Sondaggi, la sorpresa su Schlein (e il dato che va visto davvero) e le uscite di Zaia…

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La rilevazione nei sondaggi Ipsos: cresce il Pd della Schlein, cala il centrodestra di Meloni. Ma c’è un grosso “però” da considerare

sondaggi vanno sempre presi con beneficio di inventario, soprattutto quando sono così lontani da una tornata elettorale. E poi casa sondaggistica che vai, risultato che trovi: variazioni percentuali, saliscendi, gradimenti che si muovono anche in base ai temi del momento. Eppure l’ultima rilevazione realizzata da Ipsos per il Corriere della Sera qualche indicazione la dà.  La prima l’avevamo esternata anche nella Zuppa di Porro di ieriElly Schlein alla fine della fiera, nonostante fosse sfavorita alle primarie, non solo ha vinto la sfida delle urne ma sta pure convincendo gli elettori di centrosinistra. Piace a quel circolo di giovani, meno giovani e anziani che vedono nella cancel culture, nel progressismo ambientalista e nel movimentismo emo-lesbo-trans-femminista il futuro della sinistra. Beati loro, vien da dire. Ma la democrazia funziona così. Funziona che fino a l’altro ieri Giuseppe Conte sembrava il sol dell’avvenire della sinistra (“un punto di riferimento fortissimo per i progressisti”, ebbe a dire Nicola Zingaretti) e adesso annaspa dietro Elly. Una Schlein che oltre al vantaggio di essere “nuova” è pure donna. E nella sfida con Meloni la cosa certo di male non fa.

I sondaggi su Elly Schlein

Lo si capisce dai sondaggi sul partito della Schlein. Il Pd è salito di due punti rispetto alla settimana del 23 febbraio 2023: rispetto al 17% cui era crollato, è risalito al 19%. Direte: “Fico”. Ed è vero. Però va anche notato un altro dettaglio: si tratta di una rincorsa affannata se si considera che alle politiche del 2022 il Partito Democratico di Enrico Letta, uscito bastonato dalle urne, raccolse il 19,1%. Cioè più di quanto valgono oggi i dem con Elly. Certo aver recuperato in così poco tempo il terreno perso non è cosa da poco, ma va anche detto che al momento il computo finale dei potenziali elettori dem non è “cresciuto” rispetto all’ultima tornata politica. Staremo a vedere nelle prossime settimane se la crescita di Schlein nei sondaggi continuerà con questi ritmi o se sarà solo la fiammata iniziale. L’obiettivo – alle prossime europee – sarà fare meglio di quel 22,7% raccolto nel 2019 dai suoi predecessori. Al momento mancano ancora 3,7 punti percentuali. Tanti.

Cala il centrodestra, ma…

E arriviamo agli altri partiti. Mentre il Pd cresce, il M5S scende: dal 17,5 di due settimane fa siamo arrivati al 16,8% con un saldo negativo di -0,7%. In negativo anche tutti i partiti di centrodestra: -0,7% per Meloni, -0,6 per Salvini, -0,2 per Berlusconi e -0,2 per Noi Moderati. Occhio anche qui, però: il dato riguarda la differenza rispetto all’ultimo sondaggio del 23 febbraio. Ma se osserviamo la differenza col risultato elettorale alle Politiche del settembre 2022, scopriamo che Meloni sta al 30,3% rispetto al 26% di cinque mesi fa mentre gli alleati annaspano (Lega: 8%, Forza Italia: 7,2%).

Per approfondire:

Le coalizioni: chi vince?

Interessanti anche i numeri sulle coalizioni, che poi a ben vedere è la partita dove si gioca il governo del Paese. Al momento Ipsos assegna al centrodestra il 46,5% dei voti e al centrosinistra il 24,5%. La distanza è netta, anche aggiungendo al centrosinistra la probabile alleanza col M5S (totale giallorossi: 41,3%). Guardiamo il dato rispetto alle elezioni del 2022: quando Meloni scoprì di essere la prima donna premier d’Italia, il contatore delle coalizioni diceva centrodestra al 43,8% (oggi il dato è maggiore del +2,7%), il centrosinistra al 26,1% (oggi il dato è inferiore del -1,6%) e l’eventuale alleanza giallorossa al 41,5% (esattamente come oggi). Cosa significa? Significa che al momento, al netto delle oscillazioni mensili e del calo nelle ultime settimane, la distanza tra centrodestra e centrosinistra non è cambiata. Per ora vince ancora Meloni. Domani, chissà.

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NOTA DI “CHRISTUS REX”: E’ innegabile, in questo contesto, che le dichiarazioni del Governatore leghista del Veneto Luca Zaia, favorevole al centro per il cambio di sesso all’ospedale di Padova, così come quelle del deputato Centinaio che apre alle unioni di fatto tra persone dello stesso sesso, sono assist di grande aiuto alla politica della Shlein che il segretario Matteo Salvini non può permettersi di liquidare con un semplice “non è una priorità”, riferito al concetto fluido di civiltà di Zaia. L’orizzonte valoriale dei conservatori deve essere differente da quello dei progressisti, altrimenti si alimentano l’astensionismo e la confusione. Restando, comunque, ciascuno libero di cambiare strada, percorso e…partito.

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Il gender legalizzato distrugge la famiglia

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per Informazione Cattolica, tradotto in spagnolo e pubblicato su Info Hespania

IL CONTENUTO DI CERTE LEGGI SOVVERTE COMPLETAMENTE IL DIRITTO E L’ORDINE NATURALI

In Spagna, giovedì scorso, sono entrate in vigore le nuove leggi su trans e aborto. Ora, i minori di 16 anni possono cambiare nome e autodeterminare la propria identità di genere nel Registro civile attraverso una semplice dichiarazione, senza la certificazione medica che attestava la «disforia di genere». Non saranno più necessari i due anni di trattamento ormonale: le persone trans potranno scegliere se prendere ormoni o farsi operare. E vuol dire anche che le ragazze di 16 e 17 hanno la libertà di decidere di interrompere la gravidanza senza l’autorizzazione dei genitori.

La legge trans proibisce le terapie di conversione e consente a donne sole, lesbiche e bisessuali di poter accedere a tecniche di riproduzione assistita all’interno del Sistema nazionale di salute spagnolo. Le madri lesbiche e bisessuali sono considerate madri biologiche anche se non hanno partorito. Ovviamente, nel pacchetto non potevano mancare le sanzioni per chi non è d’accordo, ovvero dimostra odio verso queste persone o le discrimina, magari negando l’affitto di un appartamento: da 10.001 a 150mila euro di multa. Oltre alla pillola del giorno dopo gratuita nei centri di salute sessuale e riproduttiva ed altre amenità, evidentemente c’è la necessità dell’indottrinamento della gioventù, tramite l’introduzione dell’educazione sessuale diventa materia d’insegnamento nelle principali tappe educative.

Il contenuto di queste leggi sovverte completamente il diritto e l’ordine naturali, perciò divine, in materia di bioetica. Leggiamo nel Vangelo di San Matteo (18, 1-20) parole dure e impietose da parte di Gesù Cristo nei confronti di coloro che corrompono la purezza dei ragazzini: “chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse legata una macina d’asino al collo e che fosse sommerso nel fondo del mare. Guai al mondo per gli scandali! Perché è necessario che avvengano gli scandali, ma guai a quell’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!”. Il premier italiano Giorgia Meloni, in una intervista al settimanale Grazia, uscito da qualche giorno, ha usato parole forti contro queste pratiche, condannando sia l’utero in affitto che la teoria gender. Ha definito l’utero in affitto “la schiavitù del terzo millennio”, poi sulla cosiddetta “teoria gender” ha sottolineato che “le donne sono le prime vittime”: “è la legge italiana a dire che questa pratica non è lecita, non io. Non credo che commercializzare il corpo femminile e trasformare la maternità in un business possano essere considerate delle conquiste di civiltà […]”. Il Presidente del Consiglio ha aggiunto che “…i bambini hanno il diritto di avere il massimo: una mamma e un papà”. Se dalle parole seguiranno i fatti, con questo governo l’Italia dovrebbe scongiurare leggi come quella approvata in Spagna.

Papa Leone XIII diceva che “la famiglia è la cellula della società; se essa è sana, tutto l’organismo prospera; se essa è malata l’intera comunità deperisce e muore”. Vi sono esorcisti che sostengono apertamente il desiderio espresso dal demonio di distruggere la famiglia naturale per ribaltare l’ordine divino e attraverso la perversione portare a sé il maggior numero di anime. possibile. “San Tommaso d’Aquino sostiene che a causa di tutte le dipendenze, soprattutto a causa della dipendenza dall’impurità, gli uomini sono allontanati da Dio. Il peccato di impurità viene chiaramente definito nella sua perversa ossessione come continuativo nell’accumulo di essi, in pensieri, parole, sguardi, per compiacenza, per atti fisici. Secondo San Gregorio, dall’impurità deriva la cecità della comprensione, della distruzione dell’odio verso Dio e della disperazione per la vita eterna. Sant’Agostino dice che anche se gli impuri invecchiano, la dipendenza dall’ impurità non invecchia in loro. Per questo il demone si diletta su questo peccato più di tutti gli altri: perché l’appetito per i piaceri carnali è insaziabile” (Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, omelia della XVI domenica dopo Pentecoste).

Esiste, oramai platealmente, un’aggressione culturale, politica e giuridica alla famiglia, cominciando dal Sessantotto e in particolare dall’introduzione della legge sul divorzio, per arrivare al gender e alle unioni civili, grazie alle quali si permette di definire famiglia ciò che famiglia non può essere. Uno dei compiti del laicato è quello di preservare il diritto naturale, di non cedere alle aberrazioni indotte dalla Sovversione, riconoscendo nel globalismo voluto dalla galassia sinistra globale, il male che progressivamente distrugge l’uomo e lo usa per i suoi fini che non hanno mai avuto caratteri di nobiltà, quanto di decadenza.

 

La Destra di governo: continuità o involuzione?

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di Redazione

Ogni cattolico e persona di buon senso dovrebbe inorridire di fronte al blocco di ogni azione contro la legge 194 sull’aborto. Il Governo più a destra che l’Italia abbia mai avuto sembra non avere il coraggio di abrogare una legge abominevole. In Ungheria la destra è molto più coraggiosa. In alcune zone degli Stati Uniti pure. Addirittura in Israele l’estrema destra si fa sentire in modo molto rumoroso. In Italia, l’impressione è che vi sia una destra ostaggio di alcuni poteri forti, che governa lo status quo, lanciando dei contentini per non essere paragonata del tutto a Draghi.

di Fabio De Maio – La Terra dei Padri

Gli analisti politici ed i media in generale sono piuttosto concordi nel ritenere che l’azione del governo italiano nel drammatico scenario creato dal conflitto  in Ucraina sia in sostanziale continuità con il governo Draghi e che la visione generale della politica estera italiana del governo Meloni  sia la logica prosecuzione dei governi precedenti, soprattutto nell’adesione agli interventi militari e di “ peacekeeping”  della Nato, adesione che l’Italia non ha mai fatto mancare dal 1999(Serbia) al 2004(operazione Antica Babilonia in Iraq) al 2011. Nel 1999 e nel 2011 la partecipazione  italiana fu fondamentale per la concessione delle basi di Aviano e di Sigonella la cui posizione strategica era essenziale per la conduzione di queste operazioni, è quasi  superfluo ricordare che non vi era nessun obbligo dal punto di vista dell’appartenenza all’Alleanza Atlantica, in quanto nessun membro della Nato era minacciato militarmente da terzi; la situazione attuale è comprabile, non vi è nessun automatismo che sancisca la fornitura di armi all’Ucraina ma si tratta di considerazioni politiche e strategiche  esterne ai criteri previsti dal Patto atlantico.

Eppure, se si entra dello specifico delle dichiarazioni e degli interventi del governo italiano, a partire da quelli di Giorgia Meloni, nei vari summit internazionali, si possono notare differenze anche sostanziali rispetto all’approccio comunicativo dei governi precedenti. Nel 1999 Massimo D’Alema che era arrivato alla Presidenza del Consiglio con un colpo di mano parlamentare studiato per defenestrare Romani Prodi e per portare lui a guidare il nuovo governo  , primo ex comunista a ricoprire tale carica, ebbe un approccio “soft” nel motivare la decisione di fornire basi ed aerei per l’attacco alla Serbia, si parlava di intervento necessario per evitare massacri della popolazione civile in Kossovo, di volontà della Comunità Internazionale (anche se la Nato si mosse senza l’avallo ufficiale dell’Onu), di impossibilità dell’Italia di sottrarsi all’impegno con gli alleati, con un pessimismo levantino di fondo sul “destino” dell’Italia e del suo ruolo strategico. Vale anche la pena di ricordare il pudore, venato certamente da una buona dose di ipocrisia, di Armando Cossutta, leader della fazione comunista fuoriuscita dal Prc di Bertinotti, fondamentale per la nascita del governo D’ Alema che durante un’intervista a Porta a Porta finse di restare sorpreso dalla notizia, data in diretta dal conduttore, sulla partecipazione degli aerei italiani al bombardamento di Belgrado, secondo un comunicato emesso dal Ministero della Difesa.

Nel 2011 il governo di Silvio Berlusconi che aveva concluso un importante Accordo di amicizia e cooperazione con Gheddafi due anni prima si trovò al solito  bivio tra l’interesse nazionale e la fedeltà/servilismo atlantici, ci fu un dibattito anche aspro all’interno della maggioranza che lo sosteneva, il Presidente della Repubblica Napolitano ebbe un ruolo fondamentale nel convincere il riottoso Berlusconi ad allinearsi alle richieste degli “alleati”, il Ministro della Difesa  La Russa, capofila degli ultras atlantici dichiarò sospeso il trattato con la Libia, nonostante le clausole dell’accordo non prevedessero sospensioni unilaterali ma solo concordate, a riprova, se mai ve ne fosse bisogno che spesso il Diritto Internazionale è una coperta molto corta che viene tirata da una parte all’altra senza troppe remore.

“Sic transit gloria mundi” fu la frase con cui Berlusconi commentò la notizia della barbara uccisione in diretta televisiva del leader libico Gheddafi che aveva lui stesso ricevuto in pompa magna pochi mesi prima, una cupa confessione dell’impotenza di un leader politico di un paese a sovranità molto limitata e una mesta  rassegnazione anche verso il proprio destino politico che lo avrebbe portato alle dimissioni, pochi mesi dopo che conclusero per sempre la sua esperienza governativa.

La novità della Destra di governo è l’orgoglio e la fierezza con cui vengono motivare le decisioni sulle forniture di armi all’Ucraina che chiaramente preludono ad un intervento diretto che andrà anche oltre il supporto logistico. Giorgia Meloni parla apertamente di difesa dei valori di libertà e democrazia, di Occidente come portatore unico di questi valori che vanno difesi ad ogni costo dall’attacco di coloro che ne rappresentano la negazione, vi è in un certo senso la rivendicazione di tutte le guerre per la democrazia che hanno caratterizzato le politiche atlantiche dal 1989 in poi.

Va anche sottolineato che la destra italiana ed il suo leader hanno in realtà sempre manifestato ammirazione e vicinanza alla  Russia di Vladimir Putin, dichiarandosi spesso vicini alle decisioni prese dalla Russia stessa, in particolare sul teatro siriano, nonostante il fatto che queste decisioni fossero  in contrasto frontale con gli interessi statunitensi che hanno cercato di provocare la caduta di Assad per un decennio, armando ogni sorta di gruppi di terroristi, spacciati spesso per “ribelli moderati”. Del resto la stessa Meloni aveva più volte appoggiato le scelte russe sul teatro ucraino nel periodo post- Maidan, a partire dallo stesso referendum in Crimea svoltosi nel 2014 che ne  sancì il ricongiungimento alla madrepatria.

Ma l’elemento chiave che rappresenta la rottura con il passato è la sconfessione della tradizionale  politica estera italiana della Prima Repubblica, improntata al dialogo con l’Europa dell’Est e con i paesi del Mediterraneo, Giorgia Meloni ha dichiarato testualmente “con la scelta di sostenere l’Ucraina noi possiamo dialogare con i nostri Alleati con pari dignità, noi non siamo più l’italietta  degli accordi sotto banco, la nazione che non mantiene gli impegni e che viene derisa nei consessi internazionali.”

Questa posizione segna una discontinuità reale con decenni di diplomazia “prudente”, bollata di fatto come rinunciataria e senza spina dorsale, non vi è nulla al di fuori del blocco atlantista che rappresenta il nostro immutabile destino, a poco servono i richiami alla figura di Enrico Mattei fatti durante la visita in Algeria, Giorgia Meloni sa perfettamente che Mattei nel dopoguerra  lottò proprio per  affrancare l’Italia dal gioco economico-militare dell’atlantismo e pagò questo suo sforzo realmente patriottico con la vita.

La conversione definitiva della destra italiana in un partito neo-con è arrivata al suo compimento proprio nel momento dell’assunzione delle  responsabilità di governo, del resto nella lotta dura contro il  reddito di cittadinanza, al di là delle evidenti storture attuative, sono evidenti i richiami alla visione dei cosiddetti  Padri fondatori del continente nord americano, in questo Giorgia Meloni ha sostituito egregiamente il Partito Democratico come forza che garantisce un Italia legata a doppio e triplo filo all’Alleanza Atlantica ed al suo dominus americano.

Ora le maschere hanno preso definitivamente forma, nel momento forse più drammatico vissuto dall’Italia dal dopoguerra ad oggi.

Foto: HuffPost

29 gennaio 2023 – fonte: https://www.ideeazione.com/la-destra-di-governo-continuita-o-involuzione/

Pensioni: i nuovi requisiti per accedere a Quota 103

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di Pierpaolo Molinengo

Inizia a prendere forma la pensione anticipata flessibile per il 2023: stiamo parlando di Quota 103, prevista direttamente dalla Legge di Bilancio 2023. Dal 1° gennaio i lavoratori dipendenti avranno la possibilità di andare in quiescenza al compimento dei 62 anni con 41 anni di contributi.

È bene ricordare, comunque, che i diretti interessati, fino a quando non saranno in possesso dei requisiti standard – ossia i 67 anni – percepiranno un assegno previdenziale che non potrà, in nessun caso, superare cinque volte il trattamento minimo.

Pensione, ecco cosa cambia

La Legge di Bilancio dedica ampio spazio al tema delle pensioni: si passa, infatti, dall’Ape Sociale fino ad Opzione Donna. Quest’ultima, tra l’altro, è oggetto di un importante ritocco. Vengono, inoltre, stabiliti nuovi criteri per procedere alla rivalutazione delle pensioni minime.

Ad attrarre maggiormente l’attenzione dei lavoratori, però, è senza dubbio Quota 103, che permetterà di andare in pensione con 62 anni e 41 di contributi. Si tratta, in altre parole, di una sorta di Quota 41 con alcune modifiche.

Ma come funzionerà nel dettaglio questa nuova misura? A spiegarlo è stata la stessa Giorgia MeloniPresidente del Consiglio, che nel corso della conferenza stampa di presentazione della Manovra ha affermato che “chi decide di entrare in questa finestra, fino a maturazione dei requisiti, non potrà prendere una pensione superiore a cinque volte la minima”. In altre parole questo significa che, quanti hanno intenzione di andare in pensione tra i 62 ed i 67 anni, riceveranno un assegno previdenziale che non potrà superare un determinato limite.

Quota 103 ha un altro limite: fino a quando non vengono maturati i requisiti per accedere alla pensione di vecchiaia, non è cumulabile con i redditi da lavoro dipendente o autonomo. L’unica eccezione è rappresentata da quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, che devono, comunque, rimanere al disotto dei 5.000 euro lordi l’anno.

Un premio per chi rimane al lavoro

Chi dovesse decidere, invece, di non andare in pensione e volesse rimanere al lavoro – anche se è in possesso dei requisiti per l’anticipata – riceverà un bonus. Questa sorta di premio è costituita da un esonero contributivo del 10%, che permette un aumento dello stipendio della stessa misura.

La Manovra contiene anche la proroga dell’Ape Sociale e di Opzione Donna, anche se in quest’ultimo caso sono state introdotte alcune modifiche. Sostanzialmente, quindi, viene confermata la pensione per i lavori usuranti, disoccupati, invalidi e caregivers.

Per quanto riguarda Opzione Donna, invece, è importante segnalare che le lavoratrici avranno la possibilità di andare in pensione con 35 anni di contributi. Devono, però, accettare il calcolo contributivo dell’assegno previdenziale, nei seguenti casi:

  • a 58 anni d’età per donne con due o più figli;
  • a 59 anni con un figlio;
  • a 60 anni negli altri casi.

Sicuramente queste novità sono particolarmente interessanti per i lavoratori. Giorgia Meloni ha comunque ribadito che l’obiettivo dell’esecutivo è quello di procedere verso una nuova riforma delle pensioni, che sarà completata entro la fine del prossimo anno. Le misure che vengono introdotte come la Legge di Bilancio 2023 sono transitorie, perché, in questo momento, i tempi sono troppo stretti per completare una riforma previdenziale.

Bonus e aiuti: alcuni arriveranno in busta paga, altri direttamente a casa

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di Pierpaolo Molinengo

A dicembre sono in arrivo alcuni bonus ed aiuti direttamente in busta paga. Altri sussidi, invece, arriveranno direttamente nelle tasche dei contribuenti. I lavoratori dipendenti riceveranno entro la fine del 2022 fringe benefit esentasse più alti, il credito d’imposta, la possibilità di rateizzare le bollette e il bonus sociale per le famiglie meno abbienti. Questi, in estrema sintesi, sono gli aiuti che il governo guidato da Giorgia Meloni ha previsto con il Decreto Aiuti Quater, che è stato approvato dal Consiglio dei Ministri e di cui, ora, si attende la pubblicazione in “Gazzetta Ufficiale”.

Sostanzialmente siamo davanti a un intervento del valore di 9,1 miliardi di euro. È destinato a fronteggiare la crisi energetica e la questione, più generale, del caro vita. In estrema sintesi, il testo ha prorogato i bonus e gli aiuti in busta paga, che erano già stati previsti dal precedente governo, guidato da Mario Draghi. Sono state, inoltre, introdotte alcune novità il cui scopo è quello di rendere meno complesso ai lavoratori, almeno sotto il profilo economico, l’ultima parte dell’anno. Grazie ai bonus e ai contributi che arriveranno nel corso delle prossime settimane direttamente in busta paga, il salasso delle bollette dovrebbe essere più leggero per molti italiani. Soprattutto per quelli che appartengono alla classe sociale medio-bassa e per le aziende energivore.

I bonus previsti a fine anno

Gli aiuti non arrivano unicamente ai lavoratori dipendenti. Fino alla fine dell’anno è stato confermato il credito d’imposta del 40% alle aziende, che sono costrette a consumare di più. L’agevolazione arriva come uno sconto diretto nelle bollette di luce e gas. La misura è riservata alle imprese che hanno la sede sociale in Italia: permette di rateizzare gli importi eccedenti l’importo medio contabilizzato nell’intero 2021 per i consumi effettuati nel periodo 1° ottobre 2022 – 31 marzo 2023 e fatturati entro il 31 dicembre 2023.

Anche a dicembre è confermato il cosiddetto bonus sociale, che fino a oggi ha permesso di sterilizzare gli aumenti delle bollette, almeno per le famiglie con un Isee fino a 12 mila o 20 mila euro nel caso in cui si tratti di una famiglia con figli. Nel momento in cui sarà approvata la Legge di Bilancio, potrebbe cambiare il meccanismo di erogazione.

Molto probabilmente sarà eliminato il vincolo Isee. Il bonus, però, potrebbe essere limitato alle fasce sociali meno abbienti: il nuovo meccanismo, per il momento, è ancora in fase di elaborazione, ma sembra che renderà la fruizione più rapida. Sono molte le famiglie che rientrano nella platea dei potenziali beneficiari, ma non hanno ricevuto il sostegno perché non hanno ancora presentato la Dichiarazione Sostitutiva UnicaGiancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia, starebbe ragionando sulla possibilità di sfruttare la modifica per allargare ulteriormente la platea o rendere più forte lo sconto, andando a ridurre ulteriormente il costo di luce e gas per i meno abbienti.

Agevolazioni in busta paga

Tra le agevolazioni che arrivano direttamente in busta paga ci sono i fringe benefit, la cui soglia esentasse passa da 600 a 3.000 euro. I datori di lavoro potranno utilizzare questo strumento – che è totalmente a loro carico – per fornire beni e servizi ai propri dipendenti. Tra questi possono rientrare anche le utenze di luce, acqua e gas di casa.

Questi bonus, direttamente in busta paga, sono una vera e propria misura di welfare, che i datori di lavoro hanno la possibilità di erogare ai propri dipendenti, sotto forma di voucher per affrontare varie spese, come visite mediche, buoni pasto, prestiti agevolati, auto aziendali, bollette. Il precedente esecutivo, guidato da Mario Draghi, aveva portato il tetto dei fringe benefit esentasse da 258,23 a 600 euro. Il nuovo decreto ha quintuplicato la somma massima esentasse che le aziende possono erogare ai propri dipendenti.

E se la critica alla post-modernità mettesse allo stesso tavolo progressisti e conservatori?

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/10/24/e-se-la-critica-alla-post-modernita-mettesse-allo-stesso-tavolo-progressisti-e-conservatori/

PROVIAMO AD ACCANTONARE PROGRESSISMO E CONSERVATORISMO, LIMITANDOCI AD UN SENSATO, RAGIONEVOLE ANTI-POSTMODERNISMO: POTREBBE ESSERE UTILE?

Una cascata d’odio preventivo si è scaricata su Giorgia Meloni e sul nuovo governo di centrodestra. Non ho ricordi di assistere ad una tale violenza verbale, soprattutto da parte delle femministe e delle sinistre globaliste, che si ammantano di una supposta superiorità intellettuale e morale, degli ideologi dell’uguaglianza, della fratellanza, della libertà assoluta e della tolleranza universale. E’ davvero meschino l’attacco personale e familiare, per ottenere vantaggi in termini di visibilità o followers. Un gran boomerang questo travaso di bile arcobalen(g)o, se si esce dai salotti e dalle redazioni dei quotidiani, ove, invece, giornalisti d’esperienza, come ad esempio Gad Lerner, non sono caduti in questi metodi grossolani, da pescivendoli/e frustrati.

Le sinistre sono terrorizzate davvero del ritorno del Fascismo nel centenario della Marcia su Roma che si celebrerà la prossima settimana (28 ottobre 1922 – 28 ottobre 2022)? No. E’ tutta una messa in scena per aggiungere all’odio la paura di una destra autoritaria. Fa parte del loro metodo comunicativo di sempre. Lo stesso che ha fatto passare per decenni la Resistenza partigiana per la componente maggioritaria che ha liberato il Paese dai nazisti, mentre fu solo un modesto supporto alle truppe regolari Alleate. E meno male che la sua componente maggioritaria, ovvero quella social-comunista non è riuscita a prevalere, altrimenti a Palazzo Chigi sarebbe stata issata la bandiera di Stalin fino al crollo del muro di Berlino…

Anche a sinistra ci sono persone intelligenti, che non si fanno annoverare tra questi personaggi lugubri e invasati, che non temono alcun fascismo e lo dicono espressamente. Penso a Massimo Cacciari, ma anche al direttore de Il Fatto. quotidiano, Antonio Padellaro. Non esiste alcuna possibilità di rinascita, per prima cosa perché manca un duce, col carisma e la capacità di aggregare tutto ciò che non sia Sovversione sinistra.

In secondo luogo perché la crisi economica non è simile a quella del primo dopoguerra e le contingenze internazionali soffocherebbero sul nascere ogni minimo tentativo in tal senso. Lo spauracchio del fascismo si risolverà, invece, con un momento di pubblico dibattito storico-politico fuori dal coro del Pensiero unico, qualche Messa di suffragio e con tante iniziative conviviali tra qualche cimelio. Nulla da temere, per chi ha ancora buon senso.

Il mainstream istituzionale chiede, ancora, al premier Meloni di sconfessare il Ventennio, con una bolsa retorica anacronistica e con cerimonie che interessano solo a quattro gatti e a Paolo Berizzi. Giorgia Meloni, per evitare di essere bloccata per settimana dalle polemiche per questi inutili riti, li compirà, così da poter dare risposte concrete alle priorità dei nostri connazionali.

Ci sono quattro cose da fare subito, accantonando i bottiglioni di lambrusco con l’etichetta del Duce: 1) aiuti a famiglie e imprese per le bollette; 2) ripartire con le trivellazioni in mare; 3) cancellare il reddito di cittadinanza come è concepito adesso; 4) abrogazione degli assurdi e dannosi obblighi vaccinali per medici e infermieri, al fine di farli tornare subito in corsia. Credo che per capire quale sia l’imprinting generale dell’azione governativa, sarebbe indispensabile leggere e studiare, prima Tolkien e poi Alain De Benoist.

Entrambi gli autori, il primo soprattutto sul piano spirituale, fortemente cristiano, il secondo su quello più specificatamente ideale e politico, insegnano come si possa essere aperti al progresso senza essere egualitari, conservatori senza soccombere a un economismo volgare e un tradizionalista senza essere ottuso. Così si esprimerebbe il giornalista e intellettuale americano Keith Preston, che non è annoverabile tra le persone in linea con noi.

L’attacco diretto è al concetto di democrazia moderna, che fa riferimento a “Democrazia: il Dio che ha fallito” (2007) di Hans Hermann Hoppe. De Benoist e Carl Schmitt vedono nel liberalismo il principale problema, superando anche le giuste critiche da monarchico cattolico e conservatore come Hoppe. L’apertura che Alain De Benoist fa alle nozioni di “democrazia partecipativa” o “democrazia diretta”, avanzate da alcuni filoni di sinistra, potrebbero alimentare il dibattito in un’ ottica multipolare del mondo.

Pertanto, ha perfettamente ragione De Benoist, quando scrive che “la tendenza attuale…consiste nel convertire ogni sorta di richieste, desideri o interessi in ‘diritti’. Gli individui, nel caso estremo, avrebbero il “diritto” di vedere soddisfatta qualsiasi domanda, per il solo fatto di poterla formulare. Oggi, rivendicare diritti è solo un modo per cercare di massimizzare i propri interessi“. Si potrebbe partire da questi due assunti per cercare una sintesi e non demonizzare l’avversario come prassi ideologico-culturale. Per dirla con Gilbert K. Chesterton (1874-1936), proviamo ad accantonare progressismo e conservatorismo, limitandoci ad un sensato, ragionevole anti-postmodernismo. Potrebbe essere utile a tutti.

Posizione strategica e basi militari statunitensi: i rischi per l’Italia

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di Mario Porrini

Fonte: Italicum

La vittoria elettorale della coalizione di centro-destra prefigura, salvo imprevisti da non escludere a priori, la formazione di un governo a trazione Fratelli d’Italia. Questa eventualità, ha suscitato timori e fatto nascere speranze di cambiamenti radicali, sia nel campo economico che della politica estera. Naturalmente timori e speranze sono del tutto fuori luogo perché nulla cambierà, a parte qualche intervento di facciata.

Uno dei punti cardine cui il nuovo esecutivo dovrà dimostrarsi affidabile riguarda la posizione italiana sullo scenario internazionale e Giorgia Meloni, che presumibilmente avrà l’incarico da Mattarella, si è subito preoccupata di tranquillizzare gli americani sulla fedeltà alle vecchie alleanze, anche perché deve farsi perdonare dall’attuale amministrazione USA, gli attestati di stima che aveva rivolto a Trump, in occasione della sua elezione alla Casa Bianca. Per cercare di accreditarsi come fedele alleata deve inoltre cercare di tenere a badai suoi alleati Salvini e Berlusconi, frenando le loro esternazioni filo-Putin. I suoi tentativi di “captatio benevolentiae” nei confronti di Biden, l’aveva spinta, già in campagna elettorale ad affermare che, la Destra è lì, salda, dal dopoguerra nella sua adesione all’Alleanza Atlantica; che avrebbe continuato a sostenere l’Ucraina sia economicamente che con l’invio di armi; che avrebbe mantenuto le sanzioni alla Russia. La Meloni cerca di mascherare il suo atlantismo di ferro dietro la retorica dell’Europa, sostenendo che la Nato dovrebbe essere composta, da due colonne, una americana ed una europea e per cercare di giustificare la sua intenzione di aumentare le spese militari, come richiesto espressamente da Washington, ha aggiunto una spruzzatina di sovranismo spicciolo, dichiarando che queste spese rappresentano “il costo della libertà. Vogliamo essere alleati, non sudditi ma essere alleati e non sudditi ha un costo”.

In realtà lo status dell’Italia appare sostanzialmente quello di un paese suddito, sottoposto ad una vera e propria occupazione militare che dura dal 1943. Il nostro paese “ospita” ben 120 basi Nato ufficiali e 20 segrete ed almeno in due di queste, Aviano, presso Pordenone e Ghedi in provincia di Brescia sono stoccate circa 70 testate nucleari. A Sigonella  nella piana di Catania, si trova il principale hub dell’Aviazione di Marina Usa, oltre ad essere la più attrezzata base logistica in appoggio alla sesta Flotta americana nel Mediterraneo. In questo sito, sono dislocati i famosi droni spia “Global Hawk” essenziali per le missioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione e sempre da questa base partono i droni d’attacco “Reaper”. A Napoli,dal 2013, si trova la sede dell’Allied Joint Force Command, che rappresenta uno dei due comandi strategici operativi assieme all’Allied Joint Force CommandBrunssum, dipendente direttamente dall’AlliedCommand Operations del “Supreme Headquarters AlliedPowers Europe”, il quartier generale supremo delle potenze alleate in Europa.Il comandante ha la responsabilità anche della VI flotta della Marina statunitense, che oltre alle basi di Sigonella e, appunto, Napoli, dispone di un attracco nel porto di Gaeta. A Mondragone, in provincia di Caserta, c’è invece il sotterraneo antiatomico per il comando americano e Nato da utilizzare in caso di guerra. A Vicenza, nella caserma Carlo Ederle c’è la base dell’Esercito Usa, con il 173esimo Airborne Brigade Combat Team e lo United States Army Africae dal  2013 un altro campo ha affiancato l’Ederle, il Camp Del Din. A seguire, a Motta di Livenza a Treviso, nella caserma Mario Fiore, è di stanza il “Multinational Cimic Group”, reparto multinazionale interforze. La Spezia ospita il “Centre for maritimeresearch and experimentation”, specializzato in ricerche di tipo scientifico e tecnologico.  In quel di Poggio Recanatico, a Ferrara, c’è il “Deployable Air Command and Control Xentre” all’interno della base. Nel porto di Taranto si trova il comando delle forze navali e anfibie concesso dall’Italia alla Nato.

Soltanto scorrendo questo elenco che a taluno potrà sembrare anche noioso, comprendente comunque solo una minima parte degli oltre 120 siti, si capisce come nel nostra paese ci sia una presenza spropositata di basi e caserme americane che ha pochi eguali nel mondo. Vero e proprio esercito di occupazione e come tale si comporta, potendo godere di uno speciale status tipico del conquistatore: i militari americani infatti, di fatto, non rispondono alla giustizia italiana dei reati commessi in Italia. Dalla terribile strage del Cermis alla recente uccisione di un ragazzo di 15 anni a Pordenone, investito da una macchina guidata da una soldatessa statunitense ubriaca, i responsabili godono di una sostanziale immunità alle leggi italiane e sono soggetti soltanto alla giurisdizione americana. Il nostro paese è tornato ad essere una semplice espressione geografica la cui posizione al centro del Mediterraneo, la rende strategicamente troppo importante.

Lucio Caracciolo, direttore di Limes, in un articolo pubblicato su “La Stampa”, facendo il paragone con lo scontro tra Washington e Pechino sulle rotte dell’Indo-Pacifico sostiene che “siamo la Taiwan del Mediterraneo”. “Il centro di quel mare è Taiwan, del nostro l’Italia” dice che “rispettate le proporzioni, la sfida fra Stati Uniti, Cina e Russia si deciderà sul controllo dello Stretto di Taiwan e di quello di Sicilia. Perni delle rotte oceaniche che legano Cina e America via Eurafrica”.”Nel contesto bellico in espansione, visto dal mare”, puntualizza Caracciolo, “il Belpaese è boccone grosso, gustoso, disponibile”. E a questo proposito il direttore propone un piccolo esercizio che dovrebbe costringerci a guardare in faccia la realtà. Chiede infatti dove dovrebbe trovarsi sulla mappa dell’Euro – mediterraneo una potenza marittima che volesse dominarlo? La risposta è scontata: “In Italia, diamine!”. Qual è questa potenza? “Risposta: l’America, dal 1945”. Questa posizione di straordinaria importanza strategica e la presenza sul nostro territorio di un così alto numero di basi militari americane, espone la nostra penisola a rischi altissimi. Le possibilità di un attacco nucleare tattico da parte della Russia non appaiono più così remote e l’Italia rappresenta un potenziale obiettivo di primaria importanza. Ci troviamo in prima linea rischiando di combattere una guerra che non è la nostra.

 

 

Meloni Presidentessa del Consiglio

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di Alfio Krancic

Pare ormai fatta. La Giorgia, almeno dai sondaggi che la danno in testa, potrebbe benissimo diventare la prima “presidentessa” del Consiglio italiana. Come ho detto altre volte, la Giorgia andrebbe a dirigere il governo proprio mentre la barca Italia sta per infilarsi nella “tempesta perfetta” che ci attende in Autunno. Notizia ufficiale sentita ieri ad un Tg: le bollette gas-luce aumenteranno del 100%. Praticamente raddoppieranno. Ma naturalmente la cosa non finisce qui: abbiamo la macchina del fango, oliata a dovere e che già inizia a dare i suoi risultati; la guerra in Ucraina che continua e tutto , dicasi TUTTO il Cdx si schiera compatto con l’occidente la Nato e la gerontocrazia americana di Biden e della Pelosi la Pazza; non ci sarà gas per l’inverno, nonostante le fantagigantesche forniture di gas che il Mozambico ha promesso a Matt*rella e all’ Ape Di Maia; i prezzi dei generi alimentari aumenteranno, fame e miseria dilagheranno e last but not least, una nuova pandemia o una nuova ondata di Covid o di Vaiolo delle Scimmie, che costringerà il governo a durissime restrizioni, obblighi vaccinali, superGreen Oass e quant’altro; i disagi sociali che sorgeranno saranno gestiti dalla sinistra, dai sindacati resuscitati dal lungo sonno e dagli antifa. Indovinate a chi sarà data la colpa di tutto questo disastro? Naturalmente al governo fascista della Meloni, Salvini, Berlusconi che in pochi mesi sarà travolto dalle proteste interne e internazionali, dallo spread e costretto alle dimissioni e alla fuga. A questo punto Matt*rella scioglierà le Camere. Il Cdx ne uscirà distrutto e al governo sarà richiamato il Salvatore Draghi. Il quale per evitare che il disastro in corso ricada anche su di lui, porterà l’Italia in guerra. E si sa, in guerra tutti i sacrifici sono accettati nel nome della difesa dei sacri valori dell’occidente, della democrazia, dei diritti LGBT, della UE etc etc.

Fonte: https://alfiokrancic.com/2022/08/05/meloni-presidentessa-del-consiglio/

O con noi o con Putin

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di Marcello Veneziani

Ma davvero alle prossime elezioni il candidato più forte da battere sarà Vladimir Putin? È la voce che corre su tutti i giornaloni nostrani e tra i sostenitori del Partito Dragocratico, in sigla Pd, che comprende pure molti centristi di varia provenienza. Matteo Renzi ha detto che col voto bisognerà battere l’area Putin; Enrico Letta e altri suoi potenziali alleati disegnano a loro misura la contrapposizione tra filo-occidentali e filo-putiniani e perfino un politologo serio come Angelo Panebianco in un editoriale del Corriere della sera ha ritenuto Putin il convitato di pietra delle prossime votazioni italiane. Sappiamo che in campagna elettorale si usa ogni colpo basso e ogni slogan propagandistico ad effetto pur di demonizzare l’avversario. Contro il centro-destra si passa dall’accusa di fascismo e di statalismo sovranista a quella di essere la longa manus di Putin in Italia. Ma se guardiamo alla realtà delle posizioni assunte, l’identificazione del centro-destra con l’area Putin è grottesca, infondata e smentita ampiamente dalla realtà.

Giorgia Meloni, che è la leader in pectore del partito di maggioranza nel nostro paese, ha sposato totalmente sul conflitto russo-ucraino le tesi della Nato, dei Dem di Biden e di Letta, dei conservatori britannici e atlantici e le stesse posizioni assunte da Draghi. Ed è corsa negli Stati Uniti per sottolineare la posizione filo-occidentale e filo-Nato del suo partito. L’assurda caccia ai putiniani d’Italia, con relative liste di proscrizione sui giornali, ha avuto come sponda proprio il Copasir presieduto da un esponente di Fratelli d’Italia, Adolfo Urso, che denuncia infiltrazioni putiniane nella politica nostrana.
Silvio Berlusconi ha portato Forza Italia nel Partito Popolare europeo, ed è sempre stato con le sue reti mediaset un veicolo di americanizzazione nella vita italiana; da sempre Berlusconi colloca il suo partito nell’area euro-occidentale, e si definisce liberale. Non si può confondere la sua amicizia personale con Putin e il suo ruolo di “paciere internazionale” tra la Russia putiniana e gli Stati Uniti di Bush, come una dichiarazione di putinismo. Resta solo la Lega di Salvini, che nelle sue molteplici variazioni, ha sposato in una fase politica precedente alla guerra una posizione filo-putiniana che poi si è interrotta con l’invasione dell’Ucraina.

Insomma il centro-destra è tutt’altro che identificabile con l’area Putin, a cui forse guarda con favore solo Alessandro Di Battista e un’ala minoritaria di quel che resta del Movimento 5Stelle. Diversi, semmai, sono gli umori popolari del Paese meno allineati agli Usa. Ritenere poi che schierarsi a favore della pace e del negoziato piuttosto che puntare sulle sanzioni e sull’interventismo militare, sia un’adesione al putinismo, significa ritenere putiniani tutti i pacifisti, dal Papa Bergoglio alla sinistra arcobaleno.
Si deve peraltro ammettere che il pronunciamento bellicoso dell’Italia di Draghi e dell’Europa contro la Russia finora non ha portato il minimo giovamento all’Ucraina e ha prodotto il massimo danno all’Italia e all’Europa stesse che si trovano impelagate negli effetti nefasti delle sanzioni e nei contraccolpi economici, sociali ed energetici per la posizione assunta. Ridicola, se non fosse tragica, la posizione di chi aveva minacciato a gran voce di rifiutare il gas russo e ora denuncia la Russia che annuncia restrizioni nei nostri confronti sulla fornitura del gas. Ma non era esattamente quello che volevano fare?
L’idea di non radicalizzare il conflitto con la Russia ma di cercare una trattativa, accomuna le grandi nazioni europee, come la Germania e la Francia, che hanno capito la follia e i gravi danni di appiattirsi sulla posizione americana e sulla linea di un presidente malfermo e poco lucido come Biden. Chi non vuole assumere una posizione da falco nel conflitto russo-ucraino non mira certo a favorire Putin ma è preoccupato di tutelare l’Europa, i suoi popoli, la sua economia, le sue risorse energetiche. Peraltro la linea muscolare dei falchi è estranea alla nostra tradizionale politica estera, voluta da Moro, da Andreotti, da Craxi, che ha cercato sempre la mediazione e mai il muro contro muro.

Insomma, lo schema putiniani o liberali d’Occidente non regge alla prova della realtà. E inverosimile appare il paragone di Panebianco tra il voto del 25 settembre e le elezioni del 18 aprile del 1948, quel voto-spartiacque in cui l’Italia liberal-democratica, cattolica, occidentale e filo-atlantica si schierò contro il fronte popolare filo-sovietico e comunista. Un paragone insensato in cui i bolscevichi sarebbero Berlusconi & C e i filo-occidentali sarebbero i Fratoianni & C. Si dimentica che gli eredi dello schieramento filo-sovietico di allora sono tra le fila del Partito Democratico e dei suoi alleati (si chiamavano comunisti).
Attribuire poi al presidente ungherese Orban il ruolo di cavallo di Troia di Putin in Europa è dimenticare da un verso il peso minimo del piccolo stato di Budapest nell’intera Unione Europea, e dall’altro attribuire intenzioni opposte a un leader che ha fatto dell’amor patrio, della difesa della civiltà cristiana ed europea e della memoria storica di un paese invaso dai russi sovietici la sua bandiera. (L’accusa di essere filo-Orban è la terza imputazione ai danni della Meloni, dopo il ducismo e il putinismo).
In realtà trattare con i dittatori o gli autocrati è sempre stato necessario: i democratici americani trattavano con Stalin e i regimi comunisti, perfino Nixon il repubblicano aprì alla Cina comunista di Mao dopo la sanguinosa “rivoluzione culturale “ che costò decine di milioni di morti. Si chiama realpolitik.
Ma putiniano, si sa, è la nuova versione propagandistica della surreale diceria che col centro-destra tornerà il nazifascismo.

(Panorama, n.32/2022)

Perché il Politicamente Corretto è un “peccato mortale”

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/05/23/perche-il-politicamente-corretto-e-un-peccato-mortale/

IL “PENSIERO” DEVE ESSERE UNICO (IL LORO) FINO ALL’ASSURDO, OVVERO FINO AL PUNTO CHE DIRE LA VERITÀ È DIVENTATO UN ATTO RIVOLUZIONARIO, COME SOSTENERE CHE LE FOGLIE SONO VERDI D’ESTATE

Tommaso d’Aquino nella Somma Teologica (II-II, qq. 72-75) tratta delle ingiustizie che si compiono con le parole. Troppo spesso si tratta di peccati mortali che, a torto, non vengono presi particolarmente sul serio, ma possono rivelarsi molto gravi. “Ne uccide più la lingua che la spada” – afferma il detto popolare. E, si sa: vox populi, vox Dei. L’ingiuria verbale lede l’onore, la diffamazione o detrazione lede la buona fama, la mormorazione distrugge l’amicizia, e la derisione toglie il rispetto.

San Tommaso spiega che nei peccati di parola bisogna considerare soprattutto con quali disposizioni d’animo ci si esprime, ossia il fine della contumelia, che è disonorare il prossimo nella sua moralità. Se non vi è l’intenzione di disonorare la persona insultata, perché i fatti si danno per veri ed acclarati, rimane peccato l’insulto, ma non vi è contumelia.

La detrazione (q. 73, a. 1) è una maldicenza o denigrazione della fama altrui, fatta di nascosto. Essa consiste nel «mordere di nascosto la fama (ossia la “stima pubblica o notorietà”, N. Zingarelli) di una persona” come si legge nell’Ecclesiaste (X, 11): “Se il serpente morde in silenzio, non è da meno di esso chi sparla in segreto». Poi l’Angelico spiega che come ci sono due modi di danneggiare il prossimo in azioni: apertamente (p. es. la rapina o le percosse in faccia) o di nascosto (p. es. il furto o una percossa “a tradimento” ossia alle spalle); così vi sono due modi di nuocere con le parole: apertamente (la contumelia in faccia, q. 72) o di nascosto (la maldicenza o detrazione, q. 73). San Paolo: “è degno di morte [spirituale o dell’anima] non solo chi commette il peccato di [detrazione], ma anche chi approva coloro che lo commettono” (Rom., I, 32).

Dall’insegnamento di S. Tommaso si evince: 1) il dovere morale di non insultare, denigrare, calunniare o mormorare e deridere il prossimo, soprattutto se costituito in autorità. 2) di riparare il torto fatto alla sua reputazione 3) di difendere chi è denigrato, senza far finta di non vedere. Certamente davanti agli uomini è più comodo “far finta che va tuto ben”, ma davanti a Dio non ci si trova in regola, anzi si sta in peccato grave, quod est incohatio damnationis.

E’, pertanto, nostro dovere denunciare pubblicamente il politicamente corretto, innanzitutto come difesa della nostra dignità e intelligenza dalla sua volontà dolosa di costringerci ad accettare l’errore, fingendo che sia un bene comune. Scrive Mario Giordano nel suo ultimo libro, appena uscito, dal significativo titolo Tromboni (Edizioni Rizzoli): “Bisogna stare attenti alla lingua” al pari di quelli che predicano contro l’odio e insegnano a odiare. L’ipocrisia di costoro, che si annoverano in larga parte nella categoria dei cosiddetti intellettuali o giornalisti, in ultima analisi coloro che si occupano della diffusione dei messaggi su larga scala, aggrava il peccato di lingua della detrazione di coloro che la pensano diversamente, col falso doloso consapevole e remunerato. L’effetto che molti credano alle loro dicerie è conseguenza ancor peggiore, che ci fa trovare nella situazione di crisi morale, ideale, sociale in cui ci troviamo, andando sempre peggio.

“Tromboni” ricorda come odiano quelli della Commissione anti-odio, creata per fermare l’”intolleranza”, “contrastare il razzismo” e “combattere l’istigazione all’odio”. L’idea è stata partorita dal Ministro dell’Istruzione del “governo dei migliori” Patrizio Bianchi, scopiazzando dal suo illustre predecessor* [metto l’asterisco perché secondo la scrittrice Michela Murgia (da L’Espresso del giugno 2021) potrebbe essere offensivo usare la vocale maschile o femminile per indicare il titolo di una persona, che forse potrebbe non sapere se è uomo o donna] Lucia Azzolina. Nella commissione speciale entra il professore associato all’Università Ca’ Foscari di Venezia, Simon Levis Sullam che, fresco di nomina, aveva diffuso sui social una foto a testa in giù dell’ultimo libro di Giorgia Meloni. Chiaro riferimento alla macelleria di Piazzale Loreto. «Quasi un invito a impiccare il testo, se non proprio l’autrice, al palo più alto dell’antifascismo militante». Ma, domanda Giordano: «si può combattere l’istigazione all’odio inneggiando a piazzale Loreto? E alludendo all’impiccagione più o meno simbolica, ma sempre a testa in giù, di un leader politico?».

L’ex Presidente della Camera Laura Boldrini, campionessa di buonismo e inginocchiatoi a senso unico, paladina di tolleranza e rispetto, ultras femminista ad oltranza, genderista e vestale di tutti i presunti diritti richiesti dai desideri di chiunque, «è finita sotto inchiesta perché avrebbe licenziato la sua colf, dopo otto anni di fedele servizio, tirando in lungo per non darle la liquidazione (3.000 euro)». Altro maestro di propaganda tollerante è Roberto Saviano, «che in diretta tv ha sentenziato candidamente: “Sì, la mia contro la Meloni è una campagna d’odio“» (M. Giordano, “Tromboni”, 2022).

Potremmo continuare all’infinito perché esempi simili ne esistono quotidianamente. Ultimi, in ordine cronologico sono coloro che hanno imbrattato le mura di un istituto tecnico di Milano con la scritta: «Tutti i fasci come Ramelli, con una chiave inglese fra i capelli». Nessun solone (o trombone) del politicamente corretto ha detto una parola. Muto Paolo Berizzi, il “Simon Wiesenthal” de La Repubblica, per la quale scrive una rubrica contro Verona e i fantasmi di un fascismo che non esiste. Muto Vauro. Muto Travaglio. Muti tutti. Perché il “pensiero” deve essere unico (il loro) fino all’assurdo, ovvero fino al punto che dire la verità è diventato un atto rivoluzionario, come sostenere che le foglie sono verdi d’estate. Noi continueremo in questa “rivoluzione Green” dell’ovvietà e dell’ordine naturale perché non vogliamo peccare di lingua contro il bene comune.

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