Ecco come sta cambiando il mondo

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di Giulio Tremonti

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno

Una visione preveggente sul mondo che sta cambiando in fretta, fuori dai dogmi globalisti, emerge dal dialogo con Giulio Tremonti, ex ministro dell’Economia e presidente dell’Aspen Institute Italia, che sulla prospettiva di «un patto nazionale» anti-inflazione è perplesso, ritenendolo difficilmente irrealizzabile. Sullo sfondo risalta la visione dell’“europeismo della realtà” che l’accademico ha perseguito sul piano politico e culturale, osteggiato dai tecnocrati del sovrastato Ue. Il suo ultimo saggio è Le tre profezie (Solferino).
Prof. Tremonti, alle difficoltà del post Covid ora si aggiunge la crisi economica per l’Ucraina. Dall’inflazione al caro energia, famiglie e imprese sono allo stremo. Che strumenti ha la politica per fronteggiare questa fase?
«Evocare un “patto nazionale” come ai tempi di Ciampi non tiene conto del fatto che la storia non si può ripetere per identità perfette. E in questo caso neppure ripetere per analogie. A quel tempo, nei primi anni novanta, non c’era la globalizzazione, non c’era la Cina, non c’era l’euro, non c’era la sovranità di Bruxelles. E quindi, se a quell’altezza di tempo fu fatto un esercizio politico virtuoso, oggi sarebbe un servizio politico non virtuoso e molto difficile tentarne la replica. Non ci sono i presupposti, il mondo è radicalmente cambiato».
Quali i cambiamenti più rilevanti rispetto al passato?
«L’Italia aveva una forte sovranità economica nazionale, e anche per questo era più facile combinarla con la responsabilità sociale. Tra l’altro la forza delle parti sociali era anche superiore a quella attuale».
Pesano meno?
«Ricordo il “Tavolo Verde” a Palazzo Chigi: da un lato il governo, dall’altro lato un impressionante schieramento di forze sociali economiche e sindacali. Credo che ora sia difficile rifare il tavolo in quella composizione, di massa e di forza».
Prima della pandemia c’era una ossessione per il rigore e l’austerità. Ora è tutto rimosso…
«Nelle considerazioni conclusive del governatore Draghi, Banca d’Italia maggio 2011, c’era scritto: “La gestione del pubblico Bilancio è stata prudente. Le correzioni necessarie in Italia inferiori a quelle necessarie in altri paesi europei”. Poi la stessa mano ha firmato l’opposto con la lettera della Bce… La pandemia in ogni caso ha segnato una rottura della storia politica dell’Italia e non solo».
Sono cambiati anche gli equilibri istituzionali?
«La pandemia ha avuto effetti politici e non solo sanitari. Ha spostato l’asse del potere verso il governo, ha liberato l’esecutivo dai vincoli finanziari. C’è una immagine che rende l’idea di quello che è successo».
Prego.
«La pandemia ricorda il mito della torre di Babele: l’uomo sfida la divinità erigendo verso il cielo la torre. La divinità reagisce privando l’umanità della lingua unica. Con la pandemia è stato lo stesso: è stato tolto il pensiero unico, spezzato il software della globalizzazione, si è persa la fiducia nel paradiso terrestre. Il mondo che riappare adesso è un mondo diverso da quello globale, oggi carico di tensioni, di torsioni, che si vedono sulle linee di produzione e sul prezzo delle materie prime: dal legno alla ghisa, dal petrolio al gas. Un mondo in cui l’uomo registra i suoi limiti, e i limiti del suo mondo. E questi sono evidenti per esempio nell’inquinamento ambientale creato dall’industria globale».
E i cittadini registrano l’arretramento del proprio potere d’acquisto.
«Erano già iper-evidenti tutte le tensioni di inflazione, prima della guerra. L’inflazione c’era già nelle bollette, nel carrello della spesa, sul pieno di benzina. E questo ci poneva il problema fondamentale».
Quale?
«Siamo tutti uguali davanti alle bollette, al carrello e alla pompa o sta peggio chi ha di meno?».
C’è un rischio gilet gialli sullo schema delle proteste francesi?
«Più che un rischio futuro, vedo già attuale la sofferenza di chi ha meno risorse economiche».
Non ricordavamo più gli effetti dell’inflazione…
«E’ una orrenda tassa regressiva. Fino all’ultima Finanziaria, davanti a questa realtà già evidente, l’azione del governo è stata strampalata, con politiche espansive, prevedendo sgravi fiscali per il ceto medio, e solo alla fine la tardiva scoperta del caro-bollette. Adesso il governo è mezzo salvato dalla guerra, ma lo vedo in difficoltà nel continuare le politiche di spesa pubblica espansiva, come sarebbe necessario a fronte dell’inflazione».
La realtà, se ci fosse chi la registra, scombina i piani dei governanti?
«Il malessere sociale è un dato di fatto. L’altro giorno scorreva sul display di un treno dell’Alta velocità, uno spot del governo sul Pnrr. Nel video risaltavano uomini e donne bellissimi, tipo attori americani. Ecco, la réclame del governo è oltre Hollywood: dà l’idea della distopia tra governo e Paese. Chi lo ha commissionato dovrebbe rimborsare di tasca sua il costo dello spot e destinare l’importo alla Caritas… Ho l’impressione che l’alta velocità si confonda con l’altra stupidità…».
La crisi energetica: c’è chi quasi scarica la responsabilità sugli italiani stessi…
«Il governo ha accusato il Paese per non aver capito l’emergenza energetica addossando le colpe agli italiani e agli anni passati. Ma se emergenza energetica fosse stata prevedibile, Draghi avrebbe dovuta metterla nel suo programma già l’anno scorso. In realtà non se ne parla neppure nel Pnrr. Aggiungo che fino al 2011, l’Italia, con l’Eni, aveva la piena proprietà dei campi petroliferi in Libia, non i diritti di concessione. E quindi una prospettiva di sviluppo incredibile. Qualcuno, che forse chi è al governo conosce, ha deciso di privarcene. Ottima dunque la prospettiva di ricerca di fonti alternative, ma come diceva quel tale…».
Diamogli un nome.
«Un economista di rango secondario rispetto ai giganti attuali, John Maynard Keynes, (Tremonti sorride, ndr), diceva che “nel lungo periodo siamo tutti morti”. Non dico che Gheddafi fosse simpatico, ma il petrolio libico era utile».
I dem, intanto sono innamorati del governo di emergenza e del mantra “ci vuole più Europa”. E’ la posizione di chi ha combattuto gli eurobond e portato il vincolo esterno…
«Quando è caduto il Muro, pochi sono rimasti sotto le macerie. Tutti hanno compiuto il salto. Molti hanno portato i loro “Penati ideologici”, nei templi dell’Occidente: dalla City di Londra a Bruxelles. Il comunismo ha perso perché ha perso, il mondo occidentale si è successivamente perso nel mercatismo e in varie successive ideologie».
L’europeismo come coperta di Linus?
«L’idea di Europa è fuori da tutto questo. Nel 2003, nel semestre di presidenza italiana Ue, il governo italiano propose gli eurobond per finanziare infrastrutture e industria militare. Il no fu totale. Solo nel 2020 – con 17 anni di ritardo – l’Ue emette eurobond. Solo nel 2022 in questi giorni si comincia a parlare di Difesa europea. Con questo ritardo sulla storia, è almeno il caso di rinunciare a dare lezioni».
Il mercatismo come era, non ci sarà più. Verrà maggiore spazio per i diritti dei popoli?
«Non c’è più l’ideologia globalista, riemerge “nella sinistra” la retorica europeista. Tanto per tentare di pareggiare il pensiero di questi giganti, le citerò una frase sull’Europa di Konrad Adenauer, pronunciata dopo il trattato di Roma del 1957: “Che la foresta non sia tanto fitta da impedire la visione dell’albero”. Parlava del rapporto tra Bruxelles e gli stati».
Che lettura non conformista consiglierebbe ai governati italiani in questi giorni…
«Mi faccia un’altra domanda…».

A cura di Michele de Feudis

Gheddafi, la parabola di un dittatore durato 42 anni

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di Ferdinando Bergamaschi

Gheddafi: esattamente dieci anni fa il raìs libico veniva catturato e ucciso dai ribelli del Consiglio nazionale di transizione. In un canale di scolo presso Sirte si chiudeva così la prima fase di un attacco da parte della Nato, della Gran Bretagna e soprattutto della Francia, che è difficile non definire subdolo e ipocrita. Beninteso, il Colonnello fa parte di quella schiera di dittatori che non vanno presi troppo sul serio. Sbruffone, despota, ridicolo nello sfoggiare ovunque la sua divisa ridondante, cultore di un maschilismo che sarebbe stato fuori tempo anche 100 anni fa.

Detto questo, l’impresa che i vertici occidentali sono riusciti a confezionare in Libia, rovesciando il regime del Colonnello se non fa rimpiangere Gheddafi, come minimo ci fa pensare che qualcosa di brutto è stato sostituito con qualcosa di peggio. E che in questi anni tutti noi abbiamo imparato a conoscere: la destabilizzazione totale di uno Stato sovrano in pieno Mediterraneo.

Un po’ di storia 

Con il colpo di Stato militare del settembre 1969, Gheddafi rovescia la monarchia di re Idris I e instaura una dittatura militare con forti tratti populistici. Egli sostanzialmente aderisce al baathismo, la corrente politica del socialismo nazionale arabo. Questo movimento è al contempo nazionalista e panarabo. È un movimento di sinistra, ma anti-marxista in quanto anti-materialista. È stato il leader egiziano Nasser il principale esponente nel mondo arabo di questa corrente, che lui stesso teorizzerà e che prenderà anche il nome di Terza Via Universale (nel novero dei suoi principali fautori vi sono, oltre a Nasser, Saddam in Iraq, Ben Bella in Algeria, Assad in Siria). 

Gheddafi, Reagan e Mandela

Negli anni ’80 si intensificano da parte del regime di Gheddafi le scelte anti americane e anti israeliane in politica estera. Il Colonnello non solo sostiene e finanzia l’Olp di Arafat ma anche l’Ira irlandese. Il suo Governo diventa il nemico numero uno degli Stati Uniti d’America e della Nato, tanto che nell’aprile 1986 il presidente statunitense Reagan decide di bombardare il suo bunker, dal quale comunque Gheddafi esce illeso. Ma tra tanti nemici in occidente il Colonnello può contare su un’amicizia di grande prestigio, quella di Nelson Mandela che sempre gli sarà grato per gli aiuti che gli aveva fornito all’Anc e ai movimenti per la lotta all’apartheid. 

Venendo a tempi più recenti, Gheddafi, dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, assume una posizione fermamente nemica del fondamentalismo islamico (ciò d’altra parte è coerente con la dottrina baath, sostanzialmente moderata in campo religioso), mostrando anche aperture verso Washington. Tanto che George W. Bush toglie la Libia dalla lista degli stati canaglia. Più tardi, il Colonnello elogerà Obama, considerando un grande evento storico il fatto che egli fosse diventato presidente degli Stati Uniti, un Paese nel quale fino a pochi decenni prima neri e bianchi non potevano neppure prendere un caffè insieme.

Il trattato di Bengasi

Non si può non ricordare infine il capitolo delle relazioni bilaterali. Nel 2008 l’allora premier Berlusconi decide saggiamente – sulla linea filoaraba e mediterranea che era stata di AndreottiFanfaniMoro e Craxi –  di stipulare degli accordi commerciali e politici con la Libia del Colonnello. Così verrà firmato tra Italia e Libia il Trattato di Bengasi. Questi accordi erano particolarmente vantaggiosi sia in materia di immigrazione, sia, soprattutto, per quel che riguardava la questione energetica, seguendo la via ancora attuale degli accordi bilaterali che aveva indicato più di sessant’anni fa in questo campo Enrico Mattei.

Il Trattato di Bengasi oggi più che mai sarebbe stato utile per l’Italia che si trova a pagare rincari energetici enormi. Ma purtroppo poi lo stesso Berlusconi si accoderà agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna e alla Francia in una lotta alla Libia di Gheddafi, che si rivelerà dannosa anche per il nostro Paese. E che da allora vede la Libia ancora divisa dalla guerra civile. 

L’Occidente, regno della menzogna

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di Massimo Fini

Fonte: Massimo Fini

Se il cosiddetto Occidente continuerà imperterrito nella propria, costante, estenuante, ripugnante politica di doppio-pesismo, di cui, per restare sul pezzo, dà buona misura quel che sta succedendo a Gaza, con l’equiparazione fra un esercito tecnologicamente avanzatissimo e i guerriglieri straccioni di Hamas, fra i circa duecento razzi sparati verso Gerusalemme e Tel Aviv che hanno causato otto morti e i  circa duecentoventi palestinesi uccisi, tra cui un numero imprecisato di bambini, provocati dai bombardamenti israeliani su Gaza (davvero “intelligenti” questi missili se in un sol colpo sono riusciti a sterminare una famiglia composta da due donne e i loro otto bambini, sicuramente terroristi – peraltro, com’è noto, i bambini degli altri sono diversi dai nostri bambini se nella prima Guerra del Golfo, per non affrontare fin da subito l’imbelle esercito iracheno, che era stato battuto persino dai curdi, le “bombe chirurgiche” e i “missili intelligenti” uccisero, fra Bagdad e Bassora, 32.195 bambini, dati del Pentagono) politica sostenuta dai suoi media che, inutilmente vili, riescono a essere più realisti del re, nascondendo le verità scomode o rivelandole a metà il che è ancora più scorretto, dai e ridai farà la fine che si sarà meritato: morirà soffocato dalle sue stesse menzogne.

Una decina di giorni fa c’è stato un attentato terroristico a Kabul contro una scuola media frequentata da ragazzi e ragazze che ha causato 55 vittime. La Reuters, che non è proprio l’ultima agenzia di notizie del mondo,  ha subito attribuito l’attentato ai Talebani, seguita poi da pressoché tutta la stampa occidentale. Un falso. Bisognava andare a cercare con la lente sull’Internazionale la notizia, data da Tolo News, che è l’emittente dell’attuale governo afghano e quindi, in questo senso, al di sopra di ogni sospetto, che l’attentato era opera dello Stato islamico, cioè dell’Isis, e che i Talebani avevano escluso ogni loro coinvolgimento. Del resto questa smentita non era nemmeno necessaria. I Talebani, nella loro guerra d’indipendenza, hanno sempre puntato ad obbiettivi militari e politici cercando di limitare il più possibile gli inevitabili “effetti collaterali” per la semplice ragione  che non hanno alcun interesse ad inimicarsi la popolazione sul cui appoggio hanno potuto costruire la propria lotta di indipendenza durata vent’anni. Del resto nel “libretto azzurro” del 2009, naturalmente snobbato in Occidente, in cui il Mullah Omar dettava le regole cui dovevano attenersi i suoi combattenti, è scritto a chiare lettere: “Attacchi terroristi e attentati kamikaze. Il sacrificio di valorosi figli dell’Islam è lecito soltanto se il bersaglio è importante, vale a dire solo per obbiettivi militari e politici che abbiano una certa rilevanza col massimo impegno per scongiurare vittime civili”. Per altro c’è un precedente significativo. Quando nel 2014 i talebani pachistani attaccarono una scuola frequentata dai figli dei militari pachistani facendo 156 morti e 130 feriti, il movimento talebano afghano guidato dal Mullah Omar condannò senza se e senza ma quell’eccidio: “L’Emirato islamico è scioccato da quanto avvenuto e condivide il dolore della famiglie dei bambini uccisi nell’attacco”. Continua a leggere

Libia-Siria: per chi tifano, per chi tifare

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di Fulvio Grimaldi
Amici, anche stavolta siamo lunghi. Perdono. Comunque per 15 giorni sono fuori e, dunque, c’è tempo per piano piano farcela. Se credete.

Diciamocelo: che bravi governanti sono quelli di Al Qaida e Isis!
Per chi tifano in Siria quelli là (non fatemeli nominare sennò Facebook mi banna e cancella il post) non è difficile saperlo: basta leggere il “New York Times”, standard aureo del giornalismo perennemente degno  dei riconoscimenti, se non di Pulitzer, di Reporters Sans Frontières (il corrispettivo mediatico di Medicins Sans Frontières e altrettanto cari a quelli là). Se pensavamo che nella provincia nord-occidentale di Idlib si fossero concentrati, accolti, nutriti e armati dai vecchi padrini turchi, tutti i tagliagole Isis e Al Qaida generosamente fatti evacuare dai territori e dalle città da loro abbellite con croci appesantite da infedeli, o con pelli di corpi scuoiati di dissidenti, la lettura del “New York Times” ci libera dall’intossicazione di simili fake news.
L’autorevole giornale che, se non fosse stato per l’assist della CNN, dei media di obbedienza atlantista con, nel nostro piccolo, il “manifesto”, ci avrebbe con le sue sole penne liberato da Milosevic, Saddam, Gheddafi, Assad e dai Taliban, rettifica quella che finora e per troppo tempo, quasi otto anni, è stata un’informazione falsa, bugiarda, truffaldina. Assad, con quegli hackers e troll delle ingerenze urbi et orbi russe, con quegli spiritati di flagellanti sciti, iraniani e hezbollah, voleva farci credere, col supporto di chilometri di audiovisivi fabbricati, raffiguranti giustizieri cha spellavano vivi innocenti, li incendiavano, o li annegavano in gabbie o li crocifiggevano, o ne sposavano a ore le donne, che il suo paese era stato invaaso, non da oppositori democratici assistiti dalla “comunità internazionale”, bensì da un branco di ossessi islamisti attivati da una “comunità internazionale” in preda a psicopatia stragista. Come pretendeva fosse successo in Libia e, poi di nuovo, in Iraq.
No, no, il NYT e i Pulitzer nostrani ci gratificano del privilegio della verità: E’ da far rabbrividire il destino “di combattenti ribelli e dei loro sostenitori civili che, oltre sette anni fa, si sollevarono per chiedere un cambio regime”. Deplorato che il vice primo ministro siriano si sia permesso di definire “terroristi” questi bravi combattenti, il giornale, al quale dobbiamo molto della credibilità delle armi di distruzione di massa di Saddam e del viagra fornito da Gheddafi ai suoi soldati perché stuprassero le connazionali, passa alla descrizione di come gli ingiustamente diffamati ribelli abbiano ben governato la provincia dai turchi loro affidata: “Si sono comportati da legittima autorità di governo e pubblica amministrazione, facilitando, tra l’altro, il commercio transfrontaliero con la Turchia e organizzando forniture di aiuti alla popolazione”. Visto che bravi, si preoccupano di nutrire la popolazione. Altro che Assad, che per principio l’affama.

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Problemi nell’enclave spagnola: si sta avverando la profezia di Gheddafi?

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Immagine correlataSegnalazione di R.G.

Giovedì più di 500 migranti africani hanno oltrepassato le barriere di separazione dell’enclave spagnola di Ceuta e si sono introdotti illegalmente in UE. Già nel 2011 quando sembrava che niente facesse presagire una crisi tanto grave, il leader libico Gheddafi quasi fu in grado di prevedere qualcosa di simile prima del suo assassinio.

Questo è riecheggiato nelle pagine dei giornali di tutto il mondo: di mattina presto la guardia civile spagnola e quella marocchina hanno tentato di impedire a centinaia di migranti con un temperamento aggressivo di oltrepassare il confine tra il Marocco e l’UE. Durante quello che sembra un attacco premeditato le forze dell’ordine sono state attaccate con lanciafiamme, escrementi e sostanze corrosive.

Le forze dell’ordine erano smarrite poiché, sebbene si fossero verificati attacchi a Ceuta anche in passato, i migranti non avevano mai avuto reazioni tanto violente. Nell’area circostante l’enclave spagnola aspettano la loro possibilità di entrare in Europa ancora decine di migliaia di poveri africani.

Sebbene il numero delle nuove richieste di asilo all’UE sia diminuito quest’anno, la crisi migratoria al momento sembra aver raggiunto il suo punto più alto. Centinaia di migranti hanno dimostrato di essere decisi ad entrare in UE e nessuno potrà fermarli.Spinti dalla disperazione e dalla fame sono pronti a mettere a repentaglio la loro stessa vita e la vita degli agenti di frontiera per entrare in Europa. Non accettano i “no”.

La violenza che impiegano contro la polizia è impressionante e dev’essere un segnale d’allarme per Bruxelles. Fino ad ora l’UE non ha risposto a questo incidente, ma, se a breve non sarà elaborato un concreto piano d’azione, vi è il rischio che la violenza e l’anarchia arrivino anche al cuore dell’Europa.

Ancor prima dell’inizio della guerra civile del 2011 il dittatore libico Gheddafi così ammoniva:

“Ascoltatemi bene. Se mi volete soffocare e destabilizzare, farete solo il gioco di Bin Laden e aiuterete i gruppi armati di rivoltosi. Succederà quanto segue. Verrete aggrediti da un’ondata migratoria proveniente dall’Africa che si riverserà in Europa dalla Libia. Qui non ci sarà più nessuno a fermarli”.

Al tempo Gheddafi probabilmente non avrebbe mai immaginato che solo 6 mesi dopo sarebbe stato ucciso dai rivoltosi per la strada dopo l’intervento della NATO. Ma col suo ammonimento Gheddafi aveva ragione sebbene questo non intende giustificare in alcun modo l’operato del despota libico.Fino al 2011 la Libia era il Paese africano più ricco e la meta agognata per le popolazioni eritree e nigeriane che facevano la fame.

Quanto alla popolazione la Libia rientrava fra i Paesi con più immigranti al mondo. Oggi la Libia è unо stato fallito nel quale vi è un doppio governo ma non vi è alcun ordine. Il fallimento di questo stato ha destabilizzato anche i Paesi vicini. Situazioni difficili si osservano praticamente dalla Nigeria alla Somalia. Durante la guerra civile la Francia e gli USA hanno attivamente rifornito di armi i ribelli libici che naturalmente dopo la fine della guerra non le hanno restituite. Le attrezzature militari degli arsenali di Gheddafi furono depredate. Così il Libia si venne a formare un vero e proprio “mercato delle armi”. L’organizzazione Humans Rights Watch ha così ammonito dopo la fine della guerra civile: “È la maggiore distribuzione di armi che abbiamo mai visto. Negli prossimi decenni sarà una minaccia per la regione”. Un simile sviluppo si poté osservare anche in seguito agli interventi americani in Iraq, Afghanistan e, prima dell’intervento russo, anche in Siria.

Oggi la maggior parte delle domande di asilo in Germania è presentata da profughi provenienti dai Paesi di cui sopra. Partono dall’Africa diretti in Europa soprattutto abitanti di Nigeria, Eritrea, Somalia e Chad. Più del 75% dei profughi che arrivano in Europa via mare partono dai porti libici.

La politica della cancelliera tedesca del “in qualche modo ce la faremo” ricorda l’impotenza dell’Impero romano poco prima della sua caduta. I romani non riuscirono a gestire la crisi migratoria quando i Goti erano alle porte e entrarono nell’Impero durante l’attacco degli Unni. Inizialmente i Goti furono accolti pacificamente, venne fornito loro del cibo, ma quando il flusso divenne troppo importante, i romani cominciarono una guerra per fermare i Goti.

Inoltre, le autorità romane corrotte tenevano per loro il cibo e, quando i Goti che abitavano a Roma si accorsero di questo trattamento ingiusto nei loro confronti, scoppiò un’insurrezione. Il celebre storico Alexandr Demandr ha elencato anche altre cause della caduta dell’Impero romano: “Decadenza, ingordigia, modo di pensare antiquato, immobilità e perdita della identità nazionale”. E oggi in Europa pare che molti cittadini dell’Unione ritengano che tutto sia a posto finché hanno un tetto sulla testa, possono andare a mangiare fuori e a farsi le vacanze. La caduta dell’Impero romano cominciò prima della crisi migratoria, dunque i parallelismi sono agghiaccianti. E la leggendaria citazione di Cicerone: “Quousque tandem abutere patientia nostra?” si rivela più attuale che mai se indirizzata alla cancelliera tedesca Angela Merkel e al ministro degli Interni Horst Seehofer.

La politica di sicurezza della Merkel nei confronti dei migranti si distacca dalla politica del suo predecessore, l’ex cancelliere Willy Brandt: “Nella nostra società lavorano circa 2,5 milioni di persone che rappresentano altre nazioni. Siamo arrivati al punto di dover attentamente valutare dove si trovi il limite ultimo al di là del quale non possiamo più accogliere altre persone e la nostra responsabilità sociale finisce”.

Helmut Schmidt dieci anni dopo ammoniva:”Più di 4 milioni di stranieri sono il numero massimo per la società tedesca se non vogliamo avere seri problemi. Non saremo in grado di integrare più di 4,5 milioni di stranieri senza che si presentino conseguenze negative”. Oggi in Germania vivono 10,6 milioni di stranieri e non si parla più da tempo di confini sicuri. Horst Seehofer ha tentato insieme al cancelliere austriaco Sebastian Kurz e ai Paesi del gruppo di Visengrad di presentare un programma alternativo per la risoluzione della crisi migratoria. “I clandestini devono essere espulsi, la difesa dei confini va rafforzata. In Paesi terzi bisogna costruire centri di raccolta dei migranti a cui è stata rifiutata la domanda di asilo e l’agenzia Frontex deve essere convertita in una polizia frontaliera”.

Il punto principale di questo programma è la possibilità di presentare domanda di asilo nel Paese di origine. Dunque, dopo le insurrezioni di Ceuta sorge la domanda: cosa dovrebbero fare questi centri e come andrebbero difesi? La popolazione africana cresce molto velocemente ed entro il 2050 raddoppierà fino a raggiungere 2,5 miliardi. Il flusso di profughi spinti dalla fame, dai problemi economici, dalla corruzione e dalla mancanza di prospettive potrebbe aumentare. È molto probabile che i profughi non accettino il rifiuto della propria domanda di asilo e partano comunque per l’Europa.

In Siria vi è un barlume di speranza perché è lì che al momento si dirige buona parte dei profughi “europei”. Grazie al sostegno russo al presidente Bashar al-Assad è stato possibile scacciare in buona parte l’ISIS dalla Siria e interrompere la guerra civile. Dopo la visita della delegazione russa il presidente siriano ha confermato che a tutti i profughi “sarà garantito un rimpatrio sicuro”. Si sta già lavorando attivamente al rimpatrio dei profughi siriani dai Paesi vicini (Turchia, Libano e Giordania) affinché possano essere parte integrante della ripresa del Paese. Probabilmente in futuro sarà possibile dialogare con Assad per concludere accordi simile per il rimpatrio dei profughi.

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Il problema dell’Africa si chiama Francia

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di Emanuel Pietrobon

Il problema dell’Africa si chiama Francia

Fonte: L’intellettuale dissidente

La Francia è una delle poche (ex) potenze del defunto sistema europeo ad aver preservato e perpetuato dei disegni egemonici su quel che fu il suo impero coloniale, nonostante la perdita di potere relativo, sia in Europa che nel mondo, e l’affermazione di un nuovo ordine internazionale non più eurocentrico. In principio fu Charles de Gaulle a voler impedire l’involuzione della Francia da una grande potenza mondiale ad una potenza regionale in declino ed in posizione periferica nel nuovo ordine post-bellico. A questo scopo, la Francia si dotò dell’arma atomica e tentò di riconquistare gli ex territori imperiali africani attraverso una politica di neocolonialismo economico seguendo l’ambizioso quanto visionario piano per l’Africa francofona elaborato da Jacques Foccart, uno dei più importanti ideologhi e strateghi dell’era gollista. Il piano di rinascita neoimperiale per la Francia di Foccart non puntava soltanto alla riconquista dell’Africa, ma all’espansione su ogni territorio francofono del mondo. In questo contesto si inquadrano il sostegno fornito dallo Sdece, i servizi segreti per l’estero, al movimento separatista quebecchese, e quel controverso “Vive le Québec libre!” gridato da De Gaulle alla folla di Montreal nel 1967. Continua a leggere

QUANDO BERGOGLIO TELEFONÒ A ENRICO LETTA, E PARTÌ L’OPERAZIONE “MARE NOSTRUM”…

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di Marco Tosatti

L’operazione “Mare Nostrum”, che segnò l’inizio della straordinaria ondata di migrazione (alcuni parlando di invasione) dalle coste africane, e in particolare dalla Libia destabilizzata dall’aggressione anglo-franco-americana,  ha avuto uno sponsor eccezionale. Lo rivelano a Stilum Curiae fonti di alto livello del Ministero degli Interni, che all’epoca erano presenti e operative nella stanza dei bottoni. Questa la rivelazione, di cui è stato testimone un alto funzionario del dicastero, oggi in pensione: il Pontefice (da sei mesi, si era nell’ottobre 2013) telefonò all’allora Presidente del Consiglio Enrico Letta per sollecitare un intervento dell’Italia. Mentre si è saputo di una telefonata successiva, quando il governo Letta era in difficoltà, del colloquio del 2013 non si era venuti a conoscenza. Ecco il racconto che ci è stato fatto, e che riportiamo, sicuri della solidità della fonte.

“Come è noto, la pressione migratoria eccezionale che l’Europa e, in particolare, l’Italia stanno vivendo ha avuto origine tra i mesi di ottobre e novembre 2013 quando, a seguito del naufragio di una barca carica di clandestini al largo di Lampedusa, l’Italia decise unilateralmente di varare l’Operazione “Mare Nostrum” allo scopo di raccogliere in mare quanti più migranti possibile, portarli sul territorio nazionale, far fare a tutti la domanda di asilo e trattarli, anziché come clandestini, come richiedenti asilo e, di fatto, come veri e propri profughi. Continua a leggere

La Libia nelle mani dei trafficanti ora guarda all’Italia per una svolta

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di Alessandra Bocchi

La Libia nelle mani dei trafficanti  ora guarda all’Italia per una svolta

Fonte: Il Faro sul Mondo

Le migrazioni per la Libia e dalla Libia sono ancora un problema e, a farne le spese, è la stessa popolazione locale. “I libici vogliono che il fenomeno immigrazione venga fermato”, ci dice Jamal Adel, un ragazzo che fa parte della tribù Tebu a Kufra nel sud-est del Paese.

“Sarebbe un’ottima cosa se il nuovo ministro dell’interno  Matteo Salvini riuscisse a fermare il problema migratorio”, ci dice un altro ragazzo che ha chiesto l’anonimato per motivi di sicurezza e che lavora per un organizzazione che monitora i conflitti a Sebha, una cittadina distrutta dal traffico di persone.

Il ragazzo aggiunge poi che “pochi giornali si interessano di quello che pensano i libici sul fenomeno migratorio ma, in realtà, noi vogliamo che questo fenomeno smetta perché sta danneggiando fortemente il nostro Paese”.

Mac K. B. Simpson, ganese ed esperto di migrazioni che vive a Tripoli, ci dice: “È importante che questo traffico sia fermato prima ancora che i migranti entrino in Libia”.

Per molti libici il problema è da ricercare soprattutto nelle Ong che operano nel Mediterraneo: “I trafficanti contano sulle ong, è già stato provato che collaborano. Inoltre alimentano le mafie libiche e italiane”, dice Adel. Continua a leggere

L’Italia vulnerabile e “commissariata”. E il disastro è appena cominciato

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di Alberto Negri

L’Italia vulnerabile e “commissariata”. E il disastro è appena cominciato

Fonte: Alberto Negri

Cacciato dalla porta del Quirinale, il populismo italico potrebbe trasformarsi in una scomposta ondata nazionalista senza precedenti in un Paese che per altro ha sempre dimostrato uno scarso attaccamento alla bandiera e uno assai maggiore al portafoglio, che oggi langue. Il Mattarella in testa a Paolo Savona, un anziano e stimato signore che si è fatto strumentalizzare dal furbetto Matteo Salvini, è stato un colpo da maestro per respingere, almeno per il momento, i Cinquestelle dalla stanza dei bottoni, ma potrebbe trasformarsi in un boomerang.

Tornare alla caduta di Gheddafi per capire

L’Italia resta un Paese vulnerabile dentro e soprattutto fuori, sui mercati e in politica estera. Vulnerabile anche alle tesi di un complotto internazionale dell’establishment europeo e interno a difesa dell’euro, citato a volte a sproposito come il padre di tutti i guai italiani. Ma un colpevole bisogna pur sempre trovarlo per giustificare la nostra insipienza. Non c’è nessun complotto, per il momento, ma l’evidenza dei fatti. L’Italia è un Paese fragile da quando nel 2011 Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti decisero di far fuori il Colonnello Gheddafi, il suo più importante alleato nel Mediterraneo che soltanto sei mesi prima, il 30 agosto 2010, aveva ricevuto in pompa magna a Roma firmando contratti per decine di miliardi e affidandosi al raìs per il controllo dei flussi migratori. Non solo l’Italia non lo ha difeso ma lo ha bombardato cedendo ai ricatti dei suoi alleati della Nato che minacciavano di colpire i terminali dell’Eni.

E’ stata la maggiore sconfitta dell’Italia dalla seconda guerra mondiale. Le conseguenze sono state devastanti: perdite in denaro colossali e un’ondata migratoria che, anno dopo anno, ha destabilizzato il quadro politico del Paese. Da quel 2011 gli alleati e concorrenti dell’Italia hanno minato i nostri interessi lasciandoci soli e allo sbando. Mentre ieri a Roma si consumava la crisi politica più lacerante degli ultimi anni, Emmanuel Macron ha convocato per domani a Parigi una conferenza internazionale sulla Libia che “si svolgerà sotto l’egida delle Nazioni Unite” per fissare la data delle elezioni. Continua a leggere

L’eterno salvacondotto della Shoah

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di Massimo Fini

L'eterno salvacondotto della Shoah

Fonte: Massimo Fini

Che le dichiarazioni di Abu Mazen (gli ebrei sarebbero in qualche modo responsabili della Shoah) siano inaccettabili, come ha immediatamente dichiarato, fra gli altri, anche l’Unione Europea, non è nemmeno il caso di dirlo. Ci si chiede però, come ha fatto un lettore del Fatto (27.4), Mauro Chiostri, parlando dell’oggi e non del codificato ieri, se lo Stato di Israele non goda di uno speciale salvacondotto basato proprio sullo sterminio ebraico di tre quarti di secolo fa. E’ una domanda, per la verità, che si fanno in molti ma che non osano formulare pubblicamente nel timore di essere immediatamente bollati come antisemiti, negazionisti, razzisti, nazisti. Ma Israele è uno Stato e non va confuso con la comunità ebraica internazionale. In anni meno manichei di quelli che stiamo vivendo attualmente era la stessa comunità ebraica a non volere che si facesse una simile confusione. Ed era logico che così fosse. Perché Israele è uno Stato e, come tale, può compiere azioni criticabili, e anche nefande, ma non per questo ne deve rispondere, poniamo, un ebreo del ghetto di Roma. Oggi invece questa confusione esiste e Israele può compiere impunemente atti che ad altri Stati costerebbero l’indignata condanna, se non peggio, della cosiddetta ‘comunità internazionale’. Continua a leggere

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