Il pioniere della «cancel culture»? Stalin

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di Giuliano Guzzo

La versione ufficiale è che gli episodi di iconoclastia, finalizzati a rimuovere statue ritenute simboli d’un passato razzista e schiavista, abbiano preso a manifestarsi nell’estate 2020, dopo la morte dell’afroamericano George Floyd a seguito di un pestaggio della polizia di Minneapolis. In realtà, la cosiddetta «cancel culture» ha già una sua storia, le cui radici son facili da rintracciare, in epoca moderna, già nella Rivoluzione Francese, quando i giacobini non si fecero mancare devastazioni a chiese, monumenti, tombe.

Se però si dovesse individuare un padre fondatore di questa brutale tendenza, il nome che su tutti emergerebbe è uno: quello di Iosif Stalin. In effetti, sotto il dittatore sovietico la «cancel culture» colpì duramente. Anzitutto a scapito delle chiese: se in Russia se ne contavano circa 55.000 nel 1917, nel 1939 nell’immenso Paese quelle ancora accessibili erano rimaste appena un centinaio. Non solo. Pur di non contraddire il tiranno, anche la cultura, sotto i sovietici, subì perdite pesantissime. Un esempio è quello che riguarda una delle opere più famose della storia, l’Amleto di William Shakespeare.

Si racconta infatti –  lo riferisce nella sua autobiografia il compositore Dmitri Shostakovich (1906–1975) – che Stalin detestasse profondamente il massimo capolavoro shakespeariano. «Egli non voleva», annota Shostakovich, «che la gente guardasse spettacoli teatrali con trame a lui non gradite». Così una volta, al Moscow Art Theatre, accadde che il dittatore se ne uscì con un: «É proprio necessario, qui, mandare in scena Amleto?». Poche parole che però, per chi aveva orecchi per intendere, bastarono ampiamente. Beninteso: la genesi staliniana della «cancel culture» non spiacerà a tutti.

Di certo non spiacerà al Black Lives Matter, che guarda caso si definisce «movimento rivoluzionario marxista». Tuttavia, chi assiste passivo alle nuove trovate antirazziste – immaginando magari che la «cancel culture» sia novità dei nostri giorni – farebbe bene a sapere che, ecco, queste cose nuove non sono, anzi. Si tratta solo di rimasticature di violenze già viste nel corso della storia, e che hanno nel macellaio sovietico il loro padre nobile, per così dire. Di qui un dubbio: ci potrà esser qualcosa di davvero civile e positivo nel ripercorrere (che lo si faccia senza saperlo, non cambia nulla) le orme staliniane? Meglio chiederselo.

Fonte: https://giulianoguzzo.com/2021/04/29/il-pioniere-della-cancel-culture-stalin/

Dove porta la guerra global ai classici

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Fonte: Marcello Veneziani

di Marcello Veneziani

Come spiegare la guerra ai “classics” che si allarga negli Stati Uniti e pure sull’altra sponda dell’Atlantico e trova oggi conforto e rinforzo con l’arrivo alla casa Bianca dei progressisti e antirazzisti Joe Biden e di Kamala Harris? È stata proprio la “sua università”, quella da cui proviene la vice nera di Biden, la Howard University di Washington, a fare da capofila nell’opera di demolizione e di epurazione dei classici dagli studi. Trattandosi di un’università simbolo degli afro-americani, assume un significato speciale. La cacciata dei classici dalle università, non solo dunque del “conquistatore” Cristoforo Colombo ma dei grandi poeti, pensatori e letterati della tradizione antica, greco-romana ed europea, è diventata ora il simbolo della lotta dei neri contro la “supremazia” dei bianchi. La cultura è vista come un segno di violenza, schiavismo e sottomissione coloniale che l’occidente avrebbe esercitato sulle popolazioni indigene di tutto il mondo. Anche i capolavori della letteratura vengono sottoposti alla censura postuma e vengono giudicati dai tribunali e dalle piazze, dai MeToo e dagli Antifa, e non più nelle sedi letterarie in ragione del loro valore. Il significato umanistico viene sottomesso al valore umanitario e sottoposto al Tribunale Permanente dei Diritti Umani Violati.

Sono lontani i tempi in cui un presidente negro e illuminato, come Leopold Senghor, poeta e alfiere della “negritudine”, esibiva il suo amore per i classici e per la lingua latina e spingeva gli studenti più bravi del suo paese, il Senegal, e di tutta l’Africa nerissima a integrarsi anche tramite la cultura e l’assimilazione dei classici e della lingua latina.

Ora il problema non è integrare i neri, i latinos e gli indiani nella civiltà euro-occidentale ma dis-integrare la nostra cultura sin dalle sue radici e contrapporre i temi dei diritti umani a ogni discorso culturale, storico e spirituale. L’appello si estende a tutti gli occidentali che devono ricusare il loro passato, vergognarsi delle loro origini e sostenere la battaglia contro i classici, che a esaminarli furono tutti, più o meno, “razzisti”, “schiavisti”, “omofobi”, “maschilisti”, e via dicendo. Via la vita spirituale, al più cantiamo gli spiritual.

Perfino gli schemi del pensiero rivoluzionario vengono capovolti: le classi subalterne, i proletari, non devono impossessarsi delle idee dominanti e della cultura egemone per rovesciare i rapporti di potere e sostituirsi al comando della società; ma devono disprezzare la loro cultura e cancellare le sue tracce. Verso dove si va in questo modo? Verso una forma di imbarbarimento planetario e di ripiegamento narcisistico nell’oggi contro tutti gli ieri e i sempre. Continua a leggere