Squid Game: il gioco dell’angoscia che fa volare Netflix

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LETTERE DEL LETTORE

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo che si trova anche su: https://www.ilmiogiornale.net/squid-game-il-gioco-dellangoscia-che-fa-volare-netflix/

di Ferdinando Bergamaschi

Squid Game: con questa serie, Netflix si aggiudica il record per la fiction televisiva più vista. In quattro settimane sono 111 milioni le persone che l’hanno seguita finora. E Squid Game supera alla grande un’altra serie proposta sempre da Netflix, Bridgerton, che aveva raggiunto 88 milioni di telespettatori.

Coreani al top

Dopo Parasite al cinema, è ancora la Corea del Sud ad essere la frontiera della fiction di successo. In Squid Game, che nasce da un’idea del regista Hwang Dong-Hyuk, si celebra l’angoscia dell’esistenza. Una vera e propria guerra fra poveri, che vivono sotto il peso di una montagna di debiti. In realtà non si tratta di una guerra ma di un gioco per bambini; ma la sostanza non cambia: è la disperazione che muove i concorrenti di questo gioco. In palio per il vincitore una somma enorme: 45,6 miliardi di Won (la moneta coreana), poco più di 33 milioni di euro. 

La vita in gioco

Ma qual è la trama di questa serie, che sta scatenando molte polemiche per gli effetti che potrebbe avere sul pubblico più giovane? Una misteriosa organizzazione coinvolge 456 persone oberate dai debiti e minacciate dai creditori in un gioco spaventoso. Come nei videogame queste persone dovranno affrontare vari livelli di giochi per bambini. La cosa inquietante è che coloro che perdono vengono uccisi. La posta in palio quindi è la vita stessa. Il tasso di violenza delle serie è molto alto. Solo il vincitore rimarrà vivo e si porterà a casa il montepremi. I giochi a cui questi disperati vengono fatti partecipare hanno solamente tre semplici regole:  

  • il giocatore non può lasciare il gioco;
  • se un concorrente si rifiuta di giocare verrà eliminato (cioè verrà ucciso);
  • il gioco può finire se la maggioranza sarà d’accordo. 

In un ambiente ovattato, ben curato nei minimi dettagli e con scenari di gioco tutti colorati e accompagnati da musichette di sottofondo, una voce fuori campo guida questi poveri malcapitati al massacro, mentre da lontano il padrone del gioco, anch’esso indefinito per via della sua maschera, assiste a queste scene dal suo maxi schermo, sorseggiando il suo cognac.

Spoilerando un pochino, si scoprirà che ad organizzare questo terribile gioco sono dei super ricchi annoiati. Costoro si divertono a fare le loro scommesse sulla pelle di questi emarginati sociali che hanno reclutato. 

Una serie universale

Benché le affinità con La casa di carta, altro grande successo targato Netflix, siano presenti, qui siamo di fronte a un altro scenario. Ne La casa di carta domina l’avventura e un romanticismo di fondo; in quel caso le maschere che coprono il volto non sono anonime e spettrali ma raffigurano il viso di Dalì; la rapina alla Zecca di Stato è il gesto romantico nel quale i rapinatori trovano anche il tempo di baciarsi e cantare Bella Ciao. 

In Squid Game, invece, domina l’angoscia di chi non sa più a cosa aggrapparsi. C’è un realismo macabro. Per quanto ambientata in Sud Corea, questa serie non ha longitudine né latitudine: potrebbe essere girata ovunque.

Crudele aridità

Il peso dei soldi poi schiaccia le persone, che per denaro sono disposte a tutto. In questa serie non c’è più la dicotomia tra buoni e cattivi o tra romantici e aridi. Tutti diventano aridi, tutti sono cattivi. L’unico vincitore guadagna 33 milioni di euro e gli altri 455 sono morti. Ciò che attira lo spettatore è probabilmente proprio questa crudele aridità, questo cinismo portato all’estremo, che è forse la parte oscura e inconfessabile dentro ognuno di noi.

Lo strano gioco della Guardia costiera

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Ora per colpa di Salvini il giocattolo si è rotto, ma loro, evidentemente, non hanno alcuna intenzione di rassegnarsi

di Gian Micalessin

«Una volta è un caso, due volte una coincidenza, tre volte è un’azione del nemico». Matteo Salvini e il ministro delle infrastrutture Matteo Toninelli farebbero bene a rileggersi Ian Fleming.

Le azioni della nave Diciotti, il pattugliatore della Guardia Costiera, per la terza volta al centro di uno scontro con il Governo in meno di due mesi e mezzo, sembrano infatti più delle mosse studiate che non delle semplici coincidenze. La cronaca della sorda diatriba tra la Guardia Costiera, da una parte, e il Ministero delle Infrastrutture, da cui in teoria dipende, e il Viminale dall’altra inizia verso il 10 di giugno. Mentre Salvini raccomanda la fine delle operazioni di soccorso davanti alla Libia e la nave Aquarius di Sos Mediterranee viene tenuta alla larga dai porti italiani, il pattugliatore Diciotti compie ben sette interventi in prossimità delle coste di Tripoli caricando 937 migranti. Migranti che Salvini e Toninelli si vedono costretti obtorto collo a far sbarcare a Catania. Ma le incursioni della Diciotti non finiscono lì.

Il 9 luglio il pattugliatore accosta il rimorchiatore Vos Thalassa e carica 67 migranti che stando ad una versione mai chiarita – minacciavano il personale di bordo colpevole di volerli sbarcare in Libia anziché in Italia. La versione convince poco Matteo Salvini che fa capire di considerarla un pretesto per giustificare l’intervento dell’unità della Guardia Costiera. Ma la mossa fatale capace di portare allo scoperto lo scontro con la Guardia Costiera arriva mercoledì. Quel giorno il pattugliatore Diciotti interviene in soccorso di un barcone con 177 migranti proprio mentre il governo preme su Malta perché lo accolga in un suo porto. Un intervento assolutamente immotivato visto che il barcone non è in pericolo immediato e viene effettuato, come nota Matteo Salvini, all’insaputa del Viminale. «I maltesi ieri avevano assunto la responsabilità di un intervento in aiuto di un barcone con 170 immigrati a bordo spiega il Ministro degli Interni – e una nave della Capitaneria di Porto italiana, senza che al Viminale ne fossimo informati, ha imbarcato gli immigrati mentre ancora si trovavano in acque maltesi, per dirigersi verso l’Italia». Continua a leggere

Helsinki: Trump e Putin hanno cambiato le regole

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Vi spiego perché a Helsinki Trump e Putin hanno cambiato le regole del gioco. Parla Frattini

Il presidente della Sioi, già commissario europeo e ministro degli Esteri, definisce il vertice di Helsinki “una grande vittoria”. L’Europa ancora una volta non è pervenuta C’è chi griderà allo scandalo, accogliendo il presidente Trump al suo ritorno in patria con cartelli di sdegno per aver svenduto il Paese al nemico. Chi invece si farà prendere dall’entusiasmo, ringraziando il Tycoon …

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Italia e Francia sono in guerra (e i migranti sono vittime di un gioco più grande di loro)

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Segnalazione Linkiesta

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Italia e Francia sono in guerra (e i migranti sono vittime di un gioco più grande di loro)

La questione della nave Aquarius è solo parte di un più ampio scontro tra Roma e Parigi che riguarda la destabilizzazione della Libia, i cantieri militari e la Tav. Un conflitto in cui i migranti non c’entrano nulla, ma sono vittime di uno scontro tra due realpolitik speculari e opposte. (di Alessio PostiglioneLEGGI)

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Macron gioca a fare il Napoleone

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di Gian Micalessin

Lui la chiama autorevolezza della democrazia. Sarà, ma quella di Emmanuel Macron, salito in cattedra all’Europarlamento per spiegarci come la diversità di idee sia, per l’Europa, un pericolo assimilabile a una guerra civile, non sembra un’auspicabile rivisitazione della libertà di pensiero.

Non occorre scavar tra le righe per intuire come, nel Macron-pensiero, l’unica idea buona di democrazia sia quella francese. O meglio quella di una Francia sotto la sua guida. O, meglio ancora, quella di un’Europa con lui come nuovo Napoleone. Non illudiamoci. Non è l’ennesima «macronata». Non è una fanfaronata assimilabile alla sparata, già smentita dalla Casa Bianca, con cui s’è attribuito il merito d’aver convinto Trump a restare in Siria. Stavolta siamo di fronte a un progetto. La rifondazione dell’Europa e la riduzione delle sovranità nazionali, i due concetti su cui Macron batte fin da settembre, hanno come punto di partenza la creazione di liste transnazionali per le elezioni europee. Il modello è quello di «En Marche!», la formazione con cui Macron ha fatto piazza pulita di socialisti e vecchia destra gollista a casa propria. Continua a leggere