Sessismo ovunque. Un’altra statua nel mirino delle femministe

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di Redazione www.nicolaporro.it

Le povere statue non hanno più pace. Qualcuno all’inizio si era illuso che il fenomeno di abbattimento dei monumenti fosse esclusivamente americano e volto ad eliminare i simboli di un passato dai contorni opachi. E invece no. Infatti, dopo aver estirpato gli eroi della vecchia Confederazione sudista e Cristoforo Colombo, la cancel culture è arrivata anche in Europa, prima in Inghilterra abbattendosi sul povero Churchill, poi in Francia con Napoleone e infine anche qui da noi con l’imbrattamento della statua di Montanelli a Milano e le polemiche sul monumento dei 4 mori di Livorno.

La nuova polemica

Quello che si sta scatenando attorno ad una nuova statua inaugurata ieri a Salerno, però, è se possibile, ancora più paradossale. Sì perché la protagonista del monumento è una donna, “la spigolatrice di Sapri”, ed è dedicata all’omonima poesia di Luigi Mercatini, che racconta di una contadina del sud Italia che lascia il lavoro per unirsi al tentativo di insurrezione antiborbonica organizzata dal patriota Carlo Pisacane nel 1857. Un esempio di virtù, di coraggio e impegno politico, quindi, a maggior ragione perché riferita ad un’epoca in cui le donne non trovavano molto spazio nella società. E dunque qual è questa volta il problema? Quando non è il soggetto, in discussione viene messa ovviamente la sua rappresentazione. E la spigolatrice, a dispetto del suo nome, non piace alle femministe di casa nostra perché mette in evidenza curve da urlo e un atteggiamento provocante. I suoi abiti? Troppo succinti. Ed ecco quindi arrivare puntualissima la catechizzazione di Laura Boldrini su Twitter.

Femministe alla carica

“La statua appena inaugurata a Sapri e dedicata alla Spigolatrice – ha scritto – è un’offesa alle donne e alla storia che dovrebbe celebrare. Ma come possono persino le istituzioni accettare la rappresentazione della donna come corpo sessualizzato?”. E infine il giudizio finale: “Il maschilismo è uno dei mali dell’Italia”. Ma la più celebre paladina del femminismo nostrano non è stata la sola a dirsi indignata. Sulla stessa linea anche la senatrice del Pd, Monica Cirinnà che ha parlato di “schiaffo alla storia e alle donne” e la ex parlamentare di Forza Italia, Manuela Repetti, che si è spinta oltre chiedendo addirittura la rimozione del monumento.

Ciò che però rende ancora più divertente e surreale l’intera vicenda è che la statua è stata eretta in un comune guidato da Italia Vivail partito di Renzi e che all’inaugurazione del monumento fosse presente anche Giuseppe Conte, che si trovava in loco per il suo tour elettorale. Quindi non solo il monumento ha per protagonista una donna virtuosa, non solo è stato voluto da un’amministrazione progressista, ma all’inaugurazione era presente persino l’ex premier della coalizione “con il cuore a sinistra”. Insomma, un cortocircuito di tale entità non può che essere fonte di grande divertimento e soddisfazione. Perché delle due l’una, o nella nostra società sono tutti maschilisti oppure il perbenismo di una certa sinistra sta cominciando a diventare tossico anche per coloro che vi stanno più a contatto. Sintomo evidente del fatto che in queste ideologie politicamente corrette ci sia qualcosa di estremamente sbagliato.

Sembra proprio pensarla così il sindaco di Sapri Antonio Gentile, che ha difeso la statua dicendo di ritenere “violento, offensivo e a tratti sessista” l’attacco della senatrice Repetti e la ha accusata di “incitare all’abbattimento dei monumenti come avvenuto recentemente in altri paesi privi di democrazia”. 

Per non parlare dell’autore della statua, Emanuele Stifano che ha rispedito al mittente tutte le accuse di sessismo e ha rivendicato con orgoglio le sue scelte artistiche. “Sono allibito e sconfortato da quanto sto leggendo – ha scritto sui suoi canali social. Mi sono state rivolte accuse di ogni genere che nulla hanno a che vedere con la mia persona e la mia storia. Quando realizzo una scultura tendo sempre a coprire il meno possibile il corpo umano, a prescindere dal sesso. Nel caso della Spigolatrice, poiché andava posizionata sul lungomare, ho “approfittato” della brezza marina che la investe per dare movimento alla lunga gonna, e mettere così in evidenza il corpo. Questo per sottolineare una anatomia che non doveva essere un’istantanea fedele di una contadina dell’800, bensì rappresentare un ideale di donna, evocarne la fierezza, il risveglio di una coscienza, il tutto in un attimo di grande pathos. Aggiungo che il bozzetto preparatorio è stato visionato e approvato dalla committenza”.

L’integralismo del politicamente corretto ha colpito ancora. Ora tutte le statue devono iniziare a tremare. E forse anche la sinistra più moderata.

Dragocrazia

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QUINTA COLONNA

di Marcello Veneziani

È davvero prematuro rinfacciare al governo Draghi di essere la riedizione del governo Conte o di esultare per questo, come fanno i grillo-contini. È stato quantomeno puerile gridare subito alla continuità con Conte quando non si era ancora insediato il governo. Certo, serve per galvanizzare le tifoserie e dire agli uni che il Maligno ha cambiato solo nome e fattezze e si è fatto più terribile, come dice il cognome fiammeggiante del premier; e agli altri far credere che Conte è così insostituibile che il suo modesto successore è schiacciato dalla sua gigantesca ombra e non può che tentare di imitarlo.

Ma se provate a fare il gioco delle differenze, risaltano subito alcune cose: il profilo e il curriculum di Draghi rispetto a quello di Conte, alcuni ministri tecnici nei dicasteri economici al posto di grillini e piddini, il cambio in meglio alla giustizia, alla pubblica amministrazione e istruzione e allo sviluppo economico, il peso dei ministri leghisti e forzisti, il ridimensionamento di Arcuri che prelude probabilmente alla sua non riconferma. E poi la novità, anche inquietante se volete, di un governo di unità nazionale, e in positivo lo stile diverso nelle riunioni ministeriali e nella comunicazione. Non è poco, come avvio. Dall’altra parte la continuità della politica sanitaria, le troppe facce riemerse di ministri al governo, alcuni segnali non promettenti sulla giustizia, un governo imbottito di politici di basso profilo, non fanno ben sperare. In ogni caso è prematuro e disonesto azzardare un giudizio, parlare già di svolta o di continuità. Vedremo in corso d’opera e valuteremo senza paraocchi.

Una cosa però si profila sin dagli esordi, dalle scelte ministeriali e dai segnali di fumo lanciati all’Europa. Il governo Draghi ha a cuore principalmente una cosa, rispetto a cui tutto il resto fa da corollario e può essere oggetto di trattativa: la gestione dei fondi e delle linee economiche. Per dirla nel linguaggio proprio, il core business del governo Draghi, la specificità del suo mandato, è il Recovery fund e le sue conseguenze. Può assecondare la politica sanitaria precedente, può far la voce grossa sui vaccini, non modificare le linee politiche, culturali e civili ma resta prioritario e non negoziabile decidere come verranno spesi i soldi. Questa è la mission di Draghi e la ragione dell’incarico a lui; è lì che si gioca quasi tutto, pure il Quirinale; ed è quello che non andava permesso a un governo politico qualsiasi. Tutto il resto è relativo. Sarà lì che si paleserà la Dragocrazia. Continua a leggere

L’Italia di Conte isolata nel mondo

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Mattarella sa bene, oramai, che la tempesta perfetta sul governo Conte sta per arrivare non solo per la gestione della pandemia ma anche per il colpevole sfilacciamento dei rapporti con le capitali che contano: Washington, Parigi, Berlino e Bruxelles. E sullo sfondo Istanbul, con l’offensiva che Erdogan sta per scatenare sulla Libia. Il Quirinale lo sa talmente bene che sta spingendo, in tutti i modi, per un cambio di passo nel timore di essere coinvolto in questo caos che non risparmia più nessuno e che può sfociare in tensioni sociali.

Autogol e furbate di Conte

Eppure Conte continua ad infilare clamorosi autogol che indeboliscono ulteriormente la sua credibilità: ‘Giuseppi’, disperato orfano di Trump – infatti è stato l’ultimo leader a congratularsi con Biden – pensando di fare l’ennesima furbata ha invece addentato una polpetta avvelenata convinto di ingraziarsi Forza Italia: alla fine però ha finito per far infuriare tutto il Pd, gran parte dei Cinque Stelle e addirittura pezzi del centrodestra. Una polpetta confezionata con ogni probabilità dal tandem grillino Patuanelli-Buffagni per un emendamento che alla fine, anziché favorire Mediaset oramai ad un passo dall’accordo con i francesi di Vivendi, ha finito per scatenare una polemica feroce con la Francia e la Commissione Ue contro il Governo.

Il risultato più probabile se l’emendamento non verrà ritirato a passo di corsa, oltre alle sanzioni comunitarie monstre, sarà che, entrando in fibrillazione l’azionariato di Tim in combinato con le pruderie dell’Enel di Francesco Starace, il progetto della Cassa depositi e Prestiti per la rete unica subisca un gravissimo ritardo.

Grana libica

Una bella grana sul fronte dei rapporti economici e le partnership industriali ma è nulla rispetto a quello che sta avvenendo sulle nostre coste dopo che i turchi hanno deciso un’accelerazione sul fronte libico. “Al mio segnale scatenate l’inferno”, sembra aver ordinato Erdogan ai suoi. Il sultano sa che deve approfittare della confusione che regna a Washington per concludere l’operazione Libia prima che si insedi Joe Biden, il quale lo vede come fumo negli occhi. Trump invece era più interessato a Israele e Medio Oriente e ha lasciato fare, tanto che a Tripoli sono arrivati all’aeroporto Mitiga mezzi sofisticati con contractors siriani organizzati dal Mit (Milli Istihbarat Teşkilati), il Servizio segreto turco fondato da Mustafa Kemal Ataturk.

Ankara non solo ha oramai il controllo di Misurata e della Tripolitania ma si sta spingendo verso il sud forte anche di un accordo con i Fratelli Musulmani, il cui uomo di punta è l’attuale ministro dell’interno e probabile futuro Premier Fathi Bashagha, un ex pilota militare. E per destabilizzare il Mediterraneo, passo obbligato per il Governo turco è il via libera ad un’immigrazione di massa come si sta vedendo in queste ore, con le ONG già pronte a raccogliere in mare migliaia di disperati in fuga.

E l’Italia in questo scenario? Non pervenuta, naturalmente. Ormai la capitale per i negoziati libici è solo Berlino e gli accordi per il cessate il fuoco e nuove elezioni il 24 dicembre 2021 sono esercitazioni di inutile diplomazia nonostante gli sforzi dei 75 partecipanti al Forum di Dialogo politico libico, iniziato lunedì scorso a Tunisi sotto gli auspici dell’inviata Onu, Stephanie Williams. Per l’Italia un vero scempio aver lasciato la Libia al suo destino. Restano aperti l’ambasciata di Tripoli, ma senza indicazioni, la grande Eni di Enrico Mattei, ridotta ad un mero ruolo commerciale visto che ancora regge la rete di approvvigionamenti domestici e i nostri Servizi, senza ordini né indicazioni da Palazzo Chigi.

Nonostante a capo dell’AISE sieda un generale apprezzato come Gianni Caravelli, già Capo dell’unità di consiglieri nell’ambito della “United Nations Assistance Mission in Afghanistan” e Consigliere militare del Rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite. Ma è risaputo, Conte tiene stretta a sé la delega ai Servizi e ama confrontarsi solo con il suo fidato amico Gennaro Vecchione, capo del Dis, in scadenza nelle prossime settimane. Pare che pur di ottenere la sua riconferma sarebbe disposto a cedere la sua delega ad un suo fedelissimo, il sottosegretario al Cipe Mario Turco anziché a Marco MinnitiVincenzo Amendola o Luigi Zanda come suggeriscono Quirinale e Pd. È proprio il caso di dire “mamma li turchi’.

DA

L’Italia di Conte isolata nel mondo

È giallo sui file desecretati: spariti i verbali sulla zona rossa ad Alzano e Nembro

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Noi crediamo che per molto meno in un Paese normale il premier dovrebbe DIMETTERSI…(n.d.r.)

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Dai verbali desecretati emerge che il Cts voleva chiusure differenziate. Assenti i dossier più spinosi su Alzano e Nembro

Sono stati per settimane al centro del dibattito politico. E potrebbero rivelare molto sulla gestione dell’emergenza coronavirus in Italia da parte dei nostri governanti. Ora i famigerati verbali prodotti dal Cts (Comitato Tecnico Scientifico) sul Covid sono stati pubblicati. Sono online. E sono apparsi questa mattina sul sito della Fondazione Luigi Einaudi. Desecretati. Sono alla base della stesura dei Dpcm del governo durante la pandemia. Atti non più segreti, dunque, che ora faranno luce sulla gestione dell’epidemia.

La novità maggiore che emerge dalla lettura delle oltre 200 pagine è la seguente. Come scrive Repubblica, il 7 marzo scorso con un documento riservato inviato al ministro della Salute, Roberto Speranza, il Cts proponeva al governo di “adottare due livelli di misure di contenimento”. Non un lockdwon generale che blindasse l’Italia intera, ma azioni di contenimento differenziate: una riguardante i territori in cui si osservava una maggiore diffusione del virus, l’altra riguardante il resto del territorio nazionale.

Il comitato spingeva, quindi, per azioni più rigorose in Lombardia e nelle province di Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini e Modena, Pesaro Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Alessandria e Asti. Due giorni dopo, però, il presidente del Consiglio con il Dpcm del 9 marzo dava il via alla serrata estendendo le stesse misure a tutto il Paese. Senza distinzioni. E senza giustificazioni apparenti.

Dopo la richiesta da parte della Fondazione Einaudi, questi documenti sono stati desecretati e pubblicati. La fondazione aveva chiesto, il 14 e il 18 aprile, l’accesso ai testi degli scienziati. Qualcosa che avrebbe fatto luce sulle misure adottate dal governo fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria. E, soprattutto, avrebbe chiarito la legittimità della compressione delle libertà costituzionali messa in discussione da singoli cittadini e dalle opposizioni.

Il governo si era inizialmente rifiutato di rendere pubblici gli atti. Il 22 luglio scorso, poi, il Tar aveva accolto il ricorso presentato contro questo diniego. Ma l’esecutivo aveva fatto a sua volta ricorso e il 31 luglio il Consiglio di Stato sospendeva l’effetto della sentenza del Tar del Lazio. In sostanza, quello sugli atti del Cts è stato un braccio di ferro andato avanti per mesi e su cui anche l’opposizione aveva dato battaglia.

Il centrodestra, e anche il Copasir, in particolare, chiedevano di renderli pubblici. Queste pagine sono firmate dal comitato istituito con un’ordinanza del capo della protezione civile il 3 febbraio scorso. I cinque verbali sono datati 28 febbraio, 1 marzo, 7 marzo, 30 marzo e 9 aprile 2020. Ma non sono tutti. Mancano, ad esempio, le riunioni dai primi giorni di marzo, quelle della mancata zona rossa ad Alzano e Nembro, in Val Seriana. Fondamentali per ricostruire quelle giornate.

Sull’assenza dei verbali che riguardano la mancata “zona rossa” del Bergamasco sono intervenuti i parlamentari leghisti. In particolare, Roberto Calderoli, Daniele Belotti, Simona Pergreffi e Rebecca Frassini. Tutti originari di quella provincia lombarda. “È inaccettabile che il governo tenga ancora secretati i verbali relativi alla zona rossa di Alzano e Nembro. Chiediamo con forza che venga resa nota anche la parte della documentazione del Cts che è stata consegnata alla Fondazione Einaudi. Presenteremo immediatamente un’interrogazione urgente sia alla Camera che al Senato perché consideriamo grave che non si faccia chiarezza su uno degli aspetti più delicati della gestione dell’emergenza, ovvero la mancata zona rossa in bassa Val Seriana”.

C’è un’indagine in corso da parte della Procura di Bergamo, ma è un diritto dei cittadini, dei bergamaschi in particolare, conoscere il contenuto di quei verbali per capire perché prima il governo ha inviato centinaia di carabinieri, poliziotti e militari pronti a chiudere gli accessi ad Alzano e Nembro per poi sospendere tutto optando per la zona arancione in tutta la Lombardia.

“A questo punto – sottolineano gli esponenti della Lega – si faccia chiarezza su ogni aspetto per verificare anche se qualche esponente politico ha fatto pressioni sul governo perché non fosse istituita la zona rossa e se qualche parlamentare o consigliere regionale, oltre a Giorgio Gori quando era candidato governatore della Lombardia, ha ricevuto consistenti contributi da aziende della zona. Tutto legittimo, i bonifici per candidati e partiti politici sono ammessi, ma vista la situazione, le voci e l’inchiesta in corso, è doverosa la massima trasparenza e se qualche parlamentare, magari dell’attuale maggioranza, ha ricevuto un aiuto per la propria campagna elettorale, magari di 10mila euro, da un’azienda, magari di Nembro, ha il dovere verso la cittadinanza di dichiararlo pubblicamente se vuole dare un contributo alla chiarezza. Anzi ci aiuti a chiedere la desecretazione dei verbali del Cts al presidente Conte”.

L’evoluzione recente del destino di questi documenti è presto detta. Ieri sera alle 21.15 sono stati trasmessi tramite pec dal capo della protezione civile, Angelo Borrelli, agli avvocati Enzo Palumbo, Andrea Pruiti Ciarello e Rocco Mauro Todero. Il governo, in soldoni, ha fatto un passo indietro, decidendo di rivedere la propria posizione e anticipando il prevedibile esito dell’udienza fissata per il 10 settembre davanti al Consiglio di Stato. Termina così una lunga battaglia sostenuta da molti parlamentari e da gran parte dell’opinione pubblica italiana.

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Via il segreto di Stato sul Covid. “Christus Rex” procede con l’accesso agli atti

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Abbiamo già effettuato la richiesta di accesso agli atti. Poi i bravi legali del nostro Circolo Chrisus Rex effettueranno la dettagliata analisi e inizieranno ad agire di conseguenza (n.d.r.)

Palazzo Chigi e Protezione civile dovevano rendere pubblici i verbali del Comitato tecnico scientifico

di Dario Martini per “Il Tempo”

Giuseppe Conte non riesce a festeggiare in santa pace l’accordo raggiunto a Bruxelles. Il suo problema sono proprio le donne. Prima ci si è messa l’ex moglie, che a capo di altre 11 colleghe dell’avvocatura dello Stato, ha vinto il ricorso contro Palazzo Chigi e il Tesoro ottenendo un bel risarcimento danni. Adesso ecco altre donne che mettono nei guai il premier, ordinando: fuori entro 30 giorni tutti gli atti secretati dalla presidenza del Consiglio dei ministri sulla emergenza Covid. Le tre donne in questione sono Mariangela Caminiti, Ines Simona Immacolata Pisano e Lucia Gizzi, i tre giudici amministrativi del Tar del Lazio (sezione prima quater) che hanno emesso la sentenza che impone alla presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della protezione civile di rendere pubblici i verbali del Comitato tecnico scientifico (Cts) in base a cui sono state prese tutte le decisioni più importanti per affrontare l’emergenza.

https://www.iltempo.it/politica/2020/07/22/news/giuseppe-conte-ex-moglie-valentina-fico-vince-causa-tar-lazio-risarcimento-contessa-palazzo-chigi-tesoro-avvocatura-stato-23938865/

È in base a questi verbali che Conte ha adottato tutti i famosi dpcm con cui ha compresso le libertà fondamentali per garantire la tutela della salute degli italiani. Il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, durante le sue famose conferenze stampa (quelle dove venivano snocciolati i numeri dei morti e dei contagiati) aveva spiegato che non gli era possibile rendere pubblici i verbali delle riunioni del Cts.

Venivano considerati dati sensibili, che sarebbe stato opportuno rendere pubblici solo ad emergenza finita. Addirittura, questi verbali erano secretati anche per alcuni membri del governo, come il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri, che a maggio era sbottato: «Li tengono nascosti anche a me».

https://www.iltempo.it/attualita/2020/07/23/news/giuseppe-conte-inchiesta-epidemia-colposa-coronavirus-denuncia-carlo-taormina-tribunale-ministri-speranza-virologi-23947308/

Adesso, si scopre che non si poteva fare. Bisogna ringraziare tre avvocati: Rocco Mauro Todero, Vincenzo Palumbo e Andrea Pruiti Ciarello, i quali si erano visti respingere l’accesso agli atti dal Dipartimento della protezione civile. Ma non si sono scoraggiati, hanno presentato ricorso al Tar e, adesso, lo hanno vinto. Il Tar, con sentenza pubblicata ieri, ha dato loro ragione e ha ordinato piena trasparenza sui verbali del Cts. Le valutazioni degli esperti, su cui Conte ha basato le sue decisioni, non sono dati sensibili. Continua a leggere

Caso Gregoretti, Bongiorno: “Conte e Di Maio sapevano. Abbiamo le prove”

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“Non vedo l’ora di andar in tribunale, per rispondere del reato di difesa dei confini del mio Paese”. Intervistato dal Gr1, Matteo Salvini rilancia la sua sfida politica sul caso Gregoretti. La vicenda arriverà a uno snodo il 20 gennaio, quando la giunta del Senato si riunirà per decidere se autorizzare il procedimento contro il capo della Lega, indagato per sequestro di persona e abuso di poteri. La partita si gioca tutta sul fatto che l’allora ministro dell’Interno avesse condiviso o meno con il governo la scelta di bloccare lo sbarco dei migranti. Ed è una partita tanto “tecnica”, quanto politica. Giuseppe Conte e Luigi Di Maio negano la circostanza, ma – anticipa in una intervista di oggi Giulia Bongiorno – bluffano e il loro gioco sarà scoperto.
Bongiorno: “Scelta condivisa, ci sono i documenti”
L’ex ministro della Pubblica amministrazione, nonché difensore di Salvini nel caso, spiega infatti a La Verità che “la decisione è stata presa nell’interesse pubblico ed era stata condivisa“. Non importa che poi non sia approdata anche in Consiglio dei ministri, come sottolineano di continuo Conte e Di Maio, perché “non serve un atto formale”. “Ciò che conta – chiarisce la senatrice leghista – è la condivisione effettiva di quella scelta e la compartecipazione attiva per trovare una soluzione al problema della redistribuzione dei migranti”. “Ci sono documenti – aggiunge Bongiorno – che ricostruiscono quei giorni e le varie comunicazioni che intercorsero”.

“Il caso Gregoretti è gemello della vicenda Diciotti”

L’avvocato Bongiorno non anticipa di cosa si tratti, per rispetto – sottolinea – al lavoro della giunta alla quale per prima saranno presentati. Una cosa però la dice: quelle carte “attestano” che il caso Gregoretti è “gemello” del caso Diciotti. “E Conte, da giurista, sa bene che in entrambi i casi si perseguiva l’interesse pubblico”.

Di Maio, dunque, “sbaglia” quando dice che le vicende sono diverse. “È evidente – commenta Bongiorno – che si cercano appigli per giustificare il repentino cambiamento di posizione. Dunque, la questione è tutta politica e Bongiorno si dice fiduciosa che “tra le chiacchiere e i documenti prevarranno i documenti”.

Di Maio, dunque, “sbaglia” quando dice che le vicende sono diverse. “È evidente – commenta Bongiorno – che si cercano appigli per giustificare il repentino cambiamento di posizione. Dunque, la questione è tutta politica e Bongiorno si dice fiduciosa che “tra le chiacchiere e i documenti prevarranno i documenti”.

Salvini vince comunque

“Se le decisioni in Senato verranno prese sulla base degli atti e della logica – spiega ancora – sarà riconosciuto il preminente interesse pubblico. Se invece saranno decisioni a prescindere dal merito e solo di natura politica, miranti ad abbattere Salvini per via giudiziaria, allora non saprei. Ma – conclude Bongiorno – non credo che gli elettori premierebbero questa strategia“. Una realtà che Salvini sembra aver compreso molto bene, a differenza dei suoi ex alleati.

Da https://www.secoloditalia.it/2019/12/caso-gregoretti-bongiorno-conte-e-di-maio-sapevano-abbiamo-le-prove/?utm_source=dlvr.it&utm_medium=facebook

Conte non si nasconde più: «Il mio cuore batte a sinistra». E svela di essersi “innamorato” del Pd

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Il tono della voce. Il ciuffetto. Il modo di presentarsi. Sul web in molti gli affibbiano l’etichetta di cattocomunista. E lui, Giuseppe Conte, non fa nulla per togliersela da dosso. Anzi, ogni volta che apre bocca lo conferma. Com’è successo a DiMartedì.«Abbiamo un programma di governo riformatore ben articolato», ha detto con suo solito tono propagandistico. E quando gli viene chiesto se si senta meglio conla Lega o con il Pd al governo, risponde candidamente: «Senza scontentare nessuno, mi sento più confortevole con questo esecutivo».

«Avverto maggiore consonanza», ribadisce Conte. Ma il clou lo raggiunge immediatamente dopo: «Il mio cuore batte a sinistra? È vero, mi sono formato nel cattolicesimo democratico». E sul web un’altra valanga di sfottò al cattocomunista: «Ma dai, non l’avevamo capito…», scrivono ironicamente. Il premier giallorosso sottolinea: «Destra e sinistra sono un po’ superati come schematismo ideologico del Novecento. È chiaro che in questo contesto si è creata una polarizzazione tra la proposta delle forze di opposizione e quella delle forze di maggioranza».Incredibile (e patetico) l’attacco ai leader di Lega e Fratelli d’Italia. «Il loro è un linguaggio che non mi appartiene» dice Conte. «Mi batterò per un linguaggio garbato, non possiamo chiedere rispetto a cittadini se non diamo rispetto con le parole». Una sardina in pectore, quindi. Poi una frase che ha provocato altra ironia: «Non ho mai insultato Salvini», precisa. Poi aggiunge: «Il suo consenso sta scemando. Da cosa lo vedo? Dai sondaggi». Quali sondaggi, non si sa.«Io credo che – quando c’è una macchina comunicativa che è molto aggressiva, anche nel linguaggio, e quindi spinge molto sulle paure delle persone – e quando si soffia su quel vento, il vento si gonfia ma poi si sgonfia: è una parabola storica». Sulle prossime elezioni regionali, «cosa voterei in Emilia Romagna? Sicuramente non voterei centrodestra».

Da https://www.secoloditalia.it/2019/12/conte-non-si-nasconde-piu-il-mio-cuore-batte-a-sinistra-e-svela-di-essersi-innamorato-del-pd/?utm_source=dlvr.it&utm_medium=facebook

Russiagate, Conte impallinato per la furbata contro Salvini: «Più dell’onore poté la poltrona»

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Di Massimo Baiocchi

La furbata di Conte al Copasir ha provocato reazioni a raffica. Ha raccontato la “sua” verità e se l’è cavata accusando il leader della Lega per il Russiagate. Restano molte perplessità. La replica è arrivata subito: «Per quanto riguarda le mie missioni in Russia è tutto alla luce del sole. C’e’ un’inchiesta in corso dalla quale non è emerso nulla», ha detto Matteo Salvini a Zapping su Rai Radiouno. «Se qualcuno ha fatto cose poco serie verrà dimostrato. Io vado a Mosca, come a Washington, per difendere le aziende italiane» Continua a leggere

Immigrati, l’accordo di Malta era una bufala!

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di Alessandro Gnocchi

L’avevano presentato (giornali e politici) come il grande accordo. Una pietra miliare per almeno tre motivi diversi: ridefiniva le politiche europee sull’immigrazione; segnava la ritrovata coesione dell’Unione in nome della solidarietà; l’Italia usciva dall’isolamento, nuovamente rispettata grazie al passo felpato e sapiente del Conte Bis, Continua a leggere

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