, vista l’offerta in calo, il prezzo è decollato.

Il tema ora è il contenimento dei consumi per far scendere il prezzo. Se gli extraprofitti venissero utilizzati per calmierare i prezzi, i consumatori non avrebbero la percezione di dover abbassare i consumi e non si otterrebbe l’effetto desiderato. Tra le aziende, quelle che potranno abbasseranno i consumi, le altre saranno costrette a fermare la produzione, come durante il Covid, con il rischio di una ulteriore recessione, ormai sempre più concreto.

Si sarebbero potute adottare soluzioni diverse? I 27 partner della Ue stanno litigando su misure come il tetto al prezzo del gas, il disallineamento gas-luce e lo spostamento degli scambi dalla borsa di Amsterdam a una piazza più grande e più trasparente. «Troppo complesso attribuire colpe per la situazione in questo contesto – conclude Bettanini -. L’aumento dei prezzi non si poteva certo evitare, forse se ne potevano ridurre un po’ gli impatti. Ma Paesi con mix energetici molto diversi dall’Italia o con fonti di approvvigionamento di gas ben diversi dalle nostre, come la Spagna, sono più o meno tutti nella stessa barca».
Gli aumenti in bolletta

Intanto dal 1° ottobre è scattato l’aggiornamento dei prezzi da parte di Arera per il prossimo trimestre: per la luce a 0,66 € a kWh, con un aumento del +59% (senza un intervento dell’Authority sarebbe stato del 100%), mentre per il gas è tutto rinviato al 1° novembre a causa del cambiamento del sistema di calcolo. Le stime parlano di un +70%. Una magra consolazione: l’Authority ha deciso che alle utenze domestiche sul mercato tutelato le bollette potranno essere inviate su base mensile e non più bimestrale o trimestrale. Gli aumenti restano ma saranno più graduali.

Schiaffo dai Sauditi: perché Biden non può che rimproverare se stesso

Condividi su:
Riyad allineata a Mosca? Lettura semplicistica e autoconsolatoria, ecco gli errori Usa: produzione nazionale bloccata da agenda green; sauditi maltrattati; Europa abbandonata

di Federico Punzi

Alla fine è arrivato il sonoro schiaffone dell’Arabia Saudita all’amministrazione Biden. Ieri, a Vienna, l’Opec+, il cartello che riunisce i principali Paesi produttori di petrolio più la Russia, ha deciso un taglio della produzione di ben 2 milioni di barili al giorno. E questo nonostante da mesi Washington chieda a Riyad di aumentare la produzione per raffreddare i prezzi.

Il presidente Joe Biden si era speso in prima persona recandosi in visita nel Regno, nel luglio scorso, e ricevendo critiche in patria per un saluto pugno a pugno ritenuto troppo complice con il principe ereditario Mohammad bin Salman.

Atto ostile: ma di chi?

Qualche ora prima della decisione la Casa Bianca aveva fatto circolare, via Cnnparole durissime sulla prospettiva di un taglio della produzione: “disastro totale”“atto ostile”.

La reazione alla decisione non si è fatta attendere. “Il presidente è deluso dalla miope decisione” e “si consulterà con il Congresso sugli strumenti per ridurre il controllo dell’Opec+ sui prezzi dell’energia”.

Un proposito che suona beffardo, perché Washington avrebbe un modo molto semplice per “ridurre il controllo” dell’Opec: aumentare la sua produzione nazionale, che invece, fin dal primo giorno in cui si è insediata, l’amministrazione Biden ha sistematicamente sabotato.

Ora Biden torna a supplicare l’industria petrolifera Usa, la stessa che in campagna elettorale aveva promesso che avrebbe fatto chiudere (letteralmente: “I guarantee you, we’re going to end fossil fuel”), di abbassare i prezzi dei carburanti.

E apre ad un nuovo rilascio di riserve strategiche per calmierare i prezzi. Di fatto, le sta prosciugando nel tentativo di evitare una sonora sconfitta alle elezioni di midterm, che si terranno tra circa un mese.

Un funzionario dell’amministrazione ha rivelato che la Casa Bianca ha segretamente offerto all’Opec+ di acquistare fino a 200 milioni di barili del suo petrolio a 80 dollari al barile per rimpinguare le riserve strategiche, oggi ai minimi storici, in cambio della rinuncia a tagliare la produzione.

E bisogna ricordare che nel 2020 i Democratici bloccarono la proposta di Trump di riempire le riserve con il petrolio dei produttori Usa, provati dalla pandemia, acquistandolo ad un prezzo di soli 24 dollari al barile.

Il vero atto ostile è quello dell’amministrazione Biden contro l’industria oil & gas Usa, ostacolata con ogni mezzo, fermando progetti infrastrutturali e bloccando nuove concessioni, come abbiamo già raccontato su Atlantico Quotidiano. Oggi la produzione in America, stima Robert Bryce (The Power Hungry podcast), è inferiore del 7 per cento al periodo pre-Covid.

Biden ha pensato di cavarsela ottenendo dall’Opec+ un aumento della produzione, evitando così di dover aumentare la produzione nazionale, e quindi di scontentare i gretini del suo partito. Quello che ha ottenuto, invece, è aver reso l’America più vulnerabile alle decisioni dell’Opec+, aver aiutato Putin e alimentato l’inflazione.

La mossa dell’Opec infatti va anche a contrastare gli sforzi della Fed per raffreddare l’inflazione. Se il rialzo dei tassi diminuisce la domanda di petrolio, abbassandone i prezzi, il taglio della produzione deciso ieri lo compensa almeno in parte, costringendo la Fed ad un ulteriore rialzo, che però spingerà ancor di più l’economia Usa verso la recessione.

Lo ripetiamo: in America, così come in Europa, l’obiettivo della decarbonizzazione, di uscire dalle fonti fossili, è una follia insostenibile. Ma lo è ancor di più in concomitanza con la guerra economica alla Russia.

Riyad si schiera con Mosca?

Fin troppo facile concludere che l’Arabia Saudita ha deciso di schierarsi con la Russia e contro l’Occidente. È proprio così? La realtà è più complessa.

L’Opec+ si mostra “allineata con la Russia“, ha affermato la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, e leggerete molte analisi in tal senso. Ma è proprio questo genere di letture a far letteralmente imbufalire Riyad, perché dimostrano come a Washington gli interessi sauditi siano totalmente snobbati.

Per dare la misura dell’irritazione di Riyad su questo tema, proprio ieri, durante la conferenza stampa al termine della riunione dell’Opec+, il ministro dell’energia saudita, il principe Abdulaziz bin Salman, si è rifiutato di rispondere ad un giornalista della Reuters, rimproverando all’agenzia di aver pubblicato una falsa storia di collusione tra Arabia Saudita e Russia utilizzando una fonte anonima. Purtroppo ormai certa stampa si è fatta prendere la mano dalle storie di collusione con la Russia…

Alla base della decisione di ieri dell’Opec+ ci sono valutazioni certo economiche e innegabilmente anche di natura politica. Ma non banalmente dettate dalla volontà di “schierarsi” dalla parte di Putin e contro l’Occidente. Questa lettura caricaturale, anzi, rischia di essere un regalo a Mosca.

Una reazione al price cap

Non solo i segnali di recessione globale e l’obiettivo dei Paesi Opec+ di tenere il prezzo del petrolio al di sopra dei 90 dollari (fino a ieri era poco sopra gli 80). Come molti avevano avvertito, questa decisione è una reazione – economica e politica – al price cap sul petrolio russo, esteso anche ai Paesi terzi che volessero rivenderlo.

Se il miglior modo per tagliare gli introiti di Putin è tenere bassi i prezzi di gas e petrolio, la misura ha avuto un effetto contrario, spingendo gli altri Paesi produttori a difendere il prezzo del petrolio, ma soprattutto a sanzionare quello che viene giustamente considerato, dal loro punto di vista, un precedente pericoloso.

Gli interessi sauditi

Questi Paesi, Arabia Saudita in testa, non si sono schierati ideologicamente con Mosca, ma sono stati costretti dalle nostre scelte a difendere il loro interesse nazionale con esiti che li fa apparire vicini alla Russia.

Come ha spiegato Mohammed Alyahyasenior fellow dell’Hudson Institute, questo genere di letture sembra negare a Ryad il suo diritto a considerare i propri interessi e sembra presumere che l’Arabia Saudita sia un attore irrazionale e inaffidabile. Ma questo è un presupposto “falso e pericoloso”.

E ricorda come nell’aprile 2020, in piena pandemia, Riyad abbia combattuto “con le unghie e con i denti” una guerra dei prezzi contro la Russia, vincendola. Non per ragioni politiche, ma per proteggere l’Opec+ e difendere la propria leadership nei mercati energetici, il suo ruolo di gestore e stabilizzatore del mercato.

Nulla è cambiato oggi, si tratta di interessi. L’interesse saudita è anche oggi proteggere l’Opec+ in quanto organizzazione. Ma questo a Washington non sono sembrati in grado di comprenderlo.

Tra l’altro, fa notare lo studioso, il taglio effettivo è di un milione di barili, non due, perché molti Stati membri dell’Opec+ già oggi non riescono a soddisfare le loro attuali quote di produzione, nella misura di un milione di barili.

Con il taglio odierno, sostiene Alyahya, gli Stati del Golfo avranno una maggiore capacità inutilizzata per far fronte alle interruzioni che saranno causate dalle sanzioni Usa-Ue sul petrolio russo. Senza questa ulteriore capacità inutilizzata, non sarebbero in grado di mantenere i mercati in equilibrio.

Un’analisi condivisa da Gregg Carlstrom dell’Economistil mercato petrolifero è un “casino” in questo momento. L’Opec+ ha poca capacità inutilizzata; molti produttori non riescono a rispettare le proprie quote; le sanzioni alla Russia stanno “biforcando” il mercato.

I sauditi hanno “un interesse razionale” a mantenere prezzi alti e stabili, e il settore petrolifero abbastanza redditizio da consentire alle compagnie di investire nella costruzione di nuova capacità – cosa che a quanto pare a noi occidentali non interessa più.

Gli affronti di Biden a Riyad

Detto questo, la decisione dell’Opec+ non può che apparire come un “affronto” dei sauditi a Washington, a soli tre mesi dalla visita del presidente Joe Biden a Jeddah per ricucire i rapporti con Riyad.

Ma secondo Carlstrom si tratta di un problema di aspettative eccessive: i tempi della visita e alcuni messaggi hanno suggerito che Biden si fosse assicurato un aumento della produzione di petrolio. Ma “questo non è mai stato realistico, come ti avrebbe detto chiunque nel Golfo prima della sua visita”.

Da una parte, dunque, la percezione americana e occidentale che i sauditi non stiano rispettando la loro parte dell’accordo quasi secolare con gli Usa e si stiano schierando con la Russia. Dall’altra, però, va detto che i sauditi hanno buone ragioni per ritenere che l’America non stia rispettando i propri impegni sulla “sicurezza”, a cominciare dalle politiche occidentali che conferiscono potere all’Iran a livello regionale.

Gli errori dell’amministrazione Biden con l’Arabia Saudita risalgono infatti ai primi giorni del suo mandato: la diffusione del rapporto dell’Intelligence che accusava il principe ereditario Mohammed Bin Salman di aver personalmente approvato e ordinato l’omicidio di Jamal Khashoggi; lo stop alla vendita di armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti; la revoca della designazione dei ribelli Houthi come organizzazione terroristica; la decisione di riprendere i colloqui con Teheran per un nuovo accordo sul programma nucleare. Quattro veri e propri affronti, tutti all’inizio del mandato.

Già in campagna elettorale, inoltre, Biden aveva avvertito che con lui alla Casa Bianca le cose tra Washington e Riyad sarebbero cambiate, spingendosi fino a definire il Regno “un pariah” della comunità internazionale.

Gestione disastrosa della crisi energetica

Ma ancora peggio, per tutto il 2021 e fino all’inizio del 2022, incredibilmente l’amministrazione Biden non ha fatto nulla per riparare i rapporti con Riyad, nonostante avesse acquisito e diffondesse informazioni sempre più credibili e precise circa le intenzioni e i preparativi di Mosca per invadere l’Ucraina, dunque pur essendo consapevole che ci saremmo potuti trovare presto nel bel mezzo di uno shock energetico e di una guerra economica con la Russia.

Se la gestione del conflitto ucraino da parte dell’amministrazione Biden è stata efficiente dal punto di vista militare e di intelligence (sebbene a nostro avviso poteva essere più coraggiosa nello stabilire linee rosse e più rapida nell’invio di armamenti a Kiev), è stata senza alcun dubbio niente meno che disastrosa sul piano energetico.

Dai già menzionati rapporti con l’Arabia Saudita alla crisi del gas che attanaglia l’Europa, completamente abbandonata, che rischia di sgretolare il supporto europeo alla causa ucraina.

Nel momento in cui i Paesi Ue, a cominciare da Italia e Germania, hanno assunto la decisione di liberarsi dalla dipendenza dal gas russo, sarebbe stata opportuna una iniziativa di Washington per una gestione coordinata e solidale della crisi energetica tra gli alleati Nato (di cui fa parte la Norvegia, importante produttore di gas), in modo da tenere il più possibile sotto controllo i prezzi.

L’alternativa all’hub del gas russo-tedesco

Venendo meno l’hub energetico russo-tedesco per ovvie ragioni, l’amministrazione Biden, piuttosto che fare promesse di forniture LNG impossibili da mantenere, avrebbe dovuto impegnarsi da subito per sostituirlo con un hub di gasdotti italiano, su cui far convergere tutto il gas proveniente dal Mediterraneo e dall’Africa.

Un progetto, però, che non avrebbe fatto piacere a Erdogan, che infatti sembra aver giocato d’anticipo. Proprio ieri è arrivata la notizia che Turchia e Libia – o meglio, il governo libico riconosciuto ma attualmente sfiduciato dal Parlamento di Tripoli – hanno firmato accordi di collaborazione nel settore petrolio e gas, scatenando l’ira sia del Parlamento di Tobruk, che di Grecia ed Egitto.

Ebbene, non solo gli Usa non hanno finora rilanciato il progetto Eastmed, ma non hanno nemmeno mosso un dito per la risoluzione della crisi libica.

Una latitanza di Washington – e di Roma – che denota la miopia sia dell’amministrazione Biden che del governo Draghi, che avrebbero potuto almeno avviare lo sviluppo di alternative in grado nel medio-lungo termine di risolvere il problema dell’approvvigionamento di gas all’Europa.

Gazprom torna a fornire gas russo all’Italia: cosa è successo

Condividi su:

di Alessandro Della Guglia

Roma, 5 ott – Riprenderanno le forniture di gas dalla Russia all’Italia, attraverso l’Austria. E’ quanto fatto sapere da Gazprom, con un comunicato ripreso dall’agenzia Tass. “Gazprom e gli acquirenti italiani sono riusciti a trovare un accordo sul formato di cooperazione tra i cambiamenti normativi in Austria alla fine di settembre. L’operatore austriaco ha comunicato la sua disponibilità a confermare le nomine di trasporto di Gazprom Export, il che rende possibile la ripresa delle forniture di gas russo attraverso il territorio austriaco”, si legge nella nota del colosso russo del gas.

Gazprom torna a fornire gas all’Italia. I fatti

Il motivo dello stop ai flussi del gasdotto Tag (Trans Austria Gas Pipeline) a Tarvisio, da dove passa la gran parte del gas russo diretto nella nostra nazione, era stato spiegato bene dall’ad di Eni, Claudio Descalzidue giorni fa. “Si sarebbe dovuto dare una garanzia fisica in funzione del passaggio di questo gas al trasportatore che porta il gas dall’Austria all’Italia”, aveva detto Descalzi al termine della cerimonia Eni Award, svoltasi al Quirinale. Il problema è che “Gazprom non ha pagato, quindi diventa difficile pensare che una società che vuole pagare in rubli possa mettere delle garanzie in euro per un passaggio”.

Lo stesso Descalzi aveva poi affermato che Eni sarebbe stata disposta a intervenire per risolvere la situazione, valutando se “subentrare o al trasportatore o a Gazprom. Si parla di 20 milioni di garanzie su miliardi di euro che passano quindi adesso vediamo se riusciamo a subentrare e facciamo questo sforzo”. In parole povere Eni si era detta pronta a pagare per sbloccare i flussi di gas diretti in Italia, auspicando così di risolvere la situazione “entro questa settimana”. Descalzi aveva inoltre specificato che il gas in questione “è già in Austria e Germania in questo momento”, dunque “non è nelle mani di Gazprom”.

Fonte: https://www.ilprimatonazionale.it/economia/gazprom-torna-a-fornire-gas-russo-italia-cosa-e-successo-245690/

1 2 3 4