Bergoglio sfida i sovranisti: è lui l’alleato dell’Unione europea

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Il “Papa” arriva in Bulgaria e manda un segnale non tanto a Sofia, quanto a tutte le capitali d’Europa. La Chiesa c’è ed è in campo per queste elezioni europee con un’unica certezza: l’Ue non deve finire nelle mani dei sovranisti.

Il viaggio in Bulgaria di Francesco è un viaggio che profuma di ecumenismo: ed è il “Papa” il primo a sostenerlo.  Per il “pontefice”, il Paese è “luogo d’incontro tra molteplici culture e civiltà, ponte tra l’Europa dell’est e quella del sud, porta aperta sul Vicino Oriente”. E nelle parole rivolte alle autorità di Sofia, il tema delle migrazioni torna prepotentemente al centro della sfida: “La Bulgaria si trova a confrontarsi con il fenomeno di coloro che cercano di fare ingresso all’interno dei suoi confini, per sfuggire a guerre e conflitti e alla miseria e tentano di raggiungere in ogni modo le aree più ricche del continente europeo, per trovare nuove opportunità di esistenza, o semplicemente un rifugio sicuro”.

E Francesco rivolge un appello che si rivela in realtà una presa di posizione netta nei confronti di tutti i movimenti sovranisti: “A voi, che conoscete il dramma dell’emigrazione, mi permetto di suggerire di non chiudere gli occhi, il cuore e la mano – come è nella vostra tradizione – a chi bussa alle vostre porte“. Continua a leggere

“Erdogan arma gli estremisti”. Il sultano entra nel caos della Libia

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Lo scontro in Libia sembra farsi più duro giorno dopo giorno. I bombardamenti delle scorse ore ne sono una lampante dimostrazione: le vittime civili causate dai missili piovuti su Tripoli, per le cui responsabilità si assiste adesso anche un reciproco scambio di accuse tra le parti in causa, testimoniano l’intensità raggiunta da una battaglia prossima oramai ad entrare nella sua seconda settimana. E ad aggiungere maggiori polemiche è anche il dito puntato diretto contro la Turchia da parte di Haftar, con Ankara accusata di introdurre dall’esterno armi per i miliziani più estremisti.

Le accuse di Ahmed Al Mismari

Così come riportato dal sito AddressLibya, nel corso di una conferenza stampa tenuta martedì sera a Bengasi il portavoce dell’Lna, Ahmed Al Mismari, chiama in causa in modo esplicito e piuttosto pesante la Turchia. Secondo i responsabili dell’esercito di Haftar, in particolare, il governo del presidente Erdogan in questi giorni sta finanziando e donando armi alle milizie rimaste fedeli al governo di Al Sarraj. Al Mismari specifica che Ankara starebbe appoggiando in particolare proprio quelle milizie ritenute, all’interno della galassia delle forze in questo momento impegnate nella difesa di Tripoli, le più estremiste. Le armi, secondo sempre il portavoce dell’Lna, arrivano in Libia tramite il porto di Zuwara, località vicina il confine tunisino lungo la costa in mano ai gruppi fedeli all’esecutivo di Tripoli. Nonostante tra questa cittadina e la capitale buona parte del territorio risulti in mano all’esercito di Haftar, le armi riuscirebbe ugualmente a giungere nelle mani delle forze di Al Sarraj.  Continua a leggere

Battuta la Francia, l’Italia è ancora la seconda manifattura d’Europa

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La pubblicazione dei più recenti dati Eurostat, riferiti alle elaborazioni economiche al 31 dicembre 2017, ha ufficializzato il sorpasso della Francia sull’Italia quale seconda potenza d’Europa per output manifatturiero, riportando per il Paese d’Oltralpe un prodotto industriale di 889,4 miliardi di euro contro gli 883,7 del nostro Paese (comunque ai massimi dal 2011 a oggi).

“Negli anni precedenti, l’Italia era stata sempre davanti”, sottolinea l’Agi. “Tra il 2010 e il 2013 il divario è stato stabilmente superiore ai 100 miliardi di euro, salvo poi assottigliarsi nel 2014 a a poco più di 65 miliardi, risalire nel 2015 a 83 miliardi e poi ridiscendere nel 2016 a meno di 35 miliardi. Alla fine nel 2017, stando a dati che ribadiamo comunque sono ancora provvisori, il sorpasso c’è stato”. Segno che l’Italia è stata costretta ad abdicare alla posizione di “seconda manifattura d’Europa” a lungo presentata come emblema della capacità del sistema Paese di resistere alle problematiche economiche degli ultimi decenni e alle asimmetrie legate all’ingresso nell’euro? Non proprio.

Considerare i dati netti non esaurisce la questione. Non è infatti il semplice confronto tra il valore complessivo del Pil generato dalla manifattura a chiudere la partita. A essere cruciale, nel confronto, è infatti il valore aggiunto generato dall’industria manifatturiera, ovvero l’incremento effettivo di output connesso all’intervento dell’industria nazionale, a cui vanno aggiunti i consumi intermedi delle filiere produttive e la variazione delle scorte. Indicatori più precisi rispetto a quelli su cui si basa la ricerca sulla produzione aggregata, eccessivamente focalizzata sulle proiezioni tendenziali della contabilità nazionale, molto spesso influenzate da un grado significativo di variabilità. Continua a leggere

Macron blocca la condanna di Haftar. Ira di Salvini: “Atto gravissimo”

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libia sarraj

La Francia continua a muovere i suoi fili sulla Libia. E il fatto che in queste ore sia arrivato il blocco, da parte di Parigi, della condanna dell’Unione europea al generale Khalifa Haftar è un segnale molto importante: la prova che tutti stavamo aspettando. Ieri notte, l’Europa voleva diramare una condanna ufficiale di ogni azione militare intrapresa dall’uomo forte della Cirenaica. E, come spiega Repubblica, “una bozza del documento era stata preparata ieri dal Servizio Esterno dell’Unione ed è stata fatta circolare fra tutti gli stati membri”. L’obiettivo era l’approvazione del documento da parte di tutti i governi entro le 21. Ma la Francia ha bloccato perché nominava esplicitamente Haftar e le sue forze armate. Di fatto, è  arrivata la conferma dei sospetti non solo di Tripoli ma anche di molti servizi d’intelligence europei e mondiali: Emmanuel Macron ha sostanzialmente avallato la campagna del generale.

La notizia è particolarmente importante. E getta un’ombra su tutta la strategia europea per la Libia. Perché è chiaro che a questo punto i giochi sono molto più complessi ma anche (finalmente) cristallini rispetto a prima. L’Unione europea non esiste, gli Stati giocano la loro partita singolarmente. E l’Italia, con l’avanzata di Haftar, rischia di essere messa con le spalle al muro da un asse composto da Francia, Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. E con il non troppo tacito placet della Russia che, da giocatore esterno ma presente, muove i fili libici sostenendo (pur non formalmente) l’avanzata dell’Esercito nazionale libico. Continua a leggere

La Francia attacca l’Italia sulla Cina. Ma è la prima a farci affari

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Si rischia una nuova crisi diplomatica fra Italia e Francia. E questa volta riguarda la Cina, o meglio, la Nuova Via della Seta. La possibile firma del Memorandum of Understanding fra il governo italiano e quello cinese ha sollevato un polverone che non riguarda solo i rapporti fra Stati Uniti e Italia, ma anche fra Italia e partner europei. Ed è come al solito Parigi a fare la “parte del leone” di coloro che colpiscono (o vogliono colpire) gli interessi italiani.

Come riporta da Il Foglio, lo stesso quotidiano “è venuto in possesso della bozza del discorso che il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, ha pronunciato all’apertura della Global Market Conference della banca Jp Morgan a Parigi, corredata delle note del suo gabinetto” In questo discorso, nel mirino è finita proprio l’Italia, colpevole, a detta del ministro, di essere un elemento di destabilizzazione dell’Unione europea e del sistema economico occidentale.

Ecco tutti i numeri del terrore: i cristiani uccisi dagli islamisti

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Nell’estate di due anni fa in una piccola chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, nei pressi della città francese di Rouen, si consumava uno dei tanti episodi di violenza jihadista che hanno insanguinato l’Europa negli anni di massima espansione del Califfato. Due uomini armati fecero irruzione nel luogo di culto e dopo una breve presa di ostaggi sgozzarono padre Jacques Hamel. Quell’episodio impressionò l’opinione pubblica francese e mondiale e riaccese i riflettori sulla questione delle persecuzioni contro i cristiani. Secondo il sito The religion of peace  solo tra il 9 e il 15 giugno ci sono stati almeno 46 attacchi contro dei cristiani nel mondo. Mentre a maggio gli episodi sono stati 189 e le persone uccise 888. I numeri assumono proporzioni critiche se si considerano gli anni che vanno dal 2013 al 2017. Oltre 114mila persone uccise e 124 mila feriti.

Gli anni tra il 2013 e 2017, presi in esame in queste mappe, sono stati molto violenti. Con un picco nel 2014. Nell’anno in cui Abu Bakr al Baghdadi  si auto proclamò califfo, sono stati uccisi oltre 30mila fedeli, sia in attentati kamikaze che in singoli episodi di violenza. Preoccupante anche il numero di feriti: quell’anno 27mila persone rimasero coinvolte in attacchi a luoghi di culto o semplicemente perché cristiane. Dopo quella data, il numero delle vittime è rimasto sicuramente elevato: nel 2015 i morti furono 27mila con oltre 26 mila feriti; mentre nel 2016 la cifra si fermò a 21mila vittime. Il primo anno a registrare un calo significativo, ma non sufficiente, è stato il 2017, non a caso l’anno della caduta del Califfato. In quel periodo i cristiani trucidati sono stati 15mila mentre i feriti 14mila. In questo senso anche i primi numeri del 2018 sembrano andare in questa direzione. Gli ultimi dati (aggiornati al 20 giugno) parlano di 5.285 persone uccise (nello stesso periodo dell’anno precedente erano 7.354) e di 6.028 feriti, a fronte dei 7.778 registrati nei primi sei mesi del 2017.

I soldi di George dietro la onlus italiana pro-accoglienza

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Era il settembre 2016 quando il magnate George Soros, fondatore della rete “filantropica” dell’Open Society Foundations, annunciava dalle colonne del Wall Street Journal di voler investire “in start-up, aziende, iniziative di impatto sociale e imprese fondate da migranti e rifugiati”. Soros è uno che le promesse le mantiene e così ha fatto dal 2016 ad oggi, come molte inchieste giornalistiche hanno appurato. A cominciare da quella condotta da Gian Micalessin per Il Giornale, che già nel marzo 2017 ha acclarato i rapporti tra il finanziere e le Ong nel Mediterraneo.

Tra le realtà italiane che ricevono contributi dalla Open Society Foundations, come aveva sottolineato qualche tempo fa anche il blogger Luca Donadel, c’è anche l’associazione A Buon Diritto presieduta da Luigi Manconi, presidente di Unar ed ex Sottosegretario di Stato alla giustizia nel secondo governo Prodi (XV legislatura) con delega al sistema penitenziario, che nei giorni scorsi ha duramente criticato la linea del Ministro Matteo Salvini sull’immigrazione.

Manconi è stato Senatore della Repubblica per il Partito Democratico dal 2013 fino al 2 febbraio 2018 quando è stato nominato dall’allora presidente del Consiglio dei ministri Paolo Gentiloni coordinatore dell’Unar, l’Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni istituito all’interno del Dipartimento per le pari opportunità. Il professore ha preso il posto di Francesco Spano, che l’anno prima aveva dato le dimissioni dopo che la trasmissione Le Iene ha documentato come l’ufficio abbia assegnato un bando da 55mila euro a un’associazione cui fanno capo alcuni circoli, saune e centri massaggi in cui praticava la prostituzione maschile e si svolgevano orge. Continua a leggere

Schiaffo dell’Egitto all’Ue: “Pena di morte è parte della nostra cultura”

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Il vertice fra Unione europea e Lega araba in Egitto si è conclusa con una dichiarazione finale di 17 punti in cui si parla di “una nuova era di cooperazione”. Un annuncio importante che però non ha scaldato i cuori dei presenti. Questi incontri internazionali assumono sempre più le caratteristiche di grandi palcoscenici in cui si decide poco, almeno da un punto di vista multilaterale, ma si cerca di assumere posizioni di leadership.

E il presidente egiziano (nonché padrone di casa) Abdel Fattah al Sisi, l’ha fatto capire da subito con una dichiarazione su diritti umani che lascia poco spazio all’immaginazione. Chi pensava che cooperazione significasse rispetto degli standard occidentali, ha sbagliato. Ed è calato il gelo fra Unione europea ed Egitto. Nonostante la speranza sia quella di considerare proprio Il Cairo il vero Paese in grado di frenare la crisi migratoria in Nord Africa. Continua a leggere

Lo schiaffo di Francia e Germania. Cambiano le regole per colpire l’Italia

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Oltre il danno, anche la beffa. La Francia di Emmanuel Macron non solo ha deciso di colpire duro l’Italia sull’affare Fincantieri-Stx. Ma ha fatto anche altro: ora prova a cambiare proprio quelle regole su cui ha voluto inchiodare il colosso italiano della cantieristica. Siamo alle solite, verrebbe da dire. E in effetti sembra un copione già visto. Ma quello cui si rischia di assistere in questo momento ha del tragicomico.

Tutto nasce dall’accordo sulla fusione di Alstom con Siemens. Un’intesa che, secondo le intenzioni di Berlino e Parigi, avrebbe creato un gigante dell’industria ferroviaria. Con i 27mila dipendenti dei tedeschi e i 33mila dei francesi, l’idea era (e continua a essere) quella di creare un colosso del settore tale da poter competere con le aziende cinesi e quelle americane.

Angela Merkel e Macron hanno fatto di tutto per creare questo grande conglomerato delle infrastrutture. E in effetti è questo uno dei punti del Trattato di Aquisgrana: costruire un sistema industriale franco-tedesco il più possibile integrato, in cui le aziende dei due Stati saldino il più possibile i rapporti per creare un’agenda comune. Francia e Berlino si impegnano quindi non solo da un punto di vista politico e strategico, ma anche da un punto di vista economico e infrastrutturale.

Fin qui nulla di problematico. Ogni Paese ha il sacrosanto diritto di scegliere i propri partner e creare le proprie alleanze. E l’asse franco-tedesco non è è certo una novità di questi ultimi mesi, visto che Berlino e Parigi, da decenni, si spartiscono l’Europa e fanno affari fra di loro. Il problema però è se questa alleanza non solo va a discapito dell’Italia in termini generali, ma colpisce i nostri interessi nel concreto costruendo un sistema che è palesemente volto a escludere la nostra industria.  Continua a leggere

L’Europa ormai è paralizzata. Governi in crisi e piazze in fiamme

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L’immagine che arriva in queste settimane dai diversi angoli d’Europa non è certamente delle più edificanti. Non c’è un Paese dell’Unione europea che possa dirsi al sicuro da una crisi di governo o da proteste di massa. E da Est a Ovest, le piazze si infiammano e i governi appaiono sempre più fragili. Incapaci di portare avanti la propria agenda e soprattutto pericolosamente inclini a crisi sistemiche e da cui non appaiono mai capaci di uscirne rafforzati.

Le immagini di quanto avvenuto in Albania sono state molto forti. La sede del governo, presa d’assalto nella giornata di sabato, è stato un segnale inequivocabile di quanto il malcontento in Europa stia diventando sempre più violento, feroce. Ma è soprattutto un senso di sfiducia che è sempre più incapace di rimanere incardinato nelle logiche della democrazia liberale. Le strade di Tirana invase da decine di migliaia di manifestanti sono molto simili a quelle che hanno caratterizzato Parigi, ad esempio. I quartieri del centro di Parigi, in questi mesi, sono apparsi non troppo diversi dalle vie della capitale albanese. E i metodi delle proteste sono talmente simili che sembra essersi creato un curioso (e pericoloso) trait d’union fra Paesi e aeree d’Europa che apparivano decisamente distanti sia nei metodi politici che nella cultura democratica. Continua a leggere

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