Mario Draghi e la partita che va oltre il Quirinale…
LETTERE DEL LETTORE
Riceviamo e pubblichiamo l’interessante articolo ricevuto e pubblicato anche su https://www.ilmiogiornale.net/mario-draghi-e-la-partita-che-va-oltre-il-quirinale/
di Ferdinando Bergamaschi
Draghi non è Monti. Non è l’uomo che le élite euroglobaliste in avanzata avevano imposto per il tramite di Napolitano. Non è l’uomo che imporrà politiche assurde di austerity, marchiate “lacrime e sangue”. Mario Draghi è un keynesiano sincero e illuminato che sì, ha lavorato per la Goldman Sachs, ma che evidentemente non ha assimilato dall’alta finanza l’inconfessabile strategia di voler soppiantare popoli e nazioni con un nuovo tipo di uomo completamente sradicato da patrie e territori d’origine. Un tipo d’uomo disposto a tutto pur di rincorrere la neo-divinità “capitale” (che per definizione non ha né patria né territorio).
Il garante italiano
Draghi, checché ne dicano i sovranisti estremisti, è un uomo di ri-equilibrio e di mediazione tra il nazionale e il sovranazionale, che in più di un’occasione non ha temuto di mettersi contro la Bundesbank e i rigoristi. Per queste doti, e quindi per la sua mancanza di servilismo nei confronti degli altri Stati, specialmente di Germania e Francia, il premier italiano a livello internazionale gode di grande considerazione. A maggior ragione dopo l’uscita di scena della cancelliera tedesca Angela Merkel, viene visto come l’uomo forte dell’Europa.
La partita del Colle
Ecco perché nessun partito, escluso Fratelli d’Italia e poche altre frange d’opposizione, vuole fare a meno di lui, anche se per diverse ragioni legate sia alla strategia sia alla tattica e all’opportunismo. Ed è per questo che l’ex governatore della Bce assume un ruolo da protagonista anche nella difficile partita del Quirinale. Anzi, il ruolo che può assumere Draghi in questa partita ne fa forse qualcosa di più che non la semplice corsa al Colle.
Non è affatto da escludere infatti che il presidente del Consiglio voglia consolidare una “scalata al potere” – in senso neutro, né positivo né negativo – che coinciderebbe con le sue ambizioni personali e con quelle dell’Italia. La sua permanenza ai gradi massimi dello Stato potrebbe quindi allungarsi, con una convergenza tra tutti i partiti che lo sostengono.
Questo lo si può dedurre sia da come si è mosso Draghi finora, sia da quello che è il suo tasso di gradimento fra gli italiani. Sul primo punto, il premier si è espresso sinora in modo trasversale: ha abbracciato nel modo più netto possibile la causa della transizione ecologica; ha detto di non volere alzare le tasse (“È il momento di dare, non di prendere”); ha affermato che condivide nello spirito di fondo il reddito di cittadinanza; si è espresso in favore di un patto sociale che coinvolga sindacati e Confindustria.
Draghi politicamente poi si è definito un socialista liberale, e non si può non pensare, rispetto a questa definizione, a due figure in particolare: Carlo Rosselli e Bettino Craxi. Si è messo cioè al centro rispetto all’asse politico formato dai partiti, ma restando pur sempre al di sopra degli stessi.
Circa il secondo punto, che è strettamente legato al primo, il gradimento del premier presso gli italiani rimane altissimo, attorno al 70%.
Verso il presidenzialismo?
Entrambi questi fattori potrebbero così far pensare anche alla possibilità di una svolta presidenzialista della nostra Costituzione sotto l’egida di Draghi, per esempio sul modello francese. Un’ipotesi che già dalla fine degli anni 70 era stata prospettata da Craxi. Il leader socialista si era reso conto che l’eccesso di parlamentarizzazione delle decisioni e del potere di veto rappresentava un grave deficit per le capacità di manovra della Presidenza del Consiglio (e ciò in una logica sia governista, sia come maggior riconoscimento dell’opposizione, allora rappresentata dai comunisti).
Il lodo Giorgetti
Un Draghi come De Gaulle, insomma. Ed è proprio come il generale francese che lo vede uno dei più importanti rappresentanti del Governo, il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti. Intervistato da La Stampa ha affermato anche che “è nell’interesse del Paese che Draghi vada subito al Quirinale”. E ha aggiunto: “Appena arriveranno delle scelte politicamente sensibili la coalizione si spaccherà”, sottolineando che “Draghi non può sopportare un anno di campagna elettorale permanente”.
Allo stesso modo del ministro leghista sembra pensarla Confindustria, che per voce del suo presidente Carlo Bonomi ha definito Draghi “l’uomo della necessità”. Un’ipotesi sottesa anche in un’intervista di Matteo Renzi a La Repubblica, quando il leader di Italia Viva ha detto che l’asse con il centrodestra per la partita del Quirinale “non solo è possibile, ma probabile”.
Appuntamento a febbraio
Percorribile, ma fino a un certo punto, sarebbe invece la strada di riproporre Mattarella al Quirinale fino a fine legislatura, nel 2023, per poi “incoronare” al Colle l’ex presidente della Bce. Come nel caso di Napolitano nel 2013, anche qui servirebbe un’ampissima maggioranza parlamentare per il sì di Mattarella. Ma affinché questo si verifichi, bisognerebbe convincere non solo Meloni ma anche Salvini. E comunque, in questo caso, Draghi dovrebbe sopportare quell’anno di campagna elettorale che paventava Giorgetti. Ecco perché la strada più probabile rimane quella del premier già al Quirinale nel febbraio prossimo.